Capitolo
4
Seduta
sulla riva, Rein guardava la
luna, che stendeva sulle acque scure del lago un sentiero di riflessi
baluginanti e iridescenti. Brividi le corsero lungo la schiena quando
un
leggero venticello freddo le passò dietro il collo e dentro
al vestito.
Rimpianse
di non aver fatto in tempo a
prendere la giacca, uscendo di casa. Andava di fretta. Scappava.
Non
riusciva a sopportare l’idea che lui
sapesse.
Dopo
la crisi che aveva avuto il
giorno prima infatti, Fine gli aveva raccontato tutto. Tutto,
anche quando lei le aveva caldamente ordinato
di non farlo.
Persa
nei suoi pensieri, si risvegliò
solamente quando sentì qualcuno appoggiarle una giacca sulle
spalle, per poi
sedersi di fianco a lei.
Chissà
come, non ebbe bisogno di
guardare per capire di chi si trattava, così mantenne lo
sguardo ostinatamente
fisso sul lago. Non voleva guardarlo. O parlargli. Mai più.
Ecco. Pensò che le
mancasse solo di sbuffare e sbattere i piedi, per regredire di dieci
anni.
Bright
lasciò che la sua mano
scivolasse dalla spalla di Rein al suo braccio, con delicatezza, per
portarla
sul proprio ginocchio. Fissò anche lui il lago, cercando
aiuto, uno spunto di
riflessione, in quelle acque scure. Avrebbe tanto voluto capire come si
sentiva
lei.
Ripensò
al giorno prima, quando
finalmente gli era stata svelata una verità che forse, molto
forse, non avrebbe
voluto sapere.
“Non
ce ne siamo andati da qui per una semplice febbre
quattro anni fa, Bright.” Cominciò Fine,
appoggiandosi al letto dove giaceva la
sorella dormiente, “Se fosse stato così, saremmo
tornate. E ti posso giurare
che per entrambe è stato uno strazio, ci mancavate da
morire.” Continuò
malinconica, cercando di catturare lo sguardo del biondino, il quale
però, non
osava staccarlo da terra, per paura di far capire tutto il terrore e la
rabbia che
provava in quel momento.
“Il
fatto che la febbre non calasse, unito alla tosse
continua, ci spinse a portarla in ospedale, giù a
Montepelier.” Proseguì la
rossa, aggrottando la fronte, “e li le diagnosticarono un
tumore polmonare,
piuttosto avanzato, e loro non potevano
curarlo. Ci suggerirono New York, e noi partimmo.”
Bright
strinse i pungi, indignato. Non riusciva a fare a meno
di chiedersi perché non gli era stato detto niente,
perché non era stato detto
niente a nessuno. Era imperdonabile. Se solo avesse saputo…
‘Se
solo avessi saputo… cosa diamine avrei fatto, eh??’
Come
a leggere nei suoi pensieri, Fine riprese a parlare
“Non avreste potuto fare niente per lei, e
poi…” indugiò, incerta se fosse il
caso di proseguire o meno, “…e poi, aveva
espressamente chiesto di non
dirtelo.”
In
quell’istante, Bright fremette, sollevando la testa
per guardarla negli occhi, ferito, e furioso.
No,
non era decisamente il caso.
‘Lei…
non ha voluto dirmelo.’
Ancora
una volta Fine anticipò i pensieri del ragazzo,
“Non voleva ferirti, Bright.”
“E
andarsene senza dirmi niente, questo non mi ha ferito
forse?!” scattò in piedi, incontrollabile.
Fine
abbassò gli occhi, ma non per paura: per pena.
Capiva cosa doveva provare Bright, impotente, all’oscuro di
tutto.
“Non
avrebbe avuto senso farti preoccupare ulteriormente…
Ad ogni modo, neanche a New York poterono fare qualcosa per asportare
il
tumore, troppo esteso e troppo avanzato. Le proposero una cura di
rallentamento, e accettò. Non voleva morire.
Forse… ripensandoci adesso, non so
se l’avrebbe fatto.” Fine si voltò verso
la sorella, e appoggiò una mano sulla
sua, che sporgeva dal lenzuolo. “Ha sofferto così
tanto, Bright…”
Non
voleva farlo affliggere di più, ma doveva riuscire a
fargli capire che per quanto lui, e anche la sua famiglia, stesse male
per
Rein, non era nulla in confronto a quello che lei doveva aver provato.
“Dissero
che avrebbe avuto all’incirca quattro anni, non
di più. Che la malattia sarebbe progredita lentamente,
aggravando la tosse,
rendendola più frequente e più violenta, fino a
danneggiare completamente il
sistema respiratorio.” Spiegò la rossa, colta da
un’improvvisa ed estremamente
familiare sensazione di disperazione. “Un giorno,
semplicemente… non respirerà
più.” Crollò sulle ginocchia, debole,
stanca, in lacrime.
Bright
non riuscì a fare altro che guardarla. Vuoto. Si
sentiva vuoto. E forse era un bene, non voleva il dolore, il pensiero
della
perdita. C’era ancora tempo per qualcosa, per abbastanza.
Solo
in quel momento, gli venne in mente di domandarsi,
‘abbastanza per chi?’
Non
per Rein, di certo. L’aveva vista quella mattina,
aveva visto come desiderava che la vita di quell’autunno
entrasse in lei, la
trasportasse in un mondo colorato dalle emozioni.
Eppure…
aveva respinto il suo amore.
Ritornò
al presente, destato da un
movimento di Rein al suo fianco. La osservò, e le
sembrò di vederla altrove:
guardava rapita il riflesso della luna sull’acqua. Magari era
là, sulla luna,
oppure nel profondo del lago, dove non c’è nulla,
non c’è luce, non c’è vita,
ma solo tempo, per riflettere, tempo per restare, quel tempo che,
purtroppo,
non aveva lì, sulla riva.
Ripensò
all’autunno, che aveva detto
di amare; alla vita, che aveva detto di volere. Ora forse capiva
perché aveva
respinto i suoi sentimenti.
L’autunno
del Vermont, della loro
terra, era si un tripudio di grande vitalità, ed energia, ma
in quanto autunno…
restava pur sempre l’inizio della fine. Dopo
l’autunno c’è morte, così
come
dopo l’Estate Indiana, arriva la neve, che ricopre col suo
manto soffice le
colline circostanti Burlington, soffice ma gelato, distruttore.
“Per
questo sei tornata, Rein? Per un
ultimo autunno?” si rese conto troppo tardi di aver espresso
quel pensiero ad
alta voce. Non voleva scatenare in lei reazioni pericolose, pensieri
cupi.
Tuttavia era incuriosito dalla risposta. Lui aveva bisogno di quella
risposta.
Lei
non si voltò, non si mosse,
neanche di un lieve sussulto.
“No
Bright…” rispose con espressione
vacua, ma la voce spezzata tradiva le lacrime in procinto di scendere.
“Sono
tornata… per un ultimo autunno insieme a te.”
Completò la frase, tutta d’un
fiato, con gli occhi che le bruciavano, e che finalmente
posò su di lui, sul
suo viso che sorprendentemente… sorrideva.
Rein
si gettò su di lui, e lui la
strinse fra le braccia, riscaldandola e consolandola, accarezzandole i
lunghi
capelli sciolti, mentre i singulti del pianto prendevano il sopravvento
su di
lei.
Chissà
da quanto non si sfoga,
pensò, notando l’assurda irruenza di quelle
lacrime.
“Shh…
ci sono io, qui. Ci sarò sempre,
per te.” Si ritrovò a sussurrarle pensieri di
conforto, forse anche a se
stesso, oltre che a lei. Lui doveva essere forte.
“Bright…”
singhiozzò lei,
artigliandogli la maglia, non osando guardarlo negli occhi,
“s-sono io c-che non ci
s-sarò…” balbettò, senza
ormai più speranze.
Ma
lui non demorse, “Rein, sarò con te
fino alla fine, e oltre se vorrai. Non ti lascerò mai, e tu
starai sempre con
me, devi promettermelo. E io non mi stancherò mai di
ripeterti quanto ti amo,
quanto sei il mio cuore, che custodirai per sempre.” Ed era
vero: una parte del
suo cuore, giaceva in Rein, e non sarebbe tornata mai più.
“Tu mi ami?”
domandò, disperato di certezze in quella situazione
instabile. “Se mi ami,
promettilo, e io sussurrerò al vento del Canada quanto ti
amo perché ti
raggiunga, sempre e ovunque.”
La
ragazza si accorse in quell’istante
di stare trattenendo il fiato. Aveva smesso di piangere, presa dalle
sue parole
rassicuranti, dolci, e belle… oh, quant’erano
belle. Ed erano valide, lo sapeva
che lui non stava mentendo, lo sapeva che poteva fidarsi del suo amore.
Ma non
sapeva se ne sarebbe stata all’altezza, anche se
c’avrebbe provato. Per questo
non disse di amarlo, ma promise.
“Starò
sempre con te… sempre, sempre…
lo giuro.” Si strinse di più a lui, coccolata
dalle sue braccia forti,
inebriata dal suo profumo rasserenante. Chiuse gli occhi, in pace con
se stessa
e col mondo.
L’attendeva
un ultima, giornata
importante.
“D’ora
in poi, sentiremo le stesse
emozioni, la stessa vita, insieme Rein, insieme…”
Già
Bright, quell’ultimo soffio
d’ebbrezza…anche se non
vorrai mai condividerlo con me, sarà come tuo.
---
Quella
mattina il cielo era ricoperto
di spessi nuvoloni grigi, che promettevano di portare in giornata le
prime
piogge autunnali.
Bright
si rabbuiò un po’: aveva
progettato di fare qualcosa di speciale con Rein, ma a quanto pareva il
tempo
aveva deciso di confinarli in casa. Forse era meglio così.
il caldo d’un
fuocherello, e un po’ di tranquillità avrebbero
fatto bene alla ragazza.
Uscì
sereno dalla Vecchia Magione,
stringendosi nel cappotto, in cerca di riparo dal freddo pungente della
stagione. Percorse con calma il sentiero nel bosco, che portava diretto
alla
casa delle gemelle, e si guardava attorno, per godersi ancora lo
spettacolo di
colori solito del luogo. Gli parve di sentire il rumore di qualche
animale, ad
un certo punto, dietro agli alberi. Probabilmente andavano a cercare un
rifugio
dal brutto tempo..
Arrivato
a destinazione bussò alla
porta, e sentendosi invitare da una voce femminile entrò,
proprio mentre le
prime gocce leggere di pioggia cominciavano a cadere dal cielo.
“Buon
giorno Bright caro!” la vecchia
signora accolse con un dolce sorriso il ragazzo, intenta a lavorare la
ceramica, tanto per cambiare,
mentre
Fine lo salutò allegramente con la mano dalla cucina, fetta
biscottata
ricoperta di marmellata in bocca, tanto
per cambiare.
“Sei
venuto per il cellulare?” gli domandò
la ragazza, ancora con la bocca piena, “Rein l’ha
lasciato sul tavolo, mi
sembrava strano che non sarebbe tornata a prenderlo. Mandare te
però… che
sfruttatrice!” rise.
Bright,
invece, non rideva affatto;
non era difficile capire cosa stesse succedendo.
“È
già uscita, vero?” domandò,
sospirando rassegnato.
“Certo,
veniva da te!” rispose Fine
con ovvietà nella voce, “Non
l’hai… vista?” continuò
incerta, temendo una
risposta, ormai palese, tanto che lui non replcò,
limitandosi ad abbassare lo
sguardo, pensieroso e preoccupato.
Fine
spalancò gli occhi. Cominciò a
scuotere la testa ripetutamente, quasi in modo infantile, senza dubbio
inutile,
prima di alzarsi di scatto, e parlare “D-Dobbiamo
assolutamente cercarla!”
“No,”
intervenne il ragazzo, “Vado io,
voi restate qui, in caso dovesse tornare. Ma credo di sapere dove sia
andata…”
concluse, lanciando un’occhiata nervosa al cielo nero.
---
Tre
minuti dopo, il biondino era già
alla Vecchia Magione, bagnato fradicio, e diretto verso quella
collina.
Non
era riuscito a pensare che a una
cosa, per tutto il tragitto: perché?
Perché
dopo che le aveva donato il suo
cuore? Perché dopo promesse d’eternità?
Perché dopo pensieri di gioia da
passare assieme? Perché se n’era andata di nuovo,
perché… perché…
E
intanto correva.
Arrivò
in cima, non senza il fiato
corto, non senza essere caduto più volte, nel fango, bagnato
e senza forze. Ora
solo il grande albero solitario gli impediva la vista della parte
più esposta.
Sapeva
che lei era lì. Doveva essere
lì, anche se in cuor suo sperava che non vi fosse, che si
trovasse al riparo da
quella tempesta terribile.
Superò
il tronco imponente e la vide.
Seduta sull’erba fradicia, con i capelli lunghi dietro le
spalle che toccavano
terra. E aveva gli occhi rivolti al cielo, alle gocce che le cadevano
prepotenti sul viso.
Bright
si sentì cogliere dalla
disperazione, tanto che pensò ardentemente di piangere, di
urlare, di buttarsi
a terra. Perché non l’aveva cercato? Aspettato?
Amato?
“perché…”
sospirò mentre si avvicinava
a lei, sfilandosi lentamente la giacca, primo di energia.
Gliela
appoggiò sulle spalle, e lei
gli rivolse uno sguardo strano… Bright vide solo stanchezza,
inizialmente. Ma
osservando meglio, più nel profondo, trovò anche
felicità. E si chiese, per
cosa.
Per
la fine, probabilmente vicina?
Fu la sua prima ipotesi.
Ma
non riuscì a formularne altre,
perché Rein, dopo avergli rivolto un tenero sorriso,
cominciò a tossire, forte.
Lui
fece ciondolare la testa,
lasciandosi andare per un momento, disperato, distrutto, mormorando
placidamente
il nome di lei.
Poi
si riscosse, dandosi dell’idiota,
e prendendola in braccio senza indugiare oltre, urlando il suo nome,
instancabilmente.
E
corse, ancora, verso casa.
Patetico
cliché di brutti ricordi.
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Solita
stanza degli ospiti. Solito
letto. Solite coperte. Solita sedia. Diverse persone.
Perché
Bright e Rein non erano gli
stessi di quella sgradita e quasi usuale pantomima.
Il
ragazzo sfiorò la fronte della
compagna, sempre più pallida, debole, e calda.
Meglio
calda che fredda.
Si trovò a ironizzare, crudelmente.
Lei
aprì piano gli occhi, a quel
contatto, ansimando forte ma lentamente, con preoccupante
regolarità,
boccheggiando per un soffio d’aria.
“Bright…”
sospirò, con fatica.
Lui
la zittì, intimandole di non
parlare, non sprecare fiato prezioso.
“Se
non parlo ora…” riprese,
continuando ad ansimare, “non lo farò mai
più.” Lo guardò, senza riuscire a
sorridere. Lo voleva, ma la fatica era intollerabile. Spostò
una mano vicino a
lui, spingendolo ad afferrarla, e lui così fece.
“Mi
dispiace.” Esordì lei,
sorprendendolo. Si aspettava tutto, meno che delle scuse, anche se
conoscendola, avrebbe dovuto immaginarlo. “Mi dispiace, di
non poterti dare
quello che vuoi… una vita felice assieme, magari…
te lo meriti… io…”
s’interruppe, per un breve accesso di tosse, “non
devi restare legato a me…
devi andare avanti, ok?”
“Che
dici Rein…” s’intromise lui,
baciandole la mano. “Ti ho portato una rosa, delle
nostre.” Le disse indicando
il comodino, dove una rosa di un rosso intenso era stata infilata in un
vasetto
lungo.
Lei
la guardò per un istante, per poi
riconcentrarsi su di lui.
“A
me piacciono i gigli…” confessò,
sorprendendolo, “mi rendono… serena.”
“Ti
porterò dei gigli, la prossima
volta.” Le promise lui, sorridendole dolcemente, mentre gli occhi cominciavano a
farsi
fastidiosamente lucidi.
“Già…
la prossima volta, ti guarderò
dall’alto della foresta….” Riprese lei,
fissandolo intensamente, quasi come
fosse stato un’ancora che la legava a quel mondo, come se
avesse paura di
sparire, nel momento in cui non l’avesse guardato
più. “almeno questa promessa…
la manterrò… ci sarò sempre Bright,
qui, e nel tuo cuore, se mi vorrai…”
Lui
sentiva gli occhi pizzicare, in
cerca di riposo, ma non osò chiuderli, non voleva rischiare
di perdere il suo
sguardo.
“Ti
parlerò… attraverso il vento
freddo del nord… e sarà come se fossi qui, con
te…” la voce si spense piano
piano, come se Rein stesse cadendo in un sonno leggero, graduale, un
sonno
dagli occhi aperti.
Regnò
il silenzio per un lunghissimo,
incalcolabile istante.
“Ti
amo.” Sussurrò alla fine lei,
abbassando lentamente le palpebre pesanti, “… e
sarà per sempre.”
Avrebbe
voluto tanto finirla lì,
lasciargli quell’ultima, dolce frase come ricordo, e invece
si ritrovò ad
annaspare per un respiro. Il petto si alzava e abbassava convulsamente,
senza
risultato, senza riempirsi, ma lei si ostinò a stringere gli
occhi con tutte le
sue forze.
Forse
per egoismo, non voleva vederlo
soffrire per lei in quegli ultimi istanti.
Sentì
le ultime energie che
l’abbandonavano, terminando con uno spasmo del corpo, un
disperato tentativo
del cervello di svegliarla.
Quando
si fermò definitivamente, un
tenero sorriso increspava le sue labbra violacee, che per chiunque
sarebbero
state una visione inquietante, assieme al pallore intenso di lei. Non
per
Bright però: lui vedeva solo Rein, semplicemente Rein, che
riposava serena.
Si
limitò a lasciarle andare la mano,
e a posarle un bacio leggero su una guancia, indugiando qualche secondo
per
assaporare il contatto con la sua pelle morbida e profumata.
Quando
finalmente chiuse gli occhi,
una sola, semplice lacrima, descrisse tutto quello che gli restava da
dire.
Epilogo
Era
ormai sopraggiunto il tramonto
quando Bright, stretto nel suo cappotto scuro, arrivò in
cima alla collina.
Lasciò
vagare lo sguardo sulla
foresta, accesa di rosso e arancione, e inconsciamente tirò
un sospiro di
sollievo, rilassato. Amava il paesaggio dell’Estate Indiana.
Un
soffiò di vento gli scompigliò i
capelli, e il bel mazzo di gigli che aveva in mano. Li ricompose con
cura,
attento a non sciuparli; erano perfetti, profumati e bianchissimi, come
solo la
signora Rosy aveva. A Rein, sarebbero piaciuti tantissimo.
Si
accostò al grande albero solitario:
lì, dove il vento spirava meno intensamente, c’era
una lapide bianca.
Bright
vi appoggiò i gigli, recitando
una semplice preghiera, e un desiderio.
Gli
sembrò quasi che un soffio d’aria
gli stesse sussurrando parole dolci, di ringraziamento, parole
d’amore, per poi
correre lontano, in mezzo al bosco fiammeggiante, vivo.
Sorrise,
ripensando alle ultime parole
di Rein. Ultime per quella vita, per lo meno. Ma sapeva che in
un’altra
esistenza, lei continuava a parlargli, perché aveva
mantenuto la promessa: ci
sarebbe stata sempre.
Pensò
a tutti i rimpianti che doveva
aver avuto, prima di andarsene.
Per
esempio, voleva imparare a
lavorare la ceramica. Chissà se la nonna le aveva insegnato
qualcosa…
Sarebbe
stata bravissima.
Si
chiese se il suo amore fosse
bastato a ricompensarla anche un minimo di ciò che aveva
perso.
Pensò
che comunque, adesso, poteva
avere di meglio, e realizzare il suo sogno di pulsare con il cuore
della
natura, perché lui credeva che fosse ancora lì, a
vagare per quelle terre.
Perché
là, tra le mille colline dipinte
di smaglianti colori, c’era davvero ancora spazio per la
fantasia e per gli
ideali.
E
durante quell’autunno, esattamente
un anno dopo l’ultimo respiro della sua Rein,
pregò perché potesse davvero
restarle accanto per sempre, in quella terra di fiabe che amava tanto.