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Autore: Angemon_SS    07/12/2011    3 recensioni
Il mio primo giorno di scuola superiore fu alquanto movimentato. Mi accusarono di omicidio, mi ruppero il naso e feci una visitina al pronto soccorso. Ci furono anche rimpatriate con vecchie facce come quella di merda di Shaorang e la mia vecchia amica Tomoyo. Potevo lasciar perdere le accuse di omicidio ma quando la polizia cercò di arrestarmi dovetti correre verso il luogo dove accadde tutto. Se non sbaglio il colpevole torna sempre sul luogo del delitto, ed oltre l'avventura da Road Movie non dimenticherò mai che ho rischiato di morire e di cancellare un'intera città dalle cartine mondiali. La storia spero vi piaccia però va letta solo da chi è in grado di credere davvero alle carte di Clow Reed e all'esistenza dell'esoterismo del sud Europa. Vostra Sakura
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quarto

 

            “Mi dispiace.” Ricordo che Tomoyo aveva gli occhi gonfi, così rossi da sembrare in sangue, le lacrime rigavano le guance e il labbro superiore tremava per il nervosismo. “Sakura, non so cosa mi è preso, io…” Non sapeva cosa dire. La guardavo dall’alto al basso mentre, in ginocchio, riponeva la propria telecamera nella borsa. Era il giorno in cui avremo lasciato l’albergo del Tokyo Disneyland ed avevamo passato tutta la mattina seguente al bacio senza rivolgerci la parola, dopo pranzo, con un gesto leggero, come eravamo solite fare alle elementare, mi prese la mano rifiutai con un gesto di stizza talmente maleducato da farle mancare il fiato.

            “Non c’è niente da spiegare, sono io a non aver mai capito che tu…” Non sapevo con che parole continuare quella frase, non volevo colpirla ancora, sembrava che potesse morire da un momento all’altro.

            “No, no, no, io sono…mi…Sakura, ti voglio un mondo di bene. Non posso farci nulla.”

            “Io…non credo di volertene così tanto, è una cosa diversa per me.”

            “Posso continuare ad essere…tua amica?”

            “Non credo.”

 

            “Che stronza!” Ripensando a ciò che era successo nell’albergo del Disneyland mi sentii di nuovo un verme e colpii il muro della doccia con tutta la forza che avevo, più e più volte. L’acqua calda mi aveva fatto capire che persona mi stavo trasformando. Ero passata da solare e gentile ad una bastarda. Si, una bastarda! Può sembrare impossibile ma è proprio ciò che dimostravo di essere. Sembravo una di quelle persone che odiavo profondamente, avevo il carattere delle antipatiche figlie di papà che popolano telefilm e cartoni animati.

La prova di tutto era Tomoyo, la vecchia Sakura l’avrebbe abbracciata e consolata, ne avrebbe parlato con lei e sarebbero andate a bere un frappe insieme mano per la mano, le avrebbe asciugato le lacrime e stretta forte; ovviamente non avrebbero più fatto la doccia insieme, non si sarebbe più fatta immortalare con a telecamera ma avrebbe continuato a volerla vicino nonostante quel bacio. Essere turbata per ciò che era successo con Li non era un buon motivo per liquidarla e non frequentarla per quasi tutti i tre anni delle scuole medie. Mi avrebbe sicuramente aiutato a superare il dolore per la mia prima vera delusione d’amore.

Ripensandoci su, nemmeno con Li ero stata tanto gentile, non che lui si meritasse tanta gentilezza. Eppure mi voleva bene e lo aveva dimostrato venendomi incontro non appena ebbi bisogno di aiuto, di vero aiuto; non aveva fiatato quando gli avevo detto come prima frase che l’odiavo, non fiatò nemmeno quando decisi di trascinarlo in Italia facendogli pagare praticamente tutte le spese, abbassò la testa quando lo costrinsi a scusarsi, senza nemmeno dargli la possibilità di spiegare il motivo per il quale mi aveva lasciato, non dimostrò nemmeno contrarietà nel visitare Roma, nonostante la priorità fosse quella di nascondersi, e per ultimo, gli avevo urlato contro di lasciare in pace quell’amica alla quale io stessa avevo fatto del male.

Uscii dal box doccia ed indossai l’accappatoio fornito dall’albergo. Lui mi stava aspettando seduto sul mio letto, segno che avevo passato sotto la doccia troppo tempo.

“Sei la solita ritardataria.”

“Dov’è Kerochan?” Mi guardai intorno, non volevo stare sola con lui.

“E’ uscito per controllare la situazione attorno all’albergo, dice che sentiva vibrazioni nuove. Sarà andato ad assicurarsi che qui intorno ci siano negozi di dolci.”

“Li...” E’ vero che non volevo stare sola con lui ma avevo bisogno di scusarmi.

“Và meglio? Dopo la doccia intendo.” Bloccò la mia frase con un sorriso e quella domanda dal tono molto preoccupato, ammetto che mi lasciò spiazzata.

Le mie gambe si mossero da sole e mi avvicinai al letto. Vedendomi prossima a lui si alzò per uscire dalla stanza e lasciarmi cambiare. Fui più rapida e gli afferrai il braccio nonostante cercasse di liberarsi della presa. Era la seconda volta che lo toccavo, avevo sempre cercato di evitare il contatto con la sua pelle e ripiombare in quello che mi capitò poco dopo. Sentii il bisogno infrenabile di stringerlo forte ed è proprio quello che feci.

Lui divenne rosso come al solito, sapeva bene che sotto l’accappatoio ero nuda, e cercò di non fare caso al mio abbraccio con tutte le sue forze; sembra improbabile ma alla fine ricambiò e mi diede anche un bacio sulla fronte. Fu un momento molto bello, lo ammetto, da telefilm, ne avevo bisogno.

Lo lasciai libero di andare nella sua camera, ammetto che se fosse rimasto mentre mi cambiavo non mi avrebbe dato fastidio, forse questo era meglio non dirlo, ero una quindicenne in piena rivoluzione ormonale e non ne sarebbe scaturito niente di buono.

            Quell’abbraccio funse da scuse reciproche, diciamo più miei che sue. Quando uscimmo sorridenti dall’albergo ci trovammo immersi un una chiassosa via piena di gente. Kerochan, che era tornato puntuale per andare a pranzo, mise la testa fuori dalla tasca estasiato dalla visione di tutta quella gente nuova: “Uao! Mi sembra incredibile di essere di nuovo in Europa? E’ da molto che non venivo a Roma, sembra tutto cambiato, come per Hong Kong.”

            “Kerochan, puoi restare affacciato ma almeno stai zitto, non farti notare.”

            “Va bene, ma perché vanno tutti nella stessa direzione?”

            Effettivamente la maggior parte delle persone camminavano nello stesso senso. Li non ci fece caso e si diresse verso un piccolo locale self service dove servivano dei tranci di pizza. Ne ordinò due, con bibite annesse e acconsentì a lasciarmi pagare. Finalmente utilizzai la mia carta di credito, ce l’avevo da quando avevo compiuto dodici anni, mio padre aveva aperto un conto e ci versava tutte le mie paghette, all’inizio non ero molto contenta perché non vedevo fisicamente i soldi, poi capii che si stava formando un bel gruzzoletto, mi sentivo ricca e finalmente potevo usarlo.

            “Mi pentirò di averti lasciato pagare con la carta di credito.” Li tirò un morso alla sua pizza.

            “Perché?”

“Non appena controlleranno i movimenti della tua carta, sapranno che siamo a Roma, in questo punto esatto.”

“Allora non stiamo fermi, muoviamoci.”

Dopo aver finito la pizza ci alzammo dai tavolini della veranda e ci incolonnammo ad un gruppo di turisti asiatici. Era un’assolata giornata e decidemmo di muoverci nella stessa direzione di tutta quella folla. La via non era molto lunga e costeggiava un alto muro arancione sulla desta e palazzi in stile europeo sulla sinistra. Finita la via si passava sotto due alti archi in muratura, senza nemmeno accorgermene mi ritrovai sotto un enorme colonnato e infine in una piazza gigantesca dove a prima vista troneggiavano un obelisco e due fontane.

“Non dirmi che…”

“Sembra proprio di si!”

Tutto attorno era un enorme abbraccio di colonne e statue che ci osservavano dall’alto insieme alla stupenda facciata di San Pietro.

“Il Vaticano!” Ero emozionatissima, mi trovavo a passeggiare su qualcosa di cui avevo sempre e solo letto sui libri, una piazza che avevo visto solo in televisione. Era tutto molto più grande e bello di come avevo immaginato, ancora adesso non so come descrivere quello spettacolo che di colpo mi si era parato davanti. Poco prima camminavo in una normale via e subito dopo mi ritrovai in uno spiazzo immenso sotto l’occhio vigile di quella costruzione, il colonnato poi, proprio come diceva la professoressa di storia dell’arte, pareva volerti abbracciare. Li sorrise nel vedere la mia felicità, peccato che non ci fossimo portati una macchina fotografica, me ne sono sempre pentita ma nella fretta della fuga non pensi di poter fare turismo. Passeggiamo a lungo nella piazza ma non ricordo il perché non entrammo dentro la chiesa, ipotizzo per i controlli di sicurezza ma non mi viene in mente niente.

In preda alla felicità gli sfiorai la mano. L’intenzione era di stringergliela e di correre insieme a lui nella piazza, proprio come avevo fatto con Tomoyo al Disneyland, ma non appena sentii la sua pelle rimasi come fulminata. Fu molto gentile a fingere di non averci fatto caso. Seguimmo la strada larga che si apriva di fronte alla chiesa, che se non ricordo male si chiama via della Conciliazione, eravamo costretti a camminare nel verso opposto a quello delle altre persone e i marciapiedi erano molto affollati, una cosa molto fastidiosa. Passeggiare ci fece molto bene, dopo aver passato quasi un giorno interno seduti, arrivammo fino ai piedi di un castello, accanto al quale passava il fiume Tevere.

“Chi sei?!” Kerochan volò fuori dalla mia tasca e si mise ad urlare attirando l’attenzione. “Che cosa vuoi?”

“Kerochan, che ti prende” Sottovoce cercai di afferrarlo ma sgusciò via. Notai che Li si era messo in posa, la solita posa di quando c’era un pericolo imminente. Mi guardai intorno, molte persone che avevano notato Kerochan, dopo alcuni istanti fui come attraversata da un brivido di freddo e sentii del forte calore provenire dalla sommità del castello, come se ci fosse un grosso incendio.

“C’e qualcuno sul tetto.” Effettivamente c’era un uomo in piedi sulla banderuola. Altri passanti lo notarono e cominciarono ad indicare quella persona in attesa di ciò che sarebbe potuto succedere. Qualcuno si spaventò mentre altri erano incuriositi, nel frattempo si formava una piccola folla ed un crescente brusio.

“Ben arrivata, cominciamo!” Quella voce mi gelò il sangue e nello stesso momento udimmo un rumore assordante alle nostre spalle: non potevamo credere ai nostri occhi, un muro d’acqua e fango ci investì facendoci rotolare e sbattere contro alcune cose che non ho ben capito che fossero, credo bancarelle. La folla di curiosi fu sparsa ovunque ed io riuscii ad afferrare un palo della luce, a Li non era andata così bene e finì incastrato sotto una macchina. Urla e pianti arrivavano da tutte le parti in ogni lingua.

Presi in mano lo scettro e  mi voltai di nuovo verso il castello, l’uomo era già sparito. Tutt’attorno acqua e gente sparsa ovunque che cercava di rialzarsi per scappare, le bancarelle ambulanti che erano solite sostare sul lungotevere e sotto il castello erano state scaraventate chissà dove, alcune donne gridarono, i bambini piansero e se non ricordo male si udirono anche alcune sirene ed allarmi di automobili.

Impugnai la carta dell’acqua per evitare che una seconda onda ripetesse lo scherzetto; ricordo anche che sorrisi, finalmente avevo avuto la conferma, ciò di cui mi accusavano era di natura magica.

Rimasi in attesa per alcuni secondi e mi accorsi troppo tardi che l’acqua che era stata spinta sulla strada aveva formato una seconda onda, cercò di buttarmi nel fiume ed ebbi di nuovo ebbi di nuovo la prontezza di riflessi di afferrare lo stesso palo della luce di prima. La potenza dell’acqua era molto più forte della prima onda e mi dovetti aiutare con lo scettro per non essere trascinata vi; la forza era tale che mi strappò via i pantaloni, una scarpa e il bracciale di caucciù che avevo al polso, fortunatamente quando quell’onda passo avevo ancora indosso le mutande, sarebbe stato molto imbarazzante. Ad altri non era andata meglio, dal fiume sentivo arrivare urla di aiuto ma tra il panico generale non potei far nulla. Corsi alla ricerca di Li e lo trovai sotto la macchina con la gamba destra incastrata, aveva anche un braccio sanguinante vicino al gomito.

“Metti Kerochan nello zaino, dovrei riuscire a disincastrarmi da solo.” Mi porse il guardiano peluche privo di sensi. Mi venne quasi da piangere, era immobile e con una zampa visibilmente rotta, stava a bocca aperta e sembrava che il pancino non si muovesse. Lo presi delicatamente e lo infilai nello zaino che avevo appresso, fortunatamente l’acqua non me lo aveva strappato via.

“E così, saresti tu l’erede di Clow Reed?” Mi voltai e mi ritrovai davanti  un uomo altissimo e dai tratti iberici. Mi osservò attentamente e poi: “Patetica.” Mi lanciò addosso un altro muro d’acqua, fortunatamente quella volta riuscii ad usare la carta dell’acqua e bloccai il muro prima che travolgesse sia me che Li.

“Anche Clow Reed utilizzava questa carta, ma si accorgeva subito che era praticamente inutile.” Il mio assalitore mosse la mano ed una colonna d’acqua nera uscì da un tombino spingendomi lontano per alcuni metri.

“Che vuoi da me?” Mi ero fatta male al gomito e puzzavo di fogna.

Che voglio da te? Suvvia, non scherziamo e gioca le tue carte.”

Non me lo feci ripetere due volte e sfoderai la carta del fuoco nel tentativo di tenerlo lontano l’ennesimo muro d’acqua proveniente dal fiume mi fece rotolare via. Ricordo che quella volta quasi affogai perché non riuscii a trovare appigli.

“Arrenditi ed avrai salva la vita!”

Non lo stetti a sentire e con la carta del volo mi alzai sopra di lui più che potevo. Solo da quell’altezza mi resi conto della distruzione che aveva causato. C’erano molti corpi immobili, fango ovunque, automobili rovesciate e cassonetti e spazzatura rovesciati ovunque.

“Pensi di potermi scappare?”

Due colonne d’acqua mi raggiunsero e dovetti fare molte manovre per evitare quegli attacchi ed alla fine mi colpirono così forte da farmi perdere il controllo, precipitai verso il Tevere che, ad osservarlo bene, era agitato come un mare in tempesta, fu una visione che mi colpì moltissimo. Mentre cadevo cercai di risalire sullo scettro ma sapevo di non averne il tempo. Dovetti prendere una carta a caso sperando che mi potesse essere utile. Ebbi fortuna ed utilizzai la carta del galleggiamento e riuscii a frenare la caduta con lo scettro, atterrai quasi dolcemente sulla superficie dell’acqua. Che male alle gambe.

“Oh, una mossa davvero spiazzante.” Il  mio assalitore rideva; io, invece, ero percorsa da fremiti dovuti a tutta l’adrenalina che avevo in circolo, ansimai nel tentativo di rallentare i battiti del cuore, così da poter ragionare in modo lucido. Il fiume si agitò ancora di più ma non persi l’equilibrio e nel frattempo guardavo con occhi di sfida il mio nemico. Non so che mi prese, ma volevo dargli una bella lezione, ero senza pantaloni, puzzolente, sporca ed aveva fatto del male ai miei amici, meritava una punizione.

“Questo sgorbio è con te?” Il nemico sollevò Li per una gamba e lo porse e come un sacco della spazzatura. Sembrava svenuto.

“Lascialo stare! Hai nominato Clow Reed, è me che vuoi, sono io l’erede!”

“Si può dire che tu abbia ragione.” L’uomo fece spallucce e lo gettò via come se fosse niente.

“Ripeto: che cosa vuoi da me?” Sapevo che lui fosse al corrente di ciò che era successo l’estate prima. “Perché hai ucciso il signor Suzuki?”

“Piccola, se dovessi elencare tutte le persone che ho ucciso, tanto vale prendersela comoda.” La cosa strana è che lui parlava in una lingua a me sconosciuta ma il significato delle sue affermazione comparivano immediatamente nella mia testa.

Mi attaccò per l’ennesima volta ma per sua sfortuna avevo avuto occasione di fare due più due e, grazie alle reminiscenze scolastiche, arrivai alla conclusione che elettricità e acqua non vanno molto d’accordo e lui mi sembrava uno che avesse molto a che fare con l’acca-due-o. Presi la carta del fulmine e gli scagliai contro quanti più fulmini potevo. Intravidi la carta che si lanciava a gran velocità contro il nemico e lo colpì in pieno, purtroppo in mezzo alla confusione lo persi di vista e sparì.

Corsi su per le scale che dal fiume riportavano alla strada e lo cercai senza successo.

“Sakura” Li mi chiamò e mi avvicinai per accertarmi delle sue condizioni, fortunatamente era solo acciaccato e bagnato.

“E’ andato via, credo di averlo colpito con la carta del fulmine.”

“Sei stata grande…dov’è Kerochan?”

“E’ nello zaino” lo tirai fuori e ci rallegrammo nel vederlo di nuovo cosciente, era bello vedere i suoi occhietti muoversi pieni di vita nonostante la zampa rotta, era pensieroso e stava rimuginando e balbettando qualcosa.

“Che hai, palla di pelo?”

“Stai zitto mangia-soia: sto pensando!” Kerochan rispose per le rime a Li e rimase pensare finché non dovetti riporre nello zaino, si stavano avvicinando delle persone con le tute arancioni, li identificammo come paramedici.

“Prendi.” Mentre venivamo scortati fino ad un’ambulanza, Li mi porse la felpa che aveva ancora con se. “Usala come se fosse una gonna, non mi sembra il caso di andare in giro in mutande rosa.” Il mio viso divenne dello stesso colore della tuta dei paramedici, per lo scontro mi ero dimenticata che l’acqua mi aveva strappato via i pantaloni e, come se non bastasse, a causa dell’acqua, le mutande erano diventate praticamente trasparenti.

Dopo che i medici disinfettarono le escoriazioni e i tagli siamo dovuti scappare via nascosti dalla carta della sparizione. Insieme alle ambulanze si sarebbero fatti vivi anche i poliziotti e noi non potevamo rischiare di essere identificati. Tornammo all’albergo e fortunatamente Li aveva ancora nei pantaloni la tessera per ottenere le chiavi delle stanze dalla reception, la mia era rimasta nei pantaloni finiti chissà dove, insieme alla scarpa destra. Ovviamente i receptionist ci chiesero che cosa fosse successo, e perché io puzzassi di fogna, ma riuscimmo a farci capire consigliando loro di guardare su internet.

“Ok, ci facciamo la seconda doccia della giornata e ci vediamo nella mia camera per fare il punto della situazione.” Li si riprese la felpa, l’avrebbe sciacquata dal fango sotto la doccia. Dovetti nascondere le mie mutande trasparenti con le mani.

“Kerochan, se vieni con me ti sistemo la zampa.” Titubante entrò in stanza con lui, mi lasciarono sola e ammetto che fu una liberazione togliermi di dosso quell’odore di fogna. L’acqua che mi era stata lanciata addosso era freddissima ed un po’ di calduccio fece rallentare l’adrenalina che avevo ancora in circolo. Ovviamente ricominciai anche a chiedermi chi diavolo fosse quel tipo e che cosa volesse da me; ci aveva rovinato la visita alla città, fatto del male a Kerochan e a tante altre persone. E il motivo? Quello ci sfuggiva, quando entrai nella camera di Li fu la prima domanda che ci siamo posti.

“Penso di aver già visto quel tizio, anzi, conosco le sue tecniche.” Kerochan si appollaiò sul letto e cercò di scartare una caramella con una sola zampa, quella sinistra gli era stata raddrizzata da Li e fasciata insieme ad una penna per tenerla dritta. Faceva davvero pena e dovetti aiutarlo perché la scenetta stava diventato grottesca. “Clow Reed aveva molti nemici, non è la prima volta che affrontiamo questo argomento io e Sakura, uno di questi aveva sviluppato poteri straordinari nella manipolazione dell’acqua: riusciva a fare tutto ciò che voleva e Clow si era ispirato a lui nella creazione e nel perfezionamento di questa carta. Non ricordo il nome ed a distanza di tutti questi secoli non credo possibile che sia la stessa persona, potremo essere di fronte a qualcosa di simile per quanto riguarda la nostra Sakura, un individuo che ha acquisito i poteri.”

“Si, ma per quale motivo ci ha attaccato?” Li fece una domanda alla quale nessuno rispose. Fummo salvati dai pensieri più assurdi da Roberto che bussò alla nostra porta. Aveva la stanza accanto alle nostre e, durante il viaggio in auto, ci aveva spiegato che si trovava a Roma per controllare alcune irregolarità di un punto vendita affiliato all’azienda.

“Scusate il disturbo.” Dopo un altro perfetto inchino Li lo fece entrare. “Alla reception mi hanno detto chi siete rientrati senza pantaloni e puzzolenti. Presumo che siate rimasti coinvolta nella piena del Tevere. State bene?”

“Quella senza pantaloni ero io, ho perso anche una scarpa.”

“Stiamo bene, grazie per l’interessamento.” Sembrava che Li volesse liquidarlo.

“Alla radio ho sentito dire che c’è stata una frana poco lontano da Roma, la grande massa d’acqua violentemente spostata è arrivata fino in città facendo danni. Dicevano anche che sono morte due persone e non riescono a trovare una bambina, pensano che sia caduta nel fiume.”

Sentii lo stomaco atrofizzarsi all’istante, mi sentivo in parte responsabile.

“Sembra però che l’emergenza sia passata e il fiume è tornato normale, chiuderanno i ponti più bassi e alcune zone a rischio attorno al Tevere per non correre rischi, non avete scelto un buon momento per fare una visita alla città”

“Roberto, hai modo di metterti in contatto con Tomoyo, la figlia della presidentessa? Vorrei sentire mia cugina.”

Sorridente e senza fare domande mi porse il cellulare. Mi rifugiai nella mia stanza e rimasi immobile. Era da un po’ che non la sentivo e a dir la verità non sapevo che dire.

“Pronto?” La sua voce fece capolino nel mio orecchio e ricordai perché volevo sentirla, mi fece calmare ma allo stesso tempo ricominciarono a sgorgare le lacrime dai miei occhi, ora che ci penso, in quest’avventura piansi davvero tanto. Mi sedetti sul pavimento e rimasi silenziosa mentre Tomoyo cercava di capire chi stesse dall’altra parte della cornetta.

“Ciao Tomoyo, sono Sakura.” Al decimo pronto risposi e questa volta fu lei a zittirsi. “Siamo in albergo, grazie per aver mandato Roberto a prenderci. So che piombo all’improvviso ed ora che ci penso non so nemmeno che ore siano in Giappone ma avevo assoluto bisogno di sentirti.” Le parole uscivano da sole, come una folata di vento. “Sai, un uomo ci ha attaccati dicendo tante cose strane, abbiamo rischiato di affogare e Kerochan si è fatto male ad una zampa; è la prima volta che affronto una battaglia senza che tu sia lì a riprendermi, è stato molto spettacolare ma sono morte due persone e non riescono a trovare una bambina, pensano che sia finita in acqua; avrei tanto voluto avere uno dei tuoi vestiti, li ho sempre indossati controvoglia ma in molte occasioni si sono rivelati utilissimi, mi mancano davvero. Mi manchi anche tu, sicuramente mi saresti più utile di Li e…”

“Mi sarebbe tanto piaciuto riprenderti con la mia telecamera nuova, inoltre devi proprio vedere i disegni per i nuovi vestiti, sono bellissimi e ce n’è anche qualcuno di quelli provocanti.”

“Questi ultimi è meglio che non me li mostri nemmeno.”

Ricordo che abbiamo riso per alcuni secondi finché non è calato uno di quei silenzi che non vedi l’ora di rompere, ma ti manca il coraggio e allora preghi con tutto il cuore che sia l’altro a farlo.

“Peccato!” Parlò Tomoyo. “Sono davvero cattura-maschi.”

“Mi dispiace per ciò che è successo tra noi, mi manchi.”

“Che programmi avete per domani?” Cambiò subito argomento, ma dalla voce capii che si era emozionata per quel mio mi manchi.

“Beh, è successo un gran casino qui a Roma, penso sia il caso di andare verso la nostra destinazione, domani tutti i riflettori saranno puntati qui e potremo muoverci con più tranquillità.”

“Hai pienamente ragione, nella sfortuna avete avuto, come dire, culo. Chiederò a Roberto di portavi almeno fino a Salerno.”

“Non puoi, ci insegue la polizia, non voglio coinvolgerti. E tanto meno voglio coinvolgere Roberto.”

“Tranquilla, lui è di quella città e ci sarebbe dovuto tornare comunque per le ferie, vi darà uno strappo e poi non avrete più a che fare con lui. Fatevi una bella dormita così domani sarete freschi e ragionerete a mente riposata.”

“Va bene, buonanotte Tomoyo. Ancora Grazie.”

“Buonanotte, potresti salutami Kerochan e Li e passarmi Roberto? Spero che vogliate continuare a tenermi informata, voglio rendermi utile anche da qui.”

 

Non nascondo che quando ci infilammo oltre il casello mi pentii di non aver visitato per bene Roma, mentre guardavo le macchine che superavamo mi pentivo di non essere andata a vedere la fontana di Trevi, il Pantheon, i Fori Imperiali ma soprattutto, il Colosseo.

Li russava beatamente nel sedile posteriore, io preferivo continuare a stargli lontano, nel sedile del passeggero anteriore. Nonostante l’abbraccio del giorno prima le cose non potevano cambiare in meglio da un giorno all’altro. Eh si, sembra stupido ma se ci si ragiona, quando si vuole bene ad una persona i momento belli sono indubbiamente tanti e si conservano come diamanti, ricordandoli di tanto in tanto per cercare di riassaporare ciò che sono stati. Eppure basta un unico momento di debolezza, una cosa brutta, qualcosa di percepito come un tradimento, una mancanza di rispetto, qualcosa che colpisce così forte da farti sanguinare lo stomaco e quei diamanti vengono rotti come vetro da un grosso, sporco sasso. Tutto viene in secondo piano e pensi infinitamente a quello sporco che oscura tutto, unge e macchia i bei momenti passati, cerchi di non vederlo ma non ci riesci: ci sarà sempre quel masso e col tempo diventerà un sassolino, un granello di sabbia, piccolo e grigio, riuscirai a tirare avanti, però, sarà come camminare avendolo nella scarpa, da qui in poi è soggettivo se sopportare quel fastidio o levare il sassolino e correre via lasciando indietro tutto, liberandosi anche dei cocci di diamante rotti, lasciando andare per sempre chi ti ha voluto bene.

Io avevo ancora il mio sassolino nella scarpa ma non riuscivo a capirne l’entità, se fosse piccolo o grande, nero o bianco, stringevo i denti e continuavo ad andare avanti; mi tenevo stretta quella persona a cui avevo voluto bene anche non conoscendo i suoi sentimenti. Alquanto egoista, no?

Non pensai ad altro nelle tre ore che ci impiegammo per arrivare solo a Napoli, c’era traffico e non  avendo fatto soste, Roberto decise che avremo pranzato in città, così da poterci anche sgranchire le gambe, avremo ricominciato il viaggio dopo il caffè. Quando finalmente pagammo al casello, riuscimmo a percorrere poco più di un chilometro prima di essere fermati da un uomo in divisa nera che, con una palettina bianca e rossa, ci fece segno di fermarci sul lato della strada.

Roberto si fermò davanti alla loro macchina, notai che uno di loro aveva a tracolla una mitraglietta e ci osservava in modo minaccioso.

“Chi sono questi uomini armati?” Non vi nascondo che ero terrorizzata.

“Carabinieri, una specie di polizia, è il solito controllo della patente.”

L’uomo con la paletta si avvicinò e scambiò alcune parole in Italiano con Roberto poi notò me e Li. Si allontanò rapido verso il suo collega senza proferire altro.

“Tomoyo mi ha detto che siete ricercati, vi hanno accusato di omicidio.” Roberto strinse con forza il volante.

“Stiamo andando ad Agropoli per dimostrare la nostra innocenza, forse è il caso che si separiamo qui.”

“Siete innocenti?”

“Certo!” Risposi senza pensarci su due volte e notammo che il carabiniere si avvicinava nuovamente, questa volta con un foglio in mano e si distingueva perfettamente un volto asiatico stampato sopra.

“Bene.” Roberto ingranò la marcia più bassa e la macchina partì con un gran polverone, rischiando di causare un incidente. Venni schiacciata al sedile e non potei far altro che reggermi forte alla cintura di sicurezza.

“Che succede?” Li si era svegliato spaventatissimo.

“Sembra che vi abbiano riconosciuto. Vi porto a Napoli e vi scarico non appena li seminiamo, dovrete arrivare da soli ad Agropoli.”

“Ma così inseguiranno anche a te.”

“Tomoyo mi ha detto che siete innocenti, e non sareste mai venuti fin qui se non lo foste davvero, vi credo ma dobbiamo separarci.”

Dobbiamo molto a Roberto.

 

 

 

 

P.S. Curiosità

Uno dei tanti appellativi con i quali viene chiamata la città di Roma, oltre a Città eterna e Caput mundi, è Città dell’acqua, nome dovuto ai numerosi acquedotti presenti in città e nelle provincie del suo antico e vasto impero.

Roma ha il maggior numero di atenei e di iscritti universitari in Italia; sul suo territorio sono presenti 22 atenei statali e privati e 24 atenei pontifici, per un totale di 46 atenei

 

“Stare a Roma e non far mai una passeggiata a piedi, sarebbe, mi sembra, poco divertente.”

Henry James

   
 
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