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Autore: Bittersteel    07/12/2011    3 recensioni
Il breve lasso di tempo in cui Remus capisce che aver abbandonato Tonks è stato uno sbaglio.
Terza classificata al "La mia canzone preferita Contest"
Genere: Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Cosa fatta capo ha
 
 
Fortuna è ordinata, disordinato è l’Uomo
 

 
 
 
 
 


- Non l’avrei mai creduto.
Una pausa carica di disprezzo. Poi la stoccata finale.
- L’uomo che mi ha insegnato a combattere i Dissennatori… Un codardo.

Aveva persino sfoderato la bacchetta, puntandola e usandola contro il figlio del suo migliore amico.

 

 

 

Ma cosa sono diventato?

Aveva vagabondato tutta la notte Remus, accompagnato da un feroce mal di testa. Si sentiva in subbuglio, preda della luna. Era scappato da un rifugio sicuro qual era la casa dei Tonks per raggiungere Harry e gli altri, per chiedere di essere ammesso in quella squadra e dimenticarsi del peccato del quale si era macchiato: aveva deciso deliberatamente di trasmettere la sua maledizione a un innocente. Era sbagliato, lui stesso era una persona sbagliata, un mostro. Non solo aveva quasi costretto i suoi più cari amici a diventare animagi, a costo di essere espulsi: aveva sposato Dora contro ogni logica, l’aveva messa incinta, contro ogni buon senso. Il bambino avrebbe potuto pensare di essere un mostro, come quel padre che gli aveva passato il fardello.

Meglio morire, che sentirsi colpevole.

***

La mattina successiva Remus si svegliò come da un sogno. Si stiracchiò, si tese per far crocchiare le ossa e cercò alla sua sinistra la mano di Dora. Aprì gli occhi di scatto e si sorprese di trovare erba al suo fianco, e il sole appena sorto sopra la sua testa. Raccolse le ginocchia al petto e si fece tramortire dai ricordi delle ultime ventiquattro ore.

Era appena tornata dal bagno, ed aveva i capelli rosa cicca tutti scompigliati. Mai una persona lo aveva guardato con tutto quell’amore negli occhi. Sorrideva felice, come il giorno in cui aveva acconsentito a sposarla, forse di più. Lo baciò strusciando il naso contro la sua mandibola e riprese a sorridere.
Non erano passati che due secondi, Remus era gonfio di desiderio. Si apprestò a cingerla con le braccia, tirandola verso il materasso, intrappolandola tra quello e il suo corpo. Come ogni volta, Dora aveva sorriso apertamente, appoggiando entrambe le mani sul suo petto. Mentre si abbassava per baciarla, le braccia di lei si erano irrigidite, costringendolo a fermarsi, con gli occhi semichiusi e le labbra semiaperte.
- Sono certa che ti preoccuperai, adesso.
Remus la sovrastava ancora ma la sua eccitazione stava diminuendo troppo velocemente. Eppure attese, cancellando il mezzo sorriso che gli spuntava ogni mattina, da quando stava con quella donna.
- Sappi che è quanto di più bello potesse succedere.
Era stato troppo. Si sollevò sui talloni di scatto, ostentando una calma che non aveva, che non aveva mai avuto.
- Non è possibile. Dimmi che non è successo. Non ora, non davvero. Non siamo stati davvero così sconsiderati.
Il silenzio lo colpì più del sorriso triste che aveva Dora, più del brillio dello sguardo che le illuminava il volto.
- Abbiamo sbagliato. Noi non dovevamo. Io non avrei mai dovuto sposarti. Scusami. Vado a fare… Vado a fare un giro. Tu stai qui.

Si era alzato, vestito e Smaterializzato, era andato nell’unico posto sicuro che conosceva. Poi si era svegliato per terra in un parco babbano.
- Io sono un imbecille. Io sono un imbecille. Codardo.

Si Smaterializzò dai Tonks.
Passeggiava da dieci minuti davanti il cancello, sentiva quasi vibrare la magia delle fatture difensive.
Non riusciva a capacitarsi del suo comportamento, del male che aveva inflitto a Ninfadora. Guardava di sottecchi il balcone al primo piano, chiedendosi cosa stesse facendo l’unica persona che lo rendeva felice. Forse piangeva, forse beveva cioccolata. Forse era allo specchio a chiedersi che forma avrebbe assunto la sua pancia di lì a qualche mese. Forse pensava allo stupido vigliacco che l’aveva abbandonata. Forse…

Remus aprì il cancello e suonò alla porta.

Imbecille vigliacco. E codardo.

- Bene. Pensavo che a Grifondoro li scegliessero per il coraggio. A quanto pare ne ho avuto di più io, pur essendo finita nella Casa di chi preferisce salvarsi la pelle, che buttarsi nella mischia.
Le parole sprezzanti di Andromeda Tonks non lo ferirono, non lo scossero. Era lì per un motivo preciso, farsi dare dell'imbecille dalla madre di suo figlio.
- Andromeda, mi dispiace. Ma devo parlare con Dora, subito. Ho sbagliato. Abbiamo sbagliato, ma voglio mia moglie e voglio quel bambino.
La signora Tonks stava immobile come una statua - e come una statua bellissima malgrado gli anni - sulla soglia, quasi sfidandolo a fare un passo e intromettersi ancora nella vita della figlia. Ted si avvicinò alla moglie, guardandola di sbieco. Non disse una parola. La prese per la vita e si allontanarono insieme.

Remus salì correndo e inciampando le scale, aprendo la porta di scatto e tuffandosi dentro.
C’erano diversi scatoloni che ingombravano la stanza. Alcuni erano pieni dei suoi abiti.
- Dora! – urlò, intuendo cosa volesse dire quella stanza  a soqquadro.
Ninfadora uscì dalla cabina armadio, gli occhi rossi, un fazzoletto in una mano e un mantello nell’altra.
- Sei venuto a prendere la tua roba, per caso? – sorrise senza allegria – Non è ancora pronta.
Remus si mosse verso di lei, facendosi largo tra la roba per terra, allargando le braccia per sentirla sul suo petto. Dora sembrava non essersene accorta.
- Per te è stato uno sbaglio sposarmi. Per te è stato un errore fare un figlio.  Per me è stata una benedizione averti incontrato. Ma se non vuoi… Se non ci vuoi… Non ti tratterremo. Non più.
Si girò dall’altro lato e riprese a sistemare i vestiti.
Remus non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa fare né cosa dire. Prese la foto del loro matrimonio, dove si vedeva sorridere di quel sorriso un po’ timido, tipico, e vedeva lei sorridere apertamente, le mani intrecciate alle sue.
La raggiunse e se la strinse contro, schiacciando il naso nei suoi capelli, di un colore sbiadito a metà tra il grigio topo e il nero. Cominciò a parlarle, a sussurrarle piano all’orecchio, carezzandole le braccia, beandosi di quel contatto, del suo odore, della consapevolezza di essere in tre in quella stanza, e di dovere delle scuse anche a chi non poteva capire.
- Ti amo. La mattina, quando mi sveglio e ti ho accanto. Quando appena scendi dal letto e inciampi nelle tue pantofole. Ti amo quando prendi in giro la mia timidezza, e quando dici che ti piace come facciamo l’amore. Ti amo perché voglio tornare da te ogni giorno. Ma devi capire… Devi capire che nostro figlio potrebbe somigliarmi in troppi aspetti. E se mi somigliasse nell’essere un Lupo Mannaro… Non potrei mai perdonarmelo.
La voce gli si spense mentre le baciava i capelli, e lei cominciò a singhiozzare piano, stringendo convulsamente il fazzoletto che aveva in mano.
- Il bambino… Il nostro bambino… E’ una parte di te. Siamo io e te, insieme. Potrebbe capitare qualcosa, o qualcuno di noi due… Nostro figlio è il futuro, è qualcosa per cui combattere – e singhiozzò più forte – è qualcosa per cui lottare. Io lo so perché non lo vuoi – Remus provò a interromperla, ma venne zittito da una gomitata che gli fece perdere l’equilibrio e finirono sopra un mucchio di vestiti – perché sai cosa potrebbe essere, perché essere incinta di un Lupo Mannaro fa di me una reietta, perché i miei genitori non sono contenti. Ebbene, stupido idiota, mia madre ha sposato un Nato Babbano ed era una Black. Non è la persona più adatta per sentenziare su chi ho scelto di sposare.
Ninfadora liberò un braccio e si soffiò il naso.
- Ci amiamo, e un bambino è quanto di più bello potevamo aspettarci. L’ho desiderato dalla prima volta in cui… Forse non saremo dei genitori normali, ma possiamo provarci! Possiamo, per una volta essere felici? Pensare che vada tutto bene? Io e te, la mia famiglia, lo ameremo lo stesso, anche se condividerà il tuo piccolo problema.
Remus sorrise, e le mise le mani sulla pancia. La sentì rabbrividire contro i palmi aperti. Controllando il tremito nella voce, diede fondo a tutte le sue paure.
- Stiamo combattendo una guerra. Non sappiamo chi vincerà, ogni giorno spariscono sempre più persone. Cosa credi che ti faranno, sapendo chi sei, e cosa porti in grembo? Come pensi che mi senta io? Viviamo come se non avessimo un domani. E tu sei la mia unica speranza. E ti voglio, nonostante tutto. E voglio il figlio che porti in grembo.

Mio, tuo, nostro figlio.

Ninfadora si volse verso di lui, guardandolo fisso con quei suoi occhi penetranti. I capelli erano rossi come le foglie d’autunno. Remus si sorprese a pensare di amarla anche con quei capelli dal colore insolito.
- Così è per questo? La guerra? Ma se non abbiamo un motivo per cui tornare a casa, perché combattere?
Lo sguardo di lei lo sondava in profondità, quasi sfidandolo a trovare una risposta. Le mani di lei gli percorsero la lunghezza delle braccia, fino ad artigliare le spalle esili e scuoterlo.
- Il tuo unico problema è non sapere se ne usciremo vivi? Per una volta, non sarebbe bello non farci più del male? Non sarebbe eroico, solo per questa volta, non essere degli eroi? Pensare solo a sé stessi? Io mi sento di farlo. Combatterò per te, per nostro figlio. E solo dopo per un mondo migliore.
La strinse forte, senza più una parola. Sentiva il cuore batterle all’impazzata e seppe che quello che aveva detto aveva un senso, profondo, preciso. Per combattere al meglio serviva un obiettivo, e Remus l’aveva appena trovato: la sua famiglia.
- Ciò non toglie che tu ti sia comportato da imbecille. E codardo. Non farlo mai più, perché potrei esserci io sulla soglia di casa. Ti assicuro che non sarebbe piacevole.

Ecco, appunto.

- Sai, c’era qualcun altro che parlava della mia “doppia personalità” come di un semplice problema. Piccolo problema peloso, lo chiamava.
Dora lo guardò stralunata, poi depose un bacio sulla guancia ruvida – Chi?
- Sistemiamo questo caos, e te lo racconto.
I capelli erano tornati rosa.
 
                                                                                                                                                             
 

«Non sarebbe strano
 Essere più leggeri
E non aver paura
Se capitasse a noi»
Afterhours, Riprendere Berlino

 
 
 
Note:
Le prime due battute sono prese da Harry Potter e i Doni della Morte, pagina 251 della versione italiana.
Non sarebbe bello non farci più del male, non sarebbe eroico non essere degli eroi, Riprendere Berlino, Afterhours.
Alla fine, Remus, ovviamente, parla di James Potter.
Il titolo è un modo di dire, penso che si adatti al caso; il sottotitolo è tratto da Le Frottole di Luigi Pulci.
Questa storia avrebbe dovuto partecipare al “La mia canzone preferita contest” di AlexBlack, ma dal momento che la giudicia è sparita ed è passato un periodo di tempo ragionevolmente lungo, eccomi qui a pubblicarla.
 

   
 
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