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Autore: Luce Lawliet    11/12/2011    13 recensioni
[ dedicata a Menhiteve ]
Fu debole, appena accennato, ma lei lo sentì.
Un rumore.
Come un fruscio, qualcosa che si muoveva.
Poi, un respiro ovattato, appena affannato.
Comprese immediatamente che c'era qualcuno dall'altra parte.
" Chi c'è? " sussurrò, gli occhi sgranati dall'orrore.
Il suo cuore batteva così in fretta che minacciava di spaccarle la cassa toracica da un momento all'altro.
" Chi sei? " ripetè, senza rendersi conto che stava urlando, ora.
L'ultima cosa che udì fu un click agghiacciante, segno che la telefonata era stata interrotta.
Questa storia riprende il periodo incentrato sulla morte di Quarter Queen, la seconda vittima di Beyond Birthday, tratta del desiderio della sorella Dakota  di uccidere il suo assassino, e del suo incontro con lo stesso BB.
Genere: Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Beyond Birthday, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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                                                                                                                Strawberry gashes


                              





                                                                                                                                                   2.


                                                         Ombre di morte nel parco della città.








Raggiunse la Third Avenue con il sudore che le colava negli occhi, offuscandole la vista, riuscendo tuttavia a vedere che la polizia era già arrivata, due automobili dalle sirene ancora in funzione erano appostate proprio davanti al suo appartamento, due agenti controllavano la situazione dall'esterno, impedendo ai curiosi di avvicinarsi.
Fermarmi, ho bisogno di fermarmi, pensò con foga, premendosi una mano contro il petto, anche se riusciva perfettamente ad avvertire il rimbombo impazzito del tamburo che aveva preso il posto del suo cuore, mentre con occhi lucidi frugava tra i volti della piccola folla ammassata davanti a casa sua, cercando di riconoscere tra una di quelle facce anche quella della sorella.
Il solo deglutire le provocò un dolore lancinante alla base della gola.
I suoi polmoni bruciavano, le ginocchia erano sanguinanti e sporche di terra.
Controllando a stento il tremore si gettò tra il mucchio di curiosi, dando bruschi spintoni e gridando: << Fatemi passare! Dov'è lei?! >>

Non fece neanche in tempo a muovere un passo in direzione dei gradini che la separavano dal portone d'ingresso spalancato che uno degli agenti le venne incontro, ordinandole di stare indietro.

<< Ci abito qui!! >> urlò di rimando, furiosa. Anche se fosse riuscita a calmarsi, i suoi polmoni erano talmente provati che non sarebbero stati in grado di immagazzinare altro fiato per farla continuare a gridare. Il suo petto si alzava e si abbassava ad un ritmo impressionante.

<< Voglio sapere dov'è! Devo entrare... >> insistette ansimando.

L'agente allentò la presa. Solo in quel momento Dakota si rese conto che la stava trattenendo per la vita, dato che stava cercando di avanzare.

<< Mi dispiace, adesso non è possibile. >> rispose l'uomo.

<< Ma mi dica almeno se sta bene! Ho sentito... >> la ragazza ebbe un fremito e istintivamente allontanò bruscamente le braccia del poliziotto. << C'era un intruso in casa, ne sono sicura! Dov'è ora Quarter? >>

<< Sei una parente? >>

<< E' mia sorella! Mi dica dov'è! Risponda, accidenti! >>

L'attenzione di Dakota venne attirata da qualcosa che a causa della paura e dell'ansia prima non aveva notato: un'ambulanza.
Si bloccò.
Vide due infermieri uscire dall'edificio; spingevano gli estremi di una barella. C'era qualcosa sdraiato sopra, coperto con uno spesso telo bianco.

Non è lei. Non è lei!

<< Ho detto di farmi passare!! >> gridò esasperata, divincolandosi dalla presa austera dell'uomo in borghese e salendo tre gradini alla volta fino a trovarsi davanti alla barella. Non fecero in tempo a fermarla e Dakota sollevò il lenzuolo impregnato di sangue, il cui odore pungente e metallico si percepiva distintamente.
Non fu quando posò gli occhi sul volto del cadavere che il mondo le crollò addosso. Le servirono almeno una decina di secondi per riconoscere sotto quel cranio sfondato da cui si riusciva a vedere l'osso, sotto quei buchi neri coperti di sangue rappreso che aveva al posto degli occhi, sotto quello scempio irreale il viso un tempo fresco e ingenuo di Quarter Queen.
L'odore penetrante del sangue le colpì le narici con la forza di una randellata e la ragazza mollò il telo accasciandosi a terra, premendosi convulsamente lo stomaco con le braccia e sforzandosi con tutta se stessa di non vomitare, mentre gli occhi si arrendevano ormai alla furia cieca delle lacrime.
 
 
 
 
 
 


Los Angeles Police Department.

Mezz'ora di attesa era servita a Dakota per vedere sua madre precipitarsi all'interno della stazione di polizia con addosso ancora il camice da lavoro, ma non ebbe la forza di alzarsi e andarle incontro.
Per fare cosa, poi?
In genere quando una persona riceve una brutta notizia si aspetta parole di conforto, consolatio, rassicurazioni. Dakota strinse con smarrimento la tazza di té fumante che qualcuno, non ricordava neanche più chi, le aveva offerto pochi secondi fa.
Nonostante fosse bollente, aveva bevuto lunghe sorsate per scacciare quella sensazione di gelo e raccapricciante tremore che le avvolgeva le membra. 
Solo un paio di persone avevano provato a consolarla, anche solo calmarla, ma tutti i tentativi erano falliti miseramente.
Sua sorella era stata assassinata.
Non c'era niente da dire.
Serrò le palpebre con forza per non essere costretta a vedere l'espressione sul volto di sua madre dopo che un giovane uomo le spiegò con rammarico quanto era accaduto. Ma non fece in tempo a coprirsi le orecchie e il senso di gelo la travolse nuovamente, più violento e lascivo, non appena iniziarono i gemiti luttuosi e il pianto della donna.
 
 
 
 
 

<< Possiamo tornare a casa, adesso ? >> sussurrò la signora Queen.

I suoi occhi erano rossi e gonfi a causa delle lacrime.

<< Purtroppo per un po' di tempo non potrete restare nel vostro appartamento; alcuni agenti sono stati incaricati di esaminarlo attentamente, è la prassi. Dobbiamo fare tutto il possibile per trovare indizi o qualsiasi cosa ci possa condurre al killer o... ci aiuti a trovarlo. >> rispose l'agente, riordinando una piccola pila di fogli sui quali aveva annotato le risposte delle donne, ma in particolare di Dakota, a tutte le domande che aveva loro rivolto. << Avete dei parenti dai quali andare? Possono ospitarvi? >>

La madre fece un debole cenno d'affermazione con la testa, poi sospirò, passandosi una mano sul volto. Era la nona volta in tre ore che lo faceva, una maschera trasparente per non far notare gli occhi che si riempivano nuovamente di lacrime.

<< Dakota, scusa se te lo chiedo di nuovo... >> ricominciò l'uomo, mantenendo un tono di voce passivo << ma non ti viene proprio in mente nient'altro? Non ha parlato quella persona, non ha detto nessun nome, non hai sentito se era la voce di un uomo o di una do... >>

<< Era un uomo. >> Dakota deglutì tenendo gli occhi fissi sulle sue mani.

<< Ne sei certa? >>

Annuì.

<< Come lo sai? >>

<< Me l'ha detto Quarter. Al telefono. >>

<< Quando? >>

<< Poco prima di farlo. Entrare. In casa. Non lo. Conosceva. >>

<< Quest'uomo ha parlato? >>

Scosse la testa.

<< D'accordo. >> si arrese l'agente, frugando all'interno del taschino della sua giacca e porgendo alla madre un biglietto. << Questo è il mio numero di telefono, nel caso vi tornasse in mente qualsiasi cosa... >>
 
Dakota si rifiutò di ascoltare altro.
Il poliziotto pregò loro di attendere altri due minuti, il tempo di una telefonata per avvertire i loro parenti e alla fine sarebbero state libere di andare.
Fu mentre erano sole che la donna si rivolse alla figlia con una domanda che l'avrebbe fatta annegare nel senso di colpa e nella depressione per tutta la settimana seguente.

<< Ma tu dov'eri? >>

Dakota provò a inspirare, ma i suoi polmoni si rifiutavano di obbedirle. Trattenne il fiato per tutto il tempo, ascoltando il rumore delle lancette del grosso orologio quadrato appeso alla parete di fronte a loro che con il loro ticchettio sostituivano malamente il silenzio causato dalla risposta mancante.
La madre ora la fissava con gli occhi lucidi.

<< A quell'ora... saresti già dovuta tornare a casa. Perché hai tardato? Dov'eri? >> insistette, alzando la voce.
Dakota inizialmente boccheggiò.

<< Sta-stai accusando me? Mamma, stai accusando me?! >> ribattè, sul punto di piangere nuovamente.

<< No, io... oddio, non volevo! >> la signora Queen abbracciò con forza la ragazza, accarezzandole i capelli con foga, come se da un momento all'altro qualcuno avrebbe varcato la porta semichiusa di quello studio pretendendo di portarle via anche l'unica figlia che le era rimasta. << Mi dispiace tanto Dakota, non dicevo sul serio. >> si tirò su, raddrizzandosi sulla sedia quando l'uomo ricomparve.

<< Potete andare. >>
 
 
 
 
 
                                                     
 
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                                                                                                  5 agosto.
 
 
                                                                                                  6 agosto.
 
 
                                                                                                  7 agosto.
 
 
                                                                                                   8 agosto.
 
 
                                                                                                  9 agosto.
 
 
                                                                                                 10 agosto.
 
 
                                                                                                 11 agosto.
 
 
                                                                                                 12 agosto.
 
 
                                                                                                 13 agosto.
 
 
                                                                                                 14 agosto.
                                                              
 
 
 
 
 
                                                                                               ۝۝۝
 
 
 
 
 
 
                                                                                               15 agosto.
 
 
 
La borsa a tracolla blu di Dakota giaceva abbandonata sul letto disfatto di sua cugina che da dieci giorni era diventato di sua proprietà, malgrado i tentativi della ragazza di convincere i nonni che il divano in salotto sarebbe andato più che bene.
Di una cosa era certa: nel periodo di tempo trascorso in quella casa non era stata assolutamente di peso, dato che si era comportata come un fantasma. Rimaneva chiusa in camera a soffocare le urla contro il cuscino, a riempire di pugni l'armadio e la parete, a rompere cd, a stracciare vestiti, rifiutando il cibo che i parenti le lasciavano davanti alla porta.
Diversa era la situazione per sua madre. La donna si era messa con tutte le sue forze di buona lena per accettare la cosa, sforzandosi di tornare il più in fretta possibile alla normalità. Doveva dare il buon esempio a Dakota, così affermava, anche se la ragazza sapeva perfettamente che era ancora più abbattuta di lei.
Era passata poco più di una settimana dal fatto e anche se l'omicidio di Quarter si era ingigantito, occupando interamente la prima pagina del Los Angeles Times, adesso una terza uccisione, avvenuta solo due giorni prima emergeva sul giornale: Backyard Bottomslash, una donna di ventott'anni trovata morta nel suo appartamento, con alcuni pezzi del suo corpo sparpagliati per le stanze. Anzi, per essere pignoli avevano trovato solo la sua gamba destra, nel bagno, mentre il braccio sinistro era stato " sradicato " e portato via.
In altre circostanze la cosa non avrebbe attirato l'attenzione di Dakota, non fosse stato per un semplice, ma intrascurabile dettaglio: appese ai muri della stanza in cui era stata trovata la vittima c'erano quelle bamboline di paglia che la polizia aveva visto già dopo l'omicidio del 31 luglio di quello scrittore, Believe Bridesmaid... le bambole voodoo... le wara ningyo.
Quel pazzo assassino le aveva sistemate anche nel loro appartamento, proprio dove aveva ammazzato Quarter, le aveva inchiodate, lasciandole lì, come per fare la guardia al cadavere, per osservare ciò che rimaneva di quella bambina, scrutandola con occhi invisibili.
I media avevano soprannominato questa serie di omicidi, che ormai tutti avevano compreso dovessero essere in qualche modo connessi tra di loro Omicidi Wara Ningyo.
Che dire, davvero originale.
 
Dakota ficcò il cellulare nella borsa e uscì alla svelta dalla stanza e dall'abitazione, con un rapido << A dopo >>, piatto e disinteressato verso sua nonna, la quale si era ormai rassegnata al suo costante e distaccato malumore.
 
 
 
 
 

Essendole rimasto solo un biglietto per la corriera e non avendo voglia di entrare dal tabaccaio ad acquistarne un nuovo plico, decise che avrebbe usufruito del veicolo pubblico al ritorno. Così si incamminò, mettendoci quasi un'ora per giungere all'appartamento 605 nella Third Avenue, la sua casa.
Aprì il portone d'ingresso e salì i gradini che portavano al suo appartamento, mentre l'ansia cresceva ad ogni piolo.
Quando però si trovò davanti alla porta, si bloccò.
La chiave tremò appena tra le sue dita, pervase dal terrore nell'immaginare che si trovava proprio dov'era stato quel brutale assassino, poco prima di entrare in casa. Con gli occhi di quel pazzo le sembrò di assistere al momento in cui la sorellina apriva la porta, l'espressione scocciata e al contempo incuriosita ancora stampata sul suo faccino tondo, guardandolo con sorpresa e chiedendosi chi fosse o cosa volesse da lei.
Quanto era durato il tutto?
20 secondi?
20 minuti?
Quanto era servito al killer per accanirsi su una bambina, picchiandola a sangue fino a che non era rimasto più nulla di integro in lei, per cavarle gli occhi ( probabilmente con le sue stesse mani ), per eliminare le impronte e per inchiodare le wara ningyo ai muri?
Con rabbia fece girare la chiave nella serratura, per poi aprire la porta con uno scatto.
Ma perché lo stava facendo?
Varcò l'ingresso, chiudendosi la porta alle spalle.
Così rischiava di contaminare la scena del crimine, in questo modo avrebbe solo reso più difficoltoso il lavoro dei...

Tutte cazzate!!!, pensò furiosa.

In quei giorni era tornata di sua volontà almeno cinque volte al dipartimento e aveva contattato gli agenti per telefono, ma non erano riusciti a fare neanche un passo avanti, nessun indizio, nessun sospetto, un accidenti di niente.
Per cui, ciò che venne logico pensare a Dakota era che, o non erano in grado di fare il loro lavoro, oppure ( molto più probabile ) le informazioni di cui disponevano non potevano ancora essere rese di pubblico dominio e la ragazza non poteva sopportarlo.
Andò nella loro camera da letto.
La luce del sole faceva capolino timidamente da una striscia che le tende della finestra non coprivano, regalando alla stanza un aspetto irreale, celato dalla penombra.
Dakota si diresse verso la finestra e tirò le tende, illuminando così i due letti, la scrivania con sopra il computer e i libri scolastici, la sedia sulla quale la sorellina era solita buttare tutti i suoi vestiti, quando non aveva voglia di sistemarli ordinatamente nell'armadio di fianco al letto, e infine il comodino, vicino alla scrivania.
Le wara ningyo erano state tolte dalle pareti; si vedevano ancora i segni lasciati impressi dai chiodi, e anche il sangue era stato premurosamente rimosso.
Gli occhi di Dakota si spostarono sul portagioie della sorella. Si trattava di una semplice scatola di carta che la ragazzina aveva costruito con le sue mani, per poi dipingerla e glitterarla dappertutto, conferendole un aspetto piuttosto fiabesco.
Sollevò il coperchio, sapendo cosa avrebbe trovato all'interno, oltre ai braccialetti di plastica, agli anelli d'argento e ai fermacapelli piumosi che sua sorella tanto adorava: attaccata con un pezzo di scotch sotto il coperchio c'era una foto di lei e Quarter in posa, mentre erano sedute insieme su un'altalena nei pressi del Griffith Park.
Aveva due anni, quella foto. Quarter aveva sempre fatto attenzione a non stropicciarla, diceva sempre che quello era uno scatto d'autore, sebbene la foto fosse stata scattata dalla polaroid della madre nel momento in cui le sorelle volteggiavano sull'altalena con i capelli che danzavano sui volti allegri, mentre cercavano di non perdere l'equilibrio.
Era stata scattata il giorno del compleanno di Quarter. Dakota le aveva regalato una collana d'oro bianco, con appeso un ciondolino a forma di lucchetto.
Lei ne aveva uno identico, con appesa la chiave.
Quarter indossava sempre quella collana, l'aveva addosso anche quel giorno, il 4 agosto. Quando però era stato trovato il corpo, della collana neanche l'ombra; presumibilmente, il killer se l'era portata via.
Però la cosa aveva un che di inspiegabile: se si fosse trattato di gioielli, ce n'erano altri di molto più valore in confronto a quella collana, allora perché non prendere quelli?

Non fece in tempo ad andare oltre con i sospetti; sentì lo scatto che fece la serratura quando qualcuno aprì dall'esterno la porta d'ingresso.

Oh, accidenti!

Mollò il coperchio sul portagioie e si guardò intorno, indecisa su cosa fare. Chi, oltre a lei, possedeva la chiave dell'appartamento?
Sua madre?
No, impossibile, sua madre non avrebbe avuto ancora abbastanza coraggio da tornare in casa così presto, non dopo quello che era accaduto.
Forse era qualche investigatore... ma certo, che stupida! Come aveva fatto a non pensarci? Forse non avevano ancora terminato le ricerche in casa...

E adesso?

Se la beccavano lì erano guai. Non tanto per lei, ma non le andava di farsi interrogare nuovamente dalla polizia. E poi non avrebbe dovuto trovarsi lì a prescindere, quella casa era ancora sotto osservazione.
Le bastò un attimo per decidere e si precipitò ad aprire la finestra, uscendo poi sul balcone. Lasciò l'anta socchiusa e si nascose in una rientranza nel muro di mattoni collegata alla ringhiera arruginita in ferro. Il suo appartamento era situato al terzo piano; c'era la scala antincendio, non ci sarebbero stati problemi se avesse fatto piano.
Tuttavia, mentre stava per sbloccare la prima rampa, ebbe un attimo di esitazione. Si voltò a sbirciare l'interno della stanza. Qualcuno era appena entrato.
La leggera inclinazione del battente trasparente le permetteva di avere una visuale quasi completa in tutta la camera, sicché notò lo sconosciuto avvicinarsi al comodino e prendere tra il pollice e l'indice la piccola sveglia a forma di timone di Quarter.

<< E' in ritardo... >> disse tra sé e sé l'uomo.

Dakota aggrottò la fronte.
Chi era in ritardo?
Doveva venire qualcun altro a perlustrare la casa?

Silenziosa come un gatto si accucciò per terra, osservando con attenzione gli spostamenti della persona che si aggirava per tutta la stanza. Istintivamente, fu colta da uno strano deja vù. Lo sconosciuto continuò ad osservare tutte le cose presenti nella stanza, avvicinandosi ogni tanto alla finestra e permettendo così a Dakota di notare che si trattava di un giovane uomo, o forse addirittura un ragazzo. Non riusciva a capirlo, ma era sicuramente più grande di lei.
Maglietta bianca, jeans stinti e larghissimi, capelli neri e scompigliati... più che un detective, a Dakota pareva tanto un senzatetto.
Ma dove l'aveva già visto?
Si sforzò di ricordare.
Intanto, lui si era avvicinato al mobile e aveva iniziato a frugare fra i cassetti.
La ragazza non fece in tempo a domandarsi cosa sperava di trovare di tanto interessante lì dentro, che lo sconosciuto tirò fuori un reggiseno color pesca, rimanendo a fissarlo. Nell'animo di Dakota cominciò a farsi strada un'intensa nota di irritazione.
Ma che diavolo stava facendo?
Il ragazzo se lo rigirò tra le mani, con aria compiaciuta.
Dakota sentì crescere dentro di lei un vago senso di disagio. Per quale motivo quell'idiota se ne stava fermo a contemplare il suo reggiseno preferito ( il cassetto era pieno dei suoi reggiseni, dato che pur avendo tredici anni Quarter era sempre stata piatta come un asse da stiro e non aveva mai avuto bisogno ), come se non ne avesse mai visto uno in vita sua?
Per un secondo prese davvero in considerazione l'idea di uscire dal suo nascondiglio esterno per urlare contro quella sottospecie di pedofilo incapace di mantenere una postura dritta e normale.

Per fortuna una seconda figura fece il suo ingresso nella stanza. Si trattava di una giovane donna dai lunghi capelli neri e l'aria professionale.

<< Ah, Misora. Sei in ritardo. >> le fece notare il ragazzo senza neppure voltarsi. Dakota ebbe la soddisfazione di vedere che anche la faccia della donna si fece stralunata quando notò quello che il collega stringeva tra le mani. << Per favore, cerca di essere puntuale. Il tempo è denaro, e quindi vita. >>

Tsk, che cafone.

Saggiamente la donna decise di passare oltre, iniziando con il lavoro.
A Dakota venne un'idea. Siccome, a quanto pareva la polizia non faceva passi avanti con le indagini ( e dato che quei due sembravano appartenere a un rango diverso, più elevato ) decise di rimanere lì. Magari avrebbero scoperto qualcosa di interessante, forse sarebbe riuscita ad ascoltare qualche loro discorso riguardante l'omicidio della sorellina.
E dal quel momento non perse una loro mossa.

Purtroppo trovò faticosissimo seguire i loro scambi di opinioni, probabilmente avevano ricominciato il discorso dal punto in cui l'avevano lasciato in sospeso, magari circa la morte della prima vittima.

<< Cosa faresti, Ryuzaki? Se tu stessi cercando di chiuderla dall'esterno? >> gli chiese la donna, indicando la porta.

<< Userei una chiave. >>

<< No, non in quel senso... se tu avessi perso la chiave. >>

<< Userei una chiave di riserva. >>

<< Neanche in quel senso... se non avessi nemmeno la chiave di riserva! >>

<< Allora non la chiuderei. >>

La donna si spostò verso la scrivania e osservò attentamente la stanza da un'angolazione differente.

<< Anche se il killer ha fatto in fretta, mi sembra improbabile che nessuno abbia sentito neppure un urlo... >>

<< Uhm... già. >>

In realtà a quel dubbio Dakota avrebbe saputo rispondere benissimo.
L'edificio vantava alloggi piuttosto piccoli, al massimo per tre persone. Per lo più li affittavano studenti universitari che se ne stavano fuori per tutta la giornata, o a scuola o in biblioteca. Sopra di loro abitava un ragazzo che studiava legge, ma che era partito per una vacanza in Europa da circa due settimane e l'anziano signor Hescom, che viveva sotto di loro, non lasciava quasi mai l'edificio, ma era quasi del tutto sordo.
Quindi, nessuno l'aveva sentita urlare.

La donna sospirò. << Uccidere una bambina... che cosa orribile. >>

<< Anche uccidere un adulto è orribile, Misora. Uccidere un bambino o un adulto è ugualmente orribile. >> ribattè quello che si chiamava Ryuzaki.

Lì per lì Dakota fu tentata di assalirlo.
Uguale?
Uguale?!
Quel ragazzo riteneva non ci fosse alcuna differenza tra l'uccidere un bambino e un adulto? Ce n'era eccome.
Discussero anche su una possibile ipotesi di furto, ma alla fine, proprio come aveva fatto Dakota, la accantonarono decisamente.
Poi decisero di fare una pausa e si diressero in cucina per una tazza di caffè.

Dakota sospirò, strofinandosi il volto con le mani per allontanare la stanchezza. A forza di rimanere accucciata in quel modo le si erano indolenzite le gambe.
Possibile che alla fine l'assassino altro non fosse se non un malato mentale?
Insomma, si era divertito ad ammazzare tre persone che non avevano niente in comune tra loro, non erano ricche o influenti, ma normali.
E allora, quale significato nascondevano le wara ningyo? Qual'era il collegamento?

<< Ryuzaki! >> esclamò la donna dopo qualche minuto.

Tornarono entrambi nella camera.

<< Che c'è? >>

<< La fotografia! >>

<< Oh, intendi quella della terza scena del crimine? >>

<< Noti nulla di innaturale nelle immagini? >> volle sapere la donna.

<< Sono tutti morti? >>

<< Sii serio. Guarda, i corpi sono in posizioni diverse. Believe Bridesmaid è sulla schiena, Quarter Queen è sulla fronte,  Backyard Bottomslash è sulla schiena. Schiena, fronte, schiena! >>

<< E con questo? Intendi che la prossima vittima verrà trovata a faccia in giù? >>

<< No. In realtà pensavo che lo stesso fatto che la ragazzina fosse a faccia in giù era di per sè innaturale. Tu prima hai ipotizzato un probabile collegamento in base alle iniziali dei nomi delle vittime. B.B., Q.Q., B.B... forse avevi ragione. >>

Dakota rimase sbigottita. Già, era vero... lei non l'aveva notato. Be', ma cosa stava a significare...? L'assassino sceglieva le vittime in base alle loro iniziali?

<< Alla fine, si tratta solo di un'alternanza, di un riflesso. L'ho capito quando ero in bagno, mentre mi guardavo allo specchio... >> continuò la donna. << Pensa anche all'arco di tempo che distanzia la morte delle rispettive vittime. Nove giorni, quattro giorni, nove giorni. B.B., Q.Q., B.B., schiena, fronte, schiena... e se fossero solo un riflesso della stessa cosa? Anche le le loro iniziali... B e Q hanno la stessa forma! >>

<< Ma che stai dicendo? Sono completamente diverse! >>

<< Sì, se le guardi scritte in maiuscolo. Ma quando sono minuscole... b, q. >>

<< Quindi pensi sia per questo che il killer ha messo la bambina a faccia in giù? >> ipotizzò Ryuzaki. << Ma questa teoria non ha senso. Le iniziali dei nomi sono sempre scritte maiuscole. >>

Quell'ultima affermazione bastò a far peggiorare di colpo l'umore della donna.

<< E io che pensavo di aver trovato qualcosa... >> si lasciò sfuggire, senza nascondere l'evidente delusione.

<< Su, Misora, non prendertela... francamente, sono contento che la tua teoria non stia in piedi... sarebbe un orrore dover ammettere che l'assassino abbia avuto questo motivo per ucciderla... che orribile ragione per una bambina, morire nel pieno della sua adolescenza! >>

Dakota rimase perplessa. Ma come, se aveva appena detto che non c'era differenza tra l'uccidere un adulto e un bambino, allora cosa...

<< Invece no, Ryuzaki. >> ribattè improvvisamente la donna. << Anzi, in questo caso il minuscolo è perfetto... è per questo che il killer ha scelto una bambina... dato che era piccola è giusto considerare il minuscolo... per questo l'ha messa a faccia in giù. >>




                                                                                                
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<< Bene Misora, direi che per oggi abbiamo finito >> sentenziò il ragazzo dandosi delle pacche sui pantaloni, dopo che aveva gattonato per tutta la stanza alla ricerca di chissà cosa, sotto lo sguardo incredulo di Dakota.
 
<< Ci vediamo domani. >>

<< Tu non vieni? >> gli chiese la donna, mentre si infilava la giacca.

<< Ho lasciato della marmellata di fragole in frigo, avevo intenzione di mangiarla prima di...? >> non completò la frase.

Dakota si sporse un po' di più a guardare.
Il tizio di nome Ryuzaki si era fermato a fissare qualcosa sul comodino... il portagioie. Solo in quel momento Dakota notò di non averlo richiuso. Aveva lasciato il coperchio sopra, senza incastrarlo bene sulla scatola non appena aveva sentito qualcuno entrare dalla porta d'ingresso.
Il ragazzo si avvicinò alla scatola e sfiorò il coperchio con le dita.

<< Misora. >> la chiamò, quando la donna fece per andarsene.

<< Cosa c'è? >>

<< Oltre a noi due e alla polizia che ha esaminato la stanza tre giorni fa, c'è stato qualcun altro, qui? >>

La donna parve spiazzata da quella domanda. << Non credo proprio. Perché? >>

Ryuzaki prese delicatamente il coperchio e lo girò, esponendo la fotografia che ritraeva le due sorelle insieme.
Poi lo rimise al suo posto, voltandosi a perlustrare tutta la stanza con occhi diversi. Come se non stesse più cercando qualcosa, ma qualcuno.
Dakota fu assalita da una strana inquietudine. Non se n'era mica accorto?
Si rattrappì contro il muro, pronta a usare la scala antincendio.

<< Oh, non fa niente. Ero curioso. >> mormorò infine quello strano tipo.

Dakota attese che la donna uscisse dall'edificio, e che svoltasse l'angolo della Third Avenue. Il ragazzo di nome Ryuzaki uscì dalla stanza, dirigendosi in cucina e lei ne approfittò per sbloccare la prima rampa, che si allungò con un cigolio prolungato. Restò immobile, sperando che il ragazzo non avesse sentito. Quasi le sfuggì un'imprecazione quando tornò nella stanza, stringendo un barattolo di marmellata di fragole tra le mani... marmellata di fragole.

Riecco il deja vù.
Lo vide succhiarsi le dita con gusto, mentre infilava la mano nel barattolo e, d'un tratto, ricordò dove l'aveva già visto. Finì il contenuto nel giro di due minuti, pulendosi la mano sui jeans.
Si diresse verso la parete di fianco al letto, toccando con il dito il punto in cui avrebbe dovuto esserci la bambolina di paglia.

<< Qualcosa che dovrebbe esserci, ma che non c'è... >> disse, sorridendo. Dakota aveva già sentito quella frase, l'aveva ripetuta l'agente Misora almeno tre o quattro volte, mentre esaminava tutta la stanza.
Poi, di punto in bianco Ryuzaki scoppiò a ridere. Frugò con una mano all'interno della tasca posteriore dei jeans sformati, per poi tirare fuori uno strano filo luccicante.

Un momento, no... non era un filo.

Il cuore di Dakota perse un battito.

Il ragazzo di nome Ryuzaki si incamminò nuovamente in cucina, ma questa volta lei rientrò nella stanza, raggiungendo la porta. Era voltato di spalle, perciò non la vide, ma gli occhi di Dakota si concentrarono sull'oggetto intrappolato fra le sue dita.

La collana di Quarter.

Anche a quella distanza poteva vedere gli schizzi di sangue incrostati sul ciondolo a forma di lucchetto.

Cosa...?!

Iniziò ad ansimare.
Perché ce l'aveva lui?
Lentamente, un dubbio atroce si insinuò nella sua mente...
Senza quasi rendersene conto indietreggiò bruscamente, urtando la scrivania, e il portapenne di alluminio appoggiato sul bordo cadde per terra con un forte fragore metallico, sparpagliando pennarelli e matite ovunque. Dakota si bloccò dal terrore, quando anche lui si irrigidì.
Con uno scatto la ragazza corse alla porta della stanza, chiudendola a chiave dall'interno e dirigendosi verso il balcone.
Vide la maniglia muoversi freneticamente e i cardini della porta che vibravano a causa dei colpi inferti dall'esterno, mentre lei iniziava a scendere dalla scala di sicurezza.
Per due volte rischiò di perdere la presa, tanto era terrorizzata, ma cercò comunque di fare il più in fretta possibile.

Una volta a terra si mise a correre tagliando la Third Avenue e passando dal parco, nella speranza che la gran quantità di alberi la celassero agli occhi di quel... chiunque fosse. Il sole era tramontato da un pezzo, mischiate alle nuvole grigie ormai c'erano spesse venature porporine che disegnavano ghirigori fantasiosi nel cielo. L'orologio del campanile dall'altra parte del parco segnava le 20.44.
Dakota continuò a correre finchè non giunse al ponticello, sopra il torrente. Ci era passata spesso assieme a Quarter, tempo addietro, quando organizzavano pic-nic all'aperto.
Passò oltre il ponte e si fermò solo quando le sue gambe si rifiutarono di procedere ancora. Fu costretta a riprendere fiato, mentre con gli occhi si guardava attorno. Il parco era il più vasto di Los Angeles, ma a quell'ora non c'erano molte persone in giro. Per lo più era affollato al mattino, all'ora di pranzo e verso le dieci di sera, quando diventava proprietà esclusiva per le passeggiate romantiche delle coppiette.

Doveva raggiungere la stazione di polizia, immediatamente.
Era un problema, però, dato che stava dall'altra parte del centro cittadino.
Non appena sentì dei passi affrettati che attraversavano il ponte si nascose dietro un larice. Ryuzaki era lì.
Dakota si mise una mano sulla bocca, per evitare che il ragazzo sentisse il suo respiro irregolare.

Vattene!, pregò mentalmente. Vattene, vattene, vattene via!!!

Il ragazzo si avvicinò tremendamente al nascondiglio di Dakota, tanto che lei quasi si rassegnò a venire scoperta. Con una mano corse ad aprire silenziosamente la cerniera della borsa a tracolla, estraendone il cellulare. Doveva avvertire qualcuno.
Trattenne il fiato finchè il ragazzo non diede un'ultima occhiata in giro, per poi allontanarsi. Appoggiò la testa sul tronco dell'albero, facendo un sospiro di sollievo.
E in quel momento, quando si dice la sorte, attaccò la suoneria del suo cellulare.
Fece in tempo a leggere il nome sul display: mamma.
Le dita di Dakota divennero istantaneamente gelate, mentre interrompeva di colpo la comunicazione, terrorizzata all'idea che lui l'avesse sentita.

Corri, disse inaspettatamente la voce della coscienza nella sua testa, ma le sue gambe erano diventate di marmo. Corri, ti ha sentita sicuramente, corri!! Subito!!!

Nel preciso attimo in cui il suo corpo scattò in avanti, qualcuno la afferrò per le spalle, sbattendola col doppio della sua energia contro l'albero, e lasciandola senza fiato.
Un dolore acutissimo e pungente si diffuse rapidamente lungo tutta la sua schiena, specialmente sulle spalle, dove aveva urtato con più forza.

<< Lasciami!!! >> provò a gridare, sebbene l'urto le avesse privato i polmoni di tutta l'aria che le era rimasta.

Per tutta risposta Ryuzaki le bloccò i polsi ai lati della testa. Il suo sguardo era agghiacciante.

<< Non provare ad urlare. >> la minacciò sibilando.

Con la coda dell'occhio Dakota vide una giovane coppia avanzare sul ponte, tenendosi per mano e ridendo.
Automaticamente aprì la bocca per cacciar fuori un grido d'aiuto ma, quasi come se le avesse letto nel pensiero, il ragazzo le coprì le labbra con una mano, schiacciandole con forza la mascella, facendole sfuggire un singulto di dolore.
La coppia si fermò.
Ryuzaki li osservò un momento, per poi tornare a fissare lei. Il suo sguardo era ben diverso, adesso. Rasentava la follia e sembrava dire: << Se ti hanno sentita, giuro che ti ammazzo. >>
La ragazza si inginocchiò ad allacciarsi una scarpa. Successivamente tornò a stringere la mano del compagno e proseguirono. Non fecero caso a loro, seminascosti dalle fronde del larice. Lui la teneva schiacciata contro il tronco fino quasi a soffocarla.
Quando il pericolo passò, si fece indietro di qualche centimetro, senza smettere di tenerla bloccata.

<< Da quanto tempo eri lì? >> le domandò.

Lo sguardo carico d'odio che la ragazza gli rivolse senza dire una parola fu sufficiente. Con una smorfia cercò di liberarsi dalle morse d'acciaio che le serravano i polsi con forza tale da farglieli scricchiolare.
La mascella del ragazzo si irrigidì appena, mostrando un sorriso crudele.

<< Be', spiacente allora. >>

Gli bastò un attimo per stringere la mano attorno ai capelli della ragazza e farle sbattere nuovamente la testa contro la corteccia dell'albero. Un gemito soffocato sfuggì dalle labbra di Dakota che si accasciò a terra, colta dal capogiro più violento che avesse mai avuto... le sue mani vagarono tra l'erba, alla ricerca del cellulare, ma la vista le si offuscò rapidamente e lei perse i sensi.
 
 
 
 
 
 
                                                                                              


                                                                                      [ continua ]
 
 
 
 
 
 


Ed ecco il secondo capitolo di Strawberry gashes.
 
Lasciatemi dire che sono rimasta davvero soddisfatta e compiaciuta notando il numero dei lettori e delle recensioni che ha avuto il primo capitolo, grazie di cuore a tutti voi, è proprio il vostro entusiasmo che mi fomenta ad andare avanti con perseveranza!!! ;)
 
Ovviamente chi ha letto il romanzo probabimente noterà qualche differenza in base allo svolgimento degli eventi esterni al personaggio di Dakota, ma spero che apprezziate lo stesso!
 
Povera Dakota, ora sì che è nei guai...
 
 
 
A presto, 
 
Luce Lawliet.
 



 
   
 
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