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Autore: Remedios la Bella    12/12/2011    4 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo so! ho fatto la solita figura di M facendo ritardare di ben due settimane il capitolo. Prometto! Non lo faccio più!
Buona lettura!
Remedios

Capitolo 36

 
La notte della mia fuga fu segnata sia dalla vista del cadavere del dottore, sia dalla ricerca di qualche posto sicuro dove passare la notte, senza essere beccata da soldati o guardie d’ogni genere.
Io e John camminammo tutta la notte, in mezzo a quel campo, mentre le nostre palpebre stentavano a rimanere aperte e gli steli pungenti del grano ferivano lievemente la nostra pelle. In più, mi era ripresa a bruciare la cicatrice.
Non che questo mi impedisse chissà come di proseguire, ma mi dava tremendamente fastidio.
“ Ti fa molto male?” chiedeva perennemente John, che rimaneva accanto a me, con aria un po’ preoccupata. Io mi limitavo a sorridergli a denti stretti, ignorando cosa sentissi lungo il mio braccio e gli assicuravo che non era granché, e che andava tutto bene. Ma continuava lo stesso a fare male.
Il cielo ancora scuro e puntellato di stelle iniziava a schiarirsi lentamente, e un lieve rivolo di luce iniziò ad espandersi dappertutto. La debole e fioca rugiada mattiniera bagnava la punta degli steli di grano selvatico, mentre il frinire degli animaletti cessava non all’improvviso, ma con un volume sempre più fioco, fino a divenire solo un debole sibilo.
L’alba stava per risvegliare l’ambiente intorno a me, e anche se il cole non faceva capolino dietro le colline, canti di galli, in lontananza, echeggiavano e segnavano la fine di quella notte.
“ Sta  per spuntare il sole … dove andiamo?” chiesi io, perplessa, continuando a camminare davanti a me. John fece spallucce:” Non lo so, ma qualsiasi posto farà al caso nostro …”
Ed ecco il lontananza. Un misto di casupole, piccole ma all’apparenza disabitate, si fece largo nella mia visuale offuscata dalla natura circostante. Case. Un villaggio. Ovvero, pausa da quel lungo camminare.
Guardai John speranzosa, e lui ricambiò con un largo sorriso.
“ Affrettiamoci, così potrai curarti la cicatrice …” ci mettemmo a correre, diretti verso il paesino, sollevati almeno un po’ da tutto il rancore accumulato da quella notte.
Il limite di quel gruppo di case, che si rivelò essere una specie di proprietà abbandonata, era segnato da uno steccato stinto di bianco sull’ingresso, mentre tutto il rettangolo di terra che costituiva lo spazio intorno alla casa era racchiuso da una rete di ferro intrecciata, a cui era arrotolato un lungo filo spinato.
Le erbacce facevano capolino sui bordi delle sei casupole che costituivano la proprietà, l’aspetto era diroccato e sembrava che nessuna povera anima abitasse ancora lì.
I lucernari, appesi all’esterno delle case, erano opachi e consumati dalla ruggine, mentre le porte di ferro e di legno stridevano al soffiare del vento.
Tutto ciò mi fece rabbrividire:” Chissà chi ci abitava?”
“ Non so, ma non ha l’aria di posto abbandonato da poco … “ fece John, perlustrando la zona oltre il cancello di legno male intonacato.
“ Io vado a vedere se trovo qualcosa per medicarmi la ferita … deve esserci per forza …” più che altro, mi attaccavo alla speranza di trovare bende o disinfettante,anche se sapevo che ciò era altamente improbabile. Il fatto che quel luogo fosse abbandonato faceva intuire che tutto ciò che avrei trovato dentro la casa era scaduto o in pessime condizioni di conservazione. Se anche avessi trovato delle bende, queste non sarebbero di certo state pulite e pronte  per l’uso, e di sicuro non avevo intenzione di prendermi una brutta infezione, dopo quello che avevo passato con la scarlattina.
Entrai in una delle case diroccate, facendo attenzione che la porta e i sostegni non mi cadessero addosso.
La polvere ricopriva ogni angolo di quella struttura in legno, e una rampa di scale, che in origine doveva portare al piano di sopra, non sembrava in condizioni di essere salita. I gradini era divorati dalle tarme e dunque impossibili da salire senza incappare in brutti incidenti.
Per il resto, la struttura sembrava reggere, anche se ormai tutto aveva un odore stantio di muffa e di vecchio.
La luce dell’alba imminente mi aiutò nell’esplorazione del posto, e non troppo difficilmente incappai nell’ambiente che prima doveva essere stato una cucina.
Il mobilio che costituiva il lavello e le credenze era tutto spaccato e marcio, mentre un tavolo centrale alla stanza, o quel che ne restava, regnava con la sua aria distrutta sulla stanza piccola ma immensa in quella sua piccolezza.
Accanto alla porta principale della cucina, trovai un’altra porta, dove andai a vedere. Ci trovai il ripostiglio, buio e in cui le ragnatele avevano proliferato a meraviglia. Non mi stupì trovarci una “ simpatica” famigliola di ragnetti dalle gambe lunghe che appena sentirono lo scricchiolio della porta, sgattaiolarono dal loro nascondiglio con una velocità fulminea.
Tenendo aperta la porta e nutrendomi in qualche modo dell’unico spiraglio di luce e della mia vista,  cercai qualsiasi oggetto utile alla mia condizione. C’erano barattoli di roba in conserva, impolverati e sicuramente andati a male, buste di carta contenenti chissà cosa, e scaffali completamente vuoti. Ma di qualcosa che somigliasse vagamente a una cassetta per il pronto soccorso non se ne vedeva l’ombra.
“ Qui non c’è niente …” rassegnata mi affrettai ad uscire da quella stanzina, e notai solo allora che anche John era entrato.
“ Trovato niente?” mi chiese, guardandosi intorno anche lui.
“ Niente di niente … dovremo cercare nelle altre case …” feci io, un po’ delusa dalla ricerca.
Feci per chiudere la porta del ripostiglio, quando una voce dall’esterno attirò la nostra attenzione.
Era una voce infantile, giocosa e stridula. L’unica cosa che mi venne in mente è che fosse di un bambino. Ma non riuscivo a spiegarmi il perché di quella presenza.
“ Franz! Vieni qui!” disse un’altra voce, stavolta più disperata.
“ Ma che cos …” mi affrettai a mettermi accanto alla finestra per vedere da fuori cosa stesse accadendo, e John fece lo stesso.
Una bambina, sugli otto anni circa,rincorreva un pargoletto di forse 3 anni, data la sua abilità nel camminare. Il più piccolo, era in prossimità del cornicione della casa accanto a quella dove io e John eravamo nascosti.
Vedemmo la bambina di otto anni raggiungere il piccolo e sgridarlo:” La mamma ha detto di stare vicino! Vuoi che ti sculacci? Ti saresti potuto far male …” La piccola, che probabilmente era sua sorella, aveva gli occhi lucidi, come se stesse per piangere. Il piccolo non ne voleva sapere di stare appiccicato alla sorellina. Si mise ad urlare, e con uno strattone, si liberò dalla presa della sorella e scappò verso la direzione opposta.
“ Quanto sei disobbediente! Franz!” la bambina tornò ad inseguire il piccolo, che stavolta aveva affrettato il passo. Per sua sfortuna, l’equilibrio precario lo fece cadere per terra. Il piccolo cadde rovinosamente, e il suo pianto disperato non tardò a farsi sentire dappertutto.
“ Guarda, alla fine è caduto …” esclamai io, con una punta di ironia nella voce.
“ Ti diverte?” John sembrava perplesso dalla mia reazione davanti alle lagne del piccolo, che ora raggiunto dalla sorella, si era messo a piangere a causa del ginocchio sbucciato tra la polvere.
“ Un po’ … trasmette tenerezza … che ne dici? Andiamo ad aiutare la bambina con suo fratello?”
“ Perché?” stavolta sembrava più che spaventato. Sogghignai:” La bambina non sembra in grado di stare al passo con le lagne del piccolo, e poi se dessimo una mano, avremmo almeno un passaggio dai loro parenti .. ossia, luogo in cui riposare!”
“ Ma possiamo riposare qui …”
“ In questa topaia? Non potrei … e poi con un bambino che piange. Neanche un sordo riuscirebbe a dormire.” Conclusi io, affrettandomi ad uscire fuori e ad andare incontro ai bambini. La situazione era degenerata. La piccola, china sul fratellino, cercava di prenderlo per mano per portarlo fuori da lì, ma la testardaggine del piccolo impediva il tutto, e la crisi annunciata della bambina non si fece attendere, facendola scoppiare in un pianto dirotto e isterico.
“ Piccola .. ti serve una mano?” chiesi io di botto, avvicinandomi abbastanza da farmi vedere. La piccola, vedendomi, si ritrasse asciugandosi in fretta le lacrime e facendosi tutt’a un tratto più coraggiosa :” E tu chi sei?”
Ora che la vedevo meglio, mi ero accorta di quanto i suoi caratteri somatici non fossero tipici tedeschi. Aveva gli occhi di uno straordinario color nocciola e un grazioso ciuffetto bruno che le incorniciava un viso paffutello, ma dall’aspetto non troppo infantile. Il fratellino, a terra, aveva le sue stesse caratteristiche, a parte la spruzzata di lentiggini sulle paffute guance arrossate.
“ Sono un’amica … dove sono mamma e papà?”
La bambina indicò un punto oltre la sua spalla sinistra e poi riprese a guardarmi di sottecchi:” Tu chi sei?”
“ Mi chiamo Deborah .. voi?”
“ …” All’inizio sembrava esitare a dirmi il suo nome, ma poi, con voce tremante, fece fuoriuscire dalle labbra le sillabe del suo nome:” Miriam … e lui è Franz …” indicando il piccolo, che non smetteva di piangere.
Mi avvidi subito ad avvicinarmi a lui con fare materno. Ponendogli una mano in testa, accarezzai i suoi morbidi capelli castani:” Su,non ti sei fatto niente piccolino …”
Lui singhiozzava con fare quasi isterico, anche se il suo pianto si stava placando pian piano. Alla fine due grandi occhioni nocciola come quelli della sorella mi guardarono teneramente.
John arrivò poco dopo:” Da dove venite?” chiesi ai bambini.
“ Prima abitavamo qui, ma poi quelle brutte guardie ci hanno distrutto tutto … ora abitiamo qui vicino, ben nascosti.”
“ Dunque siete …”
“ Ebrei .. si. Ma non dirlo a nessuno!” sbottò la piccola come pentita della sua rivelazione. Io, per rassicurarla, le mostrai il ciondolo che avevo appeso al collo, la stella di David.
“ Oh .. quindi anche tu sei una di noi!” fece lei sorpresa, io annuii e poi mi alzai dalla mia posizione accovacciata:” Ci porteresti da loro per cortesia? Non abbiamo un posto dove andare …”
La piccola mostrò riluttanza nel voler mostrare la sua nuova casa a me e John, ma poi sembrò cambiare idea :” Va bene … seguitemi.” Volle prendere per mano il fratellino, ma John ne anticipò le mosse, prendendolo in braccio e cullandolo:” Tu con la cicatrice non resisteresti a lungo … lascia fare a me!” mi sussurrò piano. Sorrisi e mi misi dietro a Miriam, per seguirla.
 
Una sala puzzolente, illuminata male e afosa mi si presentò davanti agli occhi appena il carceriere aprì la porta del confessionale.
“ Siediti lì.” Mi tuonò, lasciandomi andare con uno strattone improvviso.
Presi posto su una sgangherata sedia comune in legno, le cui gambe scricchiolarono inquietantemente appena messo il sedere sopra. Davanti alla sedia stava un tavolo.
“ Aspetta qui.” La guardia chiuse rumorosamente la porta dietro di sé, facendomi sobbalzare, mentre un’altra dietro il tavolo si aprì, facendo entrare il mio interrogatore.
Era un uomo in frac, aveva baffi biondissimi e un viso grassoccio e lentigginoso. Gli occhi infossati e celesti erano solcati da due enormi sopracciglia pelose e bionde al pari dei baffi. In testa portava il copricapo da generale, su cui spiccava lo stemma nazista e l’aquila. Si sedette sulla sedia opposta alla mia, avvicinandosi rumorosamente.
“ Io sono Il generale Schodinger, capo dell’armata Est dell’esercito Nazista. Tu devi essere la nuova prigioniera … molto graziosa.” Si leccò i baffi in modo disgustoso. Stavo già avvertendo le sue luride intenzioni:” Eleonora Roberta Schubert, figlia del tenente colonnello Frank Schubert, e accusata di aver aiutato l’evasione della prigioniera 15674 dal suo campo di concentramento … tsk “ sputacchiò stizzoso:” E dire che sei davvero una graziosa fanciulla … e ti macchi di tale colpa? Ma smettiamola di fare gli eroi …” Si alzò dalla sedia, e iniziò a camminare intorno al tavolo, andando a far strisciare la sua mano contro la mia sedia. Io impassibile lo seguivo con gli occhi, anche se il cuore mi martellava pericolosamente in petto.
L’uomo si fermò di botto, e la sua mano scivolò viscida sulla mia spalla, ma troppo avanti per toccare solamente l’osso. Presentivo cosa volesse fare e me ne stavo come uno stoccafisso ad aspettare che agisse: “ E poi, sei una fanciulla in fiore … se morissi, gli uomini subirebbero una grande perdita, non trovi?” La mano grande e callosa di quel lurido verme scivolò più in fondo della spalla, e avvertii una disgustosa pressione sul mio seno sinistro.
“ Verme viscido!” pensai, fulminea.
Fui più veloce di lui; scansai la mano con rapidità,alzandomi di botto e scivolando a lato. La sedia cadde rumorosamente, mentre io  per l’impeto della mia azione sbattei la schiena al muro.
Lui mi guardò come sbalordito:” Hai gli artigli eh!” con uno scatto si fece vicino a me, ma mi abbassai tanto in fretta da evitarne le fauci, e sgattaiolai fuori dalla sua portata. L’ansia mi stava in qualche modo aiutando ad avere i riflessi più vividi e svegli, ma non potevo scappare all’infinito da quel mostro:” Cosa vuoi?” Gli chiesi fredda.
“ Oh …” fece lui, tornando stranamente a sedersi:” Vorrei solo chiederti qualcosina … e sono certo che non potrai rifiutare …”
“ In che senso?” tornai a sedermi, stando però sempre all’erta a ogni suo movimento.
“ Sappiamo che sul luogo in cui sei stata catturata, con te stava anche la prigioniera 15674 … non è così?” chiese lui, arcigno.
Restai in silenzio, di certo non avevo intenzione di dirgli ogni singola cosa,dovevo resistere. Lui continuava a fissarmi: “ Chi tace acconsente … e di sicuro sai dove si è cacciata. Dunque … ti propongo uno scambio equo; La libertà in cambio di un favore. Ti porteremo con noi nei luoghi di cattura degli Ebrei, e tu dovrai identificare la prigioniera. Accetti?”
A sentire quella richiesta mi si gelò il sangue. Meglio la prigione piuttosto che tradire la fiducia della mia migliore amica! Collaborare con loro? Piuttosto la morte.
E fu quello che gli dissi senza troppi giri di parole:” Scordatelo. Preferisco morire.”
“ Ah si?” Stavolta i miei riflessi non furono abbastanza veloci, perché potessero scansare le enormi mani che mi avvinghiarono il corpo con ferocia. Il suo tocco demoniaco sui seni mi fece salire le lacrime agli occhi.
“ Non vorrei ucciderti, ma se non accetti le condizioni, sappi che passerai cose ben peggiori …” Strinse la presa, soffocai l’urlo per non dargli la soddisfazione. Ma ormai stavo per crollare a terra.
“ Allora .. cosa decidi?” i suoi occhi mi fulminarono, e le mie lacrime vennero terse dalla sua viscida lingua. I conati si fecero strada in gola.
Non seppi dire altro che un “ Accetto” sommesso e a malincuore. E il pianto si prostrò in una forma disperata appena mi riportarono nella cella.

 
   
 
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