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Autore: The Theory    16/12/2011    5 recensioni
Questa è la mia primissima FanFiction sul pairing Ben/Gwen! Spero sia di vostro gradimento in quanto la mia esperienza relativa a questo cartone è poca...
La vita di Ben subì un poderoso cambiamento quattro anni prima, quando l'Omnitrix si spense. I sentimenti di Ben sono da allora un altalena confusa tra la voglia di recuperare la sua passata natura aliena e l' abbandonare l'impresa. Una corsa contro il tempo, una pericolosa storia d'amore ed un racconto dal sapore dolce di ciliegia, rivisto in chiave allo stesso modo comica e triste, che spero faccia sorridere sul primo grande amore e le follie che per esso si fanno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Perdonate l’estenuante attesa, ma ribadisco di avere davvero poco tempo per dedicarmi alla scrittura. Ponendo le mie più umili scuse, vi lascio alla lettura (spero piacevole) del nuovo capitolo de La Petite Cerise. Grazie mille a tutti coloro che mi seguono.
AVVISO: Ho tra l’altro una novità :D Ho riveduto e corretto maggior parte dei capitoli precedenti riscrivendo le parti non chiare e migliorando qualsiasi parte potesse risultare difficoltosa. Ecco un’altra motivazione del mio terribile ritardo >.< A presto!
 
Il cielo notturno di quella gelida nottata dicembrina era chiazzato da stelle fulgide. Osservandone la magnificenza, Lily Tennyson terminò di riporre le valige per il viaggio nel bagagliaio della propria automobile. Frank era andato a recuperare Gwen senza nemmeno prendersi la briga d’avvisarla, sparendosene com’era solito fare. Ma la donna sapeva che il loro volo non si sarebbe certo preso la premura d’aspettarli e così, aveva deciso che sarebbe stato meglio caricare la seconda automobile evitando in questo modo di perdere tempo prezioso aspettando il ritorno del marito. Chiusa la portiera, salì le scale della cantina e tornò al piano di sopra. Lily ripose il cappotto sospirando, come colta da una sospetta angoscia la cui natura l’inquietava.
 
Il silenzio invase l’automobile di Frank Tennyson. Gwen non aveva avuto il coraggio di sedersi accanto al padre, preferendo piuttosto rintanarsi nel sedile posteriore.
Frank non si preoccupò molto dello stato di salute della figlia. Gwen, dal canto suo, credé che il padre non se ne curasse letteralmente. E questo le fece abbassare il capo per il dispiacere, dispiacere nato dalla convinzione di non contare più nulla per nessuno.
Per tutto il viaggio non si dissero una sola parola. Gwen, per la prima volta, aveva paura.
 
Ben, pur non sapendo perché, continuava a sentirsi indosso una strana preoccupazione. Lo sguardo, o meglio quello sguardo cinereo che aveva visto macchiare il volto di suo zio l’inquietava. Sperava che tutto fosse filato liscio. Il ragazzo prese e strinse tra le dita il telefonino.
 
Frank e Gwen giunsero a destinazione sicché l’uomo fermò la macchina parcheggiando in prossimità del proprio giardino. Scendendo dalla vettura, non ancora una singola parola. Socchiusa la porta i due trovarono Lily ad aspettarli: Frank nemmeno badò al volto perturbato della moglie che, con un indefinito misto di apprensione e sospetto, osservava l’ingresso tacito dei familiari.
Il silenzio avvolse la stanza.
Il mormorio spedito delle lancette dell’orologio del salotto fece da unico sottofondo non riuscendo che ad aumentare spaventosamente l’ansia delle donne scandendo i minuti con il suo singolare, ligio ticchettare.
Chiusa la porta, Frank sospirò come infastidito. Dover interrogare Gwen sulle proprie malefatte l’indisponeva, non ne avrebbe avuto nessuna voglia.
Lily non si mosse, standosene dirimpetto al tavolo della cucina.
Gwen, sfiancata, non avrebbe desiderato altro che coricarsi. Così accennò un passo, al fine di salire le scale e quindi raggiungere la propria stanza da letto. Ma venne bloccata.
– Fermati, Gwendolyn.
Un gelido senso di terrore fece contrarre i muscoli della giovane che se ne rimase di spalle, trafitta da quell’improvviso rimbrotto dal suono tagliente. Mai suo padre – Gwen riconobbe – aveva usato un tono tanto agghiacciante con lei. Anche se dovette ammettere, seppur tra sé e sé, che da qualche anno a quella parte, ci parlava talmente poco da non aver sentito altre possibili varianti. La giovane rimase in silenzio, senza voltarsi.
– Che diavolo facevi da Ben? – chiese Frank con un filo di voce, terribilmente duro.
Gwen brusì: –  non sono tenuta a dare una risposta.
Frank rimase particolarmente indisposto da una risposta del genere. Incrociò allora le braccia.
– Ti aspetti che te la faccia passare liscia? Cerca di rammentare molto bene che in questa casa comando ancora io e che tu hai l’obbligo tassativo di dirmi quando esci, con chi sei, dove vai. Dimmi perché sei andata da Ben.
La figlia ripeté:– non sono tenuta a dare una risposta.
Il padre inarcò pericolosamente un sopracciglio ed, avvicinandosi, la prese per un braccio, avvertendo sorgere un’ira improvvisa: – Ti rimembro che io sono responsabile di te. Ne sei dunque sollecitata caldamente.
La giovane aguzzò lo sguardo: – non è da te che desidero essere sollecitata né è da te che desidero una qualsivoglia protezione genitoriale, grazie.
Il tono irriverente e arrotato della sua voce trafisse l’atmosfera, ormai pesante come un macigno.
L’uomo, distrutto dalla stanchezza del lavoro e spossato, non poté credere a quanto stesse uscendo dalla bocca della figlia. La rabbia saliva. Frank strinse minacciosamente la presa calcando violentemente sui polsi:- Non rivolgerti con un tono del genere a tuo padre, mi hai capito?!
L’uomo fissò la figlia con una di quelle occhiate che nessuno mai vorrebbe sentirsi puntate indosso: uno sguardo collerico schizzato d’ira, sufficientemente gelida da metter paura folle. Tanta sfacciataggine gli fece quasi dimenticare l’immenso amore che provava per Gwen.
Lily tremò nel captare improvvisamente il lampo furioso che attraversò gli occhi del marito. Sapeva bene che non vi sarebbe stato modo di placare quello che si preannunciava come un selvaggio sfogo di rabbia. Per questo pregò che Gwen smettesse di parlare.
– Non permetterti – sibilò Frank la cui stizza pareva star aumentandosi a dismisura. Frank la prese per la camicetta guardandola dritto negl’occhi: –  non ti azzardare, Gwendolyn!
Gwen scostò il capo: –  non varrebbe la pena d’ascoltare un tuo solo lamento. E credi…a questo punto…non ho più vincoli – rispose non benché minimamente intimorita. La rabbia di anni stava lottando per poter aver libero sfogo. Ma la ragazza si contenne, limitandosi ad una parlata schietta, osando appena quel tono insolente. Se avesse potuto, l’avrebbe ammazzato. In quel momento però il suo stato fisico non l’aiutava, facendole avvertire di tanto in tanto poderose fitte di dolore. Ma volle procedere. Quello che non sapeva era di star aizzando una fiamma pericolosa.
– Non sai quello che dici, Gwendolyn – sibilò Frank stringendo i pugni.
– Credo tu abbia confuso me con te – ribatté Gwen.
– E non è stata una buona scelta – aggiunse scansandosi con uno strattone e dirigendosi verso le scale.
Lily rabbrividì. Poi abbassò il capo, contraendo le palpebre più che poté. Maledì l’ostinazione di Gwen perseguendo a pregare febbrilmente tra sé. Intuiva come sarebbe finita. Lo sapeva. E capitò di fatto quanto aveva previsto seppur tanto avesse supplicato non accadesse.
Frank prese Gwen per il colletto tanto fortemente da voltarla: –  tu sei una Tennyson! Non puoi fare in casa mia quel che ti pare! Qui comando io, è chiaro?!?
– Non vedo la necessità di un rimprovero visto che non ho fatto nulla di male né ho disobbedito – rimandò Gwen.
– Non osare prenderti gioco di me Gwendolyn – sbottò Frank – rammenta che i rimproveri servono a portare gli idioti sulla retta via! – berciò dunque aizzato a tal punto da non riuscir più a controllarsi. Non seppe bene per quale motivo stesse ora tanto inveendo contro la sua adorata figliola. In quell’istante fu abbagliato dalla furia.
Frank continuava ad alzare il tono di voce con una progressione mostruosa:– Ficcati bene in testa che un Tennyson non commette errori! Un Tennyson non disobbedisce! Un Tennyson, per il nome che porta…
– Mi chiedo a cosa mai serva essere una Tennyson… – l’interruppe Gwen seccata.
In quel momento fu colpito mortalmente l’orgoglio del padre che si rimboccò la manica destra alzando il braccio tanto in alto da andar a confondersi – agli occhi di Gwen – con la luce abbagliante del lampadario che irradiava la stanza.
–  Serve a non essere bestiame come tutti gli altri!
Gwen venne scagliata a terra da un pugno esageratamente forte. Nello scivolare sbatté la schiena sul tavolino del salotto capitolando pericolosamente supina.
Lily non alzò nemmeno il capo. In quell’istante temeva. Pativa. Soffriva per la figlia in maniera immane come se venisse percossa in prima persona. Ma non poteva muoversi. Non doveva se voleva restare viva.
Asciugandosi la bocca sporca di sangue al lato sinistro, Gwen sollevò il capo e mormorò: – non sai far altro che usare la violenza…
– Sta zitta! Impara a sottostare a chi di te sa di più! – urlò suo padre piantandole indosso certi occhi di fiera e bloccandole il collo con le mani.
La ragazza non parlò. In cuor suo sapeva che non avrebbe vinto. Stava soffocando, le mancava il fiato. Ma doveva resistere. Doveva.
Frank non provò nemmeno a placarsi. Sentì in corpo un tal inasprimento da voler urlare dalla collera. E fu così che stringendo i pugni afferrò il colletto della figlia scuotendola pericolosamente:.–  Che ne sai tu della vita?! Sei solo una maledetta mocciosa di sedici anni che pretende di sapere quello che prova un genitore!
Gwen, ad un tratto, si rese conto di non star facendocela più. Abbandonò il capo all’indietro, privata  d’ogni qualsivoglia forma di reazione. Non avrebbe mai potuto affrontare un’ennesima lite in quello stato che altro non era se pietoso.
– Perché sei uscita a quest’ora?! Lo sai che non ti è concesso! E tra l’altro sei andata da Ben! Perché proprio da Ben?!
Gwen non avrebbe potuto rispondere. Dentro sé stava urlando quel nome maledetto che le martellava in capo da quella mattina, implorandolo d’intervenire, mentre veniva strattonata e sfigurata a forza di schiaffi dalle mani di colui stesso che l’aveva plasmata sedici anni or erano.
Gwen, estraendo dal proprio corpo le ultime forze, sibilò: – non mi hai mai proibito di andare da Ben…
– Proibisco gitarelle notturne! – rimandò gridando il padre furibondo – proibisco lo scempio!
Gwen improvvisamente capì. Con l’orrore saturo di chi realizza qualcosa di tremendo. La rabbia anestetizzò l’agonia. Alzò un braccio e, pur la vista le si stesse annebbiando, afferrò il colletto del padre con una violenza spaventosa.
Nel frangente di terreo silenzio venuto a crearsi mormorò con voce glaciale :– di cos’hai paura, Frank…?
Gli occhi del padre s’ingigantirono. “Frank”. Non più il canonico “papà”. Quel nome rimase ad aleggiare nell’indigeribile atmosfera generatasi, finché la ragazza non portò avanti il proprio intento.
– Di cos’hai paura?! – gridò Gwen schiaffeggiando all’improvviso il volto del padre.
Lily, ammutolita e dal viso spaventato a morte , si coprì gli occhi con le mani gelide che fino a quel momento aveva portato alla bocca con il terrore di uno spettatore che desidererebbe esser cieco. A quel punto non ebbe la forza di guardare. E sapeva bene il perché.
La fiamma che Gwen aveva istigato con tanta protervia divenne un rogo.
Frank strinse tra le mani il collo di Gwen con tutta la forza che aveva in corpo.
– Come osi?! Come osi, sgualdrina?!
Frank percosse Gwen sino a toglierle il fiato, strattonandola.
– Basta Frank, basta per l’amor di Iddio! – supplicò Lily inginocchiandosi ai piedi del marito che ancora picchiava con violenza atroce il corpo della figlia. Oramai aveva perso completamente il criterio, accecato da quell’ira deterrente.
L’uomo lasciò andare il collo della ragazza scansando la moglie con uno strattone.
Frank rimase in piedi respirando affannosamente, a pochi passi dal corpo sfibrato di Gwendolyn che giaceva a terra a capo rivolto. Respirava affannosamente, consumato da quell’eruzione di collera sovrumana.
– Non ti basta vero…? Non ti è bastato… – sussurrò Gwen dopo pochi secondi. Non era soddisfatta. Voleva morire per mano di quel padre che sembrava non amarla per poter poi urlare che finalmente era colpa sua. Avendo finalmente delle prove.
– Cosa…? – sibilò Frank.
Gwen abbandonò ora il capo lateralmente : – cos’avete entrambi…? Da quando è stata data notizia di questo Natale a due non fate…che ricamare sconce supposizioni attorno ad un ipotetico…orrore… 
Gwen prese fiato.
– Proprio come fossi una puttana.
Calò il silenzio più indigesto che si potesse.
Lily trattenne il respiro.
Frank assottigliò lo sguardo ansando rabbiosamente.
– Sembra desideriate…con tutto il cuore…questa maledizione…
– Disonorerò il nome che porto, se è questo che volete.
– Ma non mi si venga poi a dire che sono una sgualdrina se eseguo gli ordini che mi date tramite subdoli lavaggi di cervello quotidiani...denigrando questo nome infangato da una collezione indistinta di membri pietosi.
Gli occhi di Frank s’accesero nuovamente. E Lily se ne accorse.
La donna, pianse: – smettila Gwen…! Smettila ti prego!
– Sparisci dalla mia vista – mormorò Frank.
– Mi hai ridotta a brandelli…non ne ho facoltà – sussurrò Gwen tanto freddamente da spaventare la madre che la fissava con occhi di immensa pietà.
– Come i peggior zotici lasciano i rifiuti al lato delle strade…tu lasci me nelle mani di un destino che hai creato tu solo…in nome di un appellativo sudicio di false apparenze…Tennyson? Sputatemi addosso, di prego…finché non mi venga estirpato di dosso.
Frank calciò il corpo di Gwen ripetutamente ricominciando ad urlare fuori di sè: – Taci! Non osare un tale affronto!
L’uomo, accecato dalla rabbia, rovesciò con le braccia il tavolo mandando in frantumi l’intero corredo di piatti e bicchieri che vi erano adagiati. Senza fermarsi rovesciò le sedie, con uno sguardo assatanato. Gwen, che aveva ripreso a respirare sentì il cuore fermarsi, come bloccato all’improvviso. Frank urlò ripetutamente: – Sta zitta! – e, prendendo alcuni dei grossi frantumi dei piatti fece loro colpire con violenza il corpo della ragazza, emettendo un rumore sordo e scivolando a terra infrangendosi brutalmente per una seconda volta.
– Basta! Basta Frank! Basta in grazia del Cielo! – supplicò Lily ora piangendo.
– Zitta! – la mise a tacere Frank con un ennesimo strattone.
– Bada! Bada a quel che fai, Gwendolyn! – minacciò poi gridando.
Frank la sollevò per il colletto portandola sulle gambe. Nel silenzio più tombale sibilò:- ricorda...
– …come ti ho insegnato a camminare…
– … posso anche fare in modo che tu non ci riesca più.
E detto questo spinse all’indietro il corpo della ragazza che, cadendo, precipitò malamente in terra.
Lily pregò Iddio tanto che egli parve illuminarla d’improvviso. Seppe, come miracolata, che fare. Prese il cappotto con un gesto fulmineo e trascinò il marito fuori dalla porta: – il volo, Frank! Il volo!
L’uomo continuò ad urlare ma ella, tanto spinse, che riuscì a trarlo all’esterno, diretta verso la macchina che aveva caricato poco prima in previsione della partenza notturna. Non riuscì nemmeno a chiudere il portone di casa tant’era la foga. Nell’andarsene sussurrò tra le lacrime: – Gwen…!
– Mamma…! Non andare…!
Gwen tese la mano alzandosi per quanto poté.
Lily abbassò il capo tra i colpi di Frank.
–...ti picchierà…! Non andare! – implorò Gwen.
– Va a letto Gwen…– mormorò Lily mordendosi il labbro inferiore combattendo per trattenere nuove lacrime.
Sua madre scomparve di fretta inghiottita dal buio gelido di quella notte.
Silenzio.
Il peggiore che Gwen avesse mai udito.
Cadde sulle ginocchia. Sentì la macchina partire con un rombo di motore. Poi il silenzio. Ed il freddo diaccio dell’inverno che entrava violentemente dalla grande porta aperta.
Gwen era sola. Pesta. Ben non c’era.
Il buio della notte avvolse la stanza tra le sue dita subdole. Gwen chiuse gli occhi, sedutasi a capo chino sui talloni. Strinse le palpebre mordendosi il labbro. Ma non riuscì più a contenersi.
Urlò con tutto il fiato che le restava. Urlò tanto da sentir di non poter più continuare, urlò con lo strazio dilaniato che le imprimeva indosso tutto quel dolore . Ma si sforzò finché, sfibrata non scoppiò a piangere nella solitudine straziata di quel che era stato un letterale campo di sterminio.
 
 Ben era rimasto solo, sazio della pastasciutta appena mangiata, appagato dal calore della stufa ma incredibilmente agitato. Sedutosi sul divano, infilò le pantofole. Si chiese come mai si sentisse tanto preoccupato; si scoprì a fissare il cellulare che aveva abbandonato in prossimità della propria coscia destra.
– Maledizione…– borbottò sviando lo sguardo.
Il giovane si portò le mani al volto abbandonando dolcemente il capo all’indietro. Chiuse gli occhi per un istante strofinandosi le palpebre lentamente. Stremato dalla stanchezza, sbirciando da uno spiraglio tra le dita, diede un’occhiata sfuggente all’orologio.
Accese il televisore prendendo tra le mani il telecomando lasciato in un cantuccio,accoccolandosi tra i cuscini.
Lanciò un secondo sguardo al cellulare.
– Per la miseria, Ben! – si rimproverò raccogliendo il capo tra le braccia – ti stai comportando come una ragazzina!
Con uno sguardo contrito abbassò lievemente il gomito destro:-…
– Maledetta… – brontolò.
 
Gwen, accasciata a terra, non ebbe la forza di muoversi. Si limitò ad adagiare il capo al pavimento e rimanersene lì, come morente, senza nemmeno chiudere la porta, dalla quale peraltro entrava un freddo immane. In quel momento era totalmente sprovvista di energie. Respirava lentamente, come ogni singolo sospiro fosse l’ultimo. Non era in grado nemmeno di riflettere.
Socchiuse gli occhi osservando la mano accasciata accanto al viso. Un alone violaceo cominciava a cerchiarle i polsi, evolvendo pian piano.
Gwen sospirò.
Improvvisamente udì il cellulare vibrare.
Senza alzarsi provò ad estrarre il telefono dalla tasca dei jeans. Ma prima che ci riuscisse, ostacolata dal dolore, la chiamata terminò.
Gwen allora abbandonò la mano a terra.
“Sgualdrina”. Solo quella parola ora le martoriava il cervello, oltre che un ennesimo e selvaggio mal di testa.
Se l’era detto da sola, certo. Ma era stato come se fossero state parole di suo padre. Aveva dato la propria infanzia per quell’uomo. Aveva adempito ad ogni dovere, studiato fino allo sfinimento, ottenuto i migliori risultati in ogni campo. Per una ricompensa pari ad un borbottio stanco:- non potevi fare meglio? – ogni santa volta. Ma ora basta.
Sentì il telefonino vibrare di nuovo. Imprecando tra sé alzò nuovamente la mano.
Lo sguardo appannato divenne nitido quando lesse il nome sullo schermo.
 
Il torpore bigio della notte aveva avvolto le membra di Lily Tennyson che ora sonnecchiava
adagiata al sedile dell’automobile al fianco di suo marito. Non aveva riflettuto sulla pericolosità di quel gesto, aveva solo pensato a quanto naturale avesse dovuto essere. Avesse, appunto. Eppure ora lasciava il capo ciondoloni permettendo alla luce dei lampioni autostradali di creare fastidiosi seppur maestosi giochi di luce aldilà delle sue palpebre. La preoccupava solo il fatto di aver lasciato Gwen da sola. Eppure non vi era via alternativa. Doveva salvare sua figlia da quell’uomo che s’incattiviva sempre di più. Sperava soltanto di poter essere ella stessa a placare la ferocia di quello che malgrado tutto era suo marito. Se solo Gwen avesse saputo, probabilmente non avrebbe mai approvato. Ma per quella figlia, avrebbe venduto l’anima. E dato tutto quanto possedesse.
 
Gwen portò il cellulare all’orecchio, ma non parlò.
– Gwen…?
– Che c’è, Ben…
Vi fu un attimo di silenzio.
– Telefono per sapere se va tutto bene…
Gwen tacque osservandosi i polsi. Fu allora che decise.
– … Gwen?
– Non ti preoccupare, Ben.
– Mi chiedevo…hai avuto problemi con tuo padre? L’ho visto così strano…
– No.
Gwen poggiò la guancia al pavimento ancora una volta.
– Gwen…
– Che vuoi…
– Non mentirmi.
La ragazza rimase muta.
– Hai avuto problemi con tuo padre? – ripeté il ragazzo – Ero maledettamente in pensiero.
Gwen sentì un tumulto al cuore.
– No. È solo che la febbre…è salita.
– Allora chiudo. Non voglio che ti affatichi per colpa mia, cugina.
Gwen si accorse che una scheggia di ceramica, sicuramente un rimasuglio di uno dei piatti, giaceva poco lontano. Il chiarore lunare ne rifletté il volto sulla superficie lucida. La ragazza notò un taglio laterale sotto il collo violaceo.
– Ben… va tutto bene. Anzi, sto bene.
– A domani cugina…
– A domani…
Gwen sussurrò: – …Ben.
– … ti voglio…
Ma la chiamata era già finita.
La ragazza lasciò scivolare a terra il telefonino.
 
Continua!
   
 
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