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Autore: Kitsune Blake    18/12/2011    5 recensioni
Momenti di vita quotidiana.
Questo è il filo conduttore della raccolta, che tratterà degli argomenti più vari della vita del principe dei saiyan sulla Terra. Spero che le storie siano di vostro gradimento! ^^
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Bulma, Trunks, Un po' tutti, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prima one-shot inedita della raccolta! ^^

 
Genere:
Dark, Introspettivo, Slice of Life
Avvertimenti
: One-shot, Missing Moments, What if?
Rating: Giallo
Introduzione: Altra strana one-shot improvvisata. Questa volta l’ispirazione mi è stata data da un episodio di Dragon Ball Z, che avrete modo di riconoscere leggendo la storiella. Mi permetto di includere qui un avvertimento “what if”, supponendo che il luogo in cui si svolge questa storia sia facilmente raggiungibile in un paio di giorni di viaggio. In realtà ciò su cui volevo soffermarmi è proprio l’aspetto introspettivo dell’intera one-shot, spero quindi che perdonerete la piccola libertà che mi sono presa. Buona lettura! ^^

 

Ricordi d’infanzia

 

Il rumore sordo dei loro passi echeggiava nell’edificio abbandonato in modo sinistro. Erano soli, completamente soli, non un’anima viva abitava quel luogo lasciato completamente a se stesso. Di tanto in tanto, il loro passaggio causava il distacco di qualche pezzo di muratura, troppo fragile persino per reggere alle vibrazioni di un respiro.

Il buio era pressoché totale, tanto che gli occhi del bambino non riuscivano a distinguere il vero aspetto di quello strano dedalo. Ma l’aria era pesante, asfissiante. Era evidente che quel luogo non era frequentato da diverso tempo. I corridoi si susseguivano, uno dietro all’altro, l’uno uguale all’altro. Alcuni più intatti di altri, che invece presentavano crepe profonde, echi di passate battaglie.

Le domande, sulle labbra del bimbo, erano davvero tante, ma lui non osava proferire parola. Seguiva le spalle davanti a lui, la schiena della tetra figura che si muoveva senza alcuna incertezza in quell’edificio dimenticato. Gli occhi azzurri cercavano sicurezza, comprensione in quell’oscurità, in quella paura. Era una sensazione nuova: quel bambino di sicurezza ne aveva sempre avuta tanta, forse anche troppa. Così come l’uomo a pochi passi da lui.

Una nicchia di ricordi ormai dimenticati. Ecco cos’era quell’edificio. Eppure il principe non poteva negare a nessuno, nemmeno a se stesso, che quei corridoi erano quanto di più familiare lui potesse conoscere.

Non si curò dell’aspetto delle pareti, erano passati diversi anni dall’ultima volta che aveva messo piede su quel pianeta. A braccia conserte, Vegeta percorreva quei corridoi come se li avesse lasciati solo il giorno prima. Poteva sentire ancora, in una zona imprecisata della mente, la voce femminea e melliflua del suo vecchio tutore.

Pensare a quel verme mandò una scarica di rabbia e adrenalina nelle vene del saiyan. Strinse i pugni, soffocando un ringhio nato dal più profondo del suo animo, dalle radici più innate del suo essere. Non avrebbe mai dimenticato l’umiliazione di una vita da schiavo, piegato contro il suo volere da un essere di cui fin dalla nascita aveva desiderato la morte.

Tuttavia Vegeta non poté negare che, in un certo senso, sotto Freezer aveva potuto dar sfogo, se non ai suoi desideri più profondi, almeno alla sua vera personalità. Lui era e restava dopotutto il principe dei saiyan. Sangue, morte, terrore e disperazione lo avevano sempre accompagnato. Avrebbero dovuto farlo per sempre, così com’era scritto nelle sue stesse radici. Ma ora…

“Papà…”

La voce di Trunks, che lo seguiva in silenzio, ruppe il filo dei suoi pensieri. Lo aveva dimenticato, il motivo per cui era lì. Sorrise impercettibilmente, senza riuscire a nascondere una certa amarezza, lascito dello scherzo che gli aveva appena giocato la sua mente.

“Siamo arrivati” disse, fermandosi al centro di una sala a forma di cupola. A differenza dei corridoi, era illuminata dalla luce fioca delle stelle che filtrava attraverso dei buchi più o meno estesi sul soffitto.

Suo figlio era sempre più sorpreso. “Perché siamo qui?” chiese allora il bambino, dando voce a una delle innumerevoli domande che lo tormentavano. Notò delle macchie scure su alcune delle macerie, come se un liquido vischioso vi fosse rimasto impregnato in modo indelebile per lungo tempo. Ebbe un brivido, e non poté fare a meno di pensare che fosse sangue.

Vegeta sbuffò divertito, poi si fermò al centro della stanza e si voltò a guardarlo.

“Ti avevo promesso che se mi avessi colpito sul viso saremmo andati al parco giochi, giusto?”

Trunks annuì, ma in realtà non aveva capito nulla. Non aveva senso ciò che gli aveva appena detto suo padre. Si ricordava della promessa, ma non capiva per quale motivo avessero utilizzato la navetta della Gravity Room per andare nello spazio, in quella che Vegeta aveva definito una “gita di quattro o cinque giorni in vista del Torneo Mondiale”. Tuttavia non osò contraddirlo, perché ora una luce di sfida brillava dietro gli occhi infiniti del genitore.

“Bene, qui è dove giocavo io quando avevo la tua età, più o meno” riprese il principe con un sorriso poco rassicurante, molto simile a quello che precedeva un sano combattimento. “Vogliamo cominciare?”
   
 
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