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Autore: ornylumi    19/12/2011    6 recensioni
Voldemort e Bellatrix: il ricordo di una notte come tante, fatta di passione e sfruttamento, che porta con sé piccoli segni di debolezza e di inconfessata fiducia.
Direttamente dal contest "Amore...Tabù" di Just a Muggle, dove si è classificata prima - stento ancora a crederci! - un tentativo di raccontare l'amore senza mai nominarlo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Senza far rumore

 

Era una notte fredda, senza luna, terribilmente buia persino per me, che nell’oscurità vivo e agisco abitualmente. Sentivo il vento sbattere sulle imposte e penetrare con violenza tra i cardini, mentre rabbrividivo sotto le coperte gelide. Fu così che mi svegliai, dopo solo pochi minuti da quando mi ero assopita, con la vaga idea che ci fosse qualcosa di strano, un particolare diverso da tutte le altre notti.

Respiravo piano, e mi accorgevo di non essere la sola. Dentro di me iniziavo a intuire cosa fosse successo, ma non avevo il coraggio di girare la testa sul cuscino per accertarmene. Avevo paura di sbagliarmi, o che fosse ancora uno stupido sogno, e non osavo muovere un muscolo nel timore di infrangerlo.

Eppure, il respiro continuava, ed io ero assolutamente sveglia. Mi voltai più piano che potessi, con la speranza che il fruscio del mio corpo sulle lenzuola non mi tradisse. Solo allora ebbi la conferma di ciò che credevo, e speravo.

Lui era lì, vicino a me. Si era addormentato, forse nello stesso momento in cui l’avevo fatto io, senza avere il tempo di alzarsi e lasciarmi sola. Prima ancora che se ne accorgesse, la stanchezza l’aveva vinto; proprio lui, il mio Signore, che non accettava sconfitte da nessuno, era stato tradito da se stesso. Sorrisi nel buio, mentre gli occhi pian piano si abituavano alla penombra e iniziavano a scorgere la sua figura, così diversa da come ero abituata a conoscerla.

Mi avvicinai di più, e meno lentamente, con un desiderio che s’impossessava di me e che non riuscivo a frenare. Non avevo mai visto i suoi occhi chiusi, quelle iridi rosse e temute dal mondo nascoste dalle palpebre, e soprattutto non era mai stato rilassato in mia presenza, né in quella di nessuno. A volte, credevo persino che non avesse bisogno di dormire, che la sua magia e il suo potere gli permettessero di non essere mai stanco; ma in quel momento mi accorsi di quanto fosse, profondamente e inesorabilmente, un uomo.

Non l’avrebbe mai ammesso; lui era di più, molto più di un semplice uomo, come ripeteva molte volte. Detestava qualsiasi tipo di debolezza e mi aveva insegnato a fare lo stesso, ad essere la più forte e temuta, a non avere cedimenti. Eppure, nonostante l’immensa voglia di ubbidirgli, l’avevo deluso. La ragione che stava dietro alle mie azioni si era rivelata molto presto, e per quanto avessi cercato di mentire erano stati i miei occhi a raccontargli la verità. Il disprezzo che mi aveva mostrato era stato come una pugnalata al petto, e avevo temuto, per un terribile attimo, che non mi avrebbe concesso di diventare una Mangiamorte… ma poi, per ragioni che ancora non riesco a comprendere, aveva lasciato correre. Forse erano state le mie abilità magiche a convincerlo, la sicurezza e la spietatezza con cui affrontavo nemici e traditori, ma in qualche modo si era rassegnato alla mia unica mancanza. Da allora ero diventata la sua donna, oltre che serva; solo quando voleva lui, come voleva lui, in un’altalena di attenzioni e crudeltà che mi faceva impazzire. Nei momenti peggiori, quando capivo che sarebbe stato così sempre e non riuscivo a sopportarlo, mi dicevo che era tutta colpa mia: l’avevo cercato, voluto e quasi preteso come insegnante di Arti Oscure quando ero solo una ragazzina. Ma allora ero sfrontata, folle, non avevo minimamente la riverenza che ho adesso nei suoi confronti e non sapevo a che cosa andavo incontro. Eppure non me ne sono pentita, mai; bastava che tornasse da me, che approvasse anche con un cenno ciò che facevo per lui, e gli sciocchi pensieri che mi avevano perseguitata svanivano del tutto.

Ci aveva comunque provato, a lungo, a liberarmi da quel piccolo difetto: faceva leva sulle mie mancanze, come su quelle di tutti, per spingermi al massimo delle forze e superare i miei limiti. Anche nei momenti più intimi tra noi, quelli di cui nessun altro era a conoscenza, mi chiedeva di non perdere il controllo, di non allontanarmi troppo dalle armi e persino di compiere incantesimi, proprio quando la magia era lontanissima dalla mia mente. Erano state le prove più difficili; avrei voluto abbandonarmi a lui, lasciarmi sconvolgere da quelle ambigue carezze, e invece ero costretta a mostrarmi più forte di quanto fossi realmente. Qualche volta non ci riuscivo, ma raramente si arrabbiava davvero. Sembrava quasi divertito, come se per lui fosse un gioco nel quale non avevo speranza di vincere.

L’avere sempre un’arma a portata di mano era un’altra delle sue ossessioni. Non si allontanava mai dalla bacchetta e diceva a tutti noi di fare lo stesso, di non fidarci totalmente neppure delle persone più vicine. E ripensando a questo fatto, mentre ero ferma a guardarlo già da svariati minuti, mi chiesi dove fosse la sua. Se ne stava tranquillamente poggiata sul comodino, come un innocuo bastoncino di legno, e in quel momento sentii uno strano calore invadermi tutto il corpo. Si fidava di me… il mio Signore, che non credeva fino in fondo a nessuno, mi aveva dimostrato una fiducia impagabile con quel semplice gesto, forse del tutto inconsapevole. Avrei potuto afferrarla, minacciarlo, persino fargli del male… se solo non fossi stata io, con tutta quella debolezza che tanto sperava di cancellare. Se solo lui non fosse stato la ragione di ogni cosa, del mio essere imprigionata per quattordici anni e poi libera, di ogni mio gesto e pensiero come della mia stessa vita. E tutto questo lui lo sapeva, da sempre.

Restai a guardarlo ancora, avrei voluto farlo per tutta la notte, approfittando di un’occasione che non mi sarebbe capitata mai più. Non osavo toccarlo, per quanto ardessi dal desiderio di farlo, ma ascoltavo il suo respiro tentando di imprimerlo nella mente. Intravedevo le sue labbra e morivo dalla voglia di sfiorarle, per le poche volte in cui me lo concedeva, perché in quel momento non avrebbe potuto impedirlo… ma mi avvicinai solo di poco, quanto bastava per sentire il suo odore che normalmente andava via dal letto dopo brevissimo tempo. Chi mai mi avrebbe immaginata in quello stato, persa e avida di ogni piccola cosa di lui, quando agli occhi del mondo ero solo una violenta assassina? Nessuno, perché a nessun altro avrei concesso quella parte di me. La mia debolezza era accessibile solo a chi ne era la causa.

Poi, d’un tratto, accadde qualcosa. Il mio Signore fece uno scatto improvviso e istintivamente sobbalzai, temendo il peggio. Presto, capii che si era trattato solo di un movimento involontario, ma bastò a farmi rendere conto del rischio che correvo. Se si fosse svegliato, trovandomi accanto a lui e realizzando cos’era successo, si sarebbe arrabbiato davvero; con se stesso, per aver ceduto a un attimo di stanchezza, e con me per aver osato tanto, approfittando di una vicinanza troppo intima che normalmente non mi avrebbe mai concesso. E fu allora, immaginando la sua reazione, che ebbi davvero paura.

Era convinto che non avessi mai paura di lui, me l’aveva ripetuto molte volte e non riusciva a spiegarselo. Perché non mi vedeva tremare in sua presenza, nemmeno quando mostrava chiaramente ciò di cui era capace, e perché eseguivo ogni suo ordine senza mai protestare o implorare. Ma la mia paura esisteva, e aveva altre radici; non temevo le punizioni con la magia, per quanto potessero far male erano solo la giusta conseguenza dei miei errori, ed ero pronta a sopportarle. Ciò che davvero mi atterriva era la possibilità del suo abbandono.

Sapeva ferirmi in un modo diverso, riservato solo a me. Mi conosceva abbastanza da sapere che niente mi faceva più male della sua lontananza, e dell’idea di averlo deluso. I giorni in cui mi lasciava sola erano i peggiori, quasi più dell’inferno di Azkaban; me ne restavo per ore chiusa in una stanza a chiedermi come avessi fatto a sbagliare, a meditare vendetta e a escogitare il modo di riavere la sua stima. Quando finalmente me ne dava l’occasione, la mia rabbia esplodeva con forza inaudita e per le vittime non c’era scampo, tanta era la voglia di riscattarmi. Solo allora, finalmente, si mostrava soddisfatto. Ma per il resto, quell’intimità che mi concedeva così poco e a cui anelavo con tutta me stessa, occorreva altro, troppo tempo.

Lentamente, sempre cercando di essere più silenziosa possibile, mi allontanai dal letto e recuperai la veste nera, combattendo contro la mia stessa volontà. Stava vincendo la paura, l’idea che un giorno o l’altro quell’abbandono sarebbe diventato totale, se si fosse reso conto che il rapporto con me lo rendeva troppo umano… troppo debole. Ma era davvero solo quello?, mi chiesi, mentre mi rivestivo. E seppi che c’era dell’altro, qualcosa di più forte della paura stessa, che mi costringeva a lasciare quella stanza.

Era il mio desiderio più grande, quello di fare il suo volere. Non una costrizione che mi ero imposta, non un semplice atto d’abitudine e servilismo… io volevo ciò che lui voleva, anche quando contrastava con i miei desideri più profondi. Perché il suo appagamento veniva prima del mio, perché lui era immensamente più importante di me, e non avrei osato contraddirlo con i miei sciocchi capricci. Quella notte desiderava restare solo, lo sapevo senza bisogno che me lo dicesse, e non sarei stata io a impedirglielo.

Mi fermai per l’ultima volta a guardarlo, prima di andare via, e sussurrai tra me e me quella frase che non gli avrei detto mai. Tornai a sorridere e a stare bene, pensando che la mia silenziosa presenza non l’avrebbe mai lasciato, pur rispettando le sue scelte e il suo essere. Infine mi voltai, e uscii da quella porta nello stesso modo in cui ero entrata nella sua vita: in punta di piedi, senza far rumore.

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Ecco il giudizio ottenuto, di cui vado fiera come poche volte :) Un grazie alla giudicia, di nuovo!

Grammatica e punteggiatura: 9.7/10
Stile e lessico: 9.6/10
Originalità: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
Uso del prompt: 5/5
Gradimento personale: 10/10
Tot: 54.3/55

Beh, wow, onore al merito.
Non c’è che dire, l’ultima a consegnare e hai stravolto la classifica che si era formata piazzandoti quassù.
Complimenti davvero.
Ti spiego al volo le piccolissime imprecisioni che ho trovato così poi posso commentare liberamente la storia.
Innanzitutto per quanto riguarda la grammatica c’è soltanto un tempo verbale che non mi convince. Tu hai scritto: “Ma era davvero solo quello?” riportando direttamente i pensieri di Bellatrix. Allora se li avessi riportati in modo indiretto del tipo: Bellatrix si chiese se era davvero solo quello, sarebbe andato bene, ma riportandoli come hai fatto tu avresti dovuto utilizzare il presente.
Ottimo lo stile; mi hai fatta trattenere il respiro per tutta la storia, è coinvolgente e non troppo pesante.
Devo farti due microscopici appunti.
Primo; “Anche nei momenti più intimi tra noi, quelli di cui nessun altro è a conoscenza, mi chiedeva di non perdere il controllo, di non allontanarmi troppo dalle armi e persino di compiere…” qui avresti dovuto dire : “quelli di cui nessun altro era a conoscenza”, visto che dopo riprendi a parlare al passato. (-0.20)
Non te l’ho segnalato nella grammatica dato che potrebbe avere un’altra interpretazione che forse è quella che gli hai dato tu, ovvero parlare di quei momenti come qualcosa che si ripete ancora nel presente.
Nonostante ciò non mi convince pienamente visto che dopo riporti frasi del genere all’imperfetto.
Il secondo, invece, è un piccolo appunto sull’uso dei puntini di sospensione. Hai alternato nel testo frasi in cui li facevi seguire dalla maiuscola e frasi in cui li facevi seguire dalla minuscola.
Diciamo che entrambe le forme sono accettate, ma in una storia sarebbe preferibile sceglierne una soltanto. Lo so, sono estremamente pignola, ma è un argomento delicato che ognuno interpreta a modo suo. (-0.20)
Detto ciò passiamo ai tuoi punteggi pieni.
L’originalità non penso che sia nemmeno da commentare.
Non avrei mai pensato a questo lato di Voldemort, o almeno non in questi termini.
Non avrei mai pensato a lui che non si allontana dalla bacchetta in nessuna situazione e che poi viene vinto da una cosa tanto umana quale il sonno.
Eppure dopo aver letto la tua storia, non riesco ad immaginarlo in modo diverso.
Un altro punto forte è sicuramente la caratterizzazione un po’ anche per ciò che ti ho detto prima.
Hai osato a descrivere questo lato dei “cattivi” per eccellenza, ma l’hai fatto in modo impeccabile.
Ho amato la tua versione di Bellatrix in modo viscerale, i suoi pensieri e le sue paure la rendono allo stesso tempo umana e terribile.
Con questo ci ricolleghiamo al prompt, usato in modo sottile, ma impeccabile e al gradimento personale che non poteva essere altrimenti.
Brava, brava davvero.
Questa storia merita secondo me e hai fatto senz’altro un ottimo lavoro, senza scegliere temi già trattati, senza cadere nel banale e dando a tutto quell’ombra di mistero, amore e cattiveria.
Complimenti, e alla prossima, spero.

   
 
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