Titolo: ~ And
Sadness Will
Sear
Autore: Iria
Fandom:
Saiyuki
Personaggi/Claim/Coppia:
Kenren
Taisho/Tenpou Gensui
Generi:
Drammatico, Introspettivo,
Malinconico.
Avvertimenti:
Lime, Missing
Moments, What if..?, Yaoi.
Rating: Arancione
Set: Delta
Note: Oh!
La mia prima volta
anche in questo fandom! Ultimamente ne sto sperimentando di nuovi e
questa
iniziativa delle cinquanta frasi mi aiuta parecchio! =D
Bhé, che dire?
Mi auguro sul serio che piaccia, tengo molto a questa
coppia che per me
è una della più meravigliose; e ringrazio la sensei Minekura per aver
creato
quelle splendide creature che non sono solo Sanzo & Co., ma
anche -e
soprattutto!- Konzen, Kenren e Tenpou.
Questo lavoro, infatti, è dedicato agli ultimi due, che
nel mio cuore
hanno un posto davvero speciale: mi sono entrati dentro, li ho amati e
continuerò a farlo.
Grazie a chi leggerà e, soprattutto, a chi sarà così
gentile da
lasciarmi un’opinione in merito.
Un bacio,
Iria.
*Titolo ispirato all’omonima canzone dei Trivium che
mi
ha accompagnato durante la stesura di questo lavoretto*
*Prompt dati dall’iniziativa 1frase su
livejournal*
~ And
Sadness Will
Sear
1 – Terra.
Tenpou
gongolava e, agitando quel particolare teschio (un ciondolo
acquistato sulla Terra) pensava alla reazione sicuramente entusiasta
(a suo dire) che Kenren avrebbe avuto nel ricevere
tale piccolo, inaspettato dono.
2 – Orgoglio.
Kenren aveva imparato a rispettare la maschera di severo
orgoglio che
tingeva le espressioni di Tenpou quando quest’ultimo si ritrovava a
difendere
non solo la propria dignità, ma anche quella dell’armata di cui — nonostante
le apparenze — tanto si curava.
3 – Spirito.
Un puro spirito non avrebbe mai avvertito il dolore, sofferto
la stanchezza
o lasciato che il sangue gli imporporasse la vista; perciò, Kenren
ritenne che
essere un dio fosse davvero una fregatura e, sorridendo, si convise
ancor più
di questo particolare quando, al di là delle sbarre della cella — già,
quella era stata l’ennesima tortura — vide la sagoma di
Tenpou sovrastarlo
ed una dura espressione di biasimo trasfigurare i lineamenti altrimenti gentili
del superiore — allora il suo stomaco si contrasse, allora la
fitta che
provò al petto fu più lancinante di quella di una qualsiasi altra
ferita.
4
– Storia.
La
storia dell’umanità affascinava incredibilmente Tenpou; il generale,
infatti, rimaneva per ore ed ore sommerso fra le pagine pregne di
inchiostro
riguardanti quei conflitti terreni che, seppur nati per futili,
ridicoli o addirittura
egoistici motivi,
risultavano essere sempre ricchi
di strategie, ingegni ed inganni tali da entusiasmarlo,
eccitarlo, estasia--
«Non posso crederci… non è passato neanche un giorno che
questa stanza è già di
nuovo un porcile!»
Ma a quel punto le fantasiose contemplazioni di
Tenpou venivano
brutalmente stroncate dai giustissimi rimproveri di
Kenren e, allora, al
generale caduto dalle nuvole non restava altro da fare che provare a
zittire le labbra ancora imprecanti dell’esasperato
sottoposto.
5 – Tempo.
Kenren non teneva in particolar conto del tempo; o meglio,
nel trascorrere
le giornate tra la polvere e le stranezze della stanza del suo
generale, si era
rassegnato a lasciar scorrere via quell’irrelavante particolare
e a
concentrarsi, piuttosto, su ogni singola novità che sempre
tingeva
quella cara quotidianità.
6
– Guerra.
Forse, riteneva Kenren, il motivo per cui Tenpou fosse decisamente
ossessionato
dal tema della guerra non era tanto da ricercarsi nella sua carica di
generale
e, quindi, nel ruolo che occupava nell’Esercito Celeste, quanto,
piuttosto,
nell’indole curiosa del suo superiore; questi, infatti, con molte
probabilità
stava solo provando a risalire alla ragione e alla causa prima di tutto
quel
sangue versato su un mondo ormai sudicio.
7 – Tradimento.
«Ci vediamo dopo»
Erano davvero convinti di quella mezza promessa
sussurata tra di
loro, di quel piccolo tradimento ordito
alle spalle dei
compagni; già, fra il sangue, le membra a brandelli e le anime in pezzi
si incontrarono un
po’ prima, giusto per fumarsi un’ennesima sigaretta assieme: Tenpou,
infatti,
si avvicinò alle spalle di Kenren e, poggiandosi al sottoposto, da
qualche
parte nella divisa dell’altro recuperò un bastoncino di tabacco un po’
ammaccato che accese in silenzio, nutrendone la fiamma accostandolo a
quello
ardente del suo capitano — ah,
dimenticava sempre
l’accendino…
«Scusa il ritardo».
8 – Sentore.
Kenren entrò cautamente nella camera del generale, guardandosi attorno
in
allerta e scrutando ogni singolo antro con circospezione: oh,
aveva la
netta impressione che Tenpou, privo di sensi, fosse finito di nuovo
seppellito
da qualche parte sotto tutta
quella montagna di libri — e,
ovviamente, sarebbe toccato a lui recuperarlo..!
9
– Giovinezza.
Kenren, sull’altra riva del fiume terrestre dove soleva pescare,
osservava
spesso i giovani umani ridere, piangere o scambiarsi semplici gesti con
la
freschezza e l’ingenuità tipica della loro razza nel fiore dell’età; e
si
chiese se Tenpou, per caso, mosso dal suo stesso interesse, possedesse
qualche
libro in cui fosse raccolta o descritta tutta la gran quantità di
emozioni che
dipingevano meravigliosamente quei
visi così ricchi di vita — che
avrebbero, poi, segnato profonde rughe su quei volti ormai cerei.
10 – Orme.
Tenpou notò che alcuni tra i petali dei fiori di ciliegio
caduti erano
stati calpestati da poco e, con discrezione, seguì quelle sottili
tracce scovando,
infine, il prevedibile colpevole che,
sonnecchiando all’ombra
di uno dei rigogliosi alberi, schiuse appena un occhio quando il
generale si
accomodò al suo fianco:
«Dovresti imparare ad essere più cauto»
Ma in risposta non ricevette null’altro che un sospiro,
indice della comune
consapevolezza che, con ogni probabilità,
Tenpou sarebbe stato in
grado di trovare Kenren persino in una tempesta di
petali
rosa.
11 – Preda.
«La preda è
qui, “Nataku”»
Kenren avvertiva il terrore scuoterlo sin dentro
le ossa, morderlo e
divorarlo senza pietà alcuna, ma dal suo viso non si staccò neanche un
singolo
frammento della maschera di cocciuta sicurezza tanto ostentata: per il
tempo
restante, fra il sangue, il sudore, il dolore e la folle
violenza della
battaglia, si lasciò semplicemente possedere dalla
convizione che, sì, dannazione,
avrebbe di certo rivisto Tenpou — o,
almeno, desiderò solo immergersi
ed affogare in quella mera illusione.
12 – Stirpe.
Tenpou
osservò il chakra sulla fronte appena aggrottata di un Kenren
dormiente, ben sapendo che quello fosse un simbolo distintivo per le
famiglie
di alto rango, eppure pareva evidente che il suo sottoposto non avesse
mai
avuto mire particolarmente ambiziose in ambito aristocratico; allora,
riflettendo fra sé, il generale ridacchiò immaginando Kenren, proprio
lui, nei panni di un funzionario buracratico o qualcosa di
simile… assolutamente
no!
13 – Passi.
Tenpou aveva imparato a distinguere con una certa sicurezza i
passi di
Kenren, che mai erano pesanti o macchiati dall’inutile fretta:
producevano
semplicemente un dolce ritmo regolare che, spezzandosi troppe
volte per
gli stenti patiti dal suo Capitano di Divisione — torture
evitabili per una
lingua meno tagliente —, svuotavano e raschiavano con durezza
il petto
gonfio di rabbia del superiore.
14 – Rito.
Era un po’ un rito, il loro: Kenren lo rimproverava per il
costante
disordine e Tenpou persisteva nel fissarlo con un’espressione a metà
fra il
sorpreso ed il perplesso fino a quando, sbuffando esasperato, il
compagno non
avesse iniziato a farsi strada fra le cianfrusaglie, i libri, un
piccione morto
— sì, proprio così — per accomodarsi al suo fianco,
accendendosi,
infine, una sigaretta e rilassare, quindi, i propri poveri ed inermi nervi.
15 – Vittoria.
«Ho proprio voglia di
una bella grigliata di carne!»
«Davvero? Io avrei gradito della soba…»
«Ce la giochiamo a
morra cinese?»
Mmh, con ogni
probabilità, Kenren avrebbe dovuto affinare la propria tecnica
in quel gioco: non poteva continuare a perdere contro Tenpou — la vittoria del generale lo infastidiva sempre — e, puntualmente, scendere sulla
Terra di nascosto per mangiare della carne; prima o poi l’avrebbero
scoperto ed
allora, di sicuro, il prezzo da pagare
sarebbe stato assai caro.
16 – Languore.
All’ombra dei fiori di ciliegio, il tempo scorreva dolcemente
nella
lentezza del giorno e Kenren, immerso in quella molle pigrizia, cercava
ogni
singola, nuova sfumatura nel sapore del saké che sorseggiava,
rendendosi conto
che quest’ultimo apparisse decisamente molto più buono quando Tenpou,
accomodandosi in silenzio al suo fianco, glie ne rubava un sorso dalle
labbra
schiuse.
17 – Mortale.
Il denso sentore del sangue gli fece intendere di essere
ancora cosciente
e, nonostante avesse gli attimi contati, gridò con quanto più fiato gli
restasse in gola il suo inno alla vita, alla libertà di sbocciare e
maturare
come qualsiasi, meraviglioso altro fiore: sì, Kenren stava morendo, ma
le sue
ultime parole traboccarono di vigore e Tenpou, nel crollare a propria
volta in
un lago di sangue, pur non potendo udire il subordinato lasciato
indietro
minuti — ore, giorni, mesi o anni — prima, nel
cuore stremato ed
agonizzante quella calda voce lo rimproverò ancora…
«Però… mai che tu sia puntuale».
18 – Favorito.
Kenren
adorava tre cose nella sua vita: i fiori di ciliegio, il saké e le
sigarette — oh, e poi c’era un
quarto
elemento che, in gran segreto, era il suo
preferito e del quale non
avrebbe mai fatto parola ad anima viva (neanche a se stesso):
le
giornate faticosamente trascorse
con Tenpou.
19 – Giardino.
Al solito, considerò Tenpou passaggiando tranquillamente,
Kenren era
scomparso nel giardino del Palazzo Reale, provocando un gran scompiglio
fra i
suoi subordinati che, disperati, lo cercavano in lungo e in largo: bhé,
lui sapeva dove
andare e, certamente, avviandosi alla meta
tanto agognata da quegli
altri soldati, non avrebbe mai indicato la strada a nessun altro.
20 – Eros.
Ad occhi chiusi, fra l’odore della carta vecchia dei tanti
libri e
dell’acre nicotina, una carezza distratta si trasformò in un bacio
profondo, in
un tocco più audace e, infine, in morsi eccitati: i due amanti
ricercarono nei
loro corpi nudi un piacere che non fosse semplicemente legato allo
squallore
del mero sesso, ma che li elevasse oltre la musicalità dei
gemiti e dei sospiri, fino a lasciarli incontrare, al culmine
dell’amplesso,
l’uno sulle labbra dell’altro per assaporarsi e divorarsi
con
inspiegabile disperazione.
21
– Canto.
Kenren
si stava cullando nella propria rilassatezza quando, godendosi il
profumo dei fiori di ciliegio, udì Tenpou canticchiare soffusamente;
allora,
sorrise nel dolce dormiveglia, prestando attenzione alle note appena
articolate
dal generale, nonostante quest’ultimo non fosse poi così abile.
22 – Tocco.
I tocchi di Tenpou non furono affatto delicati nello sfiorare
e curare le
ferite di Kenren: muto ed inflessibile, il generale fasciava il
sottoposto con
rigidi movimenti; e questi ben sapeva che ogni suo singolo gemito
appagasse il
superiore: già, quella era la giusta punizione che gli spettava per
essere
sempre così assurdamente privo di senno — però Kenren lo avvertì, il
tremore
della mano del compagno nel porgergli una preghiera mascherata da
schiaffo...
«Non ti perdonerò ancora… smettila di farti del male».
23 – Silenzi.
A Tenpou e Kenren bastava sedere l’uno di fianco all’altro
per poter
comunicare: quando non servivano le parole — o non erano in
grado di
utilizzarle —, i loro respiri e le loro rapide occhiate erano
tutto ciò di
cui avevano bisogno per riempire i silenzi anche coi discorsi più
futili.
24 – Movenze.
Kenren
imprecò tra i denti piuttosto imbarazzato dalla situazione,
domandandosi perché mai si fosse prestato con così tanta
accodiscendenza a
quella roba; mentre Tenpou, sorridendo
sornione, gli teneva una
mano su un fianco, intrecciando l’altra con quella del povero
sottoposto
borbottante — eppure, l’agire del superiore così tranquillo e pacato
gli
suggerì che il dannato si stesse
divertendo enormemente:
«Kenren, se tu fossi un tantino più sciolto potrei imparare
meglio le
movenze di questo ballo terrestre, sai..?»
25 – Calore.
Il calore del saké non avrebbe potuto sostituire quello di un
corpo, Kenren
lo sapeva bene; però era così simile all’essenza di Tenpou che per un
po’ — molto
poco — riusciva ad appagarlo.
26 – Apparizione.
La fiammella di una candela brillò nell’oscurità, illuminando
l’espressione
perplessa di Kenren che ricercava il proprio generale in quelle fitte
tenebre;
e per poco non gli esplose il cuore nel petto, quando Tenpou, apparendo
d’improvviso a pochi centimentri dal suo viso, spense quella flebile
fonte di
luce trascinandolo con sé.
27 – Inebriare.
Era
sulle sue labbra, gli carezzava la lingua e stuzzicava le sue narici:
l’odore ed il sapore di Tenpou — acre
come la nicotina,
delizioso come il saké — lo inebriavano, lasciandolo
assuefatto al pari
della peggiore e più crudele delle droghe.
28 – Dita.
Le dita lunghe ed affusolate di Tenpou premettero su un paio
di costole di
Kenren che risultarono essere incrinate; ed il capitano trattenne un
urlo, ben
sapendo che l’altro avrebbe tanto voluto affondare l’intera mano nel
suo addome
e frantumargli il costato in prima
persona — con gentilezza e
pacatezza, ovviamente!
29 – Nostalgia.
Kenren riteneva di non avere affatto nostalgia della sua
vecchia carica
nell’esercito dell’Est, che tutto sommato, sì,
lo divertiva studiare
le stramberie di Tenpou…
«Credo stia per cedere...»
Ovviamente, solo quando non rischiava di passare a miglior
vita sotto il
crollo una libreria pericolante.
30 – Legame.
Il
filo rosso che li univa premeva sulle carni di Tenpou e Kenren fino a
farle grondare di sangue: già, era un legame meraviglioso, quello,
costruito a
poco a poco sull’incredibile capacità che i due avevano di
comprendersi, eppure
un aspro e macabro presagio banchettava alle loro spalle, rodendo e
masticando
con ingordigia quel lungo nastro purpureo.
31 – Erba.
Kenren sapeva che da tempo, ormai, i fili d’erba fra i
capelli o le macchie
verdi sul camice del superiore, dovute
al prato fresco di rugiada, li avevano incastrati: già, le sue fughe seguite dal repentino
inseguimento di Tenpou
erano assai note ai loro sottoposti, i quali tuttavia tacevano,
lasciando ai
due la possibilità di restare un po’ più a lungo insieme.
32 – Sembianze.
Kenren deglutì, fissando con orrore ciò che Tenpou stringeva
tra le mani:
un ammasso di piume che aveva tanto le vaghe
— vaghissime — sembianze di un paio
d’ali…
«Ho letto un frammento di un mito terrestre riguardante un
uomo, Dedalo, che
costruì delle ali per sé e per il figlio allo scopo di fuggire,
volando, dal
labirinto da lui ingegnato… non sono riuscito a ritrovare il finale e
sarei
curioso di sapere se il metodo abbia funzionato! Ti va di provarle..?»
33
– Nettare.
Kenren
non si era mai ridotto ad essere ubriaco
fradicio; anzi, ovunque andasse era sempre imbevuto dall’essenza del
saké, però
quella volta, nel succhiare con ingordigia le labbra di Tenpou come a
volersi
nutrire di un nettare raro e prezioso, considerò di aver decisamente
esagerato —
e che, forse,
per godere ancora ed ancora di quell’afrodisiaco sapore
avrebbe dovuto spingersi al limite un po’ più frequentemente.
34
– Rossore.
Per
una volta fu Kenren ad occuparsi dell’acceso
rossore su di uno zigomo del generale: sorrise amaramente, carezzando
la parte
lesa con delicatezza e, ricambiato dallo sguardo indifferente e
tranquillo di
Tenpou, ben sapeva che quel dolore era stato causato dall’ennesima difesa
del superiore verso la sua discutibile
condotta.
35
– Possesso.
Kenren
sapeva che sotto le lenzuola spesso
valesse la regola del “possedere
o essere posseduti”;
eppure,
nell’unire le proprie labbra mugugnanti con quelle di Tenpou, comprese
che tra
loro due non aleggiò mai un senso tanto materialistico e superficiale:
esisteva
solo un’atmosfera di reciproca appartenenza, il che fu assolutamente appagante.
36
– Crepuscolo.
Alle
volte pareva che un oscuro crepuscolo
calasse negli occhi di Kenren — soprattutto dopo una
spedizione
particolarmente cruenta — e Tenpou, notando tale particolare,
era cosciente
che il sottoposto avesse semplicemente bisogno della sua silenziosa
presenza.
37
– Fautore.
La
comune passione per le sigarette ed il sakè
era stata fautrice dell’instaurarsi del loro rapporto formale di
superiore e
sottoposto; poi, s’era aggiunta un’intesa fatta di sguardi e mezzi
sorrisi che
aveva posto le basi per un legame ben più profondo.
38
– Sfrontatezza.
L’agire
di Kenren totalmente disinteressato nei
confronti delle autorità di certo divertiva Tenpou, ma allo stesso
tempo quella
sfrontatezza era fonte di un odio così radicato nel cuore del generale,
tanto
che quest’ultimo avrebbe volentieri ridotto in pezzi deliziosamente sanguinanti
il caro sottoposto.
39
– Fato.
Il Capitano del corpo d’armata dell’Ovest riteneva a
ragione che il
destino non si facesse nessun amico; d’altra parte, era proprio quella
spaventosa bestiola — sadico burattinaio — a
muovere i fili delle
esistenze di ogni singolo individuo e Kenren comprese ben presto che i
suoi
vincoli, così come quelli di Tenpou, fossero ormai consumati e pronti
ad essere
recisi nel sangue.
40
– Labbra.
Tenpou
gli morse le labbra fino ad arrossarle, fino a farle sanguinare; e
Kenren avvertì la lingua del generale leccare con cura quelle crepe e
poi i
tagli lungo tutto il profilo del suo viso, come a volersi accertare
dove il
sottoposto fosse più delizioso.
41
– Pensiero.
Kenren
fissava il superiore di sottecchi,
distogliendo lo sguardo di tanto in tanto:
“Ah!
Ho finito le sigarette... chissà se mi
lascerà almeno l’ultimo tiro della sua..!”
42 – Ritorno.
Ogni volta che Kenren e Tenpou ritornavano nel Tenkai dopo
aver combattuto
sulla Terra, c’era un momento in cui, soli,
si poggiavano l’uno
all’altro e, unendo le proprie fronti fredde, si nutrivano dei loro
reciproci
respiri, quasi soffocandosi — evitando,
per quanto fosse possibile, di coinvolgere le vicine labbra in un bacio
che
avrebbe sicuramente avuto il sapore salato del sudore, del terriccio e
del
sangue:
«Siamo ancora vivi.»
43 – Ferita.
Uno
squarcio sul torace di Kenren gli parve particolarmente grave e
profondo; quindi, masticò un’imprecazione diretta al compagno
momentaneamente
privo di sensi e, carezzando con un dito i bordi della nera ferita,
ritenne che
fosse necessario ricucirla; poi, dopo avrebbe bellamente ignorato il
sottoposto
per almeno un mese, fingendo che non esistesse alcun Kenren Taisho
nella sua civilissima ed ordinata armata.
44 – Confine.
Forse, troppo spesso Kenren aveva oltrepassato il limite
della
sopportazione di Tenpou con certi richiami molte volte risoltisi in
orribili
torture: ah, il generaleodiava che
i suoi soldati
venissero sfidati, feriti o anche solo sfiorati da chicchessia, ed il
sottoposto provava un segreto e masochistico piacere a
camminare su quel sottile confine fra la placidità e l’ira del suo
superiore.
45 – Furore.
Kenren sapeva che non vi fosse nulla, nulla di
più
spaventoso degli occhi di Tenpou carichi d’ira e traboccanti di furore;
infatti, in tali sguardi ogni intenzione era vivida e chiara, e l’odio
e la
volontà di ferire venivano riflessi con genuina semplicità:
già, le iridi verdi del generale in quelle occasioni parevano avere
vita
propria ed erano in grado — sul serio — di
trascinare qualsiasi
sventurato nel loro personale Inferno fatto di gelo e crudeltà.
46 – Volto.
Kenren
non capiva come tutti vedessero nel volto di Tenpou
delicatezza e — assurdamente — femminilità: dannazione,
pareva che il sottoposto fosse l’unico a scorgere in quei lineamenti le
ombre
di un’inquietante e virile crudeltà, in attesa solo d’essere stuzzicata
dal
folle che avesse osato recargli
offesa.
47 – Candore.
Tenpou, nel crollare al suolo sfinito, notò come il candore
del suo camice
si fosse ormai tinto del macabro rosso del sangue; e sperò vivamente di
non
ritrovarsi in simili condizioni, quando, un giorno, avrebbe finalmente
rivisto
Kenren.
48 – Vino.
Kenren non bevava mai vino, non che lo disprezzasse, in
verità;
semplicemente, credeva che quel dolce aroma non si addicesse al suo
essere
fumatore; e quando confessò tale particolare a Tenpou che gli aveva
offerto un
bicchiere colmo di denso liquido rosso, il superiore scrollò le spalle,
mormorando qualcosa circa il fatto che, chissà perché, fosse sempre lui
a passare per quello con strane fissazioni.
49 – Incisione.
Nel
lambirlo, il desiderio di vivere incise sulle sue carni e sulla sua
anima una volontà forse ancora più egoistica, un capriccio
decisamente più
futile: avere la possibilità di sfiorare per un’ultima volta
anche solo una mano del suo assurdo generale.
50 – Lanterna.
La luce di una lanterna illuminava appena i profili sudati
dei loro corpi
nudi: stretti nell’oscurità, sembrò quasi che i due volessero imprimersi l’uno sulle membra dell’altro col solo desiderio di
permettere a
quei cuori ormai condannati d’essere sincronizzati e, sì,
di
riuscire, forse, ad amarsi totalmente in
quell’aspro finale.
*Owari*