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Autore: Cloe87    27/12/2011    1 recensioni
Se alcuni mesi prima dell'inizio delle Galaxian Wars, una giovane donna, a prima vista normale, finisse nella vasca sacra del Tredicesimo Tempio senza motivo apparente?
Beh... forse il corso della storia potrebbe prendere tutta un’altra piega e un gruppetto di accanite pacifiste riuscire perfino a sfatare il mito... in nome del Cosmo!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Che il Cosmo sia con noi'
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MEGLIO PRENDERLA CON FILOSOFIA!

Ogni cosa cambia in base all’ottica con cui la si guarda.

 

Finalmente, dopo un altro quarto d’ora ed un cazzotto contro una colonna per vedere se era tutto vero (consiglio di non farlo, perché se non siete effettivamente defunti, fa un male cane!) iniziai a ritornare ad essere lucida e a capire che ero completamente nei casini senza motivo apparente. Mi guardai intorno per mettere a fuoco l’ambiente: una camera da letto con un terrazzino che, tramite una scalinata in pietra, dava su un piccolo giardino con una panca e un melo. Il tutto recintato con un alto muro. Quindi la mia iniziale idea di fuga venne subito meno.

“Arianna, cretina, anche se ci fosse stato uno steccato, dove pensavi di scappare? Non sai dove sei e non hai con te documenti e denaro!” pensai, mentre sconsolata mi sedetti su una sorta di letto di pietra.

Nello stato confusionale in cui ero le uniche cose che avevo capito è che ero finita ad Atene in una sorta di tempio di Atena (anche se mi risultava che l’unico tempio ad Atene dedicato alla dea fosse in disuso da diversi secoli) e che lo strano tipo si chiamava Arles e doveva essere una sorta di sacerdote o qualcosa del genere.

“Oh mio dio, vuoi vedere che sono finita in una sorta di setta con ancora in vigore il culto degli dei pagani” fu la mia prima ipotesi (col senno di poi direi che ci avevo quasi preso!) per poi farmi venire in mente un libro di parafantascienza, che avevo letto di recente, in cui si parlava di viaggi nel tempo: “Oppure sono tornata indietro nel tempo? No, assurdo, Arianna, non essere ridicola!” mi dissi. Tuttavia dovetti ammettere che era tutto assurdo, anche se l’atteggiamento del tizio mascherato mi fece desumere che dovesse essere abituato a cose del genere. Comunque l’ambiente e la fanciulla, che entrò timidamente nella stanza, dopo aver bussato, mi fecero seriamente propendere verso l’ipotesi del viaggio temporale.

Gli abiti e l’acconciatura della ragazzina che, senza guardarmi in volto, si stava inginocchiando davanti a me, erano infatti ampiamente fuori moda, visto che i kitoni non si vedevano in giro da un bel pezzo!

La guardai tra lo sconvolto e il perplesso mentre lei, con voce tremante, mi disse:

«Il Sommo Grande Sacerdote, mi ha inviato a portarvi questi abiti» e la ragazzina, sempre senza guardarmi mi porse un kitone bianco con fibbie d’oro.

«Ehm, posso chiederti perché sei in ginocchio e non mi guardi in viso?» le dissi. La prigioniera ero io, non lei!

«Perché sono una semplice inserviente e solo il fatto di presenziare davanti a voi è un immenso onore. Solo al Sommo Sacerdote è normalmente concesso questo privilegio.»

La guardai senza capire. Ok che il tizio con la maschera doveva essere una sorta di mio fan, e che mi aveva probabilmente risparmiato solo per questo, ma il suo atteggiamento era un tantino esagerato!

«Non è proprio il caso, fidati!» le risposi.

La ragazzina alzò titubante il viso e io le sorrisi, cosa che dovette rasserenarla notevolmente e fu lieta di aiutarmi ad indossare quella sorta di tendone bianco con spille. Ammetto che avrei preferito avere un paio di jeans e una maglietta invece di un kitone come abito di ricambio, ma fui costretta ad accontentarmi. D’altronde ero una prigioniera, quindi che volevo? Tuttavia non potei non notare la perplessità della ragazza nel guardare i miei abiti completamente inzuppati d’acqua, ma si astenne dal fare domande o commenti ed io badai bene di evitare di accennare all’accaduto. Non era il caso di farsi passare per pazza per qualcosa che anch’io faticavo ancora a credere.

Dopodiché riuscii a scambiare due parole con lei e scoprii che si chiamava Eirene, e appurai di non aver effettuato nessuno sbalzo temporale, ma che semplicemente il Grande Tempio (così era chiamato il luogo in cui mi trovavo) era rimasto ai tempi degli antichi greci per tradizione e devozione verso la dea Atena (cosa che mi fece scartare l’ipotesi dello sbalzo temporale, per abbracciare quella dei fanatici religiosi). Fui poi raggiunta da Arles, che congedò la ragazza in evidente soggezione (direi quasi terrore) di quell’uomo.

Arles mi chiese cortesemente di seguirlo e io lo feci, anche perché non avevo alternative data la morsa della sua mano intorno al mio braccio. Fui quindi condotta in una sala da pranzo decorata con marmi preziosi e mi fece accomodare davanti ad una tavola imbandita. Durante il tragitto non potei non notare i soldati armati di lancia, posti a guardia dei corridoi, che chinavano rispettosamente il capo al nostro passaggio, a cui Arles mi disse di non far caso. Prassi del luogo.

Immersa nei miei pensieri venni raggiunta dalla voce di Arles, che dopo aver fatto allontanare tutti; inservienti e soldati, si levò elmo e maschera, lasciando ricadere lungo la schiena la folta capigliatura blu:

«Perché non mangi? Dovresti essere affamata, l’ora di cena è passata da un pezzo!»

Al mio sguardo scrutatore sulla carrellata di vivande davanti a me aggiunse:

«Tranquilla, non è cibo avvelenato.» e per essere più credibile iniziò a mangiare.

Ma, non ricevendo nessuna reazione da parte mia, aggiunse:

«Guarda che se volessi ucciderti non avrei bisogno di avvelenarti in codesto modo...»

“Ottima frase per aggiudicarsi la fiducia di un prigioniero!” constatai in modo ironico, per poi rispondergli: «Al dire il vero non mi sono mai posta il dubbio.» (sul fatto che non mi volesse morta ci ero arrivata da sola. Altrimenti perché prendersi la briga di salvarmi da affogamento certo?).

«Quindi quale è il problema?» mi chiese.

«Stavo solo guardando se tra i piatti greci serviti c’era anche il mio preferito!» Arles rimase a guardarmi a bocca aperta con il boccone a mezz’aria, mentre io mi servivo una porzione di Moussaka per poi guardarlo dritto negli occhi e dire:

«Ti posso assicurare che non ho alcuna intenzione di rifiutare una cena generosamente offerta. Lo sciopero della fame per cercare di intenerire il proprio carceriere non mi si addice, così come tentare la fuga da un posto che non conosco, ad un’altro che non conosco, senza soldi e documenti. Senza contare che, data la sorveglianza ferrea di questo palazzo, mi ritroverei di nuovo in gabbia appena voltato l’angolo.»

Arles annuì e mi sorrise:

«E io che mi aspettavo frasi rabbiose per averti obbligata a rimanere qui contro la tua volontà!»

«E a cosa mi avrebbero giovato?»

Arles mi guardò perplesso cercando di capire dove stavo andando a parare.

«Mi procurerei soltanto mal di gola. Intanto la situazione non cambierebbe anche se mi lasciassi andare alla disperazione. Quindi ho deciso di prendere la cosa con filosofia e di vederla come una vacanza fuori programma» (intanto se non mi ammazzava lui, ci pensava il mio editore! Yeee!!!) e senza tanti complimenti finii la mia cena, mentre Arles mi guardava stupito. Obbiettivamente la mia incapacità di rendermi conto del pericolo aveva dell’incredibile, così come la mia capacità di vedere sempre il lato positivo delle cose, nonché crearmelo quando non c’era.

«Però, non mi era mai capitato di sentire un discorso del genere» commentò Arles, mentre io aggiunsi:

«È meglio concentrarsi sulla via d’uscita che soffermarsi troppo sui sentimenti negativi provocati da un problema. Ogni cosa la si vive in base all’ottica in cui la si guarda. Almeno, io la penso così. Comunque, posso sapere che cosa avete intenzione di fare con me ed esattamente chi siete? Una setta di fanatici religiosi?»

Arles ritornò con un’espressione composta e finalmente mi spiegò, con un discorso ancora più fuori dal mondo del mio, che in questo luogo dimoravano i santi di Atena; i valorosi e potenti guerrieri al servizio della dea, ultimo baluardo contro le forze oscure, e altre fesserie del genere, per poi concludere:

«Non hai nulla da temere per la tua vita. Semplicemente ho intenzione di capire cosa sia successo e chi ti ha inviato qui e perché. Quindi dormi tranquilla, poi mi sei più utile da viva che da morta!»

«Non so quanto sia comodo un letto di pietra, ma ci proverò!» dissi ironica (anche se non compresi appieno l’ultima frase, ma lui fece orecchie da mercante). Per poi essere riaccompagnata dal Grande Sacerdote alla mia stanza.

 

La mia iniziale ventata di ottimismo sulla vacanza in Grecia, nei giorni a seguire iniziò a venire meno, anche se dovetti ammettere che il vitto non era male, ma a parte le visite quasi devozionali di Eirene (manco fossi la madonna di Lourdes), che veniva a rassettare e che era riuscita a raccattarmi un materasso e un cuscino da sistemare su quello schifoso letto di pietra, dovevo ammettere che le mie giornate erano di una noia mortale.

Gli unici momenti in cui avevo l’opportunità di fare una conversazione decente erano con Arles, che vedevo puntualmente a colazione (servita prestissimo), pranzo e cena. Quei tre momenti erano quindi gli unici in cui mi era permesso uscire dalla mia camera ed ero sempre e puntualmente scortata dal Sacerdote in una sorta di passerella in cui i soldati del palazzo si inginocchiavano al nostro passaggio.

Arles ogni volta che mi raggiungeva si stupiva di trovarmi quasi contenta di vederlo. Ovvio, era praticamente l’unico con cui potevo parlare senza creare attacchi d’ansia; Eirene ogni volta che le rivolgevo la parola, andava completamente in panne. Dovevo però ammettere che conversare con Arles era piacevole. Era un uomo di cultura e ottimo oratore. I discorsi ricadevano però sempre sulla mia persona o sui miei romanzi, mentre su di lui rimaneva sempre molto vago, quando non eludeva palesemente le domande cambiando discorso. Normalmente era piuttosto cordiale, anche se abbastanza distaccato e autoritario. Solo una volta mi aveva risposto sgarbatamente e con cipiglio parecchio alterato, anche se sinceramente non riuscii a capire il motivo di una reazione così esagerata, tanto da rimettersi in fretta e furia elmo e maschera per poi lasciare la sala da pranzo senza proferire parola. In fin dei conti gli avevo solo chiesto come aveva fatto a diventare sacerdote!

Comunque, a parte quell’episodio, della mia prigionia non potevo certo lamentarmi. Ero infatti trattata fin troppo bene per essere agli arresti, ma non potevo certo immaginare che Arles mi stesse usando abilmente per tamponare l’enorme casino che aveva fatto, facendomi passare per quella che non ero, mentre brancolava nel buio nel tentativo di scoprire che diamine mi aveva condotto lì.

La mia comparsa aveva infatti dell’inspiegabile, ovvero non era stata preceduta e accompagnata dall’emanazione di nessun cosmo, o almeno così sembrava, per poi partire con supposizioni surreali, tirandomi giù una lista improbabile di divinità olimpiche. Cosa a cui avevo risposto ironicamente suggerendogli di rivolgersi a degli ufologi, per poi passare più seriamente a prendere in considerazione qualche strano esperimento militare svolto su ignari civili, cosa che fece storcere il naso ad Arles. Per lui non c’era altra spiegazione di un intervento di un dio greco.

Riassumendo: il mio soggiorno stava andando per le lunghe e di sicuro la mia assenza aveva ormai scatenato l’allarme tra i miei conoscenti. E questo sì che mi rattristava. Iniziai quindi a sentire l’esigenza sempre più impellente di avvisare tutti che stavo bene, anche se non sapevo quando, e se, sarei potuta tornare a casa. Una sera decisi quindi di affrontare l’argomento con Arles.

«Se fosse possibile avrei una richiesta da farti.»

«Dimmi».

«Avrei bisogno di fare una telefonata»

«Questo significherebbe uscire dal Santuario. Ti rendi conto che non è una cosa fattibile?»

«Ormai è quasi un mese che sono assente da casa, saranno tutti in allarme e mi avranno data per dispersa o morta! Ti prego, ho bisogno di avvisarli che sto bene!»

«Non posso»

«Hai un palazzo che brulica di guardie, se hai paura che scappi mettimene un paio come scorta!»

«Non è quello il problema. Se uscissi ti renderesti conto della collocazione del Santuario. Cosa ammissibile solo ai saint e agli inservienti di Atena.»

Dovevo ammettere che la dea greca della giustizia iniziava letteralmente a starmi sulle palle! Ogni negazione era per opera di una sua fantomatica regola del menga! Se non avesse imposto (o meglio chi ne faceva le veci) ai suoi fanatici fedeli di rimanere ai tempi dell’Iliade, avrei già telefonato tramite un apparecchio del Santuario, ma li non c’era l’elettricità e tanto meno il telefono!

«Allora bendami e fammi accompagnare ad una cabina telefonica! Intanto mi serve la parola e l’udito, non la vista per telefonare!»

«No, data la tua posizione non posso farti uscire dal tempio in cui ti trovi, è inaudito e sinceramente non so come la prenderebbero i devoti di Atena»

Lo guardai perplessa per poi ribattere frustrata: «Ma se sono un perfetto nessuno che è finito in questa situazione senza sapere come. Cosa vuoi che importi ai devoti della tua divinità se vengo scortata fino ad una cabina telefonica! Se poi hai paura che sia una scusa per chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, fidati, mal che vada mi danno l’indirizzo del manicomio!» per poi aggiungere alla vista quasi spersa di Arles, che evidentemente non sapeva più come controbattere: «Insomma, non hai nessuno di caro che non vorresti far preoccupare! Trattienimi pure qua finché ti pare, ma permettimi almeno di tranquillizzare le persone che mi stanno a cuore! È l’unica cosa che ti chiedo!»

Arles mi guardò tentennante e visibilmente indeciso sul da farsi per qualche minuto, per poi distendere lo sguardo, dicendo con un sorriso:

«E sia! Dopotutto è una richiesta più che legittima.» per poi accasciarsi al suolo portandosi le mani alla testa.

«Arles, cos’hai?» gli chiesi mentre mi precipitai a soccorrerlo, ma lui mi fece cenno di bloccarmi con la mano:

«Non avvicinarti!» avvertimento che puntualmente non ascoltai. Una cosa che mi ha caratterizzato fin da quando ero bambina e che non riuscivo a non farmi in quattro per aiutare gli altri senza distinzione di sorta e senza secondi fini. La trovavo una cosa naturale tra esseri umani, anche se poi crescendo capii che non era così. La normalità era girare lo sguardo da un’altra parte almeno che non ci fossero cospicui interessi in ballo, ma non tutti nascono furbi e io, da buona scema, avevo consapevolmente deciso di rimanere legata alle mie convenzioni puerili e di non seguire la prassi comune. Non ero mai riuscita a credere che l’uomo fosse completamente malvagio, e forse era questa convinzione che mi faceva affrontare ogni situazione con incomparabile ingenuità e ottimismo.

Quindi mi avvicinai a lui e lo sfiorai, cosa che lo fece rialzare di scatto e allontanare da me con un gemito di dolore, manco fosse un demone davanti ad un esorcista munito di acqua santa.

«Arles, se fai così non mi permetti di aiutarti! Quindi stai fermo e lasciti guardare!» e, più decisa, mi avvicinai a lui, che si era nuovamente accasciato per una fitta. Il dolore questa volta non gli permise di allontanarsi e io potei finalmente accostarmi a lui per aiutarlo ad alzarsi e a sedersi, del tutto ignara del pericolo che stavo correndo.

Arles sembrò scosso dal mio contatto e inizialmente cercò di sottrarsi al mio aiuto, per poi opporre sempre meno resistenza fin quando stravolto si lasciò sorreggere fino ad una sedia dove si lasciò cadere.

Io a quel punto presi un tovagliolo e lo bagnai con dell’acqua per poi passarglielo sulla fronte.

«Scusami, una fitta improvvisa di emicrania» mi disse con un filo di voce rauca.

«Credo sia opportuno chiamare un’ambulanza o un medico»

«Non è necessario. Non è nulla di grave. Sono abituato»

«Ti consiglio comunque di farti vedere da uno specialista. Fitte del genere non sono normali...».

Smisi quindi di passargli il tovagliolo sulla fronte per bagnarlo nuovamente, ma Arles mi fermò:

«Lascia stare il tovagliolo. Non serve» per poi portare le mie mani al suo volto: «Ti prego... non toglierle» mi disse in un sussurro più sollevato.

«Ma cos...»

«Non chiedermi il perché, ma il contatto con le tue mani mi fa sentire meglio» e Arles chiuse gli occhi arrossati, mentre il suo volto, contratto da una smorfia di dolore, andò distendendosi.

Non so per quanto tempo rimasi ad accarezzargli le tempie prima che riaprisse gli occhi e acconsentisse, con evidente malavoglia, a riaccompagnarmi nella mia stanza.

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE

Ecco il secondo capitolo, che spero sia stato di vostro gradimento. Per i prossimi capitoli avviso che i caratteri di alcuni personaggi li ho inventati di sana pianta (soprattutto quelli dei silver) con la scusa di essere stati poco sviluppati già in originale. Quindi per esigenze di copione alcuni si dimostreranno più svegli che nel manga e anime, altri dei completi bradipi.

Perdonatemi, ma se ho alzato il livello intellettivo di alcuni saint (tra cui anche Seiya), tramite l’aiuto dei personaggi nuovi introdotti, che faranno scoprire loro che esiste anche una cosa chiamata cervello (anche se spesso predicheranno bene e razzoleranno male, combinando un casino dietro l’altro), è per dare un po’ di dignità alla carne da cannone. Insomma mi è piaciuto ipotizzare che due domande anche loro fossero in grado di farsele e non solo malmenarsi per ordini superiori. ^.^!

 

Buon Capodanno a tutti!

 

Cloe87

  
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