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Autore: LucyFire    28/12/2011    2 recensioni
questa è la mia prima fiction... spero che vi piaccia!
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO  I
 
 
 
Entrai in un ampio corridoio. Non che avessi molta scelta: il castello era un enorme labirinto pieno di stanze, grandi saloni o altrettanti enormi corridoi. Era diviso in piani: i primi, quelli più bassi appartenevano alla servitù.
Lì le pareti avevano pareti con telai rossi e pavimenti di un marrone cupo, che davano un’aria triste e malinconica al palazzo. Le finestre per la maggior parte erano chiuse o sbarrate con pesanti assi di legno, che filtravano ogni tipo di raggio o accenno di luce.
Infatti non solo di notte si poteva scorgere tristi persone aggirarsi con una candela per il piano.
Quelli più alti invece erano riservati alla nobiltà, alle classi sociali più alte e qui le stanze erano più ampie, luminose e con pareti su cui erano disegnate abili decorazioni raffiguranti i re del passato e il resto delle famiglie reali.
Scesi le scale e mi ritrovai davanti a tre stanze, mi diressi davanti a quella più a sinistra ed entrai.
La mia camera era veramente degna di una principessa delle fiabe: un letto a baldacchino ricopriva il maggior spazio di essa, ma davano il loro contributo anche un’ampia scrivania con fogli e calamaio sopra di essa e un grande armadio di legno pregiato, con rifiniture in oro.
Un grande specchio troneggiava al centro della stanza. Era molto bello: aveva delle sfumature bluastre e decorazioni in lapislazzuli; era alto quasi quanto la porta d’ingresso ed era poggiato su un asta di ferro che lo faceva inclinare. Era perfetto per le prove degli abiti o altre smancerie delle “signorine”.
Peccato che non abitasse la principessa delle fiabe qui in questa camera, ma solo una normale ragazza con abiti e soldi più che sufficienti.
 
Dello specchio non che ne avessi molto bisogno: non ero quel genere di ragazza che si ammirava ogni istante possibile, non mi piaceva guardare quel mio riflesso con tanto disgusto in volto.
Tutti quei gioielli, le collane, gli orecchini d’oro o altri preziosi mi sembravano solo un ornamento superfluo. Mi facevano ricordare mio padre, il re, con tutta la sua vanità e indifferenza nei miei confronti: un grasso signorotto a cui piaceva mangiare e sbraitare ordini a destra e  manca. Poteva anche essere stato un grande condottiero durante la Guerra della Magia, in cui maghi e l’esercito si erano battuti, con la vittoria da parte dei non-magici (e come conseguenza la totale il divieto di praticare qualunque tipo di stregoneria), ma negli anni seguenti si era tanto ingrassato e impigrito da perdere qualunque tipo di attaccamento alla spada e al campo di battaglia.
Tutto ciò che me lo ricordava semplicemente lo detestavo. Non volevo finire come lui, trovando la gioia di vivere nel cibo e negli altri agi della vita: volevo uscire da quella prigione del mio castello e respirare quell’aria dei pascoli, dei campi e della capitale, dei villaggi che non mi era mai stato possibile annusare. Volevo volare all’aria aperta, conoscere nuove persone, nuova gente e imparare a tessere, a suonare il violino o il flauto e fare altre cose che la mia infanzia e mio padre mi avevano sempre negato. Si, sapevo suonare anche molto bene il pianoforte, ma quello era uno strumento solitario, in cui le altre persone devono venirti a sentire, non puoi camminare verso di loro suonando una melodia dolce e allo stesso tempo scattante e veloce.
Volevo annusare l’erba dei pascoli, correre felice insieme ad amici. Già, amici. Mai avuti e mai ne avrò rinchiusa qui.
La persona che potevo considerare più vicina ad un “amico” potrebbe essere stato un ragazzo sempre tanto gentile con me, con cui mi ritrovavo sempre a sorridere e giocare sempre insieme sul prato ogni volta che lo incontravo. Mi ricordo quella volta che mio padre si arrabbiò tanto con me perché per errore frantumai con una pallina la finestra del Salone Grande: non mi fece toccare cibo per quasi quattro giorni. Però ogni pomeriggio mi ritrovavo sempre con del cibo davanti alla porta della mia camera, con un bigliettino:
Alla Principessa, il nostro piccolo segreto! Lair. Lair, quel ragazzo che faceva il domestico nelle stanze vicine alla mia, il mio unico amico.
Mio padre venne a sapere di quel nostro piccolo segreto e da quel giorno non lo incontrai più. Avevo 9 anni.
 

 

Prigione, prigione, prigione, PRIGIONE. Tanto valeva che mi rinchiudessero in una di quelle che puzzavano di topi e paglia secca con tutti gli altri briganti destinati alla morte.
Tutti quegli agi non facevano altro che incrementare il mio disprezzo verso tutte quelle persone che vivevano per i soldi attorniando mio padre. Leccapiedi!
Io chiedevo solo un abito comune a tutte le altre ragazze della mia età, niente gioielli così tanto pesanti o altre diavolerie.
 
I miei piedi mi condussero alla finestra. Come al solito il villaggio era pieno di persone, anche se non si potevano distinguere per via della distanza dal palazzo reale. Il fumo veniva fuori dai camini, segno che era ora di pranzo. Mi sedetti su una sedia lì vicino. Non dovetti aspettare tanto: subito una cameriera bussò alla mia porta.
“Entra pure Elga” dissi. Lei entrò e depositò il piatto con il cibo sul tavolo. Mangiai velocemente e mi diressi verso gli appartamenti reale, quelli del re. Erano dall’altro capo della sala principale, segno che detestava me almeno la metà di quanto io detestavo lui. Era un bene: almeno fra noi non c’erano tutte quelle smancerie e la forte etichetta che riservava agli altri nobili.
 

TO BE CONTUNUED…!

  
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