I mesi
ripresero
poi il loro flusso costante che Rosso conosceva bene, ma egli ormai
aveva
abbandonato da tempo le frontiere di Kanto: egli ora esplorava una
regione bellissima
e ricolma di leggenda e di mistero, Johto, Johto la patria di Celebi,
Johto la
Terra delle due Torri e dei Pokémon scomparsi.
Aveva
ormai
ripreso il suo viaggio da eremita, segnato da accampamenti freddi e
umidi e da
nottate trascorse in viaggio, senza fermarsi; aveva ripreso il suo
consueto,
abitudinario silenzio, le sue squallide tappe nei luoghi più
cupi e deserti. Si
sentiva ormai distante dal resto del mondo, dalle voci, dalla musica,
dalla
vita vera. Trascorreva la propria in una condanna perenne, in un
isolamento
pressoché completo.
Valerio,
Raffaello, Chiara, Angelo, Jasmine, Furio, Alfredo, Sandra. Sconfisse
ogni
Palestra senza vitalità né entusiasmo, con una
foga che non aveva a che fare
con la passione, solo per dimostrare a se stesso (e a Ho-Oh) di cosa
era
capace. Ma molti e forse troppi furono i giorni che trascorse ad
Amarantopoli,
esplorando senza sosta i recessi più profondi della
misteriosa Torre di Latta
senza poterne raggiungere la cima, oppure domandando e interrogando un
vecchio
dopo l’altro per indagare le origini della leggenda.
Ma quando
il suo
corpo spossato reclamava a gran voce le qualche ora di riposo e un
po’ di pace,
ed egli era costretto ad accamparsi in qualche luogo, allora i suoi
sogni erano
popolati da immagini e voci terribili e contrastanti, da una parte una
voce
malvagia e penetrante, e dall’altra un dolce volto di uomo
che lo scrutava. Per
questo motivo Rosso non dormiva quasi mai.
Ma non
trascorse
poi molto tempo a Johto, che abbandonò quando
capì che non era quello il modo
di vedere Ho-Oh. E dove, dove, dove andare allora?
A poco a
poco,
furono il suo stesso odio per la folla e il suo amore della solitudine
a
indicargli la strada. Ogni giorno egli si avvicinava di più
a quelle falde
gelide, a quei pendii imbiancati; giorno dopo giorno, egli
guadagnò la cima del
Monte Argento, e là rimase, circondato da forti
Pokémon selvatici coi quali
allenarsi in solitudine.
Ma poi
finirono
per passare gli anni, e di rado Rosso si allontanava dal suo triste
eremitaggio
tra la polvere e il nevischio perenne, eremitaggio che si dimostrava
nei suoi
tristi occhi cerchiati di scuro e ardenti, nella sua voce ormai
arrochita dal
tempo e dal disuso, nel suo volto pallido e scavato ma ancora
meravigliosamente
bello, per quanto ansioso e tormentato.
Talora,
quando
proprio non ne poteva più di restare così lontano
e isolato, si recava,
irresistibilmente, sul vulcano di Isola Cannella, e là
trascorreva lunghe ore
senza scopo. Non sentiva più quell’insistente
presenza chiamare, e tuttavia mai
e poi mai accennò a credere che fosse stato tutto un sogno:
ovunque andasse,
sentiva l’occhio di Missingno puntato su di lui.
Poi venne
il
giorno in cui Blu scoprì che Rosso si recava di frequente
sul vulcano, e
cominciò a recarvisi a propria volta per attardarvisi per
ore e ore, finendo
coll’allontanarsi per la noia o, talora, col fuggire dopo
averlo visto da
lontano mentre si avvicinava. E Rosso cominciò ad andare
sempre più di
frequente sul vulcano, di solito nelle ore del tardo pomeriggio, quando
era più
facile avvistare
Blu (sebbene non fosse
questa la scusa che egli offriva a se stesso).
La vita
di Rosso
trascorse così dunque per quattro anni, poi si
verificò qualcosa che la
modificò e che diede inizio all’ultima fase della
sua missione.
Quel
giorno si
sarebbero svolte le finali della Lega Pokémon, e Rosso
discese la china del
Monte Argento per recarsi al centro Pokémon sulle sue
pendici. Era un locale
molto piccolo, e a dire il vero molto poco frequentato,
poiché difficilmente
persone si recavano al Monte Argento. Perciò Rosso non si
stupì di essere
avvolto da una magra penombra al suo ingresso.
“C’è
nessuno?”
gridò guardandosi attorno; a tentoni raggiunse un
interruttore sulla parete e
lo premette. Il brusco accendersi delle luci gli rivelò la
solita stanza
squallida e vuota, che ormai conosceva bene. Si avvicinò al
bancone, chiamando:
“Joy, ehi, Joy!”
“Rosso…sono
qui”
gli disse d’improvviso una nota voce dalle sue spalle. Egli
si volse, ed ecco
l’infermiera in piedi immobile davanti a lui: “Non
ti aspettavo” gli disse
appoggiando al muro una scopa. “È un po’
che non ti vedevo. Come stanno i tuoi
Pokémon?”
“Bene.
Non è per
loro che sono qui” rispose Rosso con calma. “Mi
domandavo soltanto se posso
usare la televisione del Centro per assistere alla Lega.”
Joy
girò il capo
da un lato e guardò la porta che conduceva a una stanza buia
ed evidentemente
in disuso. Disse: “Mi spiace, Rosso, purtroppo il televisore
della sala
allenatori è rotto, e non l’ho fatto riparare
perché nessuno viene mai qui… ma
ascoltami, posso farti venire di là con me, nella cucina, e
possiamo guardarla
insieme da lì. La tv è un po’
più piccola, ma si vede molto meglio.”
“D’accordo”
rispose Rosso alzando le spalle. “A me basta sapere che
succede. Ma tanto
vincerà Lance.”
“Oh,
non saprei,
Rosso…quest’anno c’è gente in
gamba. Una ragazzina di Borgo Foglianova, che in
linea d’area non è molto lontano da qui.”
Rosso
aggrottò la
fronte e non rispose.
Si
recarono in
cucina e accesero il televisione. Era vero, si vedeva bene a
sufficienza per i
loro scopi: Rosso distingueva bene ciascuna persona nel pubblico.
“Stai
parlando
dell’accesso alle finali?”
“Sì,
una ragazza
in gamba, ti dicevo… una di Johto, insomma, con tutte le
carte in regola e
senza appoggi in famiglia, comunque. Alle eliminatorie si è
distinta niente
male.”
Rosso
continuava
a non rispondere: scrutava i Capipalestra tra il pubblico, e tra essi
c’era
Blu, che indicava qualcosa a Brock, seduto al suo fianco, e parlava ad
alta
voce. Rosso distolse lo sguardo.
Iniziava
lo
spettacolo, e Rosso vide finalmente questa famosa sfidante di Johto.
Vide una
ragazza piccola e piuttosto bella, vestita semplicemente, schierarsi
contro la
bella Lorelei e abbatterla a furia di colpi.
“Hai
visto, eh,
Rosso? Non se la sta cavando male.”
No, se la
cavava
bene, perché no? Rosso seguì i suoi movimenti
mentre un possente Gyarados
shiny, curiosamente obbediente, si faceva largo sui Pokémon
di Bruno; poi vide
il suo Pokémon migliore, un meraviglioso Thyplosion, che
sconfisse senza
problemi i Pokémon dell’austera Agata.
“Niente
male”
mormorò Rosso, aggrottando la fronte. “Ma Lance
è un’altra storia.”
Venne
indetta
l’ora di pausa regolamentare, sebbene fosse chiaro che la
ragazza non ne aveva
bisogno; essa si riparò all’ombra e là
rimase in silenzio.
“Come
hai detto
che si chiama quella ragazza, Joy?” domandò Rosso
nel frattempo.
“Hanno
ripetuto
il suo nome una dozzina di volte!” protestò Joy.
“Non l’hai sentito, eh? Si
chiama Luisa.”
No, Rosso
non
aveva sentito: la sua mente era rimasta chiusa ai suoni, aperta
soltanto alla
battaglia in corso. Uscì dal centro per respirare un
po’ d’aria fresca; si
sedette su un duro blocco di roccia e chiamò il suo
Charizard, ormai
potentissimo e leale. Lo accarezzò, mormorando:
“Quella ragazza è molto
interessante, eh, Charizard, mio caro Charizard? Se la cava bene, ma
ora
bisogna vedere come andrà con Lance. Comunque voglio
conoscerla, mio caro:
sembra molto potente.”
Ma poi
finì per
rientrare dento, per mangiare un boccone con l’infermiera Joy
mentre le riprese
riprendevano: si era ormai fatta l’una del pomeriggio, e
Luisa e Lance
avrebbero combattuto sotto il sole cocente.”
“Vai,
Dragonite!”
“Vai,
Thyplosion!”
“Dragospiro!”
“Lanciafiamme!”
Esplosioni
e
botti e turbini di fiamme, ed entrambi sbraitavano ordini tra il fumo e
il
fuoco.
“Ruotafuoco!”
“Forzantica!”
Che
attacchi, che
spettacolo! E infine il Pokémon più potente,
l’ultima, disperata carta di
Lance, che negli occhi aveva lo sguardo che Rosso gli aveva visto;
l’ultimo
attacco, il suo attacco più potente e disperato…
“Iper-Raggio!”
“Lanciafiamme…finiscilo.”
E poi, di
nuovo,
quello sguardo disperato e cupo che Rosso ricordava, ma non
più incredulo,
ormai, piuttosto richiamato come da un ricordo antico e doloroso,
mentre Lance
arretrava un passo dopo l’altro senza potersi trattenere. Ma
subito le
telecamere si spostarono, si concentrarono sulla ragazza inginocchiata
accanto
al suo Typhlosion, con gli occhi luminosi e ricolmi di gioia e
felicità: essa
rideva senza timore di scottarsi le mani sul suo corpo bollente, sulle
fiamme
della sua gola…ed erano amici, loro due, e Rosso lo leggeva
nel muso del
Pokémon e negli occhi grigi e vivi della ragazza. Era
felice, felice davvero in
quel momento: era la Campionessa, la Campionessa di
diritto…Rosso non poté fare
a meno di pensare che al suo posto, quattro anni prima, non era stato
così
felice…
“È
perché non
c’erano testimoni” sbottò Rosso,
alzandosi in piedi. Joy sollevò sorpresa gli
occhi su di lui, domandando: “Rosso, che cosa
succede?”
“Niente…niente”
mormorò Rosso, cominciando a camminare avanti e indietro
nella piccola cucina
del Centro. Joy non distoglieva lo sguardo da lui.
“Rosso,
ti
senti…ti senti bene?”
“Sto
benissimo!”
ruggì Rosso, afferrandosi il capo con le mani. Joy
rabbrividì al suo sguardo,
ma si trattenne dal replicare. Dallo schermo provenivano ovazioni, urla
esaltate e grida, e la bella ragazza esultava e Lance si sforzava di
trattenersi; Rosso tornò a guardare, e vide che come tanto
tempo prima Lance
prendeva il microfono. Ma ora Lance parlava con voce tremante, incerta:
“Oggi
assistiamo alla nascita di un nuovo Campione. Oggi per la prima volta
Luisa
avrà accesso con me alla Sala
d’Onore…per la prima volta, un nuovo
Campione…”
“Oh,
Santo
Dio…SPENGI!” ululò Rosso, rivolto alla
ragazza che sorrideva meravigliosamente
in primo piano, così felice e soddisfatta di
sé…. “SPENGI!”
“Rosso!
Dimmi che
cosa succede!” esclamò la donna balzando in piedi.
“Rosso!”
Spense la
televisione e Rosso smise di urlare. Subito Joy gli fu addosso e lo
afferrò,
chiedendogli: “Rosso, Rosso, santo cielo, come
stai?”
Ora Rosso
boccheggiava, sentendosi crescere dentro come una tormenta di rabbia e
di
dolore; sentiva vorticare dentro di sé quel dolce, fiero
sorriso della ragazza,
la voce di Lance, gli scoppi e le fiamme, sentiva tornare da un passato
remoto
il prolungato gemito di Lance e la propria sorda, fredda,
insoddisfacente
consapevolezza di vittoria, che contrastava con la felicità
sconfinata di
quella ragazza. Poi tutto passò, ed egli si
afflosciò tra le braccia di Joy,
ansimante. La donna lo appoggiò al tavolo, ed egli
respirò.
“Sto
bene ora”
disse. “Lasciami.”
“No,
Rosso.
Vorrei prima farti un controllo.”
“Sto
bene, non si
vede?”
“Forse
stai bene”
rispose Joy “Ma desidero accertarmene.”
Lo fece
sedere
sul tavolo, gli tolse il giaccone e la maglietta; lo
auscultò, lo fece
respirare. Niente.
“È
vero, Rosso,
stai benissimo” disse. “Ma non capisco cosa ti sia
accaduto, sembravi…sembravi
un pazzo.”
“Lo
sono” pensò
Rosso, ma non lo disse. Scese dal tavolo e si rivestì:
all’esterno gli avrebbe
fatto molto freddo.
“Mi
spiace di
averti portato molto disturbo, Joy” disse Rosso.
“Ora me ne vado via, ma tu non
preoccuparti. Grazie per la tv e per il pranzo, grazie per
tutto.”
“Nessun
disturbo,
Rosso. Sono sempre sola qui” rispose Joy, per nulla
rassicurata dalle sue
parole. Rosso si diresse subito alla porta, e suo malgrado Joy lo
accompagnò
fuori. Rosso tirò fuori il suo Charizard e si
preparò a volare fin sulla cima
della montagna: non aveva voglia di arrampicarsi, quel pomeriggio.
“Rosso”
gli disse
Joy con urgenza “Ricordatene. Qui c’è
sempre posto per te.”
“Lo
so” rispose
Rosso con calma. “Lo so, Joy, ma tu non preoccuparti se non
mi vedi: vuol dire
che sto bene.”
“O
che non vuoi
venire” mormorò Joy, ma Rosso non le
prestò attenzione: egli salì sul dorso di
Charizard e la salutò con la mano nello spiccare il volo.
Raggiunse
la cima
del Monte Argento, riprese la via della grotta che ormai ben conosceva
e là
rimase in silenzio per ore e ore.
Quella
ragazza,
quella Luisa aveva vinto, aveva sconfitto Lance. Campionessa ufficiale,
d’accordo,
ma non di fatto, e Rosso si chiese se, nei minuti trascorsi con lei
nella
misteriosa Sala d’Onore, Lance avesse trovato il coraggio di
dirle la verità.
La
verità, già,
la verità.
Doveva
esserci un
vecchio blocco di carta nello zaino, e una penna: Rosso li
cercò e li trovò. La
carta era umida ma asciutta, la penna scriveva, ma non molto bene. Ma
Rosso
scrisse egualmente questo biglietto:
“Resterò all’interno
della grotta
sulla cima del Monte Argento per tutto il tempo necessario.
Rosso.”
Sì,
poteva
bastare, era sufficiente. Rosso consegnò il biglietto a
Charizard e gli disse: “Mio
caro, questo biglietto deve riceverlo Lance e Lance soltanto. Vola fino
all’Altopiano
Blu, trova Lance e consegnaglielo; poi torna qui.”
Charizard
aveva
capito. Pochi minuti dopo, esso volava in direzione
dell’Altopiano.
Eccomi di
nuovo
qua! Non manca molto alla fine della storia, almeno in teoria,
perciò sarete
sollevati che entro breve mi leverò di torno! ;)
Un
rinnovato
ringraziamento a nihil no kami per la recensione.
A presto!
Afaneia
:)