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Autore: Remedios la Bella    29/12/2011    4 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi scuso come sempre per il ritardo, ma anche durante le vacanze la stramaledetta scuola chiama i suoi seguaci...
Anche se in ritardo, auguro Buon Natale a tutti E un sereno Anno Nuovo! Che sia il più felice di tutti quelli che avete passato finora, davvero :)
PS: Grazie mille a tutti quelli che recensiscono la storia, che la consigliano o che semplicemente seguono le mie assurde imprese ... vi sono riconoscente, dal più profondo dell'anima :)
Ora vado ... Buona Lettura 
Remedios 

Capitolo 37

 
Ero stanco. Stanco di quel correre in mezzo alla polvere sollevata da una granata, stanco del sangue di ragazzi partiti per onorare la patria morendo in modo disumano in quell’atrocità.
Stanco di dover ascoltare ogni giorno una voce che mi chiamava a combattere, stanco di aiutare i feriti, stanco di tutto. Non ero fatto per quel posto, ma ci dovevo stare. E questo mi lasciava attonito e sgomento.
Non passava giorno in cui io non dovessi percorrere anche dieci metri, senza dover evitare, con tutta la fortuna mandatami dal cielo, le pallottole volanti, in cui io non dovessi aiutare qualcuno con una gamba ferita a essere trasportato nella tenda ospedaliera. E i giorni e le notti passavano con la tremenda angoscia di non star facendo abbastanza, con l’impressione che niente di tutto ciò fosse veramente valido alla salvezza di uno Stato come la Germania.
C’erano poi i giorni, in cui mi toccava assistere alle morti di miei commilitoni, colpiti gravemente e ansanti al suolo, che nei loro ultimi istanti di vita annaspavano quel poco ossigeno che riuscivano a respirare e invocavano il dio, sorridevano in modo ebete o piangevano scongiurando di non farli morire.
La prima volta che vi assistetti, cercai di serrare il cuore in una morsa di freddo e indifferenza, per non mostrarmi debole agli occhi di chi la morte l’aveva già vista in faccia.
Accalcato a quello pseudo cadavere, in mezzo ai medici di frontiera che aprivano la divisa zuppa di sangue nerastro e fasciavano una ferita che invano si sarebbe coagulata, sentivo le sue implorazioni alla vita come un rantolo lontano, mentre tentavo di bloccare quelle maledette lacrime di compassione, che non tardarono ad esplodere dopo che il cadavere venne coperto da un telo sporco e pieno di polvere.
Certo fu che mi curai di non farmi notare da nessuno, tranne ovviamente Jordan che non tardò a consolarmi:” Doveva succedere … fatti coraggio.”
Per tutte le altre volte in cui successe, non me ne curai più di tanto come per la prima volta, anche se lo stress si faceva sentire sempre.
Passò così una brutta settimana di guerra, fatta di notti insonni e giornate all’insegna della fatica. L’unico lato buono della cosa era che Jordan mi rimase vicino in ogni spedizione, da bravo amico. Quasi come se la fortuna mi stesse dando una mano, mi ritrovavo a compiere le missioni sempre in sua compagnia, e se alla fine scoppiavo in qualche crisi, lui era sempre pronto a darmi un minimo di sostegno, da bravo compare che era.
Ma tutto ciò svanì una pessima notte d’estate. E con il termine svanire, intendevo sottolineare che le circostanze non potrebbero essere state più sfavorevoli.
Io e Jordan, insieme al gruppo di cadetti, eravamo sdraiati nelle brande della tenda 4, il nostro pseudo rifugio, al riparo dagli scoppi notturni.
Io naturalmente cercavo di riposare anche chiudendo semplicemente gli occhi, di sonno non riuscivo a prenderne e per di più dovevo restare almeno lucido nel caso di un avviso fulmineo di guerra.
Una voce che mi fece sussultare. Era rapida e forte, un soldato messaggero:” Rinforzi in trincea! Servono rinforzi in trincea!”
Mi svegliai dal mio stato di dormiveglia:” Cosa è successo?”
“ I nemici hanno bombardato l’ala Nord della trincea. Alcuni soldati sono morti sul colpo! Servono rinforzi immediati, altrimenti potrebbero valicare il confine e attaccare qui.”
Alcuni tra i soldati che dormivano, si misero subito in piedi, pronti a partire; nonostante ciò, notai come le loro gambe tremassero quel poco che bastava a far capire che una situazione di emergenza non è proprio il loro forte.
Feci per alzarmi anch’io, e anche Jordan lo fece insieme a me. Caricammo il fucile in spalla e ci raggruppammo sulla soglia della tenda. Dal piccolo spiraglio notavo come anche nel resto dell’accampamento tutti si fossero mossi.
Con un cenno degli occhi chiamai Jordan, e lui capì all’istante. Uscimmo rapidi dalla tenda, sotto il grido di buona fortuna dei soldati rimasti laggiù come riserva.
Il cielo notturno e costellato di puntini bianchi come spilli da balia veniva arrossato di tanto in tanto da sottospecie di fuochi d’artificio fuligginosi, da barlumi di fuoco e il silenzio veniva squarciato da grida e rantoli, o peggio ancora da fischi assordanti e rombi di bombe cadute al suolo.
Correvamo, io e Jordan, e quei pochi disperati nostri alleati, in mezzo a quell’inferno, lui mi copriva le spalle da eventuali colpi volanti, mentre io spianavo la strada a colpi di fucile, contro i pochi fortunati infiltrati nemici.
“Tenete gli occhi aperti, siamo quasi arrivati!” dovevo mostrare quel coraggio e quella determinazione di chi la guerra se la beve a colazione. Anche se un filino la voce mi tremava, incitai il resto a proseguire correndo in mezzo al nulla, fino a che il gioco di ombre creato dalla trincea si mostrò davanti ai miei occhi.
I rumori attutiti di prima ora scassavano i timpani con fragore incessante, e l’aria mossa da corpi volanti spazzava la polvere roteante, mentre il colpo si schiantava con fragore assurdo.
La trincea si fece viva, in tutta la sua profondità e lunghezza.
Uno dei soldati lì in pattuglia ci vide:” I rinforzi! Presto venite!”
Saltai dentro il fosso facendo attenzione a non farmi male, i sacchi attutirono il mio salto.
Stesi sul resto di sacchi lerci pieni di sabbia, stavano i cecchini e i soldati artiglieri, che con il mirino puntato all’esterno aspettavano le mosse false del nemico. Si potevano benissimo notare i vari rinculi e le urla provenienti da fuori la trincea.
“ Voi …” Il capo di trincea indicò un gruppo di soldati:” Andate a rinforzo della squadra C … voi …” man mano che andava avanti, il soldato indicava a tutti che posizione prendere.
Infine toccò a me e Jordan:” Voi due … vedetta.”
“ Agli ord …”stavo per affermare il mio compito laggiù, quando un urlo belluino invase le mie orecchie in tutta la sua ferocia. Sentii uno sparo, e il tonfo di qualcosa cadere a terra.
Vidi la canna del fucile di Jordan fumare:” L’ho fermato prima che potesse colpirci …” disse, con il fiatone. Io Mi rinvenni da quella sorta di paralisi che mi aveva bloccato i muscoli poco fa, e lo ringraziai.
“ Di niente …” abbassò il fucile, con fare riluttante. Poi, si volse verso il capo:” Desidero andare in ricognizione.” Disse, freddo e deciso.
E senza neanche aspettare una mia protesta o un cenno del capo, saltò su e sparì fulmineo, tra i rombi di fucile e i rossori del cielo.
Attonito non mossi un muscolo. Quella notte non tornò dalla ricognizione.
 
La piccola Miriam e suo fratello Franz ci condussero verso una radura coperta da altissime spighe di grano, come il campo di prima. Stavolta però il terreno sembrava più solido, o perlomeno non risultava fangoso come prima in prossimità della palude.
Avanzavo dietro la piccola, mentre John teneva il piccolino, che aveva smesso di piangere a causa del ruzzolone di prima. Poi la vidi fermarsi e abbassarsi per terra, e sentii un suono metallico piuttosto attutito.
Restai ferma a guardare, mentre lei tornò poco poco indietro dal luogo in cui aveva “ bussato”, e vidi che tra le spighe qualcosa si muoveva, come se il terreno si stesse aprendo.
“ Miriam!” sentii una voce di donna, dal tono sorpreso. Non sembrava per niente tranquilla:” “ quante volte ti ho detto di non lasciare il rifugio senza il mio permesso!”
“ Scusa! È che Franz voleva uscire e quindi … ma poi ha disobbedito!” disse lei, protestando contro il rimprovero della donna, che dall’aspetto poteva benissimo essere scambiata per la madre; i suoi capelli ebano e gli occhi di un nocciola quasi dorato mi fecero supporre che in qualche modo le due fossero imparentate. La donna non tardò a vedermi e a rimanere un po’ scettica:” E … chi sono loro due?” chiese spaventata dalla nostra presenza.
A quel punto avanzai e le dissi gentilmente il mio nome e quello del mio compagno:” Come voi, siamo fuggiaschi. Vi dispiacerebbe accoglierci per un breve lasso di tempo? Sa, siamo dovuti fuggire da dove eravamo rintanati, e le guardie mi cercano dappertutto. Prometto che, se mai dovessero venire fin qui, mi assumerò la responsabilità di garantire, almeno per voi, la salvezza.”
La donna mi squadrò attentamente con espressione seria, poi parve raddolcirsi:” Dovrei chiedere a mio marito .. è lui che decide per tutti.” Disse:” Scendo un attimo … torno subito! Miriam! Tu e Franz scendete immediatamente!” disse rivolta alla figlia. Poi sparì sotto il coperchio della botola.
Rimasi un po’ delusa da quella reazione; non che io pretendessi che ci accettassero, ma il suo essere vago mi aveva sorpresa. Non potevo fare altro che aspettare.
Miriam si voltò verso di me, prima di scendere:” Sei preoccupata?”
“ Un po’ …” sorrisi mestamente alla piccola.
“ Non fare quella faccia, sono sicura che la mamma sarà d’accordo! Oh eccola di ritorno!”
Dopo un po’ spuntò per davvero sua madre. Aveva un’ espressione indecifrabile sul volto.
“ Seguitemi.” Disse con tono abbastanza rassicurante. Scese giù per la botola e io, con il cuore sollevato, la seguii insieme a John e al piccolo Franz.
Arrivati in fondo, non avrei potuto immaginare mai come fosse ben organizzato l’interno di quel complesso di stanze sotterranee che costituiva il rifugio; era un unione di gallerie che collegavano tra loro stanze, piccole e grandi, organizzate agli usi più disperati: Magazzino, dispensa, sala riunioni e luogo d’incontro. Tutto stipato sotto il suolo e in uno spazio in cui possono viverci bene solo poche persone.
La donna ci condusse nella sala riunioni, dove in consiglio erano riuniti gli uomini della compagnia. Erano in tre; un uomo anziano,  con una barba bianca e ispida, due occhietti nocciola infossati in una faccia grassoccia e tutta rugosa, camicia sbottonata sul petto che faceva intravedere la peluria bianca, stivali da lavoro e pantaloni a bretelle color marrone sbiadito, Un giovane dai capelli ebano e dagli occhi castano scuro, con una camicia stinta di celestino e pantaloni in stracci e un uomo poco più grande di lui, simile per aspetto fisico e abbigliamento, distinguibile a partire dalla barba incolta ma non troppo folta che gli incorniciava il viso.
Tutti e tre discutevano animatamente, e quando la donna li chiamò, stentarono a voltarsi, finché il vecchio non ci notò:” Buongiorno.” Disse con tono indifferente. Anche tutti gli altri si voltarono, ponendo i loro occhi su di me e John.
“ Buongiorno a voi …” salutai debolmente con un inchino, e John fece lo stesso dopo aver messo a terra il piccolo Franz:” Scusate il disturbo.”
“ Non preoccuparti, qui siamo in pochi, due o tre persone in più non recano alcun fastidio.” Fece l’uomo più giovane, sorridendomi.
“ Loro sono Deborah e John, sono fuggiaschi come noi e sono appena scappati dal loro rifugio stanotte ..” intervenne la donna per presentarci;” Io sono Anna.” Si presentò anche lei nello stesso momento, e poi indicando gli uomini di famiglia:” Mio padre Joseph, mio marito Jim e mio cognato Albert.” Indicando rispettivamente il vecchio, l’uomo con la barba e infine quello più giovane di tutti.
“ Molto piacere …” dissi, un po’ imbarazzata.
“ Avete intenzione di fermarvi a lungo e siete solo di passaggio?” ci chiese Jim.
“ In verità ci vogliamo trattenere solo lo stretto necessario, giusto per sviare la pista delle ricerche … poi leveremo le tende, promettiamo.”
“ Ma non dovete preoccuparvi!” esclamò Anna affabile:” Finora qui non ci ha scoperto nessuno, quindi potete stare tranquilli. E poi … quattro mani in più per le faccende ci farebbero davvero comodo!”
“ Oh …” ero esterrefatta dalla gentilezza della donna, ma non volevo approfittarne troppo:”  Sul serio, non si disturbi più di tanto …”
John intervenne per darmi man forte:” Io e la mia amica vorremmo essere solo d’aiuto non di disturbo. Dato che siamo ricercati, semmai ci sarà l’eventualità che le guardie ci scoprano, noi due scapperemo all’instante, esponendoci al pericolo e senza farvi correre nessun rischio.”
Gli uomini sembravano ascoltare attentamente ciò che dicevamo, e stettero in silenzio fino alla fine. Solo dopo Joseph si alzò e ci venne incontro:” Siete dei bravi ragazzi a quanto vedo. E sia, potete rimanere. Se poi sarete in pericolo, non esitate a chiedere il nostro aiuto.” Alzò improvvisamente il dito appena mi vide aprir bocca per ribattere:” Niente storie, siete i benvenuti.”
Miriam mi abbracciò le gambe felice, e dopo saltellò dalla gioia come una lepre.
Le lacrime fecero capolino dai miei occhi:” Grazie infinite.”
Anna mi batté lievemente la mano sulla spalla:” E adesso … da quant’è che non vi lavate voi due?”
“ Lavarci? … non saprei … tre giorni forse …”
“ Si sente … su! Dritta a fare il bagno!” fece in tono entusiastico. Io divenni rossa dall’imbarazzo e respinsi un’offerta tanto generosa, scuotendo la mani come per rifiutare:” Non si deve disturbare, io sto bene!”
“ Non diciamo sciocchezze!” mi tirò per il braccio, e mi porse un asciugamano pulito:” Tieni questo, ti preparo la tinozza dell’acqua calda …”
“ Qui c’è acqua calda?”
“ Diciamo che la rubiamo da una delle tubature che scorre qui sopra … prima abitavamo nello stabilimento qui sopra, ma poi ci siamo dovuti trasferire quaggiù …. E ci siamo arrangiati come meglio potevamo. Ora vieni con me, e vedi di rilassarti!”
Non dissi niente, troppo sorpresa da tutta quell’ondata di buon’umore. Mi limitai a sorriderle e a godermi il bagno che mi preparò.
 
“ Mi dispiace così tanto … mi sono lasciata prendere dallo spavento …” i singhiozzi mi mozzavano il respiro in gola, mentre ero inginocchiata come una dannata davanti a Menuchin, che mi accarezzava la schiena benevolo. Ero pentita di aver accettato quel gioco sporco, ma la paura aveva vinto su di me .. come potevo dover collaborare con quei bastardi affinché la mia migliore amica venisse presa? Avrei voluto spararmi e farla finita, e nonostante tutto, Menuchin non esitava a consolarmi.
“ La paura governa l’anima, è da quel sentimento che il resto scaturisce … non hai nessuna colpa.” Mi sussurrava con voce pacata e tranquilla, a mi avvolse le spalle con il braccio, stringendomi a sé.
Con un movimento ondulatorio del corpo, mi cullò come un bravo genitore:” Era così che riuscivo a calmare la mia piccola quando piangeva a dirotto. E non vedo il motivo per cui non dovrebbe funzionare con te. Calmati adesso …” Mi accarezzò la testa delicatamente, mentre io continuavo a piangere sul suo petto, stringendomi alla sua divisa da carcere e bagnandola con le mie lacrime di penitenza.
“ Cosa posso fare? Cosa?” piagnucolavo come una bambina, tutto ciò era dovuto al fatto che doveva per forza tradire la fiducia di una persona a me cara, e di conseguenza tradire quella di mio fratello.
“  La pazienza è la virtù dei forti … resisti ai soprusi, la luce ti illuminerà il cammino da percorrere per arrivare alla meta.” Parlava come un predicatore, e non detestavo il suo modo di fare. Un po’ riuscì a consolarmi.
“ Siete troppo buono con me.”
“ Lo faccio per il tuo bene, Elly … sei una ragazza forte, e se mia figlia ha risposto la sua vita nelle tua mani, non esitare mai … la fiducia si dona, non si ottiene come qualsiasi altra cosa.”
“ …” non avevo parole per esprimere ciò che avevo dentro, ma solo lacrime per colmare il pozzo che giaceva in fondo al mio cuore.
Piansi fino alla stanchezza, fino a non ne poterne più.
Cosa potevo fare per poter scampare all’infatuo destino? Solo il sonno, forse, mi avrebbe potuto consigliare.
   
 
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