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Autore: adamantina    30/12/2011    4 recensioni
Henrietta Sullivan ha un nome inglese ma l’indomito spirito dei guerrieri d’Irlanda. Cresciuta a bordo di una nave di pirati, un evento inaspettato l’ha costretta a ritirarsi a Galway, accanto alle donne miti che aspettano fedeli i mariti di ritorno dal mare. Ma Henrietta, ogni notte, sente il canto del mare che la richiama a sé, con la voce del suo amato che salpa in porti lontani. E quando dovrà tornare sulla sua nave, sarà pronta a sfidare persino la Regina d’Inghilterra per reclamare il rilascio del suo grande amore …
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: The Seashore Lullaby
Autore: adamantina
Introduzione: Henrietta Sullivan ha un nome inglese ma l’indomito spirito dei guerrieri d’Irlanda. Cresciuta a bordo di una nave di pirati, un evento inaspettato l’ha costretta a ritirarsi a Galway, accanto alle donne miti che aspettano fedeli i mariti di ritorno dal mare. Ma Henrietta, ogni notte, sente il canto del mare che la richiama a sé, con la voce del suo amato che salpa in porti lontani. E quando dovrà tornare sulla sua nave, sarà pronta a sfidare persino la Regina d’Inghilterra per reclamare il rilascio del suo grande amore …

Rating: Verde
Genere: Romantico, Storico, Drammatico
Avvertimenti: Het, One-shot
Note (opzionali): La storia, pur avendo un’ambientazione geografica precisa (ossia l’Irlanda, Galway in particolare, e poi Londra) non ne ha una temporale ben definita. Se dovessi indicare un’epoca in cui si svolgono i fatti, direi probabilmente intorno al XVI secolo. Ma la Regina d’Inghilterra non è Elisabetta I, per il semplice fatto che non sono un’esperta di storia. Ho creato una mia Regina, Catherine Magdalena degli York, che di Elisabetta ha solo il carattere forte.

 

La leggenda della Ninnananna della Costa è di mia invenzione.

 

I termini in Inglese, in Spagnolo e in Gaelico sono tradotti al fondo della storia; quelli in Gaelico potrebbero non essere tutti grammaticalmente corretti (ho fatto il possibile confrontando vari dizionari online). Facendo ctrl+clic sul numero delle note, vedrete quella corrispondente; facendo ctrl+clic su “torna al testo” tornerete al punto dov’eravate rimaste. Questo, naturalmente, se non ho fatto casini coi collegamenti ^^’’ altrimenti sono tutti al fondo!

 La storia si è classificata quarta al Pirates Contest di visbs88 e terza al contest Scegli un numero, ottieni un brano di Sweet96.

Buona lettura!

 

THE SEASHORE LULLABY

 

Non rimpiange nulla.

Non ha rimorsi.

Vorrebbe che fosse più facile, ma sa che è stupido –la vita non è mai facile, questo l’ha imparato molto tempo fa.

E, in ogni caso, sa che ne è valsa la pena.

Lo sente con estrema certezza quando vede quei piedini correre veloci sull’erba tagliata di fresco. È questo che vuole. È per questo che è nata.

Eppure …

 

Il corsetto la stringe in una morsa fastidiosa, ma lei non se ne rende neanche conto, troppo presa ad osservare con occhi inquieti la nave che si staglia all’orizzonte, i suoi contorni scuri ancora indefiniti che si stagliano mobili contro il blu intenso del cielo notturno e quello riflesso del mare. Non si distingue neanche il colore delle vele.

«Mamma» pigola una voce incerta, mentre due manine le tirano la gonna.

Henrietta si riscuote e abbassa gli occhi sul bambino. Non le è mai difficile sorridere quando lo guarda, nonostante i pensieri cupi che la attanagliano, ora più spesso di una volta.

«Vieni, tesoro.»

Si siede sulla sabbia fresca con Corin in grembo.

«Fai silenzio e ascolta» gli dice sottovoce.

Lui obbedisce.

«Non sento niente» protesta dopo un po’.

«Ssh. Se ascolti attentamente lo sentirai.»

«Che cosa, mamma?»

«La Ninnananna della Costa» risponde dolcemente lei. «È una canzone che il mare canta ogni notte alla spiaggia, la sua innamorata, per farla addormentare, mentre la accarezza dolcemente.»

Corin osserva le onde che lambiscono placide la costa e il leggero suono della risacca, ripetitivo e lento come una ninnananna.

«La sento» dice piano.

«Anche io, tesoro» sorride Henrietta, e rimangono a lungo in silenzio ad ascoltare.

Ma per Henrietta la Ninnananna ha un suono differente –è l’abisso che la chiama, sua dolce innamorata, e la prega ogni notte di tornare da lui.

 

Il vascello attracca al molo il giorno successivo. Henrietta sente un filo di riprovazione a trovarsi lì insieme a tutte quelle donne –madri e mogli- che un tempo aveva grandemente disprezzato per la remissività con cui accettavano che i loro uomini partissero per mare lasciandole sole per mesi a badare a casa e figli.

Gli uomini scendono tutti e si gettano tra le braccia delle famiglie in festa mentre ancora devono essere completate le manovre di attracco. Ben presto si allontanano e le risate svaniscono nell’aria frizzantina.

Robin, naturalmente, è l’ultimo a scendere.

Scende sul molo e, prima di guardare verso di lei, ammira per un’ultima volta la sua nave.

Sono priorità, Henrietta lo sa e non ne è gelosa. Anzi, lo capisce.

Ma quando, alla fine, si volta verso di lei, entrambi sorridono. Ed Henrietta manda all’aria tutti i buoni propositi di dignità, tanto più che non è rimasto nessuno a guardarli. Corre verso di lui e gli getta le braccia al collo, stringendolo e baciandolo.

«Hettie» dice lui con quella voce profonda che le fa venire i brividi. «Mi sei mancata.»

«Anche tu» cede lei, ma torna subito in sé. «Mi chiedo come tu abbia fatto a rubare anche un solo penny senza la mia spada.»

«La mia spada è affilata quanto la tua.»

«Certo, con la differenza che io so come usarla.»

Robin alza le mani in segno di resa.

«Touchè» ammette ridendo.

«Allora, come ci si sente ad avere qualcuno da cui tornare?» domanda Henrietta mentre si avviano lentamente verso casa, le mani intrecciate.

«Non male, ma preferivo averti sempre sotto gli occhi, e poterti far entrare di nascosto nella cabina del Capitano … ricordi?»

«Ricordo. Purtroppo quei tempi sono finiti … ma se vuoi posso farti entrare di nascosto nella mia camera da letto.»

«La tua camera da letto è anche la mia camera da letto.»

«Difficile ricordarselo dopo tutto questo tempo.»

Henrietta coglie l’espressione di Robin e ritratta in fretta, non volendo che le sue parole suonino come un rimprovero.

«Meglio così, dopotutto. Sembrerà ancora come quando eravamo ragazzini.»

«Tu sei ancora una ragazzina. La mia ragazzina.»

«In realtà, il tuo ragazzino ti sta aspettando dentro, perciò togli quella mano da lì e ricomponiti.»

«Mi stai chiedendo troppo.»

Henrietta ride e lo spintona in avanti, verso l’ingresso della casetta che da troppo tempo abita senza di lui.

E mentre il piccolo Corin salta in braccio al papà, Henrietta inclina la testa e sente di essere quasi felice.

 

» Prima «

 

Quando quell’arrogante irlandese screanzato dai capelli rossi di nome Rohan O’Doherty, conosciuto da tutti come Robin, era salito per la prima volta sulla sua nave, da ragazzino, Henrietta Catherine Sullivan aveva storto il naso. Ben presto era entrato nelle grazie del Capitano, Fergus Sullivan, padre di Henrietta, e questo a lei non andava giù.

Il Capitano Sullivan, affascinante vedovo con una figlia a carico, era noto per il suo leggendario status di amante della futura Regina d’Inghilterra nel periodo della morte misteriosa della moglie –voluta secondo i pettegolezzi dalla stessa futura Regina. Sullivan diede alla figlia neonata il nome della sovrana, un nome inglese, cosa di cui si pentì non molto tempo dopo. Al matrimonio di questa con il Delfino francese, infatti, ormai persa ogni speranza di vedersi affidate terre e posizioni prestigiose alla corte inglese, Sullivan si era ribellato alla corona e aveva preso le difese della natia Irlanda, iniziando una professione spesso sottovalutata, quella di pirata. Non che lui amasse definirsi in questo modo –preferiva “leale difensore della verde Irlanda”, ma, qualunque fosse il nome per indicare il suo lavoro, la sostanza non cambiava.

Henrietta aveva quattro anni quando per la prima volta era salita su un vascello. Suo padre non aveva nessuno a cui affidarla, perciò, all’acquisto della sua amata Taghdach Bean¹, spesi per essa tutti i suoi risparmi, vi aveva imbarcato anche lei. Da allora Henrietta non ne era più scesa. Era cresciuta tra i pirati, addestrata nell’arte della spada dal padre e in quella delle lingue dai suoi uomini, provenienti da tutto il mondo. Per qualche mese viaggiò con loro persino un prete cattolico in fuga dall’Inghilterra, che la chiamava my pure little soul² e le insegnò i rudimenti del latino.

Il Capitano Sullivan minacciava di gettare agli squali chiunque temesse la mì-àdh³ di avere una donna a bordo.

Henrietta aveva dodici anni quando Robin, di un paio d’anni più grande di lei, salì a bordo. Lui non ebbe bisogno di essere minacciato. Non solo non temeva la sfortuna, ma aveva quell’incoscienza tipica dell’adolescenza -che fa ritenere la morte qualcosa di lontano e indistinto- e diceva di non temere nulla. Il Capitano Sullivan lo trovò nascosto tra le cime e fu sul punto di farlo scendere nel primo porto a cui attraccarono, ma non lo fece mai, anche se lo minacciò tante volte. Lo prese sotto la sua ala protettrice e fece provare ad Harriet la femminile èad4, che la rese consapevole di quanto il Capitano Sullivan avrebbe desiderato un figlio maschio.

Il padre la amava, ma quando cadde vittima di una spada durante un attacco a una nave inglese, le ultime parole che disse furono “Voglio che Robin sia il prossimo Capitano.”

Henrietta si irrigidì ma non lo contraddisse. Fergus Sullivan morì e Robin O’Doherty, allora diciannovenne, prese il suo posto senza troppi scossoni, dimostrandosi subito tagliato per il ruolo.

 

La porta della cabina del Comandante si aprì e Robin alzò gli occhi dalle carte nautiche che stava esaminando.

«An cailìn5» commentò. «Cosa vuoi, Hettie?»

«Non chiamarmi Hettie» ringhiò lei, sbattendo il pugno sul tavolo e facendo scivolare a terra una carta. Non si preoccupò di raccoglierla. «Sai che questo posto è mio.»

«Non è ciò che ha deciso tuo padre» replicò Robin con calma.

«Mio padre non mi avrebbe mai buttata giù dalla nave!»

«Non ho intenzione di buttarti giù, Henrietta. Se volessi farlo, ti getterei in mare adesso.»

«Non mi fermerò a Galway» insistette lei. «La mia casa non è mai stata lì.»

«Lo diventerà. Mogli e figlie di tutta la ciurma vivono lì.»

«Io non sono una moglie, e non sono più una figlia. Tu non hai il diritto di farmi scendere, Robin O’Doherty.»

«Sono il Capitano.»

«E qual è la tua ragione per cacciarmi? Perché sono una donna? Questo non mi rende meno pirata di te. Ascoltami, facciamo un patto. Se riuscirò a batterti a duello –uno contro uno, armati solo di spada- potrò rimanere. Altrimenti scenderò a Galway.»

Robin sorrise.

«E duello sia» cedette. «Prepara i tuoi bagagli, cailìn. Dovrai trovare a casa a Galway.»

 

Ma Henrietta, con sbigottimento di Robin e gran divertimento di tutta la ciurma, aveva battuto il Capitano senza troppo sforzo, con una stoccata ben riuscita e anni di esperienza alle spalle.

 

«Cosa ci fai qui, mallaigh6?»

Henrietta non parve troppo scossa per l’utilizzo di quell’epiteto.

«Vorrei dire che non sono venuta a gongolare, ma mentirei.»

«Prego, continua pure. Non sei affatto irritante.»

«Immagino di no. Se volessi fermarti a Galway, Robin, sono certo che troveresti una casa accogliente e potresti persino riuscire a convincere qualche ragazza ingenua a diventare una moglie fedele.»

«Non voglio trovare moglie.»

Henrietta inarcò un sopracciglio.

«Hai altri gusti? Forse preferiresti un uomo mascolino e nerboruto?»

«Oh, ti prego» sbottò lui. «Intendo dire che c’è già una donna che mi interessa.»

«Davvero?»

Henrietta sentì inaspettatamente il morso della èad che le stringeva il cuore.

«Già. È una donna irritante, fredda, permalosa … »

«Che meraviglia. Sareste perfetti l’uno per l’altra.»

«Sarcastica e saccente» completò Robin, alzandosi in piedi «Ma dannatamente brava con la spada.»

Henrietta si irrigidì.

«Tanto da battere un Capitano dei pirati?» domandò.

«Anche di più.»

Le ultime cose di cui Henrietta fu pienamente cosciente furono le sue labbra sulle proprie, e la serratura della cabina che veniva chiusa a doppia mandata.

 

Henrietta allora aveva diciassette anni. Per tre anni affiancò Robin nelle sue scorrerie, senza mai sognarsi di scendere per più di un giorno quando tornavano a Galway. La sua abilità con la spada divenne leggenda, la chiamavano an Èireannach buile7 o an maighdeanùil foghlaì mara8, sulla qual cosa Robin scherzava sempre dicendo che era l’unico a poter dimostrare che la voce era infondata.

Si erano arricchiti con molti colpi fortunati uno dietro l’altro, erano temuti e rispettati non solo in Irlanda, ma anche in Scozia, Galles e persino nella cruàlach Sasana9.

E poi era successo l’inaspettato.

 

«Hettie. Cosa desideri?»

Lei non sorrise.

«È successa una cosa, Robin.»

«Che cosa? Sai che puoi dirmi tutto.»

«Forse è meglio se ti siedi.»

Robin, confuso e sospettoso, obbedì, osservandola mentre si sistemava sul tavolo accanto a lui.

«Adesso però parla, a chuisle mo croì10. Mi stai facendo preoccupare.»

«Robin … sono incinta.»

Lui la guardò con occhi sbarrati, senza parole.

«Oh» mormorò alla fine. «Sei sicura?»

Henrietta si limitò ad annuire in silenzio.

«Cosa vuoi fare?» chiese Robin, prendendole le mani tra le sue.

«Non lo so.»

«Qualunque cosa tu decida, Hettie, io non … non posso … »

«So che non puoi lasciare la nave» lo interruppe lei con improvvisa freddezza, ritraendo le mani. «E io non te l’ho chiesto. Vorrei solo che mi portassi a Galway.»

 

Robin la accontentò. Nel giro di due settimane erano a Galway e Henrietta aveva acquistato una deliziosa casetta sulla spiaggia. Aveva soldi a sufficienza, per non dire in abbondanza –gli ultimi arrembaggi erano risultati piuttosto fruttuosi- e vicine di casa deliziose che le avevano già offerto il loro sostegno morale. Erano per la maggior parte donne i cui mariti, padri o figli erano pirati o marinai e non erano mai salite su una nave nella loro vita. Nel frattempo celebrarono un matrimonio semplice ma sentito sul ponte della Tagdach Bèan, con il nostromo come testimone, e si scambiarono le loro promesse con occhi sinceri –e con un tramonto che rosseggiava alle loro spalle, riflesso nell’abisso che li circondava.

 

«Hettie, va tutto bene?» le chiese Robin.

Aveva già un piede fuori dalla soglia di casa, quasi temesse che restarci dentro troppo a lungo lo avrebbe costretto a rimanerci.

«Certo.»

«Ricordati della Ninnananna della Costa» le sussurrò. «Canterò con il mare ogni notte e il mio amore giungerà sulla spiaggia fino a te.»

«E io ascolterò» promise Henrietta, ma non sembrava convinta.

«Capisco quanto debba essere difficile» la consolò Robin. «Puoi sempre tornare sulla nave, se vuoi.»

«Ciò che una nave è in realtà … è libertà» replicò amaramente Henrietta. «E io ho dovuto rinunciarvi.»

Robin aggrottò le sopracciglia.

«Sembra che questo bambino sia una cosa del tutto negativa, per te» le rinfacciò. «Quando è tutto ciò che io ho sempre desiderato.»

«È questo che hai sempre desiderato, Robin? Una moglie fedele che ti aspetta con un pasto caldo quelle quattro sere ogni anno in cui torni a casa, con bambini che non puoi vedere e un fazzoletto dimenticato da cucire nel risvolto della giacca?» urlò Henrietta. «Non ti sei mai chiesto cosa voglio io? A cosa io devo rinunciare per poter realizzare il tuo sogno? Quella nave è la mia casa da molti anni prima che vi salissi tu! L’oceano è il mio sposo!»

Robin si tolse la fede d’oro spagnolo che lei gli aveva messo al dito solo pochi giorni prima e la lasciò sul tavolo.

«Allora, forse, non te ne serve un altro» replicò cupamente, e si allontanò.

 

La nave salpò poco dopo, e quando tornò a Galway, sei mesi più tardi, Robin corse verso casa per trovare Henrietta con un fagotto tra le braccia, nato da pochi giorni.

 

Quando la porta si aprì, lei si voltò. Robin cadde in ginocchio sulla soglia di casa.

«Mi dispiace» sussurrò. «Mi dispiace così tanto, a chuisle mo croì. Giuro che ogni minuto, in questi mesi, non ho pensato ad altro che a te, e a quanto fosse stato sciocco ed egoista il mio comportamento. Perdonami, mio amore, moglie mia, te ne prego.»

Harriet sorrise, allungandogli un piccolo cerchio d’oro che aveva gelosamente conservato accanto al cuore per tutto quel tempo.

«Alzati, Robin. Vieni a conoscere tuo figlio.»

 

» Oggi «

 

Sono passati quasi tre mesi da quando Robin è partito l’ultima volta. Ma stavolta guardare la nave all’orizzonte non la rende né felice, né malinconica.

La inquieta, come uno strano presentimento al quale cerca di non dare ascolto.

Henrietta non è mai stata superstiziosa. Quelli che la chiamavano an Èireannach buile riderebbero se la vedessero così, timorosa, gli occhi fissi su quella sagoma incerta ancora lontana.

Ma Henrietta ha pur sempre il sesto senso di una donna, e non ha torto.

Quando la nave attracca, l’indomani, lei è nuovamente sul molo, la mano stretta in quella del piccolo Corin, che aspetta eccitato il ritorno del papà. Come sempre, scende tutta la ciurma, che però sembra meno folta. Alcune donne restano sole sul molo, i loro mariti non sono sulla nave. E neanche Robin scende.

Il nostromo, Angus O’Connor, loro testimone di nozze, si avvicina a Henrietta. Le cinque donne rimaste sole si raggruppano attorno a loro per ascoltare.

«Mo bean uasal11» dice, chinando la testa. «Non porto buone notizie.»

«Cos’è successo al Capitano?» chiede lei, guardandolo negli occhi, il cuore che batte impazzito.

«È stato catturato» risponde pacatamente O’Connor.

Henrietta sente da una parte sollievo, perché aveva temuto che Robin fosse morto, e dall’altra una paura folle.

«Com’è potuto accadere?» domanda.

«Abbiamo attaccato il vascello sbagliato» replica il nostromo tetramente. «Era un’esca della Regina inglese. Quelli che sembravano marinai erano in realtà guardie  inglesi addestrate in incognito. Tutte armate fino ai denti, ovviamente. Ci hanno sconfitti dopo una lunga battaglia. Awley, Locklin, Seumas, Nanid e Finvar hanno perso la vita.»

Henrietta si volta per un istante verso le cinque donne rimaste vedove, che guardano il nostromo con incredulità. Vorrebbe non sentire il loro pianto disperato. Fa cenno a O’Connor di allontanarsi di qualche passo con lei.

«Cos’è successo poi?» insiste.

«Saremmo morti tutti» riprende l’uomo «Ma il Capitano ha accettato l’offerta degli inglesi di lasciarci andare in cambio della sua sottomissione alla Regina.»

«Quindi … la Regina in persona ha mandato quegli uomini a catturare Robin?»

«In realtà» specifica il nostromo, distogliendo lo sguardo dal suo «Hanno detto che la Regina voleva The Irish Fury and her man12

Henrietta chiude gli occhi. Se lo aspettava.

«Se è la Furia Irlandese che la Regina inglese vuole, questo è esattamente ciò che avrà!» ruggisce. «Raduna tutti gli uomini, O’Connor. Partiamo all’alba di domattina.»

«Ma la nave ha bisogno di rifornimenti, e di alcune riparazioni … »

«Beh, hai un giorno intero per preoccupartene» taglia corto Henrietta. «La voglio pronta per l’alba, nessuna discussione.»

«Come desiderate.»

«Ah, e … O’Connor?»

«Sì?»

«Issa le vele nere.»

 

Henrietta vorrebbe portare il bambino con sé, ma sente che questa potrebbe essere la spedizione più pericolosa a cui abbia mai preso parte.

Perciò si decide: affida il piccolo Corin a una donna, una di quelle che ha appena perso il marito, perché si prenda cura di lui insieme ai suoi bambini.

La donna, con la quale non ha mai avuto rapporti d’amicizia, risponde ai suoi ringraziamenti con un cenno.

«Vendica mio marito» le dice. «Fallo per la tua Irlanda, Èireannach buile

«Lo farò, te lo giuro» risponde con solennità Henrietta.

«Mamma» mormora Corin, stringendole la mano. «Ti prego, non andare via.»

Il cuore di Henrietta palpita di dolore, ma si china e posa un ultimo bacio sulla fronte del suo bambino.

«Sarò sempre con te, a chuisle mo croì» gli sussurra. «Per sentirmi ti basterà ascoltare la Ninnananna della Costa. Ricordi?»

«La canzone che il mare canta ogni notte alla spiaggia, la sua innamorata» cita Corin.

«Canterò il mio amore per te, bambino mio. Ogni notte, finché vivrò, ovunque sarò.»

Corin annuisce coraggiosamente e cerca di non piangere mentre la mamma si allontana, salpando verso la cruàlach Sasana, la crudele Inghilterra.

Mentre Henrietta, dal canto suo, osserva la rocciosa costa irlandese allontanarsi con un groppo alla gola.

Ciò che una nave è in realtà … è libertà.

E allora perché non sente più quel fremito di emozione impaziente? Perché preferirebbe essere sulla spiaggia di Galway con il piccolo Corin? Perché tutto ciò che l’infinito abisso che fronteggia riesce a trasmetterle è paura?

 

Il viaggio procede senza intoppi, e la nave capitanata da Henrietta attracca a Londra senza essere fermata. Il Tamigi la accoglie nella periferia della città, sporca e affollata come nient’altro che Henrietta abbia mai visto.

Non esistono città come Londra in Irlanda, pensa con disgusto ma un filo di ammirazione, perché il porto londinese è enorme e pieno di navi straordinarie.

Più volte i suoi uomini pregano Henrietta di ammainare le vele nere e sostituirle con quelle bianche, o perlomeno di abbassare il vessillo irlandese che è esposto con tanta spavalderia. Ma lei non cede.

«Nessuno ci fermerà» commenta. «La Regina inglese mi sta aspettando.»

Ed è così.

Essere introdotti a corte è più arduo di quanto Henrietta si aspettasse. I funzionari la inondano di regole su come parlare, come comportarsi, come inchinarsi, e tentano di affibbiarle un traduttore che lei rifiuta sdegnosamente –conosce le lingue meglio di lui.

Ma, alla fine, viene fatta entrare.

I cortigiani la osservano per un attimo –quella sottile e flessuosa donna irlandese, con i capelli scuri e lunghi, gli occhi del colore dei prati d’Irlanda quando piove, e le mani rovinate, abituate al duro lavoro su una nave- per poi tornare alle loro chiacchiere.

La Regina inglese, Catherine Magdalena degli York, la scruta con la stessa attenzione che Henrietta riserva a lei. I suoi capelli sono ormai ingrigiti, ma lo sguardo è duro come un tempo, quando –leggendaria bellezza dalla chioma dorata e il fascino fatale- era diventata amante di Fergus Sullivan e moglie di Philippe, Delfino di Francia. I pettegolezzi mettono in discussione la paternità del primogenito ed erede al trono, Henry, a causa della rapidità del matrimonio di Catherine Magdalena e della nascita a soli otto mesi dalle nozze; Henrietta è consapevole che potrebbe essere la sorellastra del futuro re. Chissà se lo spirito irlandese di Henry è stato domato dalla rigida educazione inglese, o se lo dimostrerà quando salirà al trono.

Henrietta non si inchina. Non riconosce il titolo di Regina d’Inghilterra e Irlanda di cui si fregia Catherine Magdalena13.

«Sono Henrietta Catherine Sullivan, moglie del Capitano Rohan O’Doherty» si presenta. «Vengo da Galway, in Irlanda.»

«Avete un nome inglese, Henrietta Sullivan» le fa notare la Regina.

Henrietta non si scompone.

«Lo porto in vostro onore, milady» ammette. «Credo che mio padre vi considerasse fino a tal punto degna della sua stima. Ma ciò non presume che vi dimostrerete degna della mia.»

Catherine Magdalena abbassa lievemente le palpebre, studiando la donna. Non è abituata a sentir usare quel tono nei propri confronti.

«Perché siete qui? Per negoziare il rilascio di vostro marito?»

«Per pretendere il rilascio di mio marito» specifica Henrietta.

«Come potete avanzare questa pretesa? È accusato di pirateria e destinato alla pubblica impiccagione. È un outlaw14, non merita pietà.»

«Mio marito ha attaccato spesso navi spagnole. Vi ha aiutata nella vostra guerra contro los reyes Catolicos15

Catherine Magdalena scaccia la difesa con un gesto della mano.

«Avete attaccato allo stesso modo Spagnoli e Inglesi, Henrietta Sullivan, non negatelo.»

Henrietta osserva la Regina con attenzione. È un’avversaria temibile, non va sottovalutata, e il suo potere è enorme, esteso ai quattro angoli d’Europa.

«Lo abbiamo fatto» ammette. «Ma il nostro unico scopo era la sopravvivenza della nostra gente. L’Irlanda è un popolo di guerrieri e navigatori, milady. Le vostre navi minacciavano di razzie la nostra terra.»

«La pirateria resta un reato, nonostante i buoni motivi che potrebbero giustificarla.»

Henrietta prende fiato. Non sta avendo successo. L’ultima cosa che resta da fare potrebbe farla spedire nella Torre di Londra insieme a Robin, pronta per un’impiccagione la mattina seguente, oppure salvarle la vita. Non resta che tentare.

«Milady, forse questo dovreste ricordarlo a coloro che issano la Union Jack e gridano “God bless the Queen”16 mentre assaltano i vascelli irlandesi.» Henrietta decide di fare l’ultimo passo verso la morte, o verso la salvezza. «Dopotutto, non è forse scritto “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”17

L’espressione di Catherine Magdalena non è mai stata tanto oltraggiata. Per qualche lungo secondo a Henrietta pare già di sentire un cappio che le si stringe al collo, premonitore di un destino crudele.

«Vi farò avere mie notizie, Henrietta d’Irlanda» dice poi la Regina, ritrovando la calma. «Nel frattempo sarò lieta di ospitarvi a corte.»

«Vi ringrazio, ma la mia nave aspetta al porto il suo Capitano.»

Detto ciò, fa un cenno con la testa prima di girarsi e uscire.

 

Dalla finestra della cabina del Capitano, Henrietta può vedere la Torre di Londra che spicca sulla periferia povera e sporca come un regnante che si impone sulla sua gente. Immagina Robin, il suo Robin, incatenato in una cella tetra come i corvi gracchianti della Torre, insieme a ladri e ad assassini, assetato di libertà come un uccello in gabbia. Forse affamato, forse torturato per scoprire il luogo dov’è nascosto il suo tesoro. Il solo pensiero la scuote nel profondo, e per un attimo Henrietta desidera avere una vita simile a quella di tante donne londinesi –povere, certo, e impossibilitate ad allontanarsi da quella periferia in sfacelo –ma con la certezza di poter dormire ogni notte con i loro mariti a fianco.

Lentamente, abbassa gli occhi dalla Torre al Tamigi, e si perde nelle sfumature scure dell’acqua.

No, non potrebbe sopravvivere in questo posto. Una misera imitazione di mare come quella non potrebbe mai soddisfare la sua brama di vedere, sentire, solcare l’acqua viva –perché l’abisso tiene prigioniero il suo cuore, non le permette di sfuggirle.

Henrietta prende una decisione in quel momento: se mai rivedrà Robin vivo, salperà con lui nel prossimo viaggio, tornerà ad essere an Èireannach buile, stavolta con il suo piccolo Corin al fianco.

 

La lettera non tarda ad arrivare.

Henrietta la legge più volte, per essere sicura di non aver frainteso.

Per ordine di sua Maestà Catherine Magdalena degli York, Regina d’Inghilterra e Irlanda, all’irlandese Henrietta Catherine Sullivan sarà concessa la liberazione del marito Rohan O’Doherty, ora assolto dall’accusa di pirateria, con l’unica clausola di un divieto per le loro navi di solcare territorio inglese o arrecare offesa alcuna a vascelli che portano il vessillo britannico.

Ce l’ha fatta.

 

Robin torna alla nave da solo. Il cuore di Henrietta si stringe nel vederlo zoppicare nell’avvicinarsi, e fa un passo in avanti per aiutarlo –ma il nostromo le mette una mano sulla spalla e le lancia un’occhiata che lei interpreta come “lascia che lo faccia da solo”.

Obbedisce d’istinto e aspetta che Robin la raggiunga. Quando è a pochi passi da lei, si guardano negli occhi.

«Mi hai salvato la vita» constata lui.

Henrietta si lascia sfuggire un sorriso.

«Lo dici come se fosse una novità» scherza.

Poi non resiste più e lo abbraccia, stringendolo forte.

«La prossima volta» gli mormora all’orecchio «Non riuscirai a lasciarmi a terra, Capitano

«Non ne ho la minima intenzione, a chuisle mo croì

 

Tutto è come dev’essere.

Galway, finalmente, è alle sue spalle, solo un’ombra cupa –stavolta sarà lei a stagliarsi sullo sfondo scuro dell’orizzonte. Le vele bianche sono state ammainate, la Jolly Roger prudentemente nascosta, pronta per essere issata nel momento in cui un vascello incauto si metterà sulla loro strada.

Corin è al suo fianco, gli occhi verdi spalancati come ad assorbire la meraviglia del mare; Robin urla ordini al timoniere, la fierezza e lo spirito indomito resi ancora più intensi dal periodo di prigionia.

E lei, Henrietta Catherine Sullivan, an Èireannach buile, regina incontrastata del mare d’Irlanda, colei che ha messo a tacere persino la grande Catherine Magdalena degli York, Regina d’Inghilterra, guarda il mare, rovescia la testa indietro e ride.

La Furia Irlandese è tornata a solcare l’abisso … è tornata a casa.

 

 

 

 

NOTE E TRADUZIONI:

 

¹ Taghdach Bean: in Gaelico, “Donna Lunatica”. [clic per tornare al testo]

² My pure little soul: in Inglese, “Mia piccola anima pura”. [clic per tornare al testo]

³ Mì-àdh: in Gaelico, “Sfortuna”. [clic per tornare al testo]

4 Èad: in Gaelico, “Gelosia”. [clic per tornare al testo]

5An cailìn: in Gaelico, “La ragazza”. [clic per tornare al testo]

6 Mallaigh: in Gaelico, “Maledizione”. [clic per tornare al testo]

7 An Èireannach buile: in Gaelico, “La furia irlandese”. [clic per tornare al testo]

8 An maighdeanùil foghlaì mara: in Gaelico, “La pirata vergine”. [clic per tornare al testo]

9 Cruàlach Sasana: in Gaelico, “Crudele Inghilterra”. [clic per tornare al testo]

10 A chuisle mo croì: in Gaelico, “Amore del mio cuore”, “Amore mio”. [clic per tornare al testo]

11 Mo bean uasal: in Gaelico, “Mia signora”. [clic per tornare al testo]

12 The Irish Fury and her man: in Inglese, “La furia irlandese e il suo uomo”. [clic per tornare al testo]

13 Riferimento alle vicende di Grace O’Malley, che si rifiutò di rivolgersi ad Elisabetta I quale Regina d’Irlanda, reclamando di essere sua pari. [clic per tornare al testo]

14 Outlaw: in Inglese, “Fuorilegge”. [clic per tornare al testo]

15 Los reyes Catolicos: in Spagnolo, “I re Cattolici”, attributo dei sovrani di Spagna, spesso contrapposti all’Inghilterra protestante e anglicana. [clic per tornare al testo]

16 Union Jack: nome popolare della bandiera inglese. God bless the Queen: in Inglese, “Dio benedica la Regina”. [clic per tornare al testo]

17 Giovanni 8,7 [clic per tornare al testo]

 

 

   
 
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