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Autore: Dark_Squall    18/08/2006    4 recensioni
La morte dei fratelli Ashford dovrebbe aver inflitto un duro colpo all'Umbrella. Nessuno pero' conosce i piani della diabolica corporazione...
Genere: Azione, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 05: Wesker

Il grande aereo dell’Aeroflot atterrò all’aeroporto di Mosca con un quarto d’ora di ritardo, per via della bufera di neve. Scesero tutti dalla scaletta, con i loro bagagli a mano ed una faccia piuttosto assonnata. Osservarono gli altri passeggeri salire in fretta sull’autobus che li avrebbe portati sino all’entrata dell’edificio principale.

Al gruppo si avvicinò un uomo con indosso un completo color antracite.

“Signor Redfield?”

Lui si avvicinò all’uomo e gli porse la mano “Sono io. Con chi ho l’onore?”

“Andreij Filatov! Il generale mi ha ordinato di trovarvi un mezzo di trasporto che vi conduca a destinazione!” disse l’uomo con un perfetto inglese.

L’ufficiale del KGB fece cenno al gruppo di salire su di un bus poco distante, il gruppo si incamminò velocemente verso di esso, per via del vento gelido che soffiava su di loro. Una volta saliti a bordo del veicolo, si scambiarono qualche occhiata dubbiosa, mentre un soldato in uniforme metteva in moto e sotto le indicazioni di Filatov si diresse verso una zona isolata dell’aeroporto.

“Possiamo fidarci?” chiese Barry rivolgendosi a Chris.

Il ragazzo alzò le spalle “Non abbiamo scelta!”

L’uomo seduto davanti parlò sottovoce al conducente, il quale si voltò verso il gruppo e rispose ridendo al suo superiore. Tutti osservarono i due russi chiacchierare, Chris si chiese cosa si stessero dicendo.

“Come avete intenzione di portarci a quella città?” chiese Jill sfregandosi le mani per il freddo. Il soldato notando che le persone che stava trasportando stavano morendo di freddo, accese il riscaldamento, ed un lieve getto di aria calda diede un po’ di sollievo ai passeggeri. “Americani!” pensò sorridendo divertito.

L’ufficiale si voltò verso la ragazza con un’aria seria “Ho ricevuto ordini precisi. Salirete a bordo di un aereo da trasporto Il 76T, che vi porterà ad una nostra base nella Siberia centrale. Lì vi saranno forniti dei veicoli leggeri, con i quali raggiungerete il centro di ricerca.”

Tutti si osservarono decisamente perplessi, non capendo perché avessero deciso loro la destinazione del viaggio.

“Centro di ricerca?” esclamò Barry con uno sguardo estremamente serio “Che intenzioni avete?”

Il soldato fece un commento in russo, Filatov rise e si rivolse al muscoloso agente STARS “Capisco che degli americani non nutrano molta fiducia nei nostri confronti.” rispose facendo cenno al conducente di accostare “Voi volete incastrare l’Umbrella vero?” tutti annuirono “Bene. Noi vi stiamo portando in un laboratorio segreto della corporazione!”

“Voi cosa ci guadagnate?” chiese Carlos “Non credo ci aiutereste senza ottenere niente in cambio!”

L’ufficiale sembrò arrabbiarsi “Una nostra città è stata completamente contaminata da un virus di quei bastardi! Ma non possiamo metterci contro la corporazione senza avere prove concrete, non tutti i vertici del potere hanno dei saldi principi morali…”

Barry sorrise “Questo grazie all’Unione Sovietica!”

“Non mi sembra che nel nostro paese sia andata molto diversamente!” intervenne Rebecca incrociando le braccia voltandosi verso il finestrino del mezzo.

“La signorina ha ragione!” esclamò Filatov aprendo la portiera e saltando fuori dall’abitacolo, seguito lentamente da tutto il gruppo.

Il grosso aereo a quattro turbine aveva messo in moto i motori, e restava fermo al di fuori di un grande hangar con lo stemma dell’aviazione russa. Un ufficiale con indosso una tuta di volo si avvicinò e si mise sull’attenti, salutando l’agente del KGB, il quale rispose al saluto e disse qualcosa in russo al pilota.

L’uomo si voltò verso Chris “E’ lei al comando della squadra?” disse con un inglese non molto buono.

“No, qui nessuno è al comando, siamo tutti allo steso livello.”

Il pilota si voltò verso il suo superiore con un’espressione interrogativa, si dissero qualcosa nella loro lingua e salutando gli americani tornò verso l’aereo a passo spedito.

“Il vostri bagagli sono già stati caricati sull’aereo, con l’aggiunta di una cassa con dell’equipaggiamento che potrà esservi utile!” disse Filatov indicando il grande velivolo “Ora salite a bordo! Il viaggio è piuttosto lungo!”

La squadra si incamminò velocemente verso il portello di entrata.

Una volta che tutti furono a bordo, un sottufficiale chiuse il portello e si avvicinò ai ‘passeggeri’, indicando i sedili e le cinture di sicurezza. L’aereo iniziò a rullare verso la pista di decollo, e pochi minuti dopo era in volo verso est.

 

Il grosso ascensore si era dimostrato piuttosto lento, aveva raggiunto il bunker sotterraneo in un quarto d’ora. Gli uomini attesero che le porte si aprirono ed uscirono con le armi spianate, osservando ogni angolo della grossa stanza in cui si trovavano.

L’unica fonte di illuminazione era rappresentata da alcune luci rosse intermittenti, il che avvolgeva l’area circostante nella quasi completa oscurità, i quattro accesero le loro torce e le puntarono in ogni direzione.

Una voce registrata continuava a ripetere sia in inglese che in russo la stessa frase:

Arkadij restò alcuni secondi a riflettere. E se il virus fosse già nell’aria? Loro sarebbero stati contaminati!

Decise di non correre e rischi, ed ordinò ai suoi uomini di indossare le maschere antigas e la tuta NBC (Nucleare Biologico Chimico), “Nikki! Cerca il pannello di controllo, dobbiamo ripristinare l’energia elettrica.” disse infilandosi la sua maschera ed impugnando la sua pistola.

“Sissignore!” esclamò il ragazzo accendendo il suo portatile per consultare la mappa della struttura, dopo alcuni secondi chiuse il computer e si diresse verso una parte buia dell’area.

I soldati continuavano a guardarsi intorno attraverso i visori notturni, sperando di non intravedere una delle creature che avevano eliminato i loro compagni nemmeno un’ora prima. Improvvisamente le luci a fluorescenza si accesero, illuminando a giorno il locale: sembrava un’enorme magazzino. Attaccati alla parete a destra dell’ascensore vi erano un gran numero di grossi scatoloni e casse, mentre il centro della stanza e l’altro lato erano completamente sgombri da ogni genere di oggetti, a parte un carrello elevatore cappottato e decisamente malconcio.

Nikki tornò verso di loro camminando lentamente con il suo computer sottobraccio. Tutti riposero i loro visori notturni negli zaini, avvicinandosi al sergente.

“Fammi dare un’occhiata alla mappa.” disse Arkadij riponendo la sua pistola nella fondina. L’informatico eseguì l’ordine e voltò il monitor verso il suo superiore.

“Il nostro obiettivo primario è ottenere dati e prove delle ricerche che effettuano qui sotto! Quindi…” continuò seguendo sullo schermo un sentiero immaginario con il dito “Dovremmo arrivare qui! Nella sala che contiene la banca dati.”

“Scusi, signore!” disse uno dei due spetsnaz scattando sull’attenti “Quanto è attendibile quella cartina?”

Il sergente si avvicinò lentamente al soldato Vassilij Popov, osservandolo attraverso la maschera antigas “Perché lo vuoi sapere?”

“Posso parlare liberamente signore?”

Arkadij annuì con un cenno del capo.

“Abbiamo già perso quattro ottimi soldati! Non voglio andare avanti ed indietro come un idiota! Specialmente qui sotto! Se quei mostri sono usciti da qui, è assai probabile che ve ne siano degli altri!”

“Il soldato Pavlov ha scaricato queste cartine dal computer di una filiale dell’Umbrella a Vladivostok.” rispose lui ritornando verso Nikki “Ora, dobbiamo scendere al livello sottostante a questo. Quindi seguitemi, e tenete gli occhi aperti!”

Normalmente non avrebbe permesso al soldato di parlare liberamente, e comunque avrebbe fatto rapporto per il suo comportamento. Ma quella non era una situazione normale! Nemmeno un agente operativo del KGB era addestrato a situazioni simili.

Il ristretto numero di soldati uscì dall’area attraversando una pesante porta blindata, priva di qualsiasi sistema di sicurezza, che immetteva in un lungo corridoio con un paio di porte per lato. Di fianco ad ogni porta vi era un pannello con una luce rossa accesa, il che significava che erano chiuse elettronicamente.

Raggiunta la porta alla fine di esso, gli uomini sentirono un gemito venire dalla stanza successiva.

“Cosa dice il tuo sensore?”

“Ricevo un segnale, ma è piuttosto debole…” rispose Nikki riponendo lo strumento in una tasca del gilet tattico.

“Aramov! Apri quella porta, noi ti copriamo!” ordinò il sergente puntando la pistola verso la porta, imitato dagli altri.

Il soldato semplice si avvicinò cautamente alla porta, sfoderò il suo coltello e con l’altra mano afferrò la maniglia in metallo. Con un movimento estremamente veloce spalancò la porta, ne fuoriuscì un uomo con un camice da laboratorio, che cadde a terra come un sacco di patate.

Quando Popov vide il sangue sul camice si chinò sull’uomo portando una mano verso il coltello, con cui avrebbe tagliato i vestiti del ferito. Il soldato occupava il ruolo di medico nella squadra, ed era quello con le maggiori nozioni in quel campo.

Arkadij osservò l’uomo sdraiato a terra: indossava un camice piuttosto sporco, e con qualche macchia di sangue. Guardando meglio notò che la manica sinistra presentava uno squarcio largo qualche centimetro, dal quale si poteva vedere la pelle, di un colore piuttosto strano. Il suo sguardo si posò sulla mano, era dello stesso colore, sembrava come in decomposizione.

“Spostati da lì!” urlò il sergente puntando la pistola sul ricercatore sdraiato a terra. Ma prima che il soldato potesse alzarsi, l’uomo gli saltò addosso con le braccia allungate. Popov cadde a terra con l’uomo addosso, il quale sembrava come impazzito.

“Stia fermo!” urlò Arkadij prima in russo e poi in inglese, ma non ottenne risposta.

Il ricercatore strappò la maschera antigas al soldato, emettendo soltanto degli strani lamenti. Lo spetsnaz osservò il volto del suo assalitore, e si mise ad urlare quando vide la pelle decomposta e gli occhi completamente bianchi, con una pupilla appena visibile.

Popov continuava a dimenarsi sotto il sibilare dell’uomo, sino a quando quest’ultimo lo azzannò alla gola. Infierì un paio di morsi al soldato, sino a quando il sergente non gli sparò un colpo alla schiena.

Con un sibilo il ricercatore si voltò lentamente verso Arkadij, alzandosi a fatica ed avvicinandosi con le braccia tese al sorpreso sottufficiale.

Nikki alzò la sua arma e colpì un paio di volte l’uomo, che continuava ad avanzare. Allora Aramov tolse la sicura al suo AK47 ed esplose una raffica verso il corpo che oscillava verso il suo superiore, il ricercatore cadde a terra sulla schiena.

Il sergente si avvicinò cautamente, l’uomo continuava ad alzare le mani verso di lui con la bocca aperta, da cui colava ancora il sangue del soldato Popov.

L’agente del KGB puntò la pistola alla testa di quell’essere e fece fuoco, creando un buco nero nella  fronte, da dove il sangue uscì formando una piccola pozza rossa sul pavimento.

“Vassilij!” esclamò Aramov chinandosi sul compagno con la gola squarciata.

“Fermò!” urlò il suo superiore “Potrebbe essere stato contaminato!”

Nikki osservò i fiotti di sangue uscire da ciò che restava della gola di Popov, si portò una mano alla bocca e si allontanò di un paio di passi e si piegò per vomitare.

Arkadij gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, il soldato si voltò e lo guardò attraverso la maschera “Che sta succedendo qui? Dove diavolo ci ha portato?”

Lui si guardò intorno e si allontanò verso la porta aperta con la pistola puntata avanti a se.

“Arkadij! Dove cazzo siamo?” urlò il ragazzo alzandosi e prendendolo per un braccio.

Il sottufficiale si voltò verso il compagno “Non lo so! Non ne ho la più pallida idea Nikolaij!”

“Ve lo dico io dove siamo!” disse Aramov avvicinandosi ai due “Siamo finiti all’inferno!”

“In fondo non è molto diverso dalla realtà…” disse una voce alle loro spalle, dall’altra estremità del corridoio.

I tre si voltarono puntando le armi verso il nuovo arrivato, osservandolo mentre si avvicinava lentamente.

“Fermati!” urlò il sergente puntando la sua pistola verso la testa dell’uomo, il quale fece come gli era stato ordinato.

Non sembrava russo. Aveva dei capelli biondi piuttosto corti e dritti, indossava una camicia e dei pantaloni militari neri, e portava delle giberne dello stesso colore. Sembrava essere disarmato, ma la cosa che li colpì furono gli occhiali da sole.

“Chi sei? E cosa ci fai qui?”

“Non parlo molto bene il russo…” disse osservando le spalline di Arkadij “Che ci fa qui un sergente del KGB?”

Lui lo osservò freddamente attraverso la maschera antigas “Sono io che faccio le domande!”

L’uomo rise di gusto e si avvicinò sino ad arrivare ad un paio di metri dai tre.

“Lei non è in una condizione tale da dirmi cosa fare!”

“Chi cazzo sei?” chiese Arkadij in inglese, sventolandogli la canna dell’arma di fronte agli occhi.

L’uomo prese lentamente uno strano oggetto metallico appeso al cinturone e lo mostrò al sergente “Questo è un giocattolino che troverete piuttosto interessante!” disse poggiandolo sulla parete.

“Che cos’è?” chiese abbassando il cane della pistola mentre l’uomo premeva un pulsante su ciò che sembrava un piccolo robot. Lui rise nuovamente, scattò in avanti ad una velocità impressionante e tirò un pugno ad Arkadij facendolo volare a terra.

“Fuoco! Fuoco!” urlò il ragazzo tenendosi lo stomaco dolorante. Gli altri due aprirono il fuoco, mancando l’uomo che saltò oltre di loro ed oltrepassò velocemente la porta ridendo.

Nikki corse verso il suo amico e lo aiutò ad alzarsi, sorprendendosi che un solo pugno lo avesse ridotto così. Tutti quelli che lo conoscevano lo consideravano una delle persone più forti che avessero mai visto, nonostante il suo fisico non fosse poi molto muscoloso.

“Quel bastardo!”

“Tutto a posto sergente?” chiese Aramov continuando a tenere sotto tiro la porta.

“Si.” rispose lui osservando incuriosito il piccolo robot dell’uomo, che si stava muovendo sulla parete. Non sembrava avere problemi nemmeno a muoversi sul soffitto, Nikki notò che quel coso produceva un piccolo raggio laser che esplorava la stanza.

Il raggio si posò su Arkadij, fissandosi su di lui. Il robot iniziò ad emettere un suono ritmico, come una specie di allarme.

“Sta zitto!” esclamò Aramov esplodendo un paio di colpi contro il piccolo apparecchio.

I tre soldati si avvicinarono alla porta con le armi in pugno. Il sergente ripose la sua 9mm nella fondina ed impugnò saldamente il suo fucile d’assalto, oltrepassando per primo la soglia.

Un rumore di passi in avvicinamento fece voltare il piccolo gruppo nella direzione da cui erano arrivati, chiedendosi se avrebbero potuto avere almeno cinque minuti di calma.

“Che diavolo è?”

“Non lo so, ma è maledettamente veloce!” disse Nikki osservando il monitor del suo sensore.

“Pronti a sparare su tutto ciò che non sembra umano!” esclamò Arkadij puntando l’estremità opposta del corridoio. Gli altri due annuirono, riflettendo su quelle parole, tutto ciò che non sembra umano…

Un’ombra irruppe attraverso la porta, correva con la schiena curvata in avanti e con le braccia che toccavano quasi terra. Da quella distanza videro solo che non aveva niente addosso, ma a mano a mano che si avvicinava iniziarono ad intravedere altri particolari: la pelle era di un verde scuro, le mani terminavano con dei lunghi artigli e le fauci erano ornata da lunghi denti bianchi.

“Che cazzo…” cercò di dire Nikki, ma gli altri due avevano già iniziato a sparare sulla creatura.

Il mostro continuava ad avvicinarsi, rallentando appena per i colpi subiti, sino a quando Aramov sparò una breve raffica sulla testa dell’essere, il quale si accasciò al suolo con un grido disumano.

I soldati si avvicinarono lentamente all’essere puntandogli addosso le armi, Arkadij notò che su una gamba era tatuata una scritta.

“MA-137 Hunter…”

“Hunter?” chiese Aramov con uno sguardo interrogativo, non conosceva l’inglese.

“Cacciatore.” tradusse il sottufficiale avvicinandosi al robot distrutto e prendendolo in mano “Credo che quest’affare li faccia arrivare quando suona.”

Lasciò cadere a terra i pezzi di metallo e tornò velocemente verso la porta, seguito dagli altri. Non volevano rimanere bloccati in quel corridoio costretti a respingere ogni attacco di quei mostri.

  
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