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Autore: Cloe87    03/01/2012    3 recensioni
Se alcuni mesi prima dell'inizio delle Galaxian Wars, una giovane donna, a prima vista normale, finisse nella vasca sacra del Tredicesimo Tempio senza motivo apparente?
Beh... forse il corso della storia potrebbe prendere tutta un’altra piega e un gruppetto di accanite pacifiste riuscire perfino a sfatare il mito... in nome del Cosmo!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Che il Cosmo sia con noi'
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IL DIAVOLO FA LE PENTOLE, MA NON I COPERCHI.

Ma gli angeli fanno i coperchi e non le pentole!

 

Nei giorni seguenti a qell’episodio l’atteggiamento di Arles nei miei confronti aveva iniziato a cambiare e, da un contegno distaccato, anche se gentile, era passato a ricercare un contatto meno formale e più diretto. Era palese che desiderasse travalicare il muro tra prigioniero e carceriere, per potersi avvicinare di più a me. Aveva iniziato a farmi visita anche oltre gli orari dei pasti, a richiedere la mia compagnia nelle sue passeggiate nello splendido giardino sacro del Tempio e a intrattenersi con me dopo cena per periodi sempre più lunghi. Diceva che la mia sola presenza lo rasserenava e che, anche se non sapeva spiegarsi come, da quando aveva iniziato a frequentarmi (se così si può dire) i suoi attacchi di emicrania si erano fatti meno frequenti e, le volte in cui avvertiva una fitta, cercava esplicitamente la mia persona e il contatto delle mie mani sulla sua fronte. E più il tempo passava, più si rendeva disponibile alle mie richieste, che avevo capito essere più facilmente accolte durante le “sedute di massaggio” alle sue tempie, quando lui abbandonava ogni guardia posando il suo capo sulle mie gambe, senza farsi troppi problemi. La prima volta ci ero rimasta di sasso vedendolo appoggiarsi a me come se fosse la cosa più naturale del mondo, cosa che mi fece ovviamente protestare.

Dissenso a cui lui mi rispose con un : «Ti prego non scostarmi da te» per poi ricercare le mie mani e portarsele al viso: «Non puoi nemmeno immaginare quanto tu stia facendo. Sei come un raggi di luce accecante dopo anni di tenebre, ma dopotutto non dovrei stupirmi, visto già l’effetto dei tuoi racconti»

Lo guardai incredula: «Perché? Che effetto hanno i miei libri?»

«Non so il perché, ma l’ingenuità e l’infantile ottimismo che traspare tramite le tue storie ha la capacità di rasserenarmi. Nonostante i tuoi racconti siano essenzialmente semplici e abbastanza prevedibili, riesci a trasmettere un senso di pace, di speranza. Sono come un invito a non abbandonarsi mai alla disperazione, perché, anche nelle ore in cui le tenebre hanno il sopravvento, esiste sempre una luce pronta a dissolverle e una mano tesa a soccorrere e a perdonare. Insomma, sono una splendida utopia».

Anche se lui intese le sue parole come una sorta di complimento io mi risentii un po’; non tanto per il commento sulle mie storie scontate (considerazione più che legittima), ma per il fatto di considerare ciò che pensavo soltanto una chimera, una fantasia infantile. Ma non potevo fargliene una colpa, visto che non poteva sapere che l’amore universale che travalica ogni confine, io l’avevo scelto come mio obbiettivo di vita.

Comunque tramite le “sedute” riuscii a farmi recapitare una macchina da scrivere per poter realizzare l’ultimo capitolo del mio romanzo e la conseguente spedizione del pezzo con relativa telefonata di avviso!

E già, il caro Arles, nel suo astuto piano di utilizzarmi come una facile pedina manovrabile nelle sue mani, non aveva tenuto conto della possibilità di prendersi una infatuazione per l’indifesa ed inerme prigioniera, nonché del piccolo, ma non insignificante particolare, che anch’io ero provvista di quello che lui chiamava cosmo; anche se mai l’avrei collegato a quello di cui mi aveva parlato, visto che il mio era profondamente diverso, direi quasi opposto, a quello che utilizzavano i saint e più difficilmente percettibile per via della sua natura (in seguito scoprii che fu proprio la caratteristica peculiare del mio cosmo a permettermi di avvicinarlo senza ritrovarmi una daga d’oro piantata nel petto).

 

Fu così che vidi per la prima volta in vita mia i famigerati santi di Atena, ovvero una sorta di guerrieri sacri della dea. Dovetti ammettere che come setta era organizzata fin troppo bene e il fatto che fosse fornita di guerrieri, nonostante le rassicurazioni Arles sul fatto che il tutto era a servizio del bene e della giustizia, era comunque inquietante. La violenza è sempre violenza da qualsiasi parte la si guardi e per qualsiasi fine la si adoperi. In ogni modo i due prescelti per farmi da scorta erano due ragazzi di grado argento (Arles mi spiegò che il loro esercito era diviso in caste), corrispondenti alle costellazioni dei Cani da Caccia e del Centauro.

Sia io che i due rimanemmo stupiti nel vederci a vicenda. Io per la strana armatura che indossavano, loro per i miei vestiti moderni. Per l’occasione avevo infatti indossato gli abiti con cui ero arrivata al Santuario. Girare per il paese più prossimo al Santuario in kitone mi sembrava inappropriato, salvo giustificare che eravamo dei matti o membri di un gruppo di rievocazione storica.

Il tizio dei Cani da Caccia si era invece fatto sfuggire un: «Non avrei mai immaginato che voi amaste indossare abiti di foggia contemporanea!»

Per poi essere ripreso da Arles con un frasone retorico sul rispetto che dovevano portare alla mia persona (che non compresi, in quanto, essendo prigioniera, stava come dei cavoli a merenda!) e sulla gerarchia (idem) il cui senso in definitiva era: “Fatevi i fatti vostri e non fatevi domande” ai cui i due risposero inginocchiandosi con un :

«Signor sì. Proteggeremo la Grande Atena a costo della vita!», cosa a cui io sorrisi quasi divertita; questi erano proprio fuori, ma infondo che diritto avevo io di giudicare? Ogni religione si è sempre basata su una professione di fede! Anche se quei poveri disgraziati credevano, per colpa di Arles, di trovarsi proprio di fronte alla loro dea! E io idiota che intesi la loro frase come una sorta di dichiarazione devozionale di rito!

Ripensandoci ammetto di essere stata veramente stupida a non accorgermene, ma sinceramente non avrei mai pensato che qualcuno nel XX secolo credesse ancora nell’esistenza fisica degli dei dell’Olimpo!.

Tuttavia appresi che i due tizi si chiamavano Asterion e Babel e che avevano ricevuto l’ordine di condurmi fino a Rodorio (così si chiamava il paesino che sorgeva nei pressi del Santuario), seguendo sentieri pressoché sconosciuti anche alla gente del tempio; cosa che trovai alquanto insolita. I saint, alla mia considerazione, fecero spallucce spiegandomi che non era loro compito contestare le decisioni del Grande Sacerdote. In compenso rimasero visibilmente sorpresi, e allo stesso tempo lusingati, dal fatto che avessi desiderato sapere i loro nomi (sinceramente mi sentivo alquanto a disagio a chiamarli con il nome di due costellazioni!).

Comunque Asterion e Babel svolsero da diligenti soldatini il loro compito e mi accompagnarono a Rodorio dove ebbi modo di usufruire dell’unico telefono esistente. Praticamente anche lì avrei potuto girare tranquillamente in kitone senza turbare nessuno, visto la totale indifferenza dei passanti ai paramenti dei mie accompagnatori. Gli abitanti del paesino erano infatti avvezzi alla vicinanza del santuario e ai suoi strambi inquilini.

Molto più turbati ed increduli erano invece i due saint, che, nel vedermi chiedere di poter usufruire del telefono al proprietario della trattoria in cui era istallato l’apparecchio, assunsero un’espressione stupita per poi lasciarmi, con mia grande sorpresa, sola, per rispettare la mia privacy. Comunque, come richiesto dal Grande Sacerdote, non fecero domande e io riuscii a rasserenare parenti e amici nonché beccarmi una lavata di capo da tutti e una sfuriata assurda dal mio editore, che si tranquillizzò solo dopo aver appreso che l’ultimo capitolo gli sarebbe stato recapitato a breve. Non potei biasimarli per essere felici ed infuriati allo stesso tempo. Avevo infatti dato come scusa di aver deciso di intraprendere un viaggio dopo una profonda crisi esistenziale, che mi aveva portato a desiderare una vita più agreste lontano dal fracasso e dalla frenesia dell’epoca moderna. Quindi avevo raggiunto la Grecia per poter vivere in una comunità rimasta lontana dalla modernità e ancorata pressoché ai tempi di Omero. Tutti mi avevano già inquadrato come una persona completamente fuori di melone, per via delle mie convinzioni e, con questa sortita, confermai a tutti che ero completamente pazza!.

Conscia del fatto, avevo seriamente bisogno di tirarmi su, e mi rivolsi alle mie guardie del corpo dicendo:

«Che dite, visto che siamo qui, ci facciamo una birra?».

«Voi be..bevete birra!» esclamarono completamente scioccati i due.

«Ehm, sì, c’è qualcosa di male?» risposi per poi dire in tono scherzoso: «Il vino sarà anche l’ambrosia degli dei, ma io preferisco la birra!» poi vedendoli rimanere completamente a bocca aperta aggiunsi: «E dai, mica sarete astemi! Arles beve puntualmente un bicchiere di vino a pasto!» per poi ricordarmi che loro stavano in teoria lavorando: «Ah è vero, forse non potete perché siete in servizio. Allora pazienza. Bere da soli è deprimente. O in compagnia o niente.»

«Assolutamente nessun problema, se è questo che desiderate, saremo onorati di accontentarvi».

E tutti e tre ci accomodammo e parlammo del più e del meno. Diedi consigli ad Asterion per organizzare una cenetta a lume di candela per conquistare la ragazza di cui si era preso una cotta (una brunetta molto carina che prestava servizio nelle cucine), mentre appresi che Babel amava scrivere e gli dissi che, se gli faceva piacere, avrei letto volentieri i suoi racconti.

Insomma, senza saperlo, avevo fatto guadagnare ad Arles un bel po’ di punti per la sua maxi fregatura. Babel e Asterion, nonostante lo shock iniziale, erano infatti rimasti colpiti molto positivamente dalla loro inedita “pseudo dea” alla mano, adoperandosi quindi in un’opera di propaganda da record per tutto il Grande Tempio, facendo sfumare i sospetti sull’operato del Grande Sacerdote e sull’affettiva presenza di Atena al Santuario.

Devo ammettere che se io ero stata stupida, quei due saint d’argento mi facevano degna concorrenza, ma d’altronde, da un sistema basato su una sorta di tirannia assoluta in cui se Arles diceva «salta!» tutti saltavano, che potevo aspettarmi? Anche se in seguito fui costretta a rivalutare uno dei due, che, a dispetto di tutto, si dimostrò meno scemo di quello che sembrava, mentre Arles si rivelò essere uno stratega meno abile di quello che tutti si aspettavano.

 

Intanto, mentre al Santuario giravano le voci che Atena fosse un’amante della birra (con il conseguente dilagare della suddetta bevanda tra gli abitanti del tempio al posto del vino), il comportamento di Arles assumeva sempre di più gli aspetti di un corteggiamento serrato, che, dovevo ammettere, stava dando i suoi frutti. Non potevo infatti negare che il Grande Sacerdote non mi facesse effetto. Era alto pressoché quasi un metro e 90, viso angelico e virile allo stesso tempo, un fisico da far invidia al David di Michelangelo e due occhi da irresistibile farabutto in cerca di espiazione, con i quali riusciva immancabilmente ad ottenere quello che voleva. Unica pecca? I capelli! Ma in seguito ebbi modo di constatare che portarli lunghi e di colori improponibili era prassi comune del luogo.

Insomma ammetto che stavo cedendo alle sue avance sempre meno velate, ma lui, dal canto suo, e dall’alto della sua convinzione di avermi in pugno e di potermi gestire a suo piacimento, mi permetteva di girare per quello che appresi chiamarsi Tredicesimo Tempio, con l’unica clausola di essere accompagnata di Asterion e Babel (che ormai erano diventati i miei servetti personali!). Pessima mossa! Quindi quando lui, durante l’ennesima seduta di massaggio, che ormai non riguardava soltanto più le tempie, ma anche le spalle e la schiena, prese tra le sue mani le mie, iniziando a baciarmi languidamente i polsi, non potei non avvertire un brivido di piacere lungo la schiena.

La sua audacia si fermò però bruscamente con uno: «Scusami..» e, rivolgendomi uno sguardo smarrito, direi quasi pentito, lasciò la stanza.

Bisognava infatti riconoscere che Arles a volte era proprio strano; sembrava quasi preoccupato di qualcosa, a parte evitare accuratamente di farsi cuccare da terzi con me in atteggiamenti troppo confidenziali e rifiutare tassativamente ai gold udienza con la sottoscritta. Lui e lui solo poteva intercedere presso Atena! Ovvio, se uno di quei pazzi fanatici sanguinari mi avesse parlato per più di 5 minuti si sarebbe accorto che non ero quella per cui Arles mi aveva fatta passare!

 

Ad ogni modo il mio anomalo arrivo al Grande Tempio rimaneva sempre avvolto nel mistero e Arles, avendo oramai intuito che in me c’era qualcosa che andava al di là della sua comprensione, era intenzionato a non lasciarmi più andare via. Infatti, nonostante in mia compagnia percepisse uno strano senso di pace e serenità irradiarsi da me, così come quando leggeva i miei romanzi, non riusciva a vedere in me un pericolo.

Fu così che durante la cena, per eludere le mie domande sull’argomento mi porse un quesito a bruciapelo che mi sorprese, soprattutto perché dal tono di voce sembrava un argomento delicato:

«Spesso nei tuoi racconti si parla di perdono, quasi fosse un tema ricorrente, quasi un invito...»

«Sì, e quindi?» risposi io.

«Quindi credi veramente che il perdono possa essere elargito anche a persone con un passato oscuro?»

«Sì. Il perdono è uno dei doni più preziosi che si possano dare e ricevere, come l’amore, l’amicizia e la fede.»

«Anche se si trattassero di crimini atroci?»

«Sì, se seguiti da sincero pentimento.»

«Tu la fai troppo facile! Io credo che alcune azioni non possano essere perdonate! Insomma chi potrebbe mai perdonare un assassino! Soltanto un pazzo potrebbe fare una cosa del genere!» sbottò a quel punto Arles.

«Un pazzo o qualcuno convinto che l’odio e il sangue, richiedono altro odio e altro sangue e che solo un gesto di perdono possa spezzare la spirale di tenebra in cui il mondo sta precipitando!.»

«Facile a dirsi per chi non si è mai trovato in una situazione simile!»

«Mia sorella è stata uccisa da un satanista.»

Nella sala calò un silenzio imbarazzato e io continuai:

«Mia sorella Emanuela era una persona splendida. Forse è per quello che era stata presa di mira. Aveva da poco lasciato il convento quando fu rapita e uccisa da un fanatico di una setta nera. È morta dissanguata come vittima sacrificale.»

«Tua sorella era una religiosa?»

«Una novizia che lasciò il velo perché si era innamorata di “un’anima perduta che si era ritrovata” almeno così chiamava il suo ragazzo, ma non mi chiedere cosa volesse dire. Era sempre stata molto vaga sull’argomento.»

«E tu hai perdonato l’uomo che ha fatto questo?»

«Quando l’avevano catturato volli incontralo a tutti i costi. Volevo vedere che faccia aveva e guardarlo dritto negli occhi e chiedergli perché»

«E cosa ti rispose?»

«Che il mondo era marcio e il bene aveva perso la sua ragione di essere. La radice del mondo era la distruzione, così come l’anima dell’uomo era oscura per natura. L’essenza stessa dell’universo era il male e la morte, quindi perché opporsi?. La morte di mia sorella era l’esempio di come solo le forze oscure avessero potere su questa terra. La sua purezza non l’aveva infatti salvata, mentre la sua anima, corrotta dal rito, avrebbe vagato per i gironi dell’inferno, mentre il nostro odio nei suoi confronti non avrebbe fatto altro che alimentare le tenebre. Provai rabbia alle sue parole, lo ammetto, perché l’aveva fatto solo ed esclusivamente per arrecare sofferenza gratuita, ma in me si fece anche forte il desiderio di far vedere a quell’uomo che si sbagliava. Mi ricordo di avergli risposto che era un idiota se credeva di aver corrotto l’anima di mia sorella con quel rito, e che gli avrei dimostrato che la spirale di odio, sangue e vendetta, che lui aveva cercato di innescare con quel gesto, poteva essere spezzata.»

«E ci riuscisti?» mi chiese Arles tra lo scettico e l’incredulo.

«Se credi che sia stato facile, ti sbagli. È stato un cammino tortuoso fatto di luci e ombre, perché in realtà il risentimento e la rabbia che provavo era tanta, ma volevo che capisse la gravità del gesto compiuto e allo stesso tempo la sua inutilità, oltre che non rendermi strumento d’odio e disperazione. Dovetti quindi prima imparare a fare i conti con i miei sentimenti negativi, prendere atto della loro esistenza, perdonarmi per i miei pensieri oscuri e scegliere di non farmi trasportare da essi ed aiutare lui a fare lo stesso. Andavo di conseguenza spesso a fargli visita e, dalla rabbia iniziale, che provava nel vedermi nonostante tutto serena e pacifica, iniziò a sentire la necessità di capire il perché della mia determinazione e di come facessi ad essere così forte da sopportare oltre il suo peso anche le critiche che mi venivano poste per il mio comportamento insensato»

«E cosa gli rispondesti?»

«Come lui aveva deciso di innescare una spirale di morte dolore e odio, io avevo deciso di spezzare l’anello di quella catena. Perché, come una goccia di male si espande a macchia d’olio, così anche una goccia di bene si estende nella stessa maniera, ma, come mi aveva insegnato Emanuela, se nessuno si prende la responsabilità di essere quella goccia e dare il via, allora sì che tutto sarebbe stato perduto. E da allora questa è la mia linea di vita, anche se forse cercare di trasmettere questa speranza in racconti da pochi soldi può sembrare poca cosa. Per questo ti dico che il perdono è possibile. É un percorso impervio che ha le basi in una scelta forte, ma se intrapresa con consapevolezza è possibile.»

«E lui che fine a fatto?»

«Perdonare è molto difficile, ma farsi perdonare e perdonarsi lo è altrettanto, perché non sempre ci si imbatte in persone disposte a fare un percorso contro corrente e insensato per i più, senza contare i rimorsi della coscienza, che, quando si presentano, sanno essere più crudeli di qualsiasi boia e se non si trova una mano pronta ad aiutarti ad alzarti è molto facile ritrovarsi nuovamente al punto di partenza. Lui la trovò in me e lo aiutai a reinserirsi nella società. Ora ha preso i voti ed è in seminario. Studia per diventare esorcista.»

Arles mi guardò e mi sorrise: «Ora capisco il motivo della forza e della limpidezza del tuo spirito, in cui non ho trovato macchia. Sei così, non perché non hai mai incontrato il male, ma perché pur avendolo vissuto in prima persona non ti sei fatta trascinare, ma l’hai combattuto consapevolmente.»

«Lo so che a prima vista sembro un’idealista infantile, e forse lo sono, ma anche se per alcuni sono una pazza visionaria che crede ancora che l’altruismo e l’amore verso il prossimo sia la via giusta da percorrere, credo fermamente che la parte luminosa dell’uomo sia più forte di quella oscura.»

Arles si alzò da tavola e mi si avvicinò:

«Quanto vorrei avere la tua forza Arianna ed è incredibile come tu mi abbia raccontato un episodio così doloroso con una serenità tale e senza alcun rancore verso quell’uomo. Sei veramente un mistero» mi disse, guardandomi negli occhi e accarezzandomi dolcemente il viso.«Posso sapere ancora una cosa?»

«Dimmi» gli risposi.

«Come hai fatto a superare il dolore della perdita? E non avevi paura che quell’uomo facesse del male anche a te?»

Rimasi a guardarlo e dopo un attimo di esitazione risposi: «Fin da quando ero bambina mi sono sempre sentita parte di un unico universo pulsante. Quando ci si sente parte dell’universo, come se si fosse una cosa sola con esso, la vita diventa un valore inestimabile da difendere e da vivere appieno in ogni suo attimo. La morte assume quindi i tratti di un ritorno all’origine, a quell’Universo a cui tutti apparteniamo, perdendo quindi di significato, in quanto a morire è solo un corpo datoci in prestito per poter agire in questo mondo. Io credo che la vita ci sia stata data perché imparassimo ad amare, e non il contrario, come invece spesso facciamo distruggendo ogni cosa.»

Arles mi guardò serio e, tremando impercettibilmente, prese il mio volto tra le sue mani dicendomi: «Arianna, se davvero il tuo desiderio è di spezzare le catene del male, restami a fianco, perché ho bisogno di te come dell’aria che respiro. Solo tu puoi salvarmi e, con me, il destino del mondo, prima che sia troppo tardi!»

«Arles, faccio fatica a seguirti se sei sempre così enigmatico. Cosa vuoi dire che devo salvarti e da cosa?», ma Areles mi azzittì posandomi delicatamente un dito sulla bocca.

«Sappi solo che grazie a te sento che tutto si risolverà per il meglio. Non è necessario che tu faccia di più di quello che stai già facendo. Ti chiedo solo di rimanere al mio fianco» e guardandomi con i suoi occhi imperscrutabili e penetranti, mi prese il mento fra le mani accarezzandomi le labbra, per poi posare su di esse le sue. La sua lingua cercò la mia sperando di essere ricambiata e... non venne delusa.

Non avevo idea di quello che stava nascendo e nemmeno dove mi avrebbe portato, perché è proprio per amore che si riescono a sopportare anche i cammini più impervi. Ringrazio solo il cielo di avermi concesso di affrontare tutto quello, che da li sarebbe accaduto, con una fiducia nel cuore degli umani senza confini, perché altrimenti non avrei avuto il coraggio di intraprendere quella salita in tutti i suoi connessi.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Ecco i primi saint ed ecco che Arianna inizia a fare i primi casini, aiutando inconsapevolmente Arles nei suoi piani. Il Grande sacerdote ha inoltre intuito che forse Arianna è più di quel che appare...

Per sapere come mai è finita lì, ci vorranno però ancora un paio di capitoli ^.^!

 

  
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