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Autore: _CodA_    04/01/2012    5 recensioni
E per rendere omaggio allo spirito natalizio, pubblico una long-fic BRITTANA in tema (il fatto di averla iniziata il 6 giugno sono dettagli...)
Vedrete che ci sarà quasi sempre uno schema fisso di intro + personaggio in prima persona. Spero vi piaccia! :)
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Trovarsi in un luogo sconosciuto completamente da sola non è una situazione piacevole per nessuno. Ti senti spiazzato, perduto, ignorato da tutto e tutti.

E questo di giorno, quando la luce del sole ti rende ancora tutto più sopportabile, vivibile e accettabile.

Ma quando cala la sera e ti senti inutile al mondo, quando senti che il mondo ti sta rigettando e assieme a te vomita la gente della peggior specie, ti senti amareggiata e vorresti scappare, tornare indietro a quella che ora ti appare una vita perfetta, fatta di piccole imperfezioni che avresti potuto sopportare in confronto a questo.

Viene da chiedersi se ci meritiamo ciò che ci sta accadendo, se sia giusto così, se capita a tutti...

Fatto sta che notte dopo notte, ponte dopo ponte, occhiataccia dopo occhiataccia, ti ci abitui e cominci a pensare che possa andare solo meglio, che prima o poi la ruota girerà con un po' di fortuna.

Perché se non inizi a crederci ti allontani dalla realtà, accetti quel limbo eterno che ti annullerà fino alla morte.

 
 

Brittany's PoV

Mi ci vollero almeno due mesi per riuscire a mettere piede in una palestra abbastanza decentemente.

Arrivare a New York era stato facile, sostarci e sopravvivere, quello era stato il vero problema.

Tutto quello di cui avevo conoscenza era Lima, Ohio, il paesino più sperduto e insignificante di tutto il mondo, ma solo ora me ne accorgevo.

Lasciata alla mia vita così, senza un sostegno, senza poter contare su nessuno, dopo che avevo passato una vita a dipendere da qualcuno; che fossero i miei genitori o la mia migliore amica poco cambiava: tutto appariva diverso, strano, inaccettabile e alle volte persino irrisorio.

Ben presto avevo scoperto che la vita era costosa, amaramente cara; le persone riuscivano ad essere così meschine che in breve tempo sospettai mi avrebbero fatto pagare anche l'aria che stavo respirando.

Non volevo spendere i soldi per un motel, volevo risparmiarli per cose di prima necessità sostando la notte in auto, almeno per i primi tempi.

Ma scoprì a mie care spese che l'auto non può essere parcheggiata ovunque durante la notte, anzi! Dovetti non solo pagare una multa salatissima, ma pagare la sosta ogni notte, che quasi quasi mi sarebbe convenuta una camera d'albergo a tre stelle!

Mentre i soldi diminuivano assieme alla possibilità di pasti completi, cresceva la necessità di trovare un posto di lavoro senza però rinunciare al mio sogno: ballare.

Ma se volevi sopravvivere, l'apparenza contava: l'aspetto è tutto in una città come questa, dove l'importante è sì spiccare, emergere, ma anche omologarsi.

Non so se sia possibile che questi due concetti vadano insieme ma è quello che mi ha ripetuto la signora all'ufficio postale ogni volta che mi aveva visto arrivare con un abito troppo eccentrico o un abbigliamento del tutto inadatto.

Era stata la mia unica amica lì in quella popolosa città, dove ognuno era pronto a voltarti le spalle e a girare gli occhi, storcere il naso e giudicarti, senza nemmeno conoscere un piccolo pezzo della tua storia.

Quella signora, nonostante la sua schiettezza e a volte la sua innaturale negatività, mi aveva preparato in breve tempo alla vita metropolitana, mi aveva fatto capire che presentarsi in un ufficio con una gonna a fiori in pieno inverno poteva essere sconveniente oltre che scomodo.

Poteva, stranamente, dare l'impressione che io non avessi voglia di fare assolutamente niente. La mia bellissima gonna, che lì a Lima mi invidiavano tutti, voleva dire solo una cosa agli occhi degli sconosciuti: "sono in vacanza, non so fare nulla, aiutatemi".

Non sapevo che gli abiti sapessero parlare fino a quel momento, ma ringraziai tante volte quella signora che mi aveva consigliato giusto, sebbene io all'inizio avevo stentato a crederle.

Quando tornai da lei per l'ennesima richiesta di lavoro accennò il capo verso di me per approvare il mio abbigliamento, e io ne fui felice.

Le sorrisi e acciuffai quel pezzo di carta che per me significava un lavoro assicurato.

Ma nemmeno quello andò bene.

Scoprì che non potevo diventare una segretaria o un assistente se non avevo una licenza in materie informatiche.

In realtà avevo capito che avrei anche potuto fingere di avercela ma poiché non riuscivo nemmeno ad accendere un computer, letteralmente, intuì che in poco tempo sarei stata scoperta e cacciata fuori.

Rinunciai quindi a questo tipo di impiego ed iniziai a vagare per locali in cerca di camerieri o ragazze delle pulizie.

E in breve tempo mi ritrovai a girare la città a svolgere i lavori più disparati: dalla pulizia dei bagni dei bar, al servire ai tavoli, dal solo preparare il caffè nel primo turno la mattina fino a dovermi beccare gli insulti e le pacche sul culo di ubriachi fradici che si aggiravano nei pub alle 2 di notte.

Nel frattempo però non mi davo per vinta e continuavo a cercare una palestra che mi avrebbe dato l'opportunità di esercitarmi, lavorare e forse realizzare il mio sogno.

Probabilmente apparivo ingenua e infantile, ma non volevo infrangere il mio sogno e volevo dimostrare a me stessa e ai miei genitori che potevo farcela.

Li chiamavo due volte a settimana per informarli della mia situazione, ma loro mi incoraggiavano a chiamare più spesso non lasciandomi mai senza soldi sul cellulare.

Continuavano ad arrivarmi ricariche ingentissime, ed ogni volta mi sentivo in obbligo di ricambiare con una telefonata che durava minimo un'ora.

Avevano tante volte tentato di convincermi a tornare, ma non c'era stato verso.

E ora, passati i primi due mesi, forse i più difficili della mia vita, finalmente riuscivo ad avere un attimo di respiro.

Avevo finalmente messo da parte abbastanza soldi per permettermi di fittare un piccolo appartamento, con luce, gas ed acqua.

Mi accompagnò all'interno una cara vecchina che non appena ebbe in mano i miei 250 dollari ci tenne a specificare che non avrebbe accettato ritardi nei pagamenti, nonostante quello fosse un appartamento di modestissime dimensioni che, era ovvio, chi lo abitava non poteva permettersi altro.

Io però stranamente mi sentì per la prima volta, dopo tanti giorni, a casa.

Era piccola, buia, un po' ristagnante, ma sapevo che in breve tempo l'aspetto sarebbe migliorato e l'avrei sentita più accogliente.

D'altronde avevo imparato che non si doveva giudicare nulla e nessuno dal primo aspetto, perché spesso può ingannare.

Così concessi a quella casa il beneficio del dubbio e feci bene.

Comprando piccole cose a prezzi stracciati nei negozi più vintage della città ottenni un luogo caldo, accogliente, colorato e stimolante.

Avevo il mio bel letto matrimoniale con lenzuola viola e rosse, delle tende simili e un armadio che ero riuscita a comprare al mercato delle pulci.

L'angolo cottura avevo solo dovuto pulirlo bene e agghindarlo con qualche tazza più vivace e un paio di stoviglie.

Mentre il salottino si riduceva ad un piccolo divano a due posti di fronte a cui c'era un'ampia finestra sotto cui avevo posizionato il mio televisore, regalatomi dal precedente possessore di quella casa.

L'importante era stato saper scegliere i tappeti che, scoprì, danno subito un senso di pienezza e calore; e poi decorare tutto con gli oggetti che mi erano più familiari mi aveva fatto sentire meno triste e sola.

Comprai un attaccapanni su cui poggiare il mio cappotto e la mia borsa al ritorno da una giornata intensa e faticosa, e così procedette la mia vita da quei giorni in poi.

Tra lavori, qualche lezione in una nuova palestra e le sere in casa.

Passati quei mesi però mi ero davvero stufata di non poter parlare con nessuno, di non riuscire a stabilire un rapporto amichevole, così mi sforzai di comunicare con i miei colleghi di lavoro giù al bar nella piazza a due isolati da casa mia.



 

 
  
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