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Autore: LarcheeX    05/01/2012    3 recensioni
Dopo la morte di Xemnas, le istanze dittatoriali di un certo Re cominciarono a farsi troppo ambiziose e avide di potere, portando quello che era un universo che aveva faticosamente guadagnato la pace e la serenità a diventare un oscura distorsione di sé stesso.
Ma come ogni dittatura porta consensi, volenti o nolenti, e dissensi, un gruppo di Ribelli ritornati in vita capitanati dai traditori traditi dal loro migliore amico è pronto a sorgere dalle macerie dei ricordi e farsi avanti per distruggere il Re.
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Tornata in vita non si sa come, LarcheeX torna alla carica dopo un imbarazzante numero di mesi: qualcuno la seguirà? Boh. Vedremo.
Penumbra is back.
Genere: Avventura, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Kairi, Naminè, Organizzazione XIII, Riku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Movimenti del sottosuolo.

Cunicolo senza orientamento logico, ore 00.35.

 

I passi del numero VII e del numero VIII erano le uniche cose udibili a distanza di chilometri, e rimbombavano minacciosi ribalzando sulle contorte sculture di pietra della galleria.

Saïx non sapeva da dove cominciare: non aveva nemmeno percepito l’allontanarsi del numero IV, semplicemente all’improvviso si era accorto della sua sparizione, e non riusciva nemmeno a capire dopo quanto tempo dall’effettivo allontanamento di Vexen.

Quanto avevano camminato prima di capire che mancava un uomo alla loro truppa?

Forse, acuendo lo sguardo, avrebbero potuto scorgere qualcosa che indicasse una lotta, o un combattimento, sempre calcolando l’ipotesi che fosse stato rapito o trascinato via e che non se ne fosse andato di sua spontanea iniziativa. E poi, perché avrebbe dovuto farlo? Vexen non era certo il tipo da negoziare con il nemico senza un motivo. Forse il suddetto nemico aveva avanzato una proposta che il numero IV non aveva potuto rifiutare, forse gli avevano addirittura offerto il cuore.

Ma più ci ragionava, più l’ipotesi del rapimento gli sembrava plausibile. Vexen non era un bravo combattente, ed era assai più probabile che, cercando di contrastare la maledizione che impediva a loro di usare la magia, si fosse gettato per orgoglio contro un nemico.

Però, se ci fosse stato un qualsiasi pericolo, era molto difficile che il resto del gruppo non lo avesse né udito né percepito, nemmeno lui stesso, che aveva un udito sopraffino, aveva sentito nulla.

Probabilmente Saïx avrebbe continuato all’infinito il suo ragionamento fino ad un’intuizione che avrebbe potuto soddisfarlo, se Axel non avesse esclamato, tutt’un tratto: “Saïx!”

Il diretto interessato si girò verso il suo sottoposto in un falso atteggiamento di fastidio, ringhiando: “Per te sono il numero VII.” Ma, appena pronunciate queste parole taglienti, si ritrovò circondato da un nugolo di soldati che minacciavano lui e il suo compagno con delle lunghe lance.

“Muovete un passo e vi trafiggiamo.” Era stata una donna a parlare, anche se, come Saïx poté notare, donna non lo sembrava molto: aveva i capelli lunghi fino alle orecchie e un corpo stranamente tozzo e muscoloso, lucido di sudore e guizzante come quello di un combattente esperto, vestito con una tunica di tela grezza dall’aria pruriginosa. Tutto della sua espressione, dagli zigomi alti tirati con aria truce sugli occhi insieme con la fronte corrugata alla smorfia distorta che le caratterizzava la faccia, trasudava il più genuino e completo disgusto.

“Demeter, sono in due” le fece notare un soldato, abbassando lievemente la propria arma: “non possono far nulla contro un gruppo di venti persone.” Ma fu redarguito dalla voce aspra di Demeter: “Non abbassare la lancia!”

Squadrò Axel e Saïx per qualche secondo, dopodiché li costrinse a muoversi verso una direzione solo a lei nota.

Axel non sapeva cosa fare: era certo che Saïx stesse per escogitare qualcosa. Aveva corrugato le sopracciglia in un’espressione concentrata, tipica di quando rifletteva. Dopo qualche secondo si accorse che stava cercando di andare in bersek, ma evidentemente la maledizione incombeva anche su di lui, tanto che, dopo un po’, desistette e si lasciò guidare come lui fino al quello che sarebbe potuto essere il covo del gruppo.

La galleria scese di profondità, facendosi anche più stretta e bassa, tanto che il soffitto sfiorava le loro teste e i soldati furono costretti ad camminare con le lunghe lance in orizzontale.

Sembravano un gruppo di disperati: le loro armature molto diverse da un uomo all’altro, le loro capigliature scomposte e spettinate, anche il loro incedere lento e cauto, li identificavano come un gruppo di ribelli. Probabilmente anche Saïx se n’era accorto. Se fossero stati dell’armata di Ade avrebbero avuto tutti la stessa uniforme.

“Siete ribelli?” chiese, forse un po’ ingenuamente, ma non ebbe modo di pentirsene, perché, non fu ascoltato: erano giunti ad una porta di pietra massiccia, con una piccola feritoia orizzontale.

“Aprite.” Ordinò Demeter, e nella feritoia apparvero due bellissimi occhi viola: “Parola d’ordine.” Decretò una voce fredda, e, quando la chiave per entrare fu mormorata, entrarono.

La proprietaria della voce e degli occhi non si fece vedere, poiché, oltrepassata la porta, nessuno c’era ad accoglierli.

Si ritrovarono in un corridoio buio, illuminato solo da una fiammella che incespicava in ogni alito di vento e proiettava ombre cupe sul muro. I due prigionieri si aspettavano di entrare finalmente nel covo dei loro aguzzini, ma, prima di arrivarci, incontrarono altre sei porte. Erano sempre gli occhi viola e la voce fredda ad accoglierli, anche se non riuscirono mai a capire chi fosse ad aprire loro quelle così pesanti lastre di pietra.

Dopo di ciò, furono condotti per un piccolo corridoio adiacente ad un enorme muro e, dopo aver intravisto un pezzo di quella che doveva essere un’enorme arena da gladiatori, furono sbattuti in prigione.

La cosa che stupì Axel fu la totale impassibilità e pacatezza di Saïx. Lui non si sarebbe fatto mettere in gabbia così facilmente, avrebbe potuto benissimo fare qualcosa di diverso, come per esempio tirar fuori la claymore. Alla fine, anche senza il proprio potere, rimaneva un combattente micidiale.

Però… non lo aveva fatto. Come lui non aveva usato i chakram. Non si poteva certo dare una spiegazione plausibile, si era detto che li avrebbe tirati fuori quando Saïx avrebbe deciso di attaccare.

Possibile che il numero VII avesse un altro piano?

Era rimasta solo Demeter con loro: “Non avete opposto resistenza.” Asserì, con una voce totalmente diversa da quella furiosamente rauca che aveva usato prima, che anzi lasciava intendere una buona dose di comprensione e affetto. Sembrava la voce di una nonna che parla ai propri nipoti.

Saïx la squadrò con scarso interesse: “No.”

“E non avete emesso un fiato di protesta.”

“No.”

Evidentemente per la donna qualcosa non quadrava. “Allora siete qui per un motivo preciso?”

“Esatto.”

Ma dove voleva andare a parare?

“E cosa?”

Ma Saïx non fece in tempo a emettere la propria risposta che la porta di legno della piccola prigione si aprì di scatto. “Siete due idioti!”

 

Stanza di Ade, ore 01.18.

 

Larxene fu condotta in una stanza, se possibile, ancora più tetra e fredda delle altre che aveva attraversato, con un grande tavolo di pietra grezza al centro e un trono scolpito in uno schienale alto e liscio. Ade si sedette sul suo posto d’onore, facendo accomodare lei su una sedia.

“Ebbene?” disse, squadrandola con rinnovata diffidenza.

Nel tempo che ci mise ad attraversare il Palazzo dell’Oltretomba fino a quella stanza, Larxene aveva inventato tante di quelle scuse e storie da poter ingannare alla grande il dio dei morti, quindi la sua espressione non sfociò nell’impreparazione quando fu il momento di parlare. “Siamo stati chiamati da un gruppo di ribelli che si è insediato sotto l’Infernodromo. Ci hanno chiesto di sradicare il tuo potere basato sugli Heartless.”

Lui ne sembrò quasi convinto: “Interessante.” Disse: “Continua.”

“Non abbiamo fatto in tempo a congiungerci con i nostri alleati che ci avete catturato.” Non fu degnata di molta attenzione, perché Ade sembrava attratto da qualcosa acquietato in un angolo buio, tanto che si diresse da quel lato della stanza e ne trasse fuori un ragazzo dai capelli scuri.

Larxene ebbe l’impressione di averlo già visto da qualche parte, e la cicatrice che gli passava sul naso sembrava scolpita in qualche parte della sua memoria. “Léon.” Chiamò Ade, con voce suadente: “Che ne dici, la nostra graziosa traditrice mente o dice la verità?”

Léon sembrava un Nessuno. Apatico, lento da morire a pensare e parlare, freddo e privo di volontà. Larxene si chiese se gli avessero asportato il cuore per renderlo obbediente, ma non poté interrogarsi oltre sul tristo destino di Léon, perché la sentenza di quest’ultimo la colpì in pieno viso: “Sta mentendo, è chiaro. Non ci sono stati contatti tra loro e i ribelli, e i ribelli non si trovano sotto l’Infernodromo.”

Il numero XII rimase basita, ma si riebbe quasi subito, utilizzando il proprio carattere altezzoso e arrogante come punto di forza: “Oh, certo, peccato che tu ne sappia meno di me.” Ringhiò, estraendo un kunai. Ade sembrava divertito da tutta quella finta rabbia, e si fece di nuovo vicino a lei. Le prese il mento tra pollice e indice e la costrinse a guardarlo nei suoi occhi di pietra: “Allora di sicuro ci mostrerai la via.” Disse, in tono affabile ma che minacciava chissà quale terribile dolore in caso che qualcuno avesse osato smentire. Larxene si divincolò e grugnì il proprio assenso.

Era schifata: sia perché le dita di Ade erano viscide come delle anguille, sia perché quando lo aveva avuto vicino si era fatto strada nelle sue narici un appestante odore di cadavere i putrefazione. Si trattenne dal commentare e aspettò.

All’improvviso un demone grasso e roseo come un maiale, differente da esso solo per la sfilza di denti affilati di cui faceva mostra nella propria smorfia disperata, si scaraventò all’interno della stanza, seguito da un suo simile blu e magro come uno stecchino: “Sua Eminenza, signor Ade!” uggiolò: “Ci sono intrusi nell’anticamera per la serratura! Sono in sei!”

“E l’Heartless della Discordia è stato abbattuto!” continuò il secondo con voce querula: “Un dono di Sua Maestà, che perdita!” e perpetuarono la loro disperazione con gridolini sul genere “invasori” e “perdita”, almeno finché Ade, i capelli fiammeggianti di irritazione, li pestò con rabbia: “Piantatela di lagnarvi e parlate chiaro!”

Il demone blu si alzò, raddrizzò le lunghe corna e disse, fermo e dritto come un soldato: “Sì! Ci sono sei intrusi nell’anticamera davanti alla sala della serratura. L’Heartless della Discordia, prima di essere abbattuto, ha inviato un messaggio che ci informava che questi sei sono composti da un uomo brutto col cappotto nero, un pirata, un guerriero biondo e uno con i capelli chiari, due ragazze, una bionda l’altra rossa.”

Il dio dei morti ascoltò il resoconto con attenzione, e non fece caso al lieve stupore del numero XII nel sentire che Xigbar – solo lui poteva essere l’uomo brutto col cappotto nero – e gli altri erano arrivati così vicini alla serratura. Forse quel soggiorno nel primo mondo era concluso?

Evidentemente la situazione era grave, perché Ade ordinò a Léon di seguirlo e tenersi pronto al combattimento. Poi guardò la sua ospite e disse, con voce affabile: “E la nostra parthenos ci aggrada della sua presenza?” Larxene guardò dubbiosa le cinque dita viscide che le erano state offerte e, reprimendo un moto di disgusto, si fece guidare fin nelle profondità dell’Oltretomba.

 

Piscina infernale, ore 01.38.

 

“Bleah.” Borbottò Kairi, prendendo un bastone e infilandolo nel liquido nerastro: “Non ho mai visto niente di così viscido e sporco.”

Non aveva torto, in effetti.

“Oh, allora non sei mai andata a Port Royal di questi tempi!” disse Jack, dando un calcio ad un sassolino, mandandolo nella grande pozza vicino la quale si erano fermati. Il sassolino rimase per un tempo paurosamente lungo in bilico sulla superficie traslucida del liquido, poi si inabissò lentamente fino a farsi sommergere dai fanghi viscidi della piscina. Jack rabbrividì.

Dopo aver affrontato l’Heartless ragno avevano camminato seguendo l’istinto e l’olfatto di Xigbar, e la cosa lo stava cominciando a preoccupare, se il suo naso li aveva condotti lì. La strada era monotonamente scura e pietrosa, e l’unico senso che potesse utilizzare era l’olfatto, dato che l’udito veniva disturbato dagli scrosci e gli sciabordii dell’acqua d’umidità sulle pareti rocciose, e si era fatto guidare dall’odore di corrente fresca che aveva incontrato appena entrato in un cunicolo adiacente alla grotta dell’Heartless. Sembrava una buona pista.

“Fa ufficialmente schifo.” Disse Naminé, ritraendosi dal bordo.

Riku si guardò intorno: a parte la piscina, non c’era nulla che potesse aiutarli a proseguire, e l’unica via percorribile sembrava proprio la più repellente: attraversare il laghetto.

“Beh, suppongo bisogni provare a vedere cosa c’è sotto tutto questo… fango.” Borbottò, lasciando intendere che lui non sarebbe stato il valoroso volontario, perché purtroppo aveva un braccio fasciato.

“Mh-mh.” Annuì Xigbar, sedendosi sul bordo a gambe incrociate. Nessuno, a ragione, sembrava davvero intenzionato ad immergersi in quel poco rassicurante liquido, e rimasero ad aspettare circa dieci minuti prima che Cloud, innervosito, estraesse il proprio spadone e lo infilasse con un certo impeto nel fango. La lama penetrò con uno shplof a metà tra il comico e il desolante e, dopo essere affondata di qualche centimetro, lì rimase.

“Mh-mh.” Ripeté Xigbar, guardando il biondo guerriero in bilico tra il rimanere con i piedi saldamente poggiati a terra e tenere con un braccio la propria arma. Cloud provò a estrarla o affondarla ancora, con l’unico risultato di ammonticchiare un po’ di fango nei pressi del bordo. Lo spadone era irremovibile. “È come se lo avesse afferrato.” Valutò Naminé, per poi rivolgersi al numero II: “Prova a sparare un proiettile.”

Per tutta risposta lui tirò fuori le proprie pistole e sparò un numero spropositato di proiettili, tanto che la volta della grotta rimbombò a lungo di caricatori e tintinnii metallici. Ogni punta rimase infilzata nella melmosa corazza, per poi venir inghiottita con lentezza.

Si sentirono delle voci sommesse, e i sei rimasero gelidamente immobili al proprio posto, come pietrificati dalla paura. Le voci rimbalzavano fino a loro, e sembravano due acute e querule mischiate ad una fredda ma sinuosa come un serpente. “Questi…” mormorò Kairi, atterrita: “Sì” confermò Riku: “Sono Ade, Pena e Panico.”

Si resero conto che non c’erano nascondigli degni di questo nome, a parte la massa melmosa, e si prepararono al combattimento, sicuri che non ci sarebbero state altre vie d’uscita. Xigbar, però, l’unico che riuscì a ragionare, libero dal timore, si accorse che l’entrata era sovrastata da un lastrone largo e apparentemente stabile, e sembrava ci fosse abbastanza spazio per tutti e sei. Con uno scatto fulmineo si arrampicò sulla piccola colonna laterale all’entrata e, dopo essersi assicurato che la pietra non cedesse, incitò gli altri a fare come lui. Cloud, suo malgrado, fu costretto a lasciare la propria arma infilzata nella melma.

Jack fu l’ultimo a salire e lo fece per il rotto della cuffia: era scivolato su una roccia umida e stava per cadere sopra il dio dei morti, ma per fortuna Cloud lo agguantò prima che l’amico potesse svelare il loro nascondiglio di fortuna.

Ade entrò col passo sicuro di chi è il padrone di casa, seguito da un Léon silenzioso e apatico, i piccoli demoni al proprio servizio e…

Larxene, brutta troia, ci hai traditi di nuovo! Imprecò mentalmente il numero II, nello scorgere la chioma bionda della Ninfa Selvaggia e dovette trattenersi dallo scendere e crivellare di colpi la figura sinuosa che in quel momento si faceva portare per mano dal capo di quella spedizione.

“E ora entriamo” cominciò Ade, ma poi vide l’arma di Cloud impigliata nel fango, e fece per prenderla. “Probabilmente quei disperati hanno provato a entrare.” Valutò Larxene, muovendo la mano: “Saranno già sotto.” E le dita viscide e bluastre di quella mano pericolosa si ritrassero: “Hai ragione, mia parthenos, allora entriamo.”

Mosse qualche passo fino al bordo della piscina, poi continuò a camminare fino a trovarsi al centro di quel disgustoso liquido scuro e lì rimase immobile. Poi, un tentacolo melmoso si allungò fino alle sue caviglie, divenne un’intera onda e lo sommerse fino a farlo sparire nei suoi fondali.

Che schifo! Esclamò Kairi dentro sé stessa, mettendosi una mano sulla bocca per impedirsi di commentare più a fondo, e si rese conto che, purtroppo, avrebbe dovuto fare la stessa cosa se avesse voluto continuare la missione.

La stessa fine fecero gli altri seguaci di Ade, fino a che non rimasero di nuovo soli.

Jack balzò giù dal lastrone di pietra: “Quei disperati!? Quella donna pagherà cara quest’offesa!” esclamò, indignato. “Pagherà anche il tradimento.” Decretò Riku, schifato.

Aveva pensato che i Nessuno, dopo essere ritornati in vita, sarebbero cambiati e avrebbero messo da parte i propri vizi e i propri affari personali, capendo che l’unica via per sopravvivere era collaborare nonostante le inimicizie, ma evidentemente si era sbagliato. Certo, era assai più conveniente la parte comoda del più forte, come Larxene aveva intuito, ma valeva davvero la pena macchiarsi del tradimento solo per un mero vantaggio sul campo? Si era forse resa conto che quello sparuto gruppo di ribelli come loro non potesse in alcun modo giungere ai propri scopi?

“Soprattutto quello.” Soggiunse una voce fredda che in un frangente più allegro avrebbe ritenuto spaventosa ma che in quel momento suonava come le campane nel giorno di festa.

“Saïx!?”

 

Prigioni del Castello, ore 02.01.

 

“Secondo voi cosa starà facendo in questo momento quella serpe?” chiese Luxord, cercando di lavorare sulle corde che gli legavano i polsi, ma quelle sembravano restie a farsi slacciare e i guanti scivolavano senza fare presa sui lembi finali dei nodi. “Conoscendola, qualcosa di viscido.” Constatò Zexion. Sembrava indispettito dal fatto di non essere stato legato perché considerato basso e innocuo. Insultò mentalmente il proprio aguzzino per la sua stupidità, perché non aveva pensato che così libero di muoversi avrebbe potuto sciogliere i propri compagni.

“Il numero XI ancora non si è ripreso?” chiese Xemnas, cercando una posizione comoda per respirare, perché i cordami che gli tenevano le braccia serrate al busto erano troppo stretti per permettere i movimenti dei polmoni. Sembrava avesse il fiatone.

Marluxia giaceva ancora inerte in un angolo della piccola cella, ed era l’unico a sembrare vagamente comodo in quel groviglio di gambe e sbuffi impazienti. La nuca era livida per la botta ricevuta e sembrava in qualche modo provocare una certa sofferenza fisica, dato che il volto del Leggiadro Sicario, pur nell’incoscienza, sembrava contratto e pallido.

“No.” Rispose Demyx, allungando il collo fino a scorgere il proprio collega oltre la spalle larghe di Xaldin: “E sembra che ci toccherà portarlo in spalla.”

Il Superiore guardò il numero IX col sopracciglio alzato: “Non lo porteremo da nessuna parte, non vedi che la porta della cella è chiusa?”

“No che non è chiusa.” dissentì Demyx, convinto: “L’umidità di questo posto ha reso difettosa la serratura che scatta ma non sigilla. Non vedi che l’angolo in alto a destra non coincide con lo stipite?”

Zexion si alzò in piedi: “Ci stai dicendo che potevamo uscire dalla cella da quando ci hanno chiuso dentro?” il numero XI annuì. “Ma vaffanculo!” ringhiò Xaldin, mollando un calcio all’inferriata che gemette con stridore e si spalancò.

Ancora impacciati per i cordami, rotolarono o saltellarono fuori, rimproverando con stizza Zexion di non averli slegati subito. Il numero VI li guardò con indifferenza, segno che non si sarebbe adoperato volentieri per loro, ma poi cominciò a darsi da fare sugli stretti nodi che impedivano i movimenti dei compagni.

Libero dalle corde, Demyx si massaggiò i polsi: “E comunque me ne sono accorto solo ora.”

“Beh, comunque ora siamo fuori.” Disse Xemnas: “Xaldin, prendi Marluxia e muoviti.”

Il numero III obbedì, anche se nella sua ottica tutto sembrava troppo semplice: o Ade era un cretino, o stava architettando qualcosa servendosi di loro. Insomma: lasciava un prigioniero slegato, la porta aperta e la prigione incustodita! Era davvero così sprovveduto o stava dimostrando di essere fin troppo astuto persino per Xemnas?

Prese il numero XI in modo da portarlo con facilità sulla schiena, facendosi passare le sue braccia inerti sulle spalle: se avesse dovuto combattere sarebbe stato svantaggiato, ma almeno in quel modo si sarebbe riparato da eventuali colpi alle spalle, oltre che permettere al ferito di recuperarsi un po’ più velocemente. “Leggiadro Sicario un par di palle…” grugnì, ma nessuno sembrò averlo udito.

“Dove potrebbero essere andati?” si chiese Luxord: “Larxene è stata condotta nella camera di Ade… ma non credo che per noi sia utile raggiungerla. Se sta architettando qualcosa vuol dire che ha previsto tutto, o almeno quasi tutto, quello che poteva fare da sola.” Valutò, ma avrebbe davvero voluto sentire l’opinione del suo alleato per eccellenza. Come la si girava e la si rivoltava, Marluxia era l’unico a comprendere le sfumature di Larxene, e forse avrebbe potuto indicar loro il comportamento da seguire. “Sarebbe più utile trovare una via per la stanza della serratura.” Disse Xemnas, ma subito dopo si rese conto che, non avendo i Keyblade, ben poco avrebbero potuto fare con la serratura. Nessuno si era accorto che Demyx si era allontanato.

Il numero IX, intanto, era scivolato in una stanza adiacente, ricordandosi che in quei pressi ci sarebbe dovuto essere una specie di archivio delle milizie presenti nell’oltretomba, e sarebbe stato più che utile sapere in anticipo quanti e quali Heartless avrebbero dovuto combattere.

Aveva frugato per un bel pezzo senza trovare nulla, almeno finché non mise le mani su di una lista particolarmente interessante.

Uscì fuori a dichiarare la scoperta, ma quando tornò nella prigione trovò solo una guardia. “Ehi!” gridò quella, evocando dal nulla una lancia dalla punta pericolosa. “O-oh!” esclamò Demyx, colto di sorpresa, mentre cercava di schivare il primo fendente che l’avversario gli indirizzò. Intascò la pergamena e tirò fuori il proprio sitar, pronto a combattere. Scivolò sotto il braccio della guardia e la mise al tappeto con un colpo ben assestato sulla nuca, poi se la diede a gambe prima che ne arrivassero altre.

Corse a perdifiato per gli innumerevoli corridoi quasi fino a perdere l’orientamento, ma poi ritrovò facilmente il corridoio principale, quello che portava nel cuore del mondo dei morti, quando vide il muro davanti al quale anni prima aveva incontrato il cerbero. “Ma saranno davvero andati giù?” si chiese. Non avevano un vero e proprio indizio per muoversi, dato che Larxene era sparita insieme ad Ade e non avevano notizie degli altri, perciò dove sarebbe potuto andare Xemnas?

“Numero IX che ci fai qui? Credevo fossi col gruppo del Superiore.”

Demyx si girò di scatto, colto alla sprovvista, e evocò istintivamente il sitar, ma poi lo ripose, notando che aveva di fronte il Freddo Accademico: “Vexen… che ci fai qui?” chiese, per poi allungare lo sguardo oltre la figura esile del numero IV: “E chi sono questi tizi dietro di te?”

A quel punto una donna dai lineamenti rudi e virili si fece avanti con un portamento fiero e composto: “Siamo il gruppo di ribelli più grande dell’oltretomba. Abbiamo deciso con Vexen e i suoi due compagni che questo era il momento giusto per attaccare definitivamente.”

“Oh.” Commentò Demyx, ma poi un pensiero urgente si fece strada nella sua mente: “Devo dirvi una cosa!” esclamò concitatamente, ed estrasse la pergamena trovata nell’archivio: “Questo foglio indica le postazioni di ogni armata dell’oltretomba.” Disse, e mostrò loro il proprio ritrovamento. “Nella sala della serratura c’è una donna di nome Kore che tiene a bada un milione e mezzo di Heartless, aspettando solo che l’invasore attraversi l’entrata per scatenarli.”

Il terrore e la sorpresa serpeggiò tra i soldati di quel piccolo esercito e Vexen, scettico, afferrò la pergamena per consultarla di persona. Ovviamente, si disse Demyx, non si fidava di un sottoposto, specialmente se era lui.

“Dobbiamo muoverci!” Esclamò, poi: “Il numero VII e il numero VIII stanno guidando un’altra truppa proprio lì dentro. Rischiano lo sterminio.”

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note stonate dell'autrice

vi sembraaaava che fossi morta, eh? e invece no! ahah

dunque, la situazione è molto intrecciata (riassuntino riassuntino): Xigbar, Kairi, Naminé, Riku, Jack e Cloud sono nelle profondità/cuore dell'oltretomba, a quanto pare vicini alla serratura, Axel e Saix sono stati catturati dai ribelli mentre cercavano Vexen, Larxene ha "tradito" l'Organizzazione per colpire Ade al momento giusto, Xemnas, Xaldin, Zexion, Luxord, e un semimorto quanto inutile (LOL) Marluxia sono andati chissà dove lasciando indietro Demyx che, per caso, incontra Vexen a capo di una banda ribelle e sembra che Saix sia riapparso alla sua squadra. ho dimenticato qualcuno?

cosa sarà successo nel frattempo?

mah. 

ah, ad un certo punto incontrate una parola greca (mi sento potente) parthenos che vuol dire fanciulla. beh, siamo nell'antichità, nell'OlimpOltretomba greco, si parla greco u.u

...

è tutto molto greco. u.u

ringrazio niki_ e Tikal per aver aggiunto questo groviglio alle preferite e StellaCadente per averlo aggiunto alle ricordate.

ho finito le cose da dire. bene.

addio.

  
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