Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: Deliquium    05/01/2012    1 recensioni
Immaginate che il Fato decida, casualmente, di mescolare le carte in un modo diverso e immaginate quindi che sul tavolo da gioco, vengano messe giù altre carte. Alcune sono uguali a quelle che conosciamo, altre invece non sono mai state giocate prima d'ora. E immaginate, pertanto, che la storia così come la conosciamo, venga rinarrata nuovamente. E’ simile, ma allo stesso tempo diversa…
Le situazioni sono destinate a compiersi, ma non allo stesso modo…
Il filo del destino viene lentamente dipanato lungo l’asse del tempo verso, forse, un nuovo epilogo.
La storia è incompiuta. La nuova versione è in corso di pubblicazione con il titolo "Sincretismo"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gemini Saga, Pegasus Seiya, Saori Kido, Scorpion Milo
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo

[ VIII ]

22. Amici

Lasciato lo studio del duca, Seiya macinava una rabbia completa, assoluta, destabilizzante. Se solo avesse incontrato anche solo qualcuno che avesse osato dire qualcosa di sconveniente, il Ryuse Ken non glielo toglieva nessuno.
Adesso doveva pure rendere grazie a quel vecchiaccio per avergli impedito di morire in mezzo a una strada. Jabu s'era forse dimenticato di tutti i bambini che non ce l'avevano fatta? Ah, sì, certo... la legge del più forte. Stronzate. Non era giusto e non gliene fregava niente di tutte quelle cose. Voleva trovare Seika e, diavolo, l'aveva fregato un'altra volta ...
Arrabbiato, tirò un calcio a uno degli alberi del giardino, facendo sfrigolare offese le fronde.
«Quell'albero non ti ha fatto nulla!»
Seiya si voltò. Aveva appena formulato il pensiero che non voleva scocciatori tra i piedi...
Il ragazzo che gli stava davanti aveva pressappoco la sua età. I lunghi capelli neri incorniciavano un viso minuto dalla carnagione chiara. Gli occhi di un insolito colore verde lo fissavano calmi. Indossava abiti cinesi color glicine. Accanto a lui, c'era una ragazza con i capelli neri raccolti in una treccia bassa e abiti della stessa fattura del ragazzo.
«E voi chi sareste?» domandò, socchiudendo gli occhi e riparandosi con una mano dai fastidiosi raggi solari.
« Il mio nome è Shiryu, Saint di Dragon e lei è Shunrei.»
Seiya fece un cenno di saluto con il capo alla ragazza.
«Shiryu, eh... ?!» rifletté «Ma certo! Mi ricordo di te...»
«Sono contento che tu ti ricorda di me, Seiya.»
«E... e... Hyoga? E ... Shun?» iniziò ad enumerare contando con le dita della mano. «E poi... oh, sì, Ikki? Cosa mi dici di loro? Hai notizie.»
Shiryu sorrise.
«Shun è qui alla villa, e ho saputo che Hyoga arriverà presto da Mosca. Per quanto riguarda Ikki, invece, nessuna notizia... Sembrerebbe essere scomparso nel nulla.»
«Scomparso?»
Shiryu gli spiegò che si erano perse le tracce di Ikki, subito dopo il suo arrivo a Death Queen.
Seiya si ricordava molto bene cos'era avvenuto sei anni fa. Mitsumada Kido aveva avuto la brillante e sadica idea di affidare tutto al Caso. Aveva fatto preparare un contenitore di vetro e aveva messo al suo interno cento sfere, ciascuna contenente una destinazione ben precisa.
Ad uno ad uno, lui e gli altri bambini avevano pescato una sfera. Quand'era giunto il momento di Shun, il ragazzino aveva tirato fuori la sua sfera, l'aveva data timoroso a Tatsumi e aveva atteso che il maggiordomo leggesse ad alta voce la destinazione.
«Death Queen Island» aveva decretato Tatsumi. «Povero piccolo, Shun... chissà se sopravvivrai.» aveva aggiunto, non senza una punta di crudeltà nel tono della voce.
All'udire quelle parole, Ikki si era alzato in piedi, offrendosi volontario al posto del fratello, conscio che Shun non sarebbe mai potuto sopravvivere in un simile posto. Ci fu, poi, un vero e proprio litigio tra Ikki e Tatsumi, interrotto soltanto dall'intervento di Kido.
«Se vuole andare all'isola di Death Queen, che ci vada pure! L'importante è che tornino con il cloth...»
E così, Ikki era andato al posto di suo fratello in quell'inferno e di lui si erano perse tutte le tracce.
«Ah, mi raccomando... non dire niente su Ikki, adesso... » disse ad un tratto Shiryu, guardando al di sopra delle sue spalle.
Seiya si voltò e vide camminare verso di loro un ragazzo. Fu sorpreso nel vedere Shun. Era cresciuto, ma conservava ancora quella bellezza efebica del volto che, in passato, gli era valsa la poco onorevole fama di "femminuccia". In realtà, non era solo per quello che Shun era sempre vessato dalle angherie altrui, quanto, più che altro, per il suo continuo commuoversi per ogni minima cosa. La sensibilità, in un ambiente guerriero come quello dei Saints si pagava molto cara.
«Sei appena arrivato, Seiya?» domandò con voce flebile il Saint di Andromeda.
Seiya annuì.
«E in Grecia, come vanno le cose? Albione, il mio maestro, sembrava piuttosto preoccupato...»
«Ma, figurati! Sono i soliti Saints rinnegati... Ogni tanto si fanno vivi. Gli rode il fegato per non aver ottenuto il cloth e combinano qualche casino, mettendo in mezzo la gente comune... Comunque, Aioria è già sul posto. Non c'è da preoccuparsi!» dichiarò convinto il Saint di Pegasus.
Ritrovare i suoi vecchi amici, tuttavia, non fu sufficiente a ripagarlo dell'offesa e della rabbia provata poco prima. Seiya guardava il cielo che si tingeva dei colori del tramonto e pensava che no, questa volta, non sarebbe stato un burattino nelle mani di Kido.
Ma non poteva fare nulla. Un accidente di niente. Agli occhi dell'autorità era solo un ragazzino, per di più minorenne e senza famiglia. Tredici anni, quelli che si portava addosso, erano un bagaglio piuttosto irrilevante. Agli occhi del mondo lui era solo un bambino orfano salvato dalla carità di un miliardario giapponese.

23. Croque, croque, mon ami, croque cette mitaine!

Aiolia non vedeva niente di strano attorno a sé. Solo le pareti degli edifici, i bidoni dell’immondizia rovesciati e le insegne che cigolavano smosse dal vento.
Eppure, qualcosa l’aveva attaccato.
Non era riuscito a distinguerlo bene, non era neppure certo che fosse un essere umano. No, decisamente non era un essere umano. Non poteva esserlo.
Da oltre mezzora, stava percorrendo vie illuminate da luci così deboli che faticava persino a distinguere i contorni degli edifici.
A mano a mano che camminava, la gente si diradava e le luci si facevano più fioche.
L'odore dei copertoni bruciati, dei secchi della spazzatura, di benzina e di olio si univano, creando un miasma acre.
Si guardava attorno. Sagome di barboni addormentati, stretti in fogli di giornali e cartoni logori e  capannelli di prostitute, fasciate in abiti inesistenti.
Scrutava i volti. Sentiva le voci. Incrociava gli sguardi. E quell’inquietudine, continuava a ribollirgli nell'anima. Senza fine.
Aveva svoltato un angolo, ed era entrato in un viottolo buio, delimitato su entrambi i lati da edifici d'inizio secolo, con i calcinacci in disfacimento, alcune finestre sfondate e scritte oscene sui muri.
Quel Paese gli logorava l'anima con i suoi controsensi. Le strade che percorreva parevano l'anticamera dell'inferno.
Era restato sdraiato sul letto, per ore, a guardare il soffitto. I pensieri erano troppi e il loro rumore era troppo assordante. Si era alzato, ed era andato in bagno. Si era lavato la faccia e aveva fissato il suo volto nello specchio. Era lo stesso di sempre. I suoi occhi erano gli stessi di sempre. La curva delle sue labbra era la stessa di sempre. Tutto era lo stesso di sempre.
Era tornato in camera e aveva fissato il letto per lunghi istanti, prima di indossare i jeans, il maglione e le scarpe. Guardò il pandora box indeciso su cosa farne, poi aprì la porta e uscì nel corridoio dell’albergo.
Stava percorrendo una strada deserta, quando senza nessun avvertimento, qualcosa era balzato fuori dall'oscurità.
Lo aveva colpito fortissimo al petto, tanto da sbilanciarlo.
Compì qualche passo indietro e sbilanciandosi in avanti riuscì a mantenere l’equilibrio. Sentiva un calore intenso nel punto in cui quel qualcosa l’aveva colpito. Si voltò subito cercando il proprio aggressore. Ma era solo.
Questa volta il colpo arrivò alla spalla. Aiolia si girò rapidamente, sferrando due colpi. I suoi occhi scrutavano l'oscurità e le sue orecchie erano tese al minimo rumore. Ma non c’era niente da vedere e nulla da udire. Più che da ciò che non vedeva, era ciò che non sentiva ad impensierirlo. Era come una bolla atemporale avesse avvolto quell’angolo di strada, rendendolo un mondo a sé stante.
Con la coda dell’occhio intravide, di nuovo, un movimento rapido alle sue spalle. Cercò di afferrare qualcosa, ma le sue mani artigliarono l’aria. Qualcos’altro lo attaccò di lato e altro ancora piovve dall’alto.
Ora riusciva a intravederle, seppure si muovessero ad altissima velocità. Sembravano ombre dotate di vita propria. Emergevano dal nulla per poi nel nulla scomparire. I loro occhi spiccavano come fiammelle nelle oscurità dei loro corpi.
Ogni volta che lo colpivano la sua pelle bruciava, come se qualcuno con un movimento deciso sfregasse contro la sua pelle della carta abrasiva.
Si asciugò il sudore dalla fronte e ansimando scrutò lo spazio attorno a sé. Erano scomparsi un’altra volta.
Aiolia non aveva mai visto qualcosa del genere. Li sentiva arrivare ancora prima di vederli. Ma era tutto inutile finché non trovava il modo di concretizzare i suoi colpi.
L’attacco fu più potente di quanto si fosse aspettato e lui cadde a terra, in preda al dolore. Li sentiva muoversi sopra di sé, e prima che potessero colpirlo mentre ancora a terra, si rimise in piedi, mettendosi in posizione di guardia. Era pronto. Questa volta avrebbe fatto vedere loro, cosa significava mettersi contro un Saint di Athena.
«Perché ti ostini a non usare il Ligthing Bolt, Aiolia di Leo? »
La voce proveniva da un punto imprecisato alla sua destra. Dal buio emerse lentamente un uomo. La figura alta e il passo deciso. L’eco di un cosmo potente e conosciuto. Un guerriero della dea.
«Camus di Aquarius. Tu qui? »
La risposta non venne.
Aiolia intravide nuovamente quei rapidi movimenti e sentì quel terribile bruciore, questa volta al braccio sinistro. Al suo fianco, Camus era scattato all’indietro e aveva cercato di colpire quelle cose. Il suo pugno andò a vuoto, come prima, tutti quelli del Cavaliere di Leo.
La cosa stava diventando fastidiosa e Aiolia era ben deciso a porvi fine al più presto.
«Non ti hanno mai raccontato la favola dell’uomo nero per convincerti ad addormentarti? »
Il tono di Camus era gelido e inespressivo e anche quella che in bocca ad un altro sarebbe parsa l’inizio di una potenziale gag, tra le sue labbra diventava l’enumerazione smorta di un elenco.
«Di cosa stai parlando?»
«Dell’uomo nero. Meglio conosciuto come Boogeyman, qui negli Stati Uniti.»
Aiolia non era sicuro di dove volesse andare a parare Camus.
«Sono uomini neri.» continuò questi, per nulla in dubbio di quanto stava affermando.
Il Saint si guardò attorno perplesso, poi stizzito ribatté: «Lo vedo da me che sono uomini neri. Non sono cieco.»
«No, non hai capito.» gli fece questi di rimando. «Sono gli uomini neri delle leggende. Quelli di cui parlano le madri ai bambini per farli addormentare.»
Aiolia per un attimo pensò a uno scherzo. Ma l’espressione seria di Aquarius era la prova che non stava facendo quelle affermazioni con leggerezza o divertimento.
«Usa il Lighting Bolt e fallo non appena li senti arrivare. Se sono esseri nati dall’oscurità come credo, solo la luce potrà annientarli.»
Certo, il Lighting Bolt. Ce l’aveva lì. Pronto all’uso. Ma non l’aveva ancora lanciato. Era difficile da spiegare, ma c’era qualcosa che gli impediva di usare tutta la sua potenza. Una sorta di indulgenza priva di ragione.
Raccolse il cosmo attorno a sé quel tanto che bastava per lanciare un attacco di media potenza. Attendeva con le orecchie e gli occhi pronti a percepire il minimo movimento.
Per pochissimi istanti l’incrocio fu illuminato a giorno e l’oscurità cominciò a disperdersi. Con essa gli uomini neri sfumarono nel nulla prosciugati dalla luce.
Il Lighting Bolt esaurì il suo bagliore.
Alle sue spalle, Camus si lasciò sfuggire un gemito soffocato.
«Per Zeus» sussurrò, mentre si inginocchiava.

24. Manufatti pieni di vita e corvi


«Io dico di fermarci qui e chiedere in giro.»
Jamian era davanti a un negozio di souvenir e fissava rapito una serie di corvi in porcellana esposti in vetrina.
La missione era semplice. Da qualche settimana a Praga si erano verificate delle morti sospette. Detto così sembrava l’inizio di un giallo di quart’ordine. Ed effettivamente Shaina si sentiva parte di una storia simile.
Alla metà degli anni ‘80, Praga era una città che stava maturando un forte desiderio di cambiamento. Era nell’aria, attraversava le strade, affollava i circoli letterari.
L’Unione Sovietica stava collassando. Da lì a pochi anni, avrebbe smesso di esistere. Ma in quegli anni, la Cortina di Ferro continuava a stringere la città nella sua morsa ed ogni presa di posizione opposta al regime comunista era ancora vista in termini di tradimento e perseguibile dalla legge.
«D’accordo.» sospirò la ragazza. «Vediamo che cosa ci dicono.»
Una signora al bancone non sollevò neppure lo sguardo dalla rivista che stava leggendo, quando loro entrarono.
«Buongiorno» esordì Shaina, in inglese.
Questa la guardò in silenzio qualche istante prima di ricambiare il saluto e lasciarsi riassorbire nuovamente dalla lettura.
Shaina sospirò e si avvicinò al bancone.
«Potrei farle qualche domanda?» chiese con tutto il tatto e la gentilezza di cui era capace. 
La donna si tolse gli occhiali, li piegò e li appoggiò sul bancone. Poi, piegò la rivista in modo tale che il fronte pagina che stava leggendo fosse rivoltato verso l’alto e sollevò il capo verso Shaina.
«Riguardo ad alcune morti che sono avvenute da queste parti nelle ultime settimane.» continuò la Saint.
L’espressione sul volto della donna mutò radicalmente. Si alzò in piedi e con modi piuttosto sgarbati cercò di indicare loro la porta.
«Un momento signora.» cercò di calmarla Argor. «Non intendiamo farle del male. Vorremmo solo farle alcune domande…»
Ma la donna non lo ascoltava. Ripeteva la parola “démoni” mentre li spingeva fuori. Vane furono le rimostranze dei tre Saints. Quella donna aveva smesso di ascoltarli e l’unica cosa che desiderava era sbatterli fuori dal suo negozio.
«Perfetto.» fece Jamian guardandosi attorno. «Potevate almeno aspettare che comprassi quei bellissimi uccellini.»
«Che diavolo stai dicendo, Corvo?»
«Nulla, nulla.» fece questi voltandole le spalle.
«L’hai notato, non è vero, Shaina? Quella donna sembrava avesse una paura infernale e poi continuava a ripetere la parola “démoni”.» le disse Argor, affiancandola, mentre insieme si avvicinavano al centro storico.
«Sì, l’ho notato. Vero o no, pare che le persone credano all’esistenza di qualche creatura soprannaturale.»
«I miei corvi hanno un’idea.»
Shaina si arrestò e si voltò verso il punto da cui era provenuta la voce.
Jamian sembrava perso nei propri pensieri, mentre accarezzava dolcemente la testolina di un corvo.
«I tuoi corvi hanno avuto un’idea?!» scandì Shaina.
«Certo.» esordì lui, ignorando il tono dell’Ofiuco. «Secondo me, la cosa migliore è pattugliare le strade questa notte.»
«Scusa, da dove ti è venuta questa idea?»
«Te l’ho detto, i miei corvi sono creature molto intelligenti. E si sono offerti di darci una mano.»

Lo sapeva benissimo, ma non era preparata a vedere arrivare così tanti corvi tutti insieme.
Sembrava di essere dentro il film di Hitchock ed era una fortuna per loro che fosse notte e che, in qualche modo, i corvi si confondessero nell’oscurità.
Sì, certo a chi voleva darla a bere. Come minimo il giornale del mattino avrebbe riportato la notizia di un’inspiegabile invasione di uccelli nei cieli di Praga.
Ma, se tutto andava bene, quei due sarebbero già stati in viaggio alla volta del Santuario e lei sarebbe stata in volo verso Tokyo.
«Allora, mie adorabili creature. Avete capito bene qual è il vostro compito?»
Neanche a questo era preparata. Jamian attorniato da corvi che parlava loro con atteggiamento paterno.
«Un mostro molto molto cattivo sta facendo male a tanta gente innocente e noi dobbiamo fermarlo. Ma per fermarlo dobbiamo prima scoprire chi è che si nasconde dietro tutto questo. Su su» fece sventolando le braccia e dando in tal modo ai corvi il segnale per mettersi in volo. «Siate i miei occhi in ogni angolo di questa città e trovatelo per me, figli miei.»
No, decisamente non era proprio preparata a una missione del genere, con un uomo del genere, tra l’altro.
Il Corvo si muoveva in circolo come impazzito, ridendo con gli occhi chiusi e mimando il movimento degli uccelli in volo.
«Io la salterei questa cosa dei corvi nel rapporto.» le sussurrò Argor avvicinatosi.
Lei annuì in silenzio.
Jamian si fermò e senza dire una parola cominciò a correre.
«Oh, magnifico!»
Shaina si precipitò all’inseguimento del compagno affiancata da Argor.
Jamian era pazzo, completamente pazzo. Forse era il destino dei Saints dominati dalla costellazione del Corvo, quello di impazzire.
Li aveva trascinati in una zona della città vecchia lontana dal centro. Le vie sembravano più vecchie, più sporche, più sofferenti. Le falene volavano suicide attorno ai lampioni rotti. Abituato a quel mondo notturno, un cane randagio rovistava in un bidone della spazzatura, incurante di ciò che gli stava attorno.
Si portò un dito alle labbra. Jamian si era fermato poco avanti a loro e accovacciato fissava qualcosa davanti a sé.
I suoi corvi erano tutto attorno a loro, appollaiati sui cornicioni degli edifici, sui pali della luce, sui cartelloni pubblicitari. Non facevano nessun movimento, ma avevano la testa rivolta tutti verso la stessa direzione.
Shaina seguì la direzione di quegli sguardi.
In penombra, qualcosa si muoveva davanti a loro.
Compiva movimenti misurati. Abbassava la testa e la tirava su lentamente.
Precedendoli si avvicinò. Argor le fu subito dietro. I cosmi erano celati alla percezione, ma pronti ad espandersi come un palloncino la cui massa contratta veniva dilatata dall’etere. 
«Che diavolo…»
Shaina non finì la frase. L’essere si era accorto di loro ed ora li fissava con due occhi di brace.


Nda

Il folklore offre una buona varietà di mostri e leggende, comuni, in molti casi a diverse culture. "
Croque, croque, mon ami, croque cette mitaine!" è una frase che ho trovato sulla wiki francese. Sto cercando a che fiaba appartenga, ma non ci sono "note di riferimento".

 

 

   
 
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