Come
In
With The Rain
Tutto era
semplicemente sbagliato.
Per quanto volevo ignorare tutte queste inaspettate verità
e chiuderle in un cassetto, non ero proprio in grado di farlo. Lo
volevo
davvero, ma non ne avevo la forza.
Lui era sempre
nei miei pensieri. Ovunque
io mi trovassi, lui c’era
sempre. E
non importava se la sua presenza fosse fisicamente tangibile o
solamente una
figura fluttuante creata dalla mia immaginazione. Jace
c’era ed era abbastanza per rendere la mia vita ancora
più
complicata di quanto già non lo fosse.
Una parte di me, Clary Fray, avrebbe voluto dimenticare
quel volto dagli occhi straordinariamente dorati, quei capelli biondi e
mossi
che incorniciavano un viso pallido e dagli zigomi alti, quel corpo
ricoperto da
marchi e cicatrici, segni di numerose lotte, e quella voce
così dannatamente
affascinante, con quella perenne nota di sarcasmo irresistibile.
L’altra parte di me era perfettamente consapevole che dimenticare avrebbe significato soffrire,
perché perdere il ricordo di Jace sarebbe equivalso ad un
dolore fisico. La sua
persona non era un tratto di matita che poteva essere cancellato con
una gomma
in qualsiasi momento: era indelebile, e nemmeno la pioggia che batteva
ininterrottamente
sulla strada fuori dall’Istituto avrebbe potuto eliminarlo.
Pioveva. A volte l’acqua scrosciante che picchiava sui
tetti degli immensi grattacieli di New York era così
insistente che provocava
un rumore estremamente calmante, come in quel momento. Le gocce
provenienti dal
cielo erano la colonna sonora dei miei pensieri ingarbugliati. Tutto
appariva
come uno scarabocchio, una tela piena di righe dritte e curve dai mille
colori,
che si intersecavano tra loro senza un senso logico.
Pensare che al di là della sottile parete destra della mia
stanza c’era quella di Jace… cosa stava facendo?
Magari stava pensando a me!
Nah! Jace aveva il mondo femminile ai suoi piedi, perché si
sarebbe dovuto
struggere per una nana lentigginosa dai capelli rossi che non poteva
nemmeno
avere?
No, Jace non stava di certo pensando a me.
Eppure ricordavo perfettamente quella notte del mio
sedicesimo compleanno, nella serra di Hodge, dove lui mi aveva detto
che ero
bella. Bella. Nessuno mi aveva mai
detto che ero bella, con l’ovvia eccezione di mia madre.
Quale mamma non dice
al proprio figlio che è stupendo?
Jace era sembrato incredibilmente sincero. Non sapevamo ancora
di essere fratelli, quindi lo aveva detto perché lo pensava
sul serio. Oppure
non sapeva di cosa parlare e aveva buttato nella conversazione la prima
cosa
assurda che gli passava per la testa? Tuttavia, a pensarci bene, se
fosse stata
tutta una messinscena, perché dopo mi avrebbe baciata in
quel modo? Era stato
così dolce, intimo e voluto.
Io lo
desideravo e sembrava anche lui lo volesse. Per quanto quello fosse un
atto
proibito tra due fratelli, in quel momento che adesso sembrava
così lontano non
c’erano state regole a vincolarci. E ora che
c’erano e dominavano la mia vita
ventiquattro ore al giorno, non ero molto propensa a rispettarle.
Era passato relativamente così poco tempo, ma erano
cambiate tante cose. Quella notte l’unica interruzione era
stata Simon con i
capelli arruffati e gli occhi stanchi; oggi era quella pesante
consapevolezza che
ogni sguardo che ci scambiavamo, ogni misera occhiata, ogni
leggerissimo
sfioramento era incredibilmente sbagliato. Gli altri lo avrebbero visto
come un
gesto innaturale, come se fossimo stati animali senza
un’etica o una minima
idea di cosa significasse amarsi tra consanguinei.
Sospirai disperata: un’adolescente normale non si sarebbe
mai trovata in queste condizioni, a meno che non fosse stata figlia di
una
Cacciatrice che rinnegava la sua natura e di un Nephilim impazzito che
voleva
distruggere tutto il popolo degli Shadowhunters.
Perché io? Perché a me questa vita?
L’unica cosa positiva
di tutto questo era che potevo vedere il ragazzo più
affascinante del mondo
tutti i giorni. Le comuni mortali avevano un poster appeso in camera e
attendevano
inutilmente che quell’attore che amavano tanto un giorno
avrebbe detto loro “ti
amo”; io avevo Jace Wayland aperto ventiquattrore su
ventiquattro ma non potevo
permettermi di dirgli quello che sentivo, anche se sapevo che lui
provava gli
stessi sentimenti per me. Tutto questo era incredibilmente frustrante e
inaccettabile.
Avevo una strana voglia di spalancare la finestra e
sentire l’aria umida schiaffeggiarmi il viso, come punizione
per aver pensato
nuovamente a Jace in modi vietati, ossia pensarlo come qualsiasi cosa
che non fosse
un fratello. Quello che non riuscivo a togliermi dalla testa era che
lui non poteva
essere, per natura, qualcosa di diverso. Non ci si poteva sposare tra
fratelli,
punto e basta.
Avrei voluto dirgli quanto volevo stare con lui, ma non potevo.
Avrei voluto andare nella sua stanza, ma non potevo.
Avrei voluto solamente sfiorarlo, ma non potevo.
Allora
perché non
vieni tu, Jace?
Tutti dicevano che
parlare con il vento fosse la cosa più
ridicola del mondo. Eppure lui si muoveva ondeggiando e emetteva sibili
inquietanti. Così come il cielo: cambiava colore e le nuvole
lo rendevano più
cupo e tempestoso. La notte era una distesa di pittura nera,
punteggiata da
macchioline luminose. All’alba il sole illuminava il mondo e
d’improvviso ci
ritrovavamo avvolti da una calda ed immensa coperta azzurra. Forse
anche lui aveva
una vita, un’anima, un qualcosa che mi avrebbe potuto
spiegare tutte le cose assurde
che mi capitavano ogni giorno.
“Che devo
fare?” pensai, aspettandomi seriamente
una
risposta. Mi sarebbe bastato un tuono, una saetta, una stella
lampeggiante.
Sarei stata in grado di interpretarla, a modo mio, anche grazie alla
mia
fantasia smisurata.
Il vento soffiava e la
pioggia cominciò a scendere
rovescia, bagnandomi ed entrando nella mia camera. Avrebbe potuto
significare
qualcosa? Torna dentro? Smettila di fare la scema? Non ne avevo la
minima idea.
“Devo amare
Jace?” chiesi sottovoce, fissando con
finto
interesse un punto indefinito del poggiolo. Realizzai che non sapevo
proprio
interpretare il linguaggio del cielo, sempre ammesso che ne avesse uno.
La
pioggia continuava a battere sulla mia testa e sentii i miei capelli
appesantirsi, lisciandosi completamente e appiccandosi ai lati del mio
viso.
Probabilmente adesso sembravo un cagnolino bagnato conciato piuttosto
male, che
sarebbe stato meglio nessuno vedesse. Eppure in quel momento un solo
desiderio
mi tormentava: volevo che Jace uscisse su quel dannato poggiolo
comunicante con
il mio. Volevo
che Jace entrasse con la
pioggia. Ci
avrebbe separati solamente qualche asse di
metallo che sia io
che lui saremmo stati in grado di scavalcare facilmente. A quel punto
ci
saremmo potuti vedere, abbracciare, toccare. Saremmo stati al buio,
dove anche
il proibito era permesso. Perché
nessuno
ti vedeva.
Saremmo stati sotto la
pioggia scrosciante, dove anche il
più rubato dei baci era permesso. Perché
nessuno lo sentiva.
Solamente noi.
Ma no. Non potevo
farlo. Chiusi rapidamente la finestra e
il ticchettio della pioggia ora era solamente un rumore di sottofondo
smorzato.
Saremmo stati soli, questo era vero, ma come potevo solamente pensare
che poi
gli altri non avrebbero visto quei frammenti di felicità che
ero riuscita a
provare nell’oscura notte silenziosa, mentre tutti dormivano
tranquilli nei
loro letti? Non si poteva nascondere ciò ti rendeva felice. Non si può
nascondere l’amore.
I corridoi
dell’Istituto erano anch’essi bui.
Conoscevo a
memoria la strada e il numero di passi che mi occorrevano per arrivare
alla
stanza di Jace. Bussare alla sua porta sarebbe stato semplice come bere
un
bicchier d’acqua, ma non avrebbe avuto alcuno scopo. Mi
immaginavo già la
scena: io, con i capelli scuriti dalla pioggia, che stavo impacciata di
fronte
al ragazzo più impeccabile della Terra. Io, senza avere la
minima idea su cosa
dire.
Tentavo in tutti i
modi di convincermi che non volevo più
andare da lui, che non lo volevo
più
vedere, che la sua presenza era sbagliata, che c’erano
milioni di persone più
simpatiche di lui, che il mio
futuro
non era con lui, che mi sarei
rovinata la vita stando con lui. La
verità, tuttavia, mi penzolava davanti e l’unica
cosa che dovevo fare era
afferrarla e ammetterla a me stessa: mi
sarei rovinata la vita stando lontana
da lui. La
separazione ci avrebbe distrutti;
d’altronde, i fratelli hanno
bisogno di stare assieme e aiutarsi a vicenda, no?
Sbuffai disperata,
rendendomi conto che il cielo non mi
aveva aiuta quella notte. Avevo seriamente sperato che mi avrebbe
mandato una
risposta, oppure che avrebbe indotto Jace ad uscire dalla sua finestra
e a
venirmi incontro con la pioggia? Scossi la testa, pensando che
l’amore riusciva
a influenzare la tua mente che non potevi comprendere pienamente fino a
quando
non lo provavi davvero.
Mi distesi sul letto e
mi tirai le coperte oltre il mento.
Avrei voluto chiamare il nome di Jace, ma il calore e il rilassamento
che il
materasso e il piumone riuscivano a infondermi erano più
forti di me. Presto
venni assalita dal torpore e mi addormentai.
Quella notte feci un
sogno strano. L’atteso segno celeste
che tanto avevo atteso durante la sera era arrivato: un tuono potente
che era
rimbombato per tutta la città, che tuttavia non era riuscito
a svegliarmi.
La finestra si
spalancò all’improvviso e comparve
Jace, in
tutto il suo splendore. La camicia bianca era diventata trasparente per
via
dell’acqua, lasciando intravedere una serie di marchi e di
rune che erano la
storia di una vita passata a combattere. I suoi capelli biondi gli
cadevano
davanti agli occhi, grondando acqua e bagnando così il
pavimento.
Era bello,
più bello di qualsiasi altra cosa avessi mai
visto. Sorrideva, e quella fila di denti perfetti splendeva illuminando
la
stanza buia meglio di una lampada.
La cosa che
più mi colpì, però, era il
suo sguardo
intenso. Avrebbe potuto fissare qualsiasi cosa, eppure il suo sguardo
era
incollato a me. Non lo staccava e
sembrava che non lo avrebbe fatto per nessuna cosa al mondo. Sapevo
quello che
provava; in qualche modo me lo aveva detto lui stesso. E quegli occhi
così
colmi d’amore erano solamente l’ennesima conferma.
Sembrava pronto ad
affrontare qualsiasi cosa per me. Sembrava così… innamorato.
E conoscevo abbastanza
me stessa per dire che ricambiavo
ogni suo sentimento. Di cosa avevo paura? Di quello che avrebbe pensato
la
gente? O meglio, di come l’avrebbe presa Jocelyn appena si
sarebbe risvegliata,
di come avrebbe reagito Luke e di come ne sarebbe rimasto ferito Simon?
Oppure
ero semplicemente spaventata da ciò che era proibito?
Una volta Jace aveva
detto: “Possiamo tenerlo
nascosto”.
Come si fa a nascondere l’amore? È assurdo,
semplicemente impossibile ed
impensabile. Per questo forse ora ci trovavamo in questa situazione.
Jace era sempre
là, in piedi davanti alla finestra, a
fissare me. Chissà cosa stava pensando…
Il sogno
terminò e mi svegliai bruscamente. Era mattina;
il temporale era passato. Quelle scene così dolci che avevo
sognato erano
sembrate così vere… ma non potevano esserlo. Jace
in camera mia era un pensiero
talmente irrealizzabile che poteva essere solamente frutto della mia
dannata
fantasia.
Avevo voglia di
esprimere i miei sentimenti disegnando
qualcosa su una tela, ma non ne avevo una. Il massimo che
l’istituto mi poteva fornire
era qualche scudo e delle spade angeliche colorate. Avevo tanti dubbi e
nessuna
certezza.
Mi alzai e mi vestii
lentamente. Mentre mi infilavo la
maglia ed ero quasi pronta per uscire, il mio occhio cadde davanti alla
finestra. Una pozza d’acqua. Non poteva essere vero, ma avrei
potuto giurare
che la sera prima non c’era. Ed ero altrettanto sicura di
aver lasciato la
finestra chiusa prima di andare a dormire.
Sorrisi malinconica;
ora avevo una certezza: Jace
era entrato davvero con la pioggia.
Angolino
della Fra
Ciao
a tutte!
Questo
è il mio esordio per la sezione
Shadowhunters. Questa OS è un po’ particolare ed
è ambientata dopo Città di
Cenere. L’ho scritta qualche mese fa e ora l’ho
solamente rivisitata e
conclusa. Io amo la saga di Cassandra Clare: più di
Twilight, questo è poco ma
sicuro.
Voglio
precisare alcune cose: l’immagine (sempre
che riesca a caricarla) è la nuovissima copertina ufficiale
di City of Lost
Souls. I’m so excited!
Questa
strana OS (che tuttavia mi soddisfa) è
ispirata a una canzone di Taylor Swift, “Come in with the
rain”.
Spero
che vi piaccia e che recensiate in tante.
<3<3
Much
Love
Fra