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Autore: Wave__    08/01/2012    2 recensioni
Narra la storia di una neo-vampira alle prese con il suo essere interiore.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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QUANTO SI E’ DISPOSTI A CAMBIARE PER RIAVERE INDIETRO QUALCUNO?
 
Mi chiamo Luce Wate e ho 111 anni racchiusi nel corpo di una diciannovenne. Sono stata trasformata a quell'età e da allora non sono più cambiata. Sono nata a Copenaghen nel 1900 e trasformata da mio fratello Jay nel 1920. Non è proprio mio fratello di sangue, è il mio fratellastro. Ha quasi 350 anni, ma questo lo scoprii solo il giorno della mia morte. Stavo per morire di spagnola, quando lui decise di salvarmi la vita. Jay era l’unico famigliare stretto che mi era rimasto. Non sapevo della sua vera natura fino a quando non diventai come lui e non sapevo neanche della sua vera età. La cosa inizialmente mi spaventò, facendomi uscire di testa e facendomi cadere in una sorta di depressione post-trasformazione.
Nessun vampiro aveva mai sofferto di questo tipo di “malattia”.
Paul diceva che io ero l’unica che aveva subito questo effetto dopo la transizione. Forse perché pensavo che non era la realtà. Forse perché pensavo che tutto questo non esisteva. Forse perché.. C’erano così tanti perché nella mia mente che era tutto complicato da spiegare. Sapevo che non volevo essere un vampiro e sapevo che non volevo uccidere persone innocenti per nutrirmi.
Cercai più volte di uccidermi, ma essendo un vampiro non era facile suicidarsi. Sinceramente prendere un paletto ed infilarmelo dritto nel cuore era una cosa troppo atroce da fare da sola e anche se lo avessi chiesto a mio fratello, non lo avrebbe mai fatto.
All’inizio della mia nuova ed eterna vita cercai sempre di mantenere un basso profilo, cibandomi di animali nonostante non fossero un buon nutrimento. Jay cercava di farmi capire che non era necessario uccidere gli umani: bastava semplicemente prendere un po’ di sangue qua e la, soggiogarli e non sarebbe successo nulla di sbagliato. Io però non ne volevo sapere. Il sangue umano non lo volevo assaggiare. Sentivo dentro di me come un sesto senso che mi metteva in guardia, dicendomi che se lo avessi fatto, non mi sarei riuscita a fermare, uccidendo così una persona innocente. Fummo costretti a cambiare città e a lasciare Copenaghen. Quelle poche persone che ci conoscevano si stavano accorgendo che non cambiavamo mai, restando sempre uguali e i primi sospetti iniziarono a sorgere. Preparammo le valigie rapidamente e poche ore dopo stavo già leggendo nella mia mente un cartello con scritto: “Addio Copenaghen!”
Non avevamo lasciato la Danimarca, ci eravamo solo spostati in un’altra città.
All’incirca ogni cinque anni facevamo i bagagli e sparivamo, cambiando vita e identità. I documenti falsi erano all’ordine del giorno per noi. Più arrivavamo giovani in un luogo, più tempo potevamo starci. Durante questi spostamenti si iniziavano ad intravedere i lineamenti e le caratteristiche di un vampiro: la forza, l’incredibile velocità, il soggiogamento con uno sguardo, gli occhi che mutano di colore.. Ma questi erano i fondamentali di un vampiro qualunque.
Io possedevo caratteristiche in più: telepatia, teletrasporto e bilocazione erano le mie potenzialità.
Ci eravamo trattenuti qualche anno in più ad Elsinore, città a nord-est dell’isola di Selandia. Avevo conosciuto un ragazzo di nome Edward in una delle mie tante scorribande in città, diventando così il mio migliore amico. Sotto tutti gli strati di tessuti e sotto ad un cuore che oramai non batteva più, la mia umanità era ancora perfettamente integra. Gli volevo bene, un affetto così intenso che non avevo mai provato per nessuno. Nonostante mi fidassi di lui, non gli avevo mai rivelato quello che ero realmente, per paura della sua reazione probabilmente. Passavo la maggior parte delle mie giornate in sua compagnia. Facevamo di tutto e di più insieme: chiacchieravamo, rubavamo qualcosa dai piccoli market della città, andavamo al cinema a vedere i primi film in bianco e nero.. Ma un giorno dell’inverno del 1940, successe un fatto che non avrei mai previsto potesse accadere. Fuori nevicava ed io e Edward, stavamo giocando a carte davanti al camino. Tutto accadde in una frazione di secondi: una carta sfregò contro il dito, tagliandoselo.
Mi ricordo molto vagamente quello che successe dopo.
Ricordo Edward alzarsi per prendere un pezzo di carta. Ricordo come osservavo il sangue cadere, avida di sentirlo scendere nella mia gola. Ricordo perfettamente il suo odore, che mi perforò le narici. Ricordo quando la mia sete si impossesso di me e non potei fare nulla per fermarmi.
Non avevo più il controllo delle mie azioni.
Mi alzai come una macchina da guerra, scaraventando il tavolo e piombando addosso a lui, dilaniandolo.
Quando riacquistai leggermente la lucidità e capii cos’era successo, qualcosa dentro di me scattò come una molla.
Edward era morto.
Avevo ucciso il mio migliore amico.
Scappai da quel luogo, fiondandomi a casa mia, cercando mio fratello per raccontandogli l'accaduto. Mi disse di non muovermi e di non uscire. Jay si fiondò a casa di Edward, coprì le mie tracce e fece sparire il cadavere.
Ma da quel giorno qualcosa era cambiato in me. Era cambiato tutto. Avevo perso la fiducia in quello che ero, avevo perso la fiducia in me stessa.
Capii che non mi bastava più nutrirmi di sangue animale.
Avevo bisogno di sangue caldo, fluido, che usciva dalle vene pulsanti di un vivo.
Fu l’inizio del mio mondo oscuro. Persi il controllo totale di me.
Neanche mio fratello riusciva più a tenermi a bada. Uccidevo senza sosta. Donne, uomini, bambini. Non mi facevo problemi su chi fossero. L’importante era avere il sangue.
Ero spietata, senza pace, senza sentimenti, senza più anima.
Jay cercò di farmi ragionare, cercando di farmi capire che quello che era successo ad Edward era stato un incidente ma invano. Me ne andai da Elsionere, sparendo dalla circolazione. Mio fratello continuava a cercarmi ma io avevo imparato molto bene a nascondere le mie tracce.
L’unica cosa di cui non mi preoccupavo era uccidere.
Lasciavo dietro di me una scia di morte e disperazione. Jay sapeva che tutte quelle morti portavano la mia firma.
Dopo quasi dieci anni e dopo numerose ricerche riuscì a scovarmi: ero irriconoscibile, violenta. Avevo perso la mia umanità, perso la voglia di vivere, perso la mia anima.  
Non ero più la sua amata sorellina.
Ero una macchina di morte.
Ero diventata un'assassina.
Un’assassina senza scrupoli.
Mio fratello cercò di farmi ragionare nuovamente. Mi faceva solo ridere.
Era lui che mi aveva trasformata, era lui che aveva reso la mia vita quello che era!
Dopo numerosi tentativi di persuasione, passò alle minacce serie, realistiche.
Sapevo che non scherzava. Lo leggevo nel suo sguardo. Nella sua anima.
Mi diede un'ultima possibilità: calmarmi e rientrare nell'ambito dell'umanità per quanto possibile o mi avrebbe ucciso lui stesso. Scelsi decisamente la prima opzione. Non avevo intenzione di morire. Me lo fece promettere. Dopo questa promessa mio fratello sparì, annunciandomi che sarebbe tornato solo quando sarei tornata ad essere totalmente la persona che lui amava e che aveva deciso di salvare vent’anni prima. Sapevo che anche se non lo vedevo e non lo sentivo, lui mi teneva d’occhio da lontano.
Non vedo mio fratello da circa sessantadue anni.
Ancora oggi cerco di controllarmi, ho capito che uccidere non è giusto..
Ma non sempre riesco a trattenermi.
Oggi so che Jay ha ragione, che devo rientrare nei canoni di quello che sono sempre stata. Soprattutto so che rivoglio indietro mio fratello.
So che ce la posso fare.
Per amore di mio fratello sono disposta a tutto.
Per lui questo e altro. 
  
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