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Autore: Eloise_Hawkins    11/01/2012    2 recensioni
Jay è un angelo custode. È stato mandato sulla terra per proteggere Connie, selvaggia ragazza con la passione per le sedute spiritiche. Jay cerca in tutti i modi di far capire a Connie che giocare con i demoni non è una buona idea, e durante il suo tentativo di redenzione non si rende conto di cadere nella più dolce delle trappole: si innamora di Connie. Ma le leggi divine sono chiare in proposito, e la sua natura impedisce questa relazione: sconfitto dall’avvertimento dell’arcangelo Metraton, suo superiore, Jay è costretto ad abbandonare il suo compito e la sua protetta, proprio nel momento del bisogno.
Connie ricambia il suo sentimento, e quando, pur con sofferenza, Jay la abbandona, Connie si lascia travolgere ancora una volta dalla spirale pericolose delle sedute: ma questa volta, il demone Andras è in agguato. Evocato da Connie e la sua corte di infervorati, Andras individua subito Jay, e ingaggia con lui uno scontro all’ultimo sangue.
Questa storia è stata scritta per il contest "Forse un angelo", indetto da EmmaWright98, e si è classificata seconda, vincendo anche il Premio Miglior Coppia.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Love’s apart

 

Nick autore: Eloise_Hawkins
Titolo: Love’s apart
Rating: Verde
Genere: Introspettivo, Romantico
Note/Avvertimenti: One-Shot
Pacchetto: Orchidea(Citazione: Si stava lasciando morire. Luogo: Parco. Prompt: Altalena).
NdA: Presenti a piè di pagina, per chiarimenti riguardanti la storia
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La neve cadeva in candidi fiocchi, quel giorno: volteggiava nel cielo grigio di Dicembre, e si depositava, sulle strade, come una soffice distesa di ovatta. Il passo frettoloso dei passanti ne sporcava il purissimo biancore, corrotto dal fango che si accumulava ai lati dell’asfalto, ingoiato dalla polvere nera dei fumi di scarico delle auto.
La fretta è la peggiore colpa degli uomini: perché se una sola di quelle persone, che con la testa china e le mani in tasca per ripararsi dal freddo, avesse prestato attenzione all’innocente limpidezza di quella distesa di neve, si sarebbe resa conto che tra loro camminava qualcuno di molto più puro e candido, che di quell’immacolato colore aveva tutta la luminosità.
Camminava a testa alta, lui, con gli occhi rivolti verso il cielo che l’aveva partorito, e poi vomitato in quel mondo di cui ben poco capiva; camminava a testa alta, e con le mani abbandonate lungo i fianchi, perché il freddo, no, non poteva tangere la sua figura quasi evanescente. Camminava, Jay, con gli occhi limpidi rivolti verso quei ciuffi di nuvole cineree, oltre i quali, lo sapeva, si nascondeva un mondo che per il momento gli era stato negato. Le sue iridi celesti splendevano in modo innaturale, mentre sondavano con sincera trasparenza la volta celeste, alla ricerca di un segno. Non sapeva cosa fare, Jay; e cercava conforto nelle sfere più alte, che in tempi migliori gli erano sempre state d’aiuto, e che ora erano diventate la sua peggiore preoccupazione, e il peggiore dei suoi mali.
Una donna urtò per errore la sua spalla, e il ragazzo – ma era poi davvero un ragazzo? – perse per un attimo l’equilibrio, barcollò, e poi riprese a camminare; senza prestare attenzione a quella signora che l’aveva guardato con stupore, e nei suoi occhi celesti – come la volta da cui era scivolato – si era persa, ricordando la limpidezza di quell’amore che lo attendeva a casa. Jay non la guardò, però sapeva che Adele, quella sera, avrebbe dato ai suoi figli i soldi per il cinema, così da avere la casa solo per sé e suo marito; che avrebbe preparato per lui una cena romantica, ma leggera, e che avrebbe cercato di ritrovare anche negli occhi dell’uomo che amava il sentimento che aveva letto in quel momento in quel ragazzo dagli occhi color cielo.
Quel che Adele non notò, persa com’era nei suoi pensieri e nelle iridi di Jay, era l’innaturale evanescenza della sua figura; l’aura candida che da lui si spandeva in raggi abbacinanti, circondandone la figura e disegnando il contorno di quel ragazzetto allampanato e smagrito, dalla pelle tanto nivea da sembrare traslucida. Quel che Adele non notò, come tutti gli umani distratti che in quel freddo giorno grigio di Dicembre si attardavano per le strade di Paradise Street, erano le pozze di luce che dalle sue scapole si estendevano, per avvolgere il profilo della schiena e delle spalle di quel ragazzo dagli occhi color cielo in una candida, calorosa coperta di bagliore dorato. Si poteva intuire il profilo di una piuma, in mezzo a tutto quel chiarore, magari perfino sentire la punta di una penna remigante solleticare il volto di un bambino, divertito da tutto quei raggi di felicità – perché i bambini sanno essere infinitamente più attenti degli adulti.
Un refolo di vento solleticò il crine biondo cenere di Jay, che, come attratto dal tocco freddo delle dita di un’aria che non poteva sentire, ma che forse, nella sua mente, poteva semplicemente avvertire – come distintamente percepiva tutte le umane emozioni di quei cuori in tumulto che in quella grigia mattina si attardavano in Paradise Street – voltò i suoi occhi color cielo in direzione del parco; un parco giochi, di quelli costruiti apposta per i bambini, piantato lì, in mezzo a quell’orgia di strade, asfalti e grattacieli. Come il salvifico granello di un’ultima innocenza, strappata al vorace desiderio di ricchezza e globalizzazione. E se lo ricordava, lui, quel parco lì; perché era lì che aveva conosciuto Connie.
 
Aveva gli occhi color nocciola, e i capelli castani, legati in una treccia arruffata e scomposta; un sorriso sdentato, un grembiulino rosa sporco di salsa di pomodoro, e una luce infantile negli occhi. E si cullava, trasportata da un vento che le scompigliava i ciuffi ribelli di quella chioma scarmigliata, sull’altalena.
«Mamma, guardami, sto volando» La sua vocetta accesa e vispa rifletteva la vivacità che quegli occhi promettevano, e la profondità entro cui Jay si specchiò.
Era comparso dal nulla, ma i bambini hanno la straordinaria capacità di credere all’inconsueto senza farsi troppi problemi; non posseggono lo scetticismo degli adulti, né il cinismo degli anziani, e questo li rende candidati ideali per creature angeliche venute al mondo con l’unico scopo di proteggerli.
Jay era comparso dal nulla, e si era piantato lì davanti a lei. Connie aveva sgranato gli occhioni color nocciola, aveva smesso di sventolare avanti e indietro le gambe, e l’altalena, con un cigolio, si era fermata. Lentamente, come una trave di legno cullata dall’ultima impronta di una tempesta, ora in balia di onde gentili.
«Tu sei un angelo» Aveva detto. Non era una domanda, ma una limpida constatazione. Come limpidi erano i suoi occhi color nocciola. Poi era scoppiata a ridere, e aveva ripreso a dondolare.
 
Connie aveva cinque anni quando l’aveva conosciuto, ma lei, naturalmente, non se ne poteva ricordare. Ed era così che doveva essere: un’apparizione piuttosto veloce, giusto per piantare il seme della speranza in animi ancora giovani e pertanto propensi a credere; col tempo, il seme avrebbe germogliato, e poi sarebbe fiorito. O almeno: spesso, accadeva così. Altre volte, la pianta veniva strappata prima di poter mettere radici; più frequentemente, veniva soffocata una volta cresciuta, e non riusciva a vedere la luce. In quei casi, loro non potevano fare nulla.
Hanno meccaniche piuttosto strane, lassù.
Ogni volta che un bambino nasce, insieme a loro viene concepito uno spirito di pura luce a cui viene fatto un dono. Questi spiriti sono pura energia, in grado di manipolare non solo l’umana coscienza, ma anche il cuore delle persone; di provocare eventi, incontri, coincidenze; di direzionare il pensiero umano, pur lasciando intatto il libero arbitrio. Sono esseri capaci di dare consiglio e portare sanamento laddove la pena e la paura hanno preso il sopravvento; sono creature che non hanno una forma né un nome finché il bambino a cui sono destinati non smarrisce la retta via – e questo, nelle alte sfere celesti, è chiaro prima ancora che accada. Sono angeli. Angeli custodi, frapposti nel cammino dei fortunati che pur nell’errore, hanno ancora capacità di giudizio tale da poter essere salvati. O meglio, da poter salvare se stessi.
L’azione degli angeli custodi è una cosa piuttosto complicata, e nemmeno a Jay erano chiare le dinamiche del gioco. Lui si limitava a fare ciò che gli era stato detto: e gli era stato detto di salvare Connie. Solo che negli ordini non era contemplato l’amore.
Ma cosa ci si poteva aspettare da un angelo custode che dispensa il dono dell’Amore?
 
Senza rendersene conto, Jay si era avvicinato all’altalena, e ora ne stava sfiorando le catene cigolanti. Dondolava languidamente, sospinta dal vento, e spandeva il suo lieve lamento nell’aria fredda di Dicembre.
Gli occhi castani di Connie balenavano di tanto in tanto nella sua mente: gli sembrava di poter vedere la bambina che era stata in tempi lontani, seduta lì, su quell’altalena che li aveva fatti conoscere. Con le mani paffutelle e lo sguardo infantile acceso di quella luce spensierata ed ingenua che l’aveva abbandonata. Perché Connie era cambiata: la donna che era diventata era ben diversa dalla bambina che era stata, eppure dentro di lei Jay era ancora capace di vedere la luce. Era una sua prerogativa, d’altronde; era il suo compito, far brillare il cuore delle persone, illuminando l’oscurità delle loro anime. E Connie ne aveva fin troppo, dentro, di oscurità, rabbuiata dalla sua infanzia e dalle sue amicizie; corrotta da quella setta di assatanati che faceva dei demoni oggetto di culto. Le dita maligne del male si erano insinuate tra le pieghe del cuore di quei giovani, e Jay, il cui compito era salvare la sua protetta dal peccato e da quella subdola malattia che era la cattiveria, aveva mollato. Aveva fallito.
Lassù qualcuno si sarebbe arrabbiato, perché quell’angelo avrebbe dovuto essere immune alle umane sofferenze, e invece si era invischiato in faccende più grandi persino di lui.
Perché Jay si era innamorato. Avrebbe dovuto essere immune a certi umani sentimenti, e quando quell’emozione si era insinuata in lui, non era stato capace di riconoscerlo come tale, e aveva ritenuto quell’euforia il semplice frutto dell’eccessiva vicinanza con gli uomini. Poi, aveva capito: perché Connie gli aveva spiegato in cosa consistesse l’amore, con quella sua risata un po’ infantile e sorpresa.
Jay non aveva un cuore che poteva battere più o meno velocemente, a seconda delle emozioni dell’animo; ma aveva inteso comunque la portata del suo sentimento, e l’errore in cui era incappato gli era ben chiaro.
Si sentiva così maledettamente umano. Era una cosa che non gli era mai successa, né durante la sua impalpabile vita celeste, né durante quella, più breve, terrestre. Jay si era inchinato davanti all’Amore, e aveva incatenato il suo cuore a quello di un essere umano; il suo dono si era ritorto contro se stesso, e l’aveva corrotto.
 
«Non sei più padrone dei tuoi poteri, Jeliel» La voce di Metraton risuonava come mille dolci campanule, pur nella severità della sua accusa. Lo guardava con occhi infuocati, eppure in tutto quel caleidoscopio di abbagliante luce, Jay non riusciva a distinguere un solo tratto umano, e dopo mesi di contatto con l’antropica stirpe la cosa gli risultava quasi strana.
«Migliorerò, Arcangelo. Datemi un’altra possibilità» Quasi lo pregò l’angelo custode, e la sua voce risultò tanto rotta dall’emozione che Metraton emise un sospiro.
«Il tuo compito è finito, Jeliel. La tua natura non ti permette questo. Devi tornare» Se l’arcangelo soffrisse per il suo messaggio, non era dato saperlo; non lo diede a vedere, e Jay fu costretto a piegarsi al volere di chi gli era superiore.
«Ho bisogno di tempo» disse in risposta a quell’ultimatum, come ultima preghiera rivolta a Metraton. L’angelico essere produsse un suono che Jay seppe interpretare come un assenso, e nella massa di bagliore che costituiva il suo impalpabile corpo immortale, distinse quello che sembrava un sorriso; come un’ancestrale comprensione verso i suoi sentimenti assolutamente umani, e pertanto sbagliati, ma pur sempre frutto di quello che loro non facevano altro che predicare.
«Hai un giorno, Jeliel» La luce si estinse, e quella voce echeggiò nell’aria leggera, come il soffio di un caldo vento estivo in quell’etere gelido d’inverno.
 
Come aveva potuto un angelo piegarsi a sentimenti che mai avrebbe dovuto provare? In quale esatto momento era avvenuto in lui il cambiamento che l’aveva portato a legarsi inevitabilmente alla sua protetta? E se il progetto divino è già chiaro e delineato nella mente del Signore, perché Lui non aveva evitato quell’unione?
Le dinamiche del destino non gli erano mai state molto chiare, ma una volta ancora Jay si era trovato spiazzato, ed era stato costretto a subire la tristezza e la frustrazione dovute al fallimento. Era stata Connie ad insegnargli quei sentimenti.
Un lieve sospiro sfuggì dalle labbra dell’angelo custode, che si sedette sull’altalena e avvolse le dita alle catene. Il suo sguardo si alzò fino ad incontrare la volta plumbea, a solleticare i lineamenti del cielo a cui apparteneva, e a cui presto sarebbe dovuto tornare.
Aveva fallito anche nel suo ultimo compito: quello di dirle addio. Non era stato capace di trovare parole che descrivessero la lacerante delusione e l’incontenibile dolore che avrebbe provato nell’andare via. E aveva scelto la strada più semplice: tacere l’inevitabile.
Perché mai, lassù, rivolevano un angelo codardo e incompetente, ormai semi-umano a causa della sua ripetuta e costante vicinanza con quei sentimenti che l’avevano reso quanto di più dissimile da un essere immortale e superiore?
Jay aveva sentito di angeli che avevano scelto la via del rinnego: irretiti dall’umanità, e dalle possibilità che essa concedeva, avevano deciso di abbandonare le angeliche spoglie e di diventare a tutti gli effetti esseri umani. Ma quella scelta non gli era mai sembrata tanto vicina quanto allora; quand’era più giovane – eoni prima – aveva deriso chi gli aveva raccontato di quell’eventualità a loro concessa, e aveva giurato che mai si sarebbe lasciato conquistare da emozioni tanto tangibili e infime: l’umanità non era una cosa che lo riguardava. Ma dopo mesi passati a camminare tra la gente vera, aveva cominciato a capire cosa i Rinnegati avessero trovato in quel luogo chiamato Terra, e il Cielo non gli era mai sembrato tanto piccolo e scomodo.
Ma Rinnegare la sua natura avrebbe significato dimenticare; e persino in quel dolore, quella prospettiva gli sembrava da temere.
Stava diventando tragicamente umano. Cominciava a sentire distintamente tutta la gamma di emozioni di quegli essere incapaci di vedere davvero, e questo lo spaventava; e sapeva che la paura era un sentimento puramente terrestre, perciò si trascinava in quella frustrazione che era anch’essa prerogativa mortale.
Sarebbe potuto rimanere seduto su quell’altalena, a dondolarsi lentamente solo per sentire forte dentro di sé il ricordo di Connie bussare con insistenza alle porte della sua mente, per anni, indenne dallo scorrere del tempo; ma il fato aveva in serbo per lui qualcosa di diverso dal crogiolarsi in quel guazzabuglio di umane emozioni.
Jay si ricordò della sua natura solo quando questa si fece sentire, potente, dentro di sé; il ricordo di Connie perse consistenza e si fece confuso e impalpabile, nella sua mente, per essere sostituito da una nuova percezione, del tutto inusuale in un luogo come quello della terra.
L’aria si fece più fredda, ma l’angelo custode poteva solo intuire il cambiamento atmosferico, non percepirlo sulla sua pelle evanescente; intorno a sé avvertì l’inconsueto vuoto della mancanza, e stavolta non era perché Connie era lontana da lui. Non c’era più nessuno intorno, e tutto sembrava aver assunto una sfumatura color acciaio. Il tempo sembrò cristallizzarsi, e quello fu il primo segno di un cambiamento che Jay non riusciva a comprendere del tutto. Aveva dei sospetti, certo, ma il suo dubbio gli sembrava talmente improbabile da mantenerlo ancora in stallo, guardingo ma non preoccupato. Fu solo quando quel dolore, più fisico che emotivo, lacerò ogni singola molecola del suo essere, che intuì quanto quel suo primo pensiero fosse stato corretto. Un attimo dopo, Andras comparve davanti a lui.

 

***

 

L’aula era buia, fiocamente illuminata dalla languida luce di due grosse candele nere. I nove ragazzi erano seduti in cerchio attorno a un tavolo rotondo, coperto da una tela su cui erano dipinte strane iscrizioni gotiche, simboli più o meno complessi che arricchivano la superficie scura del tessuto. I giovani mantenevano tra loro un contatto flebile ma saldo: avevano le dita allacciate, e gli occhi chiusi. Sembravano profondamente concentrati su qualcosa, mentre dondolavano in modo piuttosto buffo.
C’era silenzio; un silenzio irreale, carico d’attesa e di tensione. Un silenzio, che fu rotto nello stesso momento in cui i ragazzi aprirono gli occhi.
«Noi ti invochiamo, grande Marchese, signore delle Trenta Legioni, distruttore dei popoli» pronunciò una voce profonda, con tono sicuro e fermo. Un coro di mugolii seguì quell’invocazione, un brusio basso e musicale, che sembrava essere stato provato e riprovato, fino a raggiungere la perfezione.
«Sorgi, Andras, Signore del Male. Vieni al nostro cospetto e mostraci la tua potenza» Il timbro infervorato del giovane divenne quasi un urlo, un grido di folle aspettativa che rimbombò tra le pareti della piccola stanza buia e si estinse in un ultimo rintocco.
Inizialmente ci fu solo silenzio: il silenzio, pallido e spaventato, dell’attesa. Subito dopo cominciarono i brusii scettici di chi credeva quella farsa una perdita di tempo. Connie fu la prima a perdere la pazienza: sciolse il contatto con i ragazzi che stavano al suo fianco, staccando le mani dalle loro dita, e si alzò in piedi con uno sbuffo scocciato. Solo allora, la terra cominciò a tremare.
Un rombo assordante spezzò la quiete della stanzetta; un soffio di vento, proveniente da chissà dove, spense tutte le candele, e l’aula precipitò in un buio intenso e gelido. Qualcuno urlò, in preda al panico.
Connie rimase immobile al suo posto, in piedi con le gambe tremanti e gli occhi strizzati, per cercare di scorgere qualcosa nella fitta oscurità che avvolgeva ogni cosa come una coperta sinistra e inquietante. Per qualche minuto non accadde più nulla: nessun suono a spezzare il silenzio, se non i lamenti terrorizzati dei suoi compagni; nessuna luce a rischiarare le tenebre, se non il biancore quasi opalescente delle sclere degli altri ragazzi.
Poi, lui comparve. Occhi rossi come il fuoco più rovente; pelle nera di sataniche tenebre; corna scure a sormontargli il capo glabro, arrotolate su se stesse per contenerne la lunghezza; alto almeno tre metri, con zampe caprine ma prive di peli; fisico statuario e braccia possenti, e un ghigno diabolico a deturpare il volto maligno. Con un ruggito infernale, dalle tenebre più profonde si levò Andras, il Marchese; circondato da lingue di fuoco incandescente, il nero demone allungò gli artigli diabolici verso uno dei giovani che, con occhi sgranati e sguardo colmo di terrore, lo guardava, e gli sferzò il petto, lasciandolo mortalmente ferito, esanime su un suolo già insozzato di sangue.
Solo dopo Andras, assetato di morte, spalancò le lunghe ali da pipistrello e con una breve ma vigorosa contrazione dei possenti muscoli, spiccò il volo e si schiantò contro il muro, aprendo un varco sulla parete e sparendo alla vista dei presenti.
Quando il rantolo di Cameron gli raggiunse le orecchie, Connie comprese che quel gioco si era spinto troppo oltre. E, per la prima volta, ebbe paura. 
 

***

 

Parlava con una voce cavernosa, Andras il Marchese, e aveva sul volto un ghigno malvagio e sardonico, mentre fissava il piccolo angelo dinnanzi a sé. Jay emetteva una luce fioca, in confronto alle fiamme e alle tenebre che contornavano la statuaria ed enorme figura del demone.
«Leggo il tuo animo, Jeliel» disse con quel suo tono roco e rimbombante. Avrebbe dovuto incutergli timore, invece Jay si sentiva forte dinnanzi a lui: tutti i turbamenti mortali che fino a quel giorno lo avevano accompagnato, gli sembravano molto più spaventosi di quel nemico che ora lo minacciava. «Il tuo amore» pronunciò quella parola con un evidente nota di disgustato sarcasmo nella voce cupa «mi ha portato qui. Ed io ti annienterò, fino a quando di te non rimarrà che un amaro ricordo» annunciò, e dalle tenebre che lo accompagnavano trasse una frusta fiammeggiante, una lingua di fuoco che schioccò nell’aria a un suo minimo movimento.
«L’Amore mi salverà» replicò con coraggio Jay, e, come a rispondere alla provocazione del demone, spalancò le ali rischiarando l’oscurità di quel nero giorno. Tuttavia, quella risposta, ostentata con fierezza e sicurezza, suscitò l’ilarità del demone: la sua risata, beffarda ed amara, riempì l’aria come il lontano tuono di un temporale di chissà che cielo.
«L’amore è lontano, Jeliel» decretò; poi, con un unico, fluido movimento delle ali, si lanciò verso l’angelo.
 

***

 
Invocare demoni. Ma come aveva potuto essere così sciocca?
Connie correva, e mentre correva non faceva altro che pensare a lui: Jay era in pericolo, ed era tutta colpa sua. Quante volte l’aveva avvertita? Quante volte l’aveva rimproverata per quel suo vizio ossessivo e sbagliato?
Il vento gelido le frustava le guance, ghiacciando le lacrime che le erano involontariamente scivolate sulle guance; ma la ragazza ignorò la vista che le si offuscava, il cuore stretto dall’angoscia, dalla paura, dalla tristezza e dalla nausea, e continuò a correre, seguendo la scia di devastazione lasciata dal demone.
Non era difficile capire dove fosse passato: non c’era altro che distruzione, nei punti in cui le sue ali avevano spazzato case e alberi; non c’era altro che terrore, negli occhi delle vittime che avevano incrociato le braci infuocate del suo sguardo.
Avrebbe trovato Jay prima di lei? Connie non lo sapeva, ma aveva frequentato le Rose Nere abbastanza a lungo da imparare come funzionavano le dinamiche sataniche.
Se un demone veniva invocato, questo era sotto il diretto controllo di chi aveva pronunciato il suo nome durante la seduta. Questo, però, solo nell’eventualità in cui ognuno rispetti il silenzio e la stasi del suo ruolo. Perché se qualcuno rompe il cerchio prima che il demone sorga dall’oscurità, allora è condannato: sarà perseguitato a vita dall’essere infernale, e nessuno dei suoi cari potrà mai avere scampo dalla sua ira.
Uno ad uno, Andras avrebbe cercato ed ucciso tutte le persone a cui le voleva bene: Cameron era stata la sua prima vittima. Cameron, il suo migliore amico. Il suo cuore si strinse in una morsa implacabile, mentre Connie accelerava il passo.
Ora toccava a Jay. Jay, il suo unico amore. Jay, che era entrato per caso nella sua vita, e che con la sua dolcezza e la sua ingenuità aveva conquistato il suo cuore. Jay, che doveva partire, e che l’avrebbe lasciata sola per sempre; sola con il suo dolore, sola con la sua follia, sola con il suo cinismo e con la sua rabbia verso il mondo.
Per Andras sarebbe stato semplice, distruggere la sua vita: non aveva altri affetti, se non quei due ragazzi. Uno era già morto, l’altro l’avrebbe presto seguito, se lei non avesse fatto qualcosa per impedirlo. Non aveva idea di cosa si sarebbe inventata; magari l’avrebbe pregato, chissà che i demoni non conoscessero la misericordia.
 
Il suo cuore si riempì improvvisamente di angoscia e paura, rabbia e delusione, rancore e insoddisfazione. Se Connie non avesse vissuto per anni accanto a folli satanisti con la passione per le sedute spiritiche, avrebbe attribuito quelle sensazioni a un prossimo arrivo del suo ciclo, o magari a una semplice bizza momentanea; invece sapeva che quello era solo l’effetto della vicinanza con una creatura infernale. E difatti, poco distante da lei, in un parco deserto, Connie scorse la macchia scura di oscurità che aleggiava attorno ad Andras.
E poi vide lui. Per la prima volta, Connie vide Jay: non l’uomo che si nascondeva dietro le fattezze umane che aveva conosciuto fino a quel momento; no, Connie vide l’angelo. Vide i suoi occhi celesti, e finalmente quella limpidezza ebbe un senso; vide la sua luce, e mai come allora capì per quale motivo ogni volta che stava con lui si sentiva così serena.
Ma adesso, mentre quelle masse di luce ed ombra si scontravano ripetutamente, a una velocità che non le lasciava il tempo di capire cosa stesse succedendo, quella quiete dei sensi, quella pace interiore, quell’amore incondizionato che lei percepiva quando aveva accanto a Jay, erano alternati a stati d’animo più incerti e oscuri: la rabbia e l’angoscia scavalcavano spesso la tranquillità e il sollievo; la calma e il benessere si sovrapponevano al rancore e all’agitazione; avvertiva un amore che si tramutava spesso in odio, in un avvicendamento doloroso e pericoloso. E quando tutte quelle emozioni negative e devastanti prevalsero in lei, Connie capì quanto pericolosa fosse la posizione dell’angelo che gli era capitato tra le braccia per un fortunato caso del destino. O forse era un disegno già prestabilito, quello che aveva guidato Jay a lei? La ragazza non lo sapeva, e in quel momento non le interessava, perché accanto all’odio e alla rabbia, c’era una paura che riconosceva solo adesso, e a quella si appellò, con tutta la forza della sua disperazione, quando urlò a pieni polmoni il suo nome.
 

***

 
Si stava lasciando morire. Era questa la consapevolezza che riempiva il cuore angelico di Jay, mentre lottava disperatamente contro Andras, fisicamente e mentalmente più forte di lui. La lingua infuocata della sua frusta infernale gli aveva già artigliato il polso, e lacrime di cristallo scivolavano lungo l’impalpabile corpo dell’angelo, che stava perdendo sempre di più la sua forma umana, in favore delle spoglie immortali di cui soleva vestirsi. Il suo sangue angelico emetteva un tintinnio lieve e struggente, quando toccava il suolo, e Jay avvertiva le forze abbandonarlo.
Il lampo di luce che spedì contro il petto muscoloso del demone si infranse contro la nera barriera che quello eresse a sua difesa, e il pensiero della fine si fece orrendamente vicino nella mente dell’angelo. E lui lo accolse quasi con sollievo.
Forse era quella la soluzione; non rimanere con una donna che non lo desiderava, non tornare in un cielo che gli stava troppo stretto. La via più semplice, il districamento di ogni dubbio, era abbandonarsi tra le braccia di un’oscurità che lo avrebbe annientato. Sebbene in quanto angelo avesse il compito di combattere il male, l’eventualità di una sconfitta non gli sembrava tanto indesiderata, non dopo aver provato il dolore dell’amore e del rifiuto.
 
«Jay!»
Quel richiamo giunse come un salvifico vascello, che lo ricondusse nel mare della ragione.
Connie. La sua Connie. Connie che l’aveva rifiutato, Connie che non lo amava; Connie, che secondo Connie non era capace d’amare, e che per questo l’aveva respinto e abbandonato.
La sua voce era come una boccata d’aria fresca dopo ore di asfissia, e l’angelo fu riscosso dalla sua lotta disperata da quell’unico richiamo. Il sollievo di saperla salva, lottò contro la paura che gli saettò nella mente e che gli fece sorgere l’angelica preoccupazione che in quel luogo lei avrebbe potuto farsi male.
Quell’attimo di distrazione gli risultò fatale, perché la frusta demoniaca di Andras lo colpì al petto. Il dolore esplose in lui in un eterno istante di pura devastazione. Jay captò il demone ridere beffardo; sentì l’urlo straziato di Connie; avvertì il gelo infernale di quella sofferenza atroce. Era come se ogni molecola del suo essere si stesse lentamente staccando da lui, ma con lentezza, per lasciargli il tempo di percepire quel distacco. Era un dolore fisico, diverso da ogni altra sensazione provata fino a quel momento. Quando quella sofferenza perdurò, senza accennare a diminuire, Jay capì che quella ferita sarebbe stata mortale, e che lui, essere eterno, non sarebbe riuscito a vincere, perché la fine era così vicina che lui poteva già toccarla.
Si abbandonò a quella sofferenza. Avvertì il suo corpo accasciarsi al suolo, ma non era sicuro di averlo fatto anche lui: temeva che l’involucro umano che l’aveva ospitato sino a quel momento fosse semplicemente scivolato via, come uno scomodo fardello che in quel momento non gli serviva. Pensò che in fondo bastava solo una rinuncia, perché quel dolore cessasse: quella alla sua esistenza.
Ma se Andras vincesse, Connie sarebbe in pericolo, pensò in un ultimo sprazzo di lucidità. Bastò quel pensiero a risollevarlo. Jay aprì gli occhi, e vide Andras ghignare malignamente, agitando ancora in aria la sua frusta infuocata, con schiocchi inquietanti e minacciosi. Poi spostò il suo sguardo verso lei, e la vide: era bella di una bellezza fragile e fiera, e i suoi occhi noccioli erano velati di paura. Lo guardava non più con quell’aria di superiorità che gli aveva sempre riservato a causa della drastica ingenuità da lui sempre dimostrata, ma con l’umiltà di chi si offre interamente a una persona, senza paure né costrizioni.
L’amore è lontano, aveva detto poco prima Andras. E Jay gli aveva creduto: Connie era lontana, il suo sentimento era lontano, il suo cuore non esisteva e al suo animo non era concessa umana emozione. Come poteva l’Amore salvarlo? Non sapeva nemmeno gestire i suoi poteri, in fondo.
Ma né Andras né Jay potevano sapere quanto si stessere sbagliando in quel momento, e per fortuna l’angelo lo intuì prima che fosse troppo tardi. Lo capì dentro gli occhi dorati di Connie, che l’amore era più vicino di quanto avesse pensato: era dentro di lui. E dentro il cuore di ogni essere umano che ne avesse accettato il calore.
Un lieve sorriso increspò le labbra impalpabili e lucenti di Jay, che si rialzò e spalancò le ali luminose, dissipando il dolore nonostante le stille luccicanti che gli scivolavano dal petto. Andras abbandonò il suo ghigno beffardo, ma non avrebbe mai potuto leggere dentro il suo animo; e anche se lo avesse fatto, non avrebbe comunque capito; o forse si sarebbe rifiutato di farlo.
Quando Jay si lanciò verso di lui, aveva la certezza che, comunque fosse andata, aveva avuto un motivo più che valido per vivere, e per lottare. Quel motivo che trattenne il fiato, quando lo vide volare, come una macchia di speranza nel buio della vita, contro l’enorme demone.
Quel motivo che si chiamava Connie, e che era sempre stata vicina a lui.

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Note dell’autrice:
̴ Love’s apart significa, letteralmente, l’amore è lontano.
̴ La Rosa Nera è il nome della setta di Connie.
Premetto che non sono molto informata né sugli angeli né sui demoni. Ho scritto questa storia documentandomi su Google, quindi chiedo perdono se ho sbagliato qualcosa. Secondo il sito da cui ho attinto le mie informazioni, il Jeliel è un angelo custode a cui viene fatto il dono dell’amore. Il suo nome umano, Jay, deriva proprio dall’iniziale del suo nome angelico.
Andras, invece, è davvero un Marchese e comanda davvero trenta legioni. È un demone particolarmente dedito alla distruzione e alla guerra.

   
 
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