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Autore: Remedios la Bella    13/01/2012    3 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono sempre in ritardo lo so ... ma la storia sta avendo risvolti sempre più significativi ( almeno penso)
Comunque, vi informo che da adesso mi impegnerò a pubblicare un capitolo ogni settimana, verso il finesettimana, ossia Venerdì- sabato- domenica.
Spero di mantenere il mio impegno,
Riguardo al capitolo ... non ne sono totalmente soddisfatta, ma l'altro sarà molto più ... significativo, prometto.
Buona lettura!

Capitolo 38

 
Jordan era sparito all’improvviso. Morto? Solo lui poteva saperlo.
Disperso? Probabile. Ciò che ritenevo perlomeno sicuro era che io mi sentivo abbandonato, in un certo senso; la sua reazione dopo quello sparo e la sua decisione fulminea avevano lasciato in me così tante domande, ancora irrisolte, che la maggior parte mi deconcentravano sulla missione che dovevo compiere. Perciò dovevo fare in modo di archiviare quelle angustie in un angolo sperduto della mia testa, e continuare a combattere. Con o senza Jordan.
Appena sparì, mi voltai verso il capo, in preda al panico:”Perché non ha intenzione di fermarlo? È una pazzia!”
“ è una sua volontà … dovremo rispettarla, credo ..” fece quello, con aria un po’ pensierosa. Non proferii altra parola e mi limitai a fissare il punto in cui prima Jordan stazionava e che ora era riempito solo da una qualche presenza impercettibile.
“ Ma perché lo ha fatto?” pensai:” Non aveva ragione di commettere tale pazzia … e dire che pensavo di conoscerlo per bene …” non riuscivo a capacitarmi tanto della sua andata, e questo mi dilaniava il cuore, già sofferente e livido da un sacco di tempo.
Ma decisi, dopo minuti e minuti di silenzio, di interrompere quel tribolarmi :” Vado anch’io in ricognizione ..” dissi, d’un fiato.
Feci per scavalcare la trincea, ma la mano del comandante afferrò il mio polso:” Non essere avventato! Servono rinforzi qui, se ne muore un altro, addio possibilità di contrastare il nemico, capisci? Resta giù e fai da vedetta … vado a vedere come se la cava la squadra di soccorso.” E lui si dileguò lasciandomi con un palmo di naso in una delusione abnorme.
Cosa potevo fare messo lì, disteso su un sacco e puntando un fucile alla cieca di fuori? Non avrei risolto davvero niente, di questo passo.
Comunque, decisi di obbedire a quell’ordine davvero assurdo. Mi stesi su un sacco lì vicino accanto a un altro ragazzo, e misi l’imboccatura del fucile proprio al di fuori della trincea, di modo da sparare chiunque avesse osato saltare oltre il buco.
Il ragazzo che mi stava accanto mi osservò curioso:” prima volta?” chiese, a bruciapelo, dopo aver scaricato un colpo.
I suoi occhi grigi verdi mi guardarono curiosi, mentre il casco non riusciva ad appiattire bene le sue orecchie leggermente a sventola.
Annuii senza aver capito bene la domanda,tanto per dargli soddisfazione, e lui continuò a conversare, stavolta alzando per bene la voce:” Piacere, Dimitri. Da quanto sei in servizio?”
“ Appena una settimana o due ..” risposi io, assordato da una scarica di proiettili proveniente da sopra noi.
“ Io da due anni … sempre la stessa minestra. Secondo te finirà mai quest’assurdità?” mi chiese, con voce speranzosa.
“ Lo spero!” dissi io, tentando di conversarci tranquillamente.
Ad un tratto, sentii la terra cadermi sul naso. Qualche granellino, e lo spostamento di una minuscola quantità di terreno che mi fecero strabuzzare gli occhi. Anche se la polvere entrò nei miei occhi, capii d’istinto cosa fosse successo. Troppo tardi.
Un’ombra mi sovrastò, e appena alzai la testa con il fucile in mano, scaricai un colpo verso l’alto mentre qualcosa di nero oltrepassava il valico.
Sentii un urlo e vidi gocce di sangue bagnare la terra.
“ Preso!” urlai, alzandomi di scatto.
Dimitri mi afferrò per il braccio e mi riabbassò:” Non essere idiota! Sta giù!”
Mollai la sua presa dal braccio in tempo per re impugnare il fucile e scaricare un colpo dritto a quello che sembrava un soldato nemico. L’uomo venne colto di sorpresa, e  cadde bocconi, rovesciando il suo cadavere nella trincea.
Gli altri soldati guardarono allibiti il mio creato.
“ Sei stato formidabile .. dove hai imparato?” mi disse uno, avvicinandosi a me.
“ Non lo so …” dissi io, leggermente spaesato e confuso da ciò che avevo appena fatto. Non osai avvicinarmi per vedere il suo volto, nascosto dal terreno e sporco di polvere. Il sangue aveva tinto la terra nerastra di un manto oscuro e l’odore di polvere da sparo stagnò nell’aria.
“ Grazie ..” disse Dimitri. Lo guardai e sorrisi appena:” Bene. Ci penseremo dopo a quello lì  … torniamo in posizione!”
Mi rimisi automaticamente disteso, ma una seconda ombra ci passò sopra.
“ maledizione …” stavolta non fui abbastanza veloce. Il colpo sparato da quel militare andrò dritto a colpire uno dei soldati che mi stava accanto, mandandolo all’altro mondo. Tentai di caricare il colpo, ma quello lo schivò prontamente e fuggì velocemente dalla parte degli accampamenti.
Intruso. Qualcuno lo doveva fermare!
Altrimenti tutti gli altri sarebbero stati spacciati.
“ Io vado a fermarlo! Voi restate qui va bene?” presi la rincorsa, e con un salto che nemmeno io sapevo di poter fare, raggiunsi il bordo della trincea e mi ci aggrappai, scavalcandola.
Uno dei soldati fece lo stesso:” Ti copro le spalle!”
Annuii deciso verso di lui, e appena fui in piedi, localizzai il fuggiasco correre a perdifiato dalla parte in cui ero giunto con Jordan.
Mi misi a correre, senza pensare che avrei potuto tranquillamente sparargli per poterlo fermare. La mia mira era buona, dopotutto. Ma qualcosa dentro mi suggeriva di doverlo raggiungere. Non sapevo cosa fosse, ma l’ascoltai.
Il soldato continuava a correre, e io dietro a lui, e il compagno che mi copriva le spalle, con grande precisione e tempismo, riusciva a indicarmi i modi di schivare i colpi volanti.
Poi, vidi il soldato nemico fermarsi. Non si girò dalla mia parte, ma sparò verso la mia destra. Sentii un lamento, ma non lasciai andare via l’occasione che avevo sotto mano. E con un colpo secco, quello cadde a terra, sollevando una leggere nuvola di polvere.
“ Vado a vedere a chi ha sparato! Tu torna indietro!” urlai a quello dietro di me, dirigendomi verso la direzione dell’urlo di prima. Già da lontano, vidi il gruppo di soldati accalcati sul corpo del soldato. Mi avvicinai … e capì la voce che mi aveva urlato di seguire il nemico: steso per terra, con una piccola ma grave ferita in mezzo al petto, dallo sguardo offuscato e gli occhi in lacrime, stava quel qualcuno che nella parte più perversa di me stesso desideravo vedere morto da sempre. Il francese Xavier stava morendo davanti ai miei occhi.
E, nonostante tutto, non ne sembravo entusiasta.
Il mio peggior nemico di quegli ultimi mesi, o meglio dire settimane, giaceva, davanti ai miei occhi, con il sangue che colava dalla bocca e una schiera di soldati che tentava di rianimarlo o perlomeno di guarire invano la ferita, che sicuramente aveva colpito il cuore in pieno. Lui sembrava non rendersi conto che c’ero anch’io ad osservarlo, e continuava a tendere le braccia verso il cielo, a stringere il pugno tremante di fatica per raccogliere chissà quale ultima speranza di vita che risiedeva in una angolo non raggiungibile dentro di sé.
E poi, tutto accadde in fretta; i suoi occhi si chiusero, il suo respiro velocizzato si tramutò in un rantolo soffocato per poi finire con un leggero sospiro, e la mano cadde pesantemente a terra. Morto.
“ Troppo tardi …” fece uno dei soldati. Gli altri non replicarono,e  a passo lento si allontanarono, forse per prendere la barella. Di certo, una degna sepoltura sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Io rimasi ad osservarlo ancora per lungo tempo. I suoi occhi erano semiaperti ancora e la bocca era spalancata e disgustosamente ricoperta del suo sangue.
In quel momento, forse, mandai al diavolo tutte le cattiverie che Deborah e io avevamo dovuto subire a causa sua. Per come lo vedevo io, ora era un semplice essere umano, morto in battaglia. Mi chinai su di lei, e senza fiatare posai la mia mano sulla mia bocca chiudendola, e la stessa cosa feci per le sue palpebre, chiudendole per sempre.
Un veloce segno della croce bastò a completare tutto.
Il resto dei soldati accorse dopo un po’ di tempo, con la barella e il resto dell’attrezzatura. Non si curò minimamente della mia presenza, e io non mi curai di loro. Riguardai il cadavere di Xavier per un’ultima volta, e con una corsa spedita, tornai dal mio compagno, che notai in piedi a pochi metri da me.
“ Sai chi è morto?” mi chiese appena arrivai.
“ Uno come noi … niente di che …” dissi, senza aggiungere altro. Il gelo ritornò a soffiare dentro di me. Un gelo austero, ausilio per l’opera che dovevo continuare a compiere se volevo sopravvivere.
 
Che stanchezza. Un continuo andirivieni tra ghetti, case abbandonate e covi segreti che mi portavano a scoprire gli orrori a cui erano soggetti gli Ebrei.
Molte famiglie che venivano denudate del loro orgoglio, portate via a calci e minacce, caricate su furgoni lerci, sguardi spenti e senza repliche. Sangue, nei peggiori casi. Sangue che scorreva da gradinate di pietra, su lastre di pavimento sporco, o sulla polvere cittadina.
Mattanze, spari alla cieca o volontari. E io vi assistevo, inerme, avendo il compito ingrato di identificare colei che non avrei voluto mai incontrare. Per il suo bene, ovvio.
Ogni volta che la pattuglia catturava qualche ragazza mora dagli occhi scuri, puntualmente venivo chiamata in causa. Io la guardavo, e scuotevo la testa. Non è lei, con un filo di voce. E la poveretta mi guardava con occhi supplicanti, prima di scomparire dentro il furgone, diretta in un viaggio senza ritorno.
La mia spudorata sincerità faceva imbestialire i soldati con cui viaggiavo, che mi guardavano torvi dopo ogni interrogatorio con le ragazze. Come se io facessi apposta a negare chi era Deborah. Come se loro volessero davvero condannare chiunque le somigliasse.
Tanto avrebbero fatto lo stesso un’orrida fine.
E questo continuò per diverso tempo, e io resistevo, cercando di tenermi a stento in piedi con l’anima nel tentativo di non cedere alla pazzia e di morire con qualche buco nel cervello. Perché, vedere tutta quella morte, quella desolazione riflessa negli occhi di povera gente avrebbe fatto andare fuori di testa chiunque.
Viaggio dopo viaggio, notte dopo notte in cui, come pena per la mia involontaria negligenza, subivo le avances e le molestie del sudicio uomo dell’interrogatorio, Schodinger.
Ogni notte sentivo le sue mani, la sua orribile voce e i suoi insulti, e i lividi sulla gambe non guarivano. Non si prolungava oltre, per non ricadere in qualche pasticcio, ma non si risparmiava in quel che faceva. E io sopportavo, pensando a John, a quando lo avrei di nuovo incontrato. A quando tutto questo, forse, sarebbe finito.
E giunse un giorno in cui pensai che l’incubo che stavo vivendo stesse per finire, una volta per tutte.
Fu due settimane dopo la mia fuga, o forse tre. Fatto sta che fu una notte afosa e ricca di tensione nell’aria.
Successe in un campo di grano selvatico. Un campo che conoscevo, avendolo visto di sfuggita dalla finestra di casa Mendel.
   
 
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