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Autore: fragolottina    18/01/2012    13 recensioni
"‘Pâtisseries françaises’ è famosa per i suoi dolci, per il fatto che Paris Hilton compra qui la sua torta di compleanno e per il suo pasticcere francese eccellente quanto affascinante, si dice che sia anche velatamente arrogante, ma sono sicura che siano solo chiacchiere."
Quando però Veronica Neri si trova davanti alla dura verità - Pierre Mureau è davvero il presuntuoso che dicono - ha due scelte: rinunciare ad un posto sicuro e decisamente ambito per orgoglio, oppure inghiottire amaro, sopportare Mensieur 'Io sono più figo di te perché parlo francese' Mureau e sperare di conquistare i suoi favori per mettere le mani sul suo leggendario quaderno di ricette.
Ci riuscirà?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Patisserie française fragolottina's time
primo capitolo...
mm, qualcuno interessato alla storia c'è, nessuno mi ha accusata di plagio... si prosegue signore e signori!
buona lettura, ci vediamo più giù!

CAPITOLO 1

Come uno scoiattolo
La ‘Pâtisseries Françaises’ è in centro. Non è un locale molto grande, o almeno quello riservato ai clienti non lo è.
    L’ho sempre trovata carinissima e colorata, i muri sono rosa, mentre le mattonelle del pavimento verde menta; i due tavoli, con quattro sedie ciascuno, sono bianchi e pieni di ghirigori, mi ricordano i mobili per esterni che si vedono spesso negli sceneggiati in costume. Proprio davanti all’entrata c’è la vetrina, refrigerante in basso ed a temperatura ambiente in alto, stracolma di cose che, dopo quel biscotto, vorrei assaggiare.
    Vicino alla vetrina, leggermente a destra rispetto all’ingresso, è sistemato un bancone con davanti tre sgabelli imbottiti bianchi e rosa e dietro le macchinette per il caffè.
    Pierre esce dalla porta munita di oblò che dà alla cucina sul retro canticchiando un motivo che non conosco, la apre con la schiena, le mani occupate a tenere una torta di compleanno piena di fiori colorati fatti con il marzapane. Per alcuni secondi rimango troppo incantata ad osservarla, evidentemente a Pierre Mureau non basta fare dolci buoni, devono essere anche belli. Faccio una smorfia ricordando che io non sono molto brava nelle decorazioni che non siano strettamente convenzionali. Posa la torta nella vetrina e poi guarda me, come se non fosse in grado di prestare attenzione a niente che non siano i dolci, quando ha a che fare con loro. Oggi sembra molto più professionale: ha una divisa bianca – macchiata qui e lì – con il logo della pasticceria in rosa sul petto a sinistra ed una cuffietta che gli tiene indietro i capelli, si è anche rasato.
    E non sembra esattamente felice di vedermi.
    «Spero di cuore che tu sia qui come cliente.» dice distogliendo lo sguardo dal mio per togliere una macchia di cioccolata che era rimasta sul vassoio. «Potrei anche offrirti la colazione se mi giuri che poi te ne andrai e non tornerai più.» mi offre.
    Sorrido sedendomi su uno sgabello e scuoto contenta la testa. «Ho appuntamento con la signora Bernardi, pare che il mio muffin non fosse così amatoriale.» gli annuncio soddisfatta.
    Lui solleva le sopracciglia lanciandomi un’occhiata, poi grugnisce e torna in cucina. Guardo per alcuni secondi la porta, che continua ad oscillare perché l’ha attraversata con troppa foga, poi giro intorno al bancone e lo seguo.
    Dall’altra parte non c’è niente di colorato, il pavimento è bianco e tutti i piani e gli elettrodomestici sono di lucido acciaio, sembra quasi una sala operatoria. Osservo ammirata un forno illuminato dall’interno, dove, in uno stampo quadrato, gira una torta di mele in modo che la cottura sia uniforme.
    «Ehi!» mi chiama. «Non puoi stare qui.» lo cerco con gli occhi, ma non lo trovo, così mi avventuro in quel labirinto, chiedendomi se non si senta solo in quella cucina enorme. Lo trovo fermo davanti ai fornelli dove, armato di padella e spatola, sta facendo rosolare nel burro quello che sembra un toast; alza gli occhi soltanto per sbirciarmi, indispettito, probabilmente, che sia arrivata fin lì. «Hai sentito, no? Fuori di qui!» mi intima.
    «Cos’è quello?» chiedo curiosa.
    Lui sospira spazientito. «A te che sembra?» mi domanda con tutta l’aria di chi non è in vena di fare conversazione.
    «Un toast.»
    «Wow.» mi guarda ad occhi sgranati fingendosi davvero impressionato. «Come sei perspicace!» esclama sarcastico.
    «Perché un toast?»
    «Perché ho fame, devo avere la tua firma per mangiare?» ribatte irritato.
    Sbuffo appoggiandomi con la schiena ad un forno spento. «Guarda, che ho intenzione di firmare il contratto della Bernardi, non ci conviene comportarci in modo civile?» mica dobbiamo andare per forza d’amore e d’accordo, ma se collaborassimo in modo professionale sarebbe tutto più semplice.
    «No.» risponde solo, travasando il suo toast su un piatto e tagliandolo a metà con un coltello. Ne prende un pezzo e lo addenta, poi mi guarda. «Non mi piaci, probabilmente sei quella che mi è piaciuta moins e non sognare, Nora ti vuole solo perché hai dato dello sbruffone a me.»
    «Addirittura?» borbotto per non restare zitta, questione di testardaggine, non voglio che lui si creda in grado di zittirmi.
    «Oui.» è la sua unica risposta con un sorriso.
    «E c’è un motivo preciso oppure semplicemente non mi credi alla tua altezza?» chiedo ironica.
    Lui ride mangiando un altro pezzo di toast, mentre con l’altra mano rompe due uova in una terrina. «Bien évidemment, tu non sei alla mia altezza. Ma, nello specifico, non mi piaci perché sei convinta che fare la pasticcera sia certamente più facile che fare la biologa.» sgrana gli occhi. «Cosa possono tre anni di università contro un paio di teglie e torte, n’est-ce pas? Tout le monde la pensa così, ma tu ti presenti come pasticcera, dovresti saperlo che fare torte, stare ore in piedi, mangiare toast al volo perché il n’y a pas de temps per un pranzo normale non è poi tanto più comodo di sbirciare dentro ad un microscopio.» lo guardo recuperare una forchetta ed iniziare a sbattere le uova. «Io sono un artista perché so che per trovare qualcosa di cucinato migliore del mio bisogna andare a Marsiglia…»
    Marsiglia?
    «Tu ti senti furba perché hai ripiegato su un mestiere che ti da maggiori possibilità lavorative, senza chiederti se fossi in grado di fare la pasticciera.»
    Continuo ad osservarlo finché un: «Bambini? State giocando?» devia la mia attenzione. Dopo poco uno scalpiccio di tacchi invade la cucina, preannunciando l’entrata in scena della Bernardi. Rispetto al giorno prima è più informale, niente rigide acconciature o tailleur troppo rigorosi; ha un paio di jeans, un maglione di lana morbida ed i capelli sono raccolti in parte con un fermaglio. La prima volta che l’ho vista mi sono sembrati solo scuri, ma adesso scopro che hanno dei riflessi sul rosso. Tra le mani ha un bicchiere di carta del Mc Donald’s di quelli che usano per il caffè.
    Sospirando guarda Pierre, ancora intento a sbattere le uova ad occhi bassi. «Bene, vedo che state facendo amicizia!» commenta sarcastica.
    Lui borbotta qualcosa in francese, ma non le risponde.
    «Vieni con me.» mi invita superandomi e facendomi strada in un piccolo studio ricavato da una parte di cucina. È minuscolo, c’entra appena una scrivania con una sedia dietro ed una davanti, la Bernardi è costretta a salire sul tavolo per raggiungere l’altra parte e lo fa con strana abitudine. Appoggia il bicchiere sul tavolo e tira fuori dalla borsa enorme e dall’aria costosa, che porta appesa al braccio, una cartellina rosa pallido ed un netbook microscopico; apre la cartellina e sfoglia sapientemente alcuni documenti finché, dopo averlo studiato per essere sicura di non sbagliare, non mi porge un foglio stampato. «Dai un’occhiata se c’è qualcosa che non va bene.» si appoggia allo schienale della sedia prendendo un sorso dal suo bicchiere. «Non credo, è un contratto standard senza troppe pretese, ma controlla.»
    Leggo le prime due righe, poi la guardo. «Non le ho…»
    «Oh, ti prego, non darmi del lei…» si lamenta interrompendomi. «Ho trentuno anni, so da sola dell’inesorabile scorrere del tempo, so che mi stanno venendo le rughe e che il mio bel corpicino d’ora in poi non può fare altro che rovinarsi. Non è carino ricordarmi quanto sei più fresca e giovane di me.»
    La studio scettica, trentuno anni o no, Eleonora Bernardi è una donna affascinante ed elegante. Certo, non può sembrare una adolescente, ma di rughe sul suo viso non ne vedo traccia ed il suo corpo snello e slanciato è tutt’altro che rovinato. «Ok.» acconsento comunque. «Non ti ho detto che ho intenzione di accettare.»
    Lei ride. «Ma Pierre era già infuriato. Ti avrebbe offerto la colazione tutto contento se non avessi avuto intenzione di restare.»
    «Lo conosci bene.» commento.
    Annuisce. «Eravamo tutti e due molto giovani quando abbiamo iniziato a collaborare.» sorride, persa nei propri ricordi, poi torna su di me. «Leggi.» mi ordina controllando l’orologio. «Tra poco ci sarà un bel casino di là, è quasi ora di merenda.»
    Mi concentro sul contratto e lo scorro velocemente con gli occhi per essere sicura che tutto quello promesso sull’annuncio venga mantenuto. Non ci sono indicazioni delle effettive ore lavorative, il giorno di chiusura è il mercoledì, lo stipendio mensile è di mille euro. Cerco di mantenere un’espressione neutra per non fare intendere di non aver mai avuto una paga così alta, cielo, al forno me ne avrebbero dati appena quattrocento! Vorrei allungarmi oltre la scrivania ed abbracciarla, ma mi costringo a darmi un contegno e stare ferma. Per non parlare poi di quante cose potrei imparare da Pierre! C’è anche la clausola che regola gli eventuali corsi di aggiornamento, viaggio e spese di iscrizioni sono pagate, ma non vitto ed alloggio.
    Oh mio dio, ho anche quindici giorni di ferie da gestire a mia discrezione! Purché avvisi la proprietaria con almeno quindici giorni di anticipo.
    Questo è il contratto dei miei sogni…
    «Tutto in ordine?» mi chiede.
    «Assolutamente, puoi prestarmi una penna?» mi indica con un cenno del capo il portapenne a forma di Sant’Honoré sulla scrivania, pesco una biro e firmo per poi riconsegnarglielo.
    Lei lo ripone nella cartellina, poi apre un cassetto.«Cose che devi sapere e che non ci sono scritte… dunque… ah, si!» esclama improvvisamente, rimestando nello scomparto. «Mattino e sera viene anche un altro ragazzo a darci una mano. La mattina aiuta me a sfoltire i clienti che vengono a fare colazione – c’è sempre una bella ressa. Mentre la sera mi aiuta a pulire e chiudere. È un bravo ragazzo ed ha voglia di lavorare, nel caso ti serva qualcosa ed io non ci sono puoi tranquillamente chiedere a lui. Se aspetti lo conoscerai oggi pomeriggio.»
    «Ok…» mormoro, tutto sommato felice che lei e Monsieur ‘Io sono più figo di te perché parlo francese’ non siano i miei unici colleghi.
    «Non ho una divisa ancora, ma l’ho già ordinata.» mi porge un grembiule. «Per gli orari e cose del genere dovrai metterti d’accordo con Pierre.»
    Mugugno, incapace di resistere.
    «Lo so, lo so.» acconsente. «Cerca di sopportarlo, è come un animaletto selvatico: cerca di non spaventarlo e si lascerà accarezzare.» mi consiglia.
    «Da te si fa accarezzare?» le chiedo, tanto per sapere quanto dovrò sopportare.
    Lei sorride e si alza aspettando che lo faccia anche io per permetterle di scavalcare di nuovo la scrivania. «No…» mi lancia un’occhiata divertita. «Ma io sono il suo capo.» esce dallo studio. «Puoi lasciare le tue cose qui se ti va, usa questo pomeriggio per familiarizzare con l’ambiente.» mi suggerisce quando è già fuori.
    Tolgo la giacca e la lascio appoggiata, insieme alla borsa, sulla sedia dove poco prima ero seduta; srotolo il grembiule e mi faccio passare il laccio della pettorina dietro il collo, poi mi annodo i nastri della vita dietro la schiena; prendo l’elastico, che porto sempre al polso, e mi intreccio i capelli, in modo da non essere di fastidio e che non finiscano in mezzo all’impasto dei biscotti. Una volta pronta mi fermo: devo parlare con Pierre per chiedergli dell’orario, devo cercare di non spaventarlo perché è come uno scoiattolo e non si farà mai accarezzare altrimenti, devo attingere ad ogni mia riserva di pazienza.
    Non faccio nemmeno in tempo ad uscire dallo studio e chiudermi con delicatezza la porta alle spalle – fosse sensibile anche ai rumori troppo forti – che…
    «Hai i capelli troppo lunghi.» mi accoglie, mentre, mangiando l’ultimo boccone del suo toast, frigge alcune ciambelline. «Se me li trovo per la cucina te li taglio.» mi minaccia sempre senza guardarmi.
    «Potrebbero essere i tuoi… comunque Ele…»
    Si volta a fissarmi come se l’avessi orribilmente insultato, ha un’espressione così oltraggiata da farmi morire le parole sulle labbra. «Sei mora, io sono biondo.» sputa velenoso. «Nel dubbio faremo il test del DNA e te li taglio.»
    «Eleono…»
    «E quella maglia è di lana.» mi interrompe ancora, tornando a guardare le sue ciambelline. «Potrebbe perdere qualche pelo, sta lontana da ogni mio impasto.»
    Tutta la pazienza del mondo, anche se l’avessi accumulata per ventiquattro anni, non sarebbe sufficiente.
    Recupero una mela da una cassetta lì vicina e gliela lancio in un moto di stizza, colpendolo alla schiena. «Eleonora ha detto che devo mettermi d’accordo con te per l’orario.» riesco a gridare infine.
    Lui mi ignora completamente. Gira la ciambellina, la toglie dall’olio dopo poco e spegne il fornello con una calma che gli invidio profondamente; si volta, incrocia le braccia sul petto e mi fissa. «Si comincia tutte le mattine alle sei per le colazioni, se non ci sono ordini particolari si finisce alle dodici e trenta e si torna alle quattordici e trenta. Altrimenti si resta qui fino alla sera alle sette.» fa un passo verso di me ed è abbastanza alto da farmi sentire completamente sovrastata, anche perché il suo ego è talmente enorme che potrebbe schiacciarmi senza problemi. «Non farlo mai più.» mi dice secco, mentre io mi accorgo che sotto tutta una serie di odori – dalla vaniglia alla cioccolata, dall’arancia al liquore – profuma di dopobarba.

La sera sono al ‘Black Star’, il locale di Sam Ruffini, fidanzato della mia migliore amica, a sfogarmi con la sopracitata. In realtà non le sto raccontando niente, mi lascio semplicemente rintronare dalla musica, tipicamente alta di un locale notturno, e dalla birra gratis, perché la migliore amica di Tiziana non può mica pagare.
    Il pomeriggio – solo due ore, se ci penso e se penso a cosa mi aspetta nel futuro mi sembra di impazzire – è stato un delirio: ho l’ordine di non violare mai la distanza di tre passi tra me, lui e qualsiasi cosa stia facendo; non posso toccare il forno per non so quale follia, legata al fatto che i forni francesi, secondo lui, cuociono meglio di quelli italiani; guai a chiedere delucidazioni su qualche impasto e, avant tout, non devo pretendere di cucinare. Non finché lui non avrà deciso che non gli rovinerò la fama.
    Per ora è fortunato che non gli abbia ancora rovinato la faccia a suon di schiaffi. Ha il potere di istigarmi alla violenza.
    «Soltanto il primo giorno, Veronica, vedrai che domani andrà meglio.» cerca di sollevarmi Tiziana.
    «Non capisci, quello è pazzo!» se penso che domani poi dovrò starci tutto il giorno, ho una crisi di panico. Sto seriamente prendendo in considerazione l’eventualità di infiltrarmi nello studio di Eleonora e strappare il contratto che ho firmato: mille euro non sono un risarcimento sufficiente per sopportarlo.
    La mia amica mi allunga una mano per strofinarmi la schiena affettuosa. «Non pensarci. Che hanno detto i tuoi?»
    «Sono contenti.» più o meno, per loro sono un po’ una delusione, si aspettavano che diventassi medico, poi biologa, poi si sono dovuti arrendere all’idea che il mio destino era un tantino più concreto. Ma comunque, mi sono sembrati soddisfatti che abbia trovato un buon impiego ben retribuito.
    Samuele si ferma di fronte a noi per azionare la lavastoviglie con il primo carico di bicchieri della serata. «Ciao.» mi saluta. «Allora, come è andato il primo giorno?» mi domanda, immagino che sia stata Tiziana a parlargli del mio colloquio.
    «Sto decidendo se farlo diventare anche l’ultimo.» mormoro appoggiando il mento sulle mie braccia incrociate sul bancone. «Sarà pure la ‘Pâtisserie Française’, ma sfido chiunque a lavorarci.» sovrappensiero mi trovo a chiedermi come faccia l’altro ragazzo di cui mi ha parlato Eleonora – e che non ho incontrato – a reggere, dovrei chiederglielo.
    «Lavori con Pierre.»
    Sollevo gli occhi per osservarlo. «Lo conosci?» Sam è un bel ragazzo, un po’ eccentrico con i capelli neri e blu e l’aria da bohemien, ma immagino che sia parte del suo fascino. Da parte sua, Tiziana è la ragazza più ordinaria del mondo. Siamo andate al liceo insieme e, anche se abbiamo frequentato due università diverse, siamo riuscite a rimanere unite; si è laureata in Economia due anni fa ed ora lavora come commessa in un negozio di abbigliamento in centro. Ora che ci penso non siamo molto lontane, in caso di bisogno potrei correre a chiederle aiuto.
    «Un po’, per qualche tempo è uscito con Laura.» mi indica con un cenno del capo una cameriera bionda con i capelli corti.
    Sgrano gli occhi davanti a quella rivelazione, tirandomi su. «Davvero?»
    «Ah-ah… forse anche più di un anno.»
    «E riusciva a sopportarlo?» gli chiedo sinceramente curiosa, pensare a quel despota come un ragazzo in grado di tener su una relazione e – oh, mio dio! – amare sconvolge ogni mio equilibrio.
    Sam scoppia a ridere. «Credo di si, anzi, da come mi raccontava erano felici!»
    «Dai, Vera.» mi deride Tiziana dandomi una spintarella sul braccio. «Forse stai esagerando, insomma alla fine sarà un uomo come tanti altri, no? Sarete soltanto partiti con il piede sbagliato!» cerca di farmi coraggio.
    Io la osservo per un lungo istante, poi allungo una mano dandole un affettuoso buffetto sulla testa. «Così dolce e così ingenua.»

vi dico già da subito che il personaggio forte di questa storia sarà il forno francese di Pierre... ricordatevelo, presto diventerà importante...
dunque, immagino di non dovervi dire che a me Monsieur 'Io sono più figo di te perchè sono francese' Mureau piace... dai, infondo è come uno scoiattolo selvatico! vogliategli un pochino di bene, anche se ci fa saltare i nervi!
chiunque voglia farmi sapere che ne pensa sarà il benvenuto!
baci

   
 
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