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Autore: Walpurgisnacht    22/01/2012    3 recensioni
[Attenzione, questo è un EIP! Ulteriori delucidazioni all'interno della storia]
Manfredo Ricciarello si rigirava tra le dita lo scontrino del gelato mangiato un paio di ore prima e continuava ad osservare, come se stesse aspettando qualcuno.
Ovviamente non stava aspettando nessuno -e gli stava venendo pure il culo quadro. Si alzò e iniziò a sgranchirsi il collo, che scricchiolò in modo poco promettente.
«Uff...» si lamentò. Che pomeriggio noioso. Che città moscia.
Appallottolò lo scontrino della gelateria e se lo ficcò in tasca, voltandosi.
Tra le palme finte, il banchetto dei gelati spiccava con le sue tende gialle a righe arancioni, e sotto la tenda-
«Wow»
Vide LEI.
Genere: Demenziale, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello che state per leggere è un EIP, ovvero Extreme Improvisation Project.
Kaos, The Edge of Darkness e io, Nyappy, ci siamo trovati su Skype e abbiamo iniziato a scrivere, un pezzo ciascuno, improvvisando.
Le regole degli EIP? Non si può modificare quello che si è già scritto, quindi typo e incongruenze fanno parte del gioco.
Speriamo vi piaccia!

Manfredo, Grassoccio e Rossiccio, Cerca un Brivido fra Peripezie, Tette e Coltelli

Seduto a cavalcioni sulla ringhiera di una scala mobile non in funzione al centro commerciale della città, quello un po' in periferia, vicino all'Ikea. Osservava la gente che andava e vaniva, con carrelli della spesa, eletrodomestici, sporte e borsine di ogni dimensione. Famiglie con bambini, ragazzini che andavano a scrocco del wi-fi del negozio di elettroncia, anziani che cercavano un po' di fresco, visto che a casa l'aria condizionata non esisteva oppure erano troppo tirchi per accendere il condizionatore.
Si annoiava a morte. Manfredo Ricciarello si rigirava tra le dita lo scontrino del gelato mangiato un paio di ore prima e continuava ad osservare, come se stesse aspettando qualcuno.
Ovviamente non stava aspettando nessuno -e gli stava venendo pure il culo quadro. Si alzò e iniziò a sgranchirsi il collo, che scricchiolò in modo poco promettente.
«Uff...» si lamentò. Che pomeriggio noioso. Che città moscia.
Appallottolò lo scontrino della gelateria e se lo ficcò in tasca, voltandosi.
Tra le palme finte, il banchetto dei gelati spiccava con le sue tende gialle a righe arancioni, e sotto la tenda-
«Wow»
Vide LEI.
La prima cosa che attirò la sua attenzione furono i capelli, legati in due alte code che arrivavano alle spalle. Erano bianchi e azzurri -colori che non centravano nulla con il resto della ragazza.
Indossava un top verde acido che faceva a pugni con il gelato fuxia che stringeva in mano, ed il suo culo da dieci e lode era fasciato fa un paio di pantaloncini così corti da sembrare mutande.
«'ca vacca»
Manfredo abbassò lo sguardo per indugiare sulle lunghe gambe strette nelle calze a righe, gialle ed arancioni come la tenda della gelateria.
Un paio di scarpe da ginnnastica bianche completavano il tutto.
Era vestita come la peggior coatta, eppure... forse per i capelli colorati o quel culo che Manfredo aveva già ripreso a fissare, però lei... lei era speciale.
Era lei.
Drizzò le spalle, si passò una mano trai capelli, scostando il ciuffo rosso dagli occhi e si tirò su i jeans.
Dopo aver abbassato la maglietta oversize di una band che non conosceva nemmeno, Manfredo si preparò all'approccio.
Se il viso della ragazza fosse stato come il suo culo... ma a chi importava del viso, poi.
Manfredò si strizzò vigorosamente i coglioni, gesto scaramantico che compiva ogni volta che provava ad agganciare una tipa. Ricevendo un due di picche in titanio puro sulla faccia.
Ma quella volta non gli importava. Doveva provarci. Quel culo. Quel magnifico, imponente, splendido culo che gli sussurrava parole dolci inframezzate dalle peggio porcate che fosse capace di concepire.
Si avvicinò, un po' titubante. La paura del rigetto c'era, come c'era sempre stata in queste situazioni. Lui non era esattamente un fototmodello, d'altronde, e i chiletti che lo salutavano dalla pancia non aiutavano a farlo stare tranquillo.
Quando fu a pochi passi da lei...
Si ritrovò un pugnale puntato alla gola.
"Fuori i soldi, palla di lardo. Tutto quello che hai in tasca. Cellulare, carta di credito, moneta. Tutto. Dal primo all'ultimo centimetro. Altrimenti ti squarcio quella tonnellata di grasso e uso il tuo intestino per impiccarti da qualche parte. Muoversi muoversi muoversi".
Porca puttana. Era la prima volta che lo rapinavano. E, soprattutto, era la prima volta che una figa simile gli rivolgeva la parola, anche se solo per lasciarlo nudo come un verme in mezzo a un centro commerciale.
"Oh porca puttana!" esclamò andando nuovamente a tastarsi le palle per invocare un po' di fortuna.
C'era un problema: era uscito con a malapena i due euro per prendere il gelato. Non possedeva carte di credito (aveva sedici anni santo dio) e il cellulare era un vecchio mattoncino Nokia N70 tutto sbucciato per tutti i voli che aveva fatto (molti più di quelli di Alitalia nell'ultimo anno). E adesso che cazzo dava a quella rapinatrice daltonica con il gelato alla fragola in una mano e un coltellaccio da Rambo nell'altra?
Si cacciò una mano nelle braghe slargate dall'uso e tirò fuori il telefono. "Ho solo questo, non ho il portafogli!"
La rapinatrice epicamente figa lo guardò malissimo, ad un passo dallo sbavare come un cane idrofobo. "Che cazzo dici brutto bastardo? Sgancia la grana palla di lardo, o farai fatica a tenere la cena nello stomaco stasera!"
"Ti giuro, vuoi perquisirmi? Ho il telefono e avevo i due euro per il gelato, fine della fiera!"
Un altro sguardo di fuoco dalla sgnacchera, che però gli fece raggelare il sangue nelle vene. E ritrarre i testicoli a livello neonatale.
La tipa strinse il cono gelato talmente forte da crepare la cialda Minora. Una goccia fucsia le colò tra le dita.
«Ciccio, se ti perquisissi...» la ragazza fece una significativa pausa e Manfredo le staccò gli occhi dalle tette per guardarla in viso «Ti farei solo un piacere.»
Il suo trucco era a dir poco... esuberante. Aggettivo scelto perché quella era pur sempre manza.
Mentre parlava, il rossetto argentato rifletteva le forti luci del centro commerciale, quasi brillando.
«Non ho mai visto un tale sfigato.» aggiunse lei, chiudendo gli occhi con espressione disgustata. Le sue ciglia erano le più lunghe che Manfredo avesse mai visto, e gli occhi chiari erano illuminati dalla matita argentata.
Non ci voleva un genio per capire che quel trucco e quegli abiti facevano a pugni -e lui di moda non se ne intendeva proprio- ma lei riusciva ad essere figa lo stesso.
«Ciccio, ti sei incantato?»
Manfredo sbatté gli occhi e tornò alla realtà -e al coltellaccio che la gnocca gli puntava addosso.
Solo in quel momento si ricordò di essere in un centro commerciale. Un cazzo di centro commerciale pieno di gente e  nessuno che si fermava a guardarli!
In che razza di mondo vivevano?
«Nossignora.» rispose. La sua R moscia provocò un sorriso nella ragazza -perché ridevano sempre quando lo sentivano parlare, ormai si era rassegnato.
Ma una cazzo di guardia giurata no? Un... un bodyguard, un poliziotto, gli andava bene chiunque.
Il gelataio!
«Pronto e reattivo» aggiunse, mentre iniziava a fare fatica a deglutire. La tipa aveva la mano ricoperta di gelato e si stava guardando attorno -ma il coltello premeva contro di lui con forza.
Sollevò lo sguardo e... nulla. Dietro la teca con i gelati, nessuno. Quel figlio di puttana se l'era data a gambe.
Fu allora che vide avvicinarsi una figura che spiccava tra la folla anonima.
«Mmh...» la ragazza i voltò, schiaffandogli i capelli bianchi e azzurri in viso «Eccolo là»
Oddio. Quindi era con lei?
Un uomo si avvicinò da dietro il banchetto della gelateria, alto, così alto!
E grosso. Cazzo, era un body builder.
Era vestito da poliziotto, ma... l'uniforme dei carabinieri non era di pelle. E sul cappello -che non era di pelle- i carabinieri portavano una fiamma, non una catena.
L'uomo abbassò gli occhiali da sole e gli sorrise, mostrando una fila perfetta di denti regolari.
Madonna di Dio, era uno di quei feticisti gay da club dei film.
«Sono morto» uscì flebile a Manfredo.
«No, non direi» replicò la tipa, gettando a terra il cono gelato
"Ernesto" fece lei, ammaliante come una gatta morta che più morta non si può "ti presento la nostra vittima di oggi. Saluta Palla di Lardo, su. Non essere maleducato".
Manfredo pensò che qualunque maschio eterosessuale, di fronte a una statuaria manza del genere che ti si rivolge in questo modo, si sarebbe sciolto come melassa e l'avrebbe pregata in ginocchio di mollare tutto e andare a ciulare nel bagno. O anche lì per terra, chissenefregava. Ma quell'energumeno non pareva proprio il ritratto dell'eterosessualità. E difatti reagì con sufficienza, sbuffando e rischiando di far volare via il malcapitato ragazzino a cui, oltre ai soldi, stavano portando via dignità e salute mentale.
"Ciao, Palla di Lardo" disse lui, con lo sguardo di un bambino affetto da qualche malattia mentale strana. Di quelle che ti fanno piegare la testa, sbavare un pochino e fare ogni tanto dei movimenti inconsulti. I suoi baffoni, che Manfredo ricordava perché dei tizi sui vecchi trentatrè giri di suo padre li avevano identici, sembravano una piccola giungla.
"Cosa... cosa volete farmi? Vi ho dato quel poco che avevo in tasca. Lasciatemi andare, per favore!" pregò il ragazzo, terrorizzato.
"Oh no" esclamò Ernesto, il sorriso di un moccioso pestifero in procinto di combinare una marachella di quelle grosse "noi adesso ci divertiamo. Non è vero, Giulietta?".
"Ci puoi contare, socio".
Ernesto mise una mano grande come una pala da neve sulla spalla sudaticcia di Manfredoe lo guidò verso il supermercato. Le porte automatiche si aprì e il povero ragazzotto si ritrovò sospinto per gli ambienti raffreddati dall'aria condizionata. Si sentiva come una marionetta in mano ad un Mangiafuoco sadico e dichiaratamente omosessuale.
Improvvisamente aveva paura per la propria verginità. Lo sguardo assatanato di Giulietta, contornato dall'eyeliner argenteo, non faceva  pensare che la situazione si sarebbe risolta per il meglio.
Sorpassarono la fontana nel mezzo del centor commerciale, una fila di poltrone massaggianti in esposizione, un negozio di videogames occupato da pischelli intenti a provare l'ultimo videogame per PS3 uscito, con la lingua per di fuori e l'uccellino in tiro nei bermuda estivi, per non parlare della fila di persone ben oltre gli ottant'anni che, poggiati ai propri bastoni da passeggio, deambulatori o peggio, in sedia a rotelle, guardavano la gente passar loro davanti, e commentavano che ai loro tempi, quando c'era la Buonanima, i giovani portavano rispetto per gli anziani.
Uno tossì, smuovendo muco e catarro che probabilmente risalivano alla guerra per la conquista della Libia, concludendo l'asceso di tosse con una irripetibile bestemmia in dialetto.
Ernesto e Giulietta, che aveva accuratamente riposto il coltellaccio nel proprio fodero e lo aveva infilato in tasca, lo stavano guidando verso i bagni.
Ma invece che ai servizi igenici, che di igenico avevano molto poco, lo guidarono verso una porta di servizio.
Quando la aprirono, Manfredo inciampò sulla soglia e si ritrovò immerso nell'oscurità.
«Cazzo!»
Crollò a terra e sentì un dolore acuto alle mani. Per fortuna non si era fatto davvero male, ma... il problema era un altro.
Lui, sdraiato a terra al buio.
Quella specie di orso in pelle con un ghigno satanico da Anal Sverginator n. 5 e... la gnocca con il coltello.
Si voltò per vedere le figure dei due stagliarsi contro la luce che proveniva dalla porta.
Era una cazzo situazione di merda.
«Ernesto, digli perché ti chiamano così» la voce strascicata di Giulietta la manza echeggiò nell'oscurità.
«Perché sparo lesto»
Che cazzo di risposta era. Che cazzo di risposta era!
Cosa voleva dire? Al momento gli venivano in mente solo cose brutte che riguardavano spruzzi.
"Vaffanculo!" pensò. Iniziò ad arrancare al buio, con i polsi che bruciavano ed il cuore che iniziava a farsi sentire "C'è una sola parte di me che voglio tenere vergine e quella è il mio culo! Cazzo!"
Ma doveva dire loro qualcosa. Qualcosa tipo «Ahn sì?»
«Già» il vocione di Ernesto gli fece venire i brividi.
I suoi occhi si stavano quasi abituando all'oscurità -cos'erano quelli davanti a lui, scatoloni?- quando le luci si accesero all'improvviso e lo accecarono.
«Ah!» strizzò gli occhi.
«E indovina come chiamano me?» trillò Giulietta.
Vacca da Monta n. 22? Meglio non dirlo ad alta voce.
«N-non lo so»
Manfredo si guardò attorno. Era in un magazzino, con gli scatoloni impilati così in alto da raggiungere quasi il soffitto.
Il fetore si fece più pungente, tanto da fargli lacrimare gli occhi.
«La Macellaia.»
Che bel soprannome. Che bel soprannome del cazzo!
«Cosa mi volete fare?» annaspò. Abbassò lo sguardo per vedere i palmi delle mani sbucciati, dal quale stillava del sangue «Non ho fatto niente! Niente! Non vi conosco!»
«Zitto, ciccio.» sbottò Ernesto.
Manfredo si zittì subito.
«Credi di essere speciale? Credi di essere stato scelto?» trillò Giulietta.
Nel magazzino rimbombarono i passi di Ernesto, seguiti dal suo vocione «Ti abbiamo pescato a caso, solo perché sei una persona profonda»
Eh?
«Indovina un po' cosa ti faranno Sparalesto e la Macellaia, ora, ciccino caro»
"Prima io, Giulietta. L'ultima volta ti sei divertita solo tu e sono rimasto all'asciutto".
"Ti droghi, armadio a otto ante? L'ultima volta hai seminato litri di sperma ovunque, sembrava che fosse passata la contessa Bathory con il bagno nel latte".
"Guarda che conosco la merda che ti sniffi. Quella schifezza ti brucia il cervello e ti fa pensare di ricordare una cosa quando invece è successo tutt'altro. Lo sai che, a casa mia, ho ancora i vestiti sporchi del tuo ultimo lavoretto? Quel povero cristo l'hai ridotto peggio di qualcuno su cui è passato un carro armato".
"Perché, credi che io non abbia le gonne macchiate di bianco nel cestello della roba sporca? Sei tu che, a furia di troncarlo in culo alla gente, finisci con lo scombussolare l'ordine degli eventi".
"Non me ne fotte nulla di quel che puoi pensare! Oggi è il mio turno!".
"Torna a dormire, ammasso di palle! Tocca a me".
Manfredo non credeva alle proprie orecchie. Quei due sacchi di merda stavano litigando fra di loro. Poteva essere la sua occasione. Decise però di non affrettare i tempi: una mossa sbagliata e lui sarebbe tornato al centro della loro attenzione, con pessime conseguenze per la propria salute anale e per la propria cotenna. Si fece piccolo piccolo, mentre Tom e Jerry continuavano a bisticciare come due comari.
"Senti un po', zoccola! Adesso taci e mettiti in fila. Cosa credi, che mi sia dimenticato di tutte le volte in cui mi hai lasciato solo i pezzi finali di una preda?".
"Deliri, mentecatto. Ti sei sempre divertito come e quanto volevi con i culetti lindi e immacolati di quelli che rapinavamo".
"Forse una volta, ma ultimamente hai sempre assunto una posizione di predominio. E questo mi fa girare i coglioni".
E via così, in un crescendo di rinfacciamenti, insulti alle rispettive famiglie e quant'altro una persona particolarmente alterata dalla rabbia sia capace di vomitare.
Manfredo cominciò, pian pianino, a cercare di allontanarsi. Nonostante le mani ferite, e un certo dolore non indifferente, strisciava lento, un passo alla volta. Quei passi li faceva a gattoni, d'accordo, ma sempre passi erano.
Si impose di non sentire le oscenità pronunciate dai suoi aguzzini, che stavano davvero montando ad epici livelli di blasfemia.
Quel che non potè evitare di guardare, però, fu una cosa che gli riempì il cuore di vita.
Ernesto che tirava fuori la sua pistola.
Giulietta che estraeva il suo coltello.
Un doppio colpo, contemporaneo.
Un "muori, troia!" seguito da un "crepa, idiota!".
BANG. SZOCK.
Entrambi colpiti in piena fronte, manco fosse stato un film americano senza la minima trama sensata.
Un tonfo che fece smuovere alcuni degli scatoloni, seguito da uno molto più soffice, quasi silenzioso.
Col cuore in gola, Manfredo prese il coraggio a quattro mani e si alzò in piedi, dolorante per la caduta di poco prima, e a tentoni cercò l'interruttore della luce. Doveva esserci, quel piccolo bastardello in plastica nera marcato bTicino!
Riuscì finalmente a trovarlo e lo premette con più forza di quanta era realmente necessaria.
La bianca luce del neon appeso al soffitto illuminò quello che si rivelò essere il magazzino della cartoleria a fianco. Alla sua destra, Manfredo scorse uno scatolone aperto contenente materiale di cancelleria, una serie di quablock e un paio di contenitori ad anelle.
Ma non era il momento di mettersi a fare il pelo nell'uovo al luogo in cui si trovava.
Si voltò verso i suoi due aguzzini, che giacevano uno ammassato su degli scatoloni che erano rotolati a terra e che ora costituivano il suo letto di morte e l'altra sul pavimento polveroso.
Lei con un buco calibro .50 ('ca vacca che cannone, Ernesto Sparalesto) che aveva creato un piccolo cratere nello spazio tra le sopracciglia ben depilate, lui con la lama del contello piantata per due terzi buoni in fronte. Affilato il temperino eh?
Solo allora, il sedicenne ad un passo dal farsela addosso, ma allo stesso tempo ad un passo da schizzare nei boxer per l'eccitazione di trovarsi in una scena di un film di Tarantino in real life, si guardò intorno.
Non poteva credere ai propri occhi.
La polizia. La cazzo di polizia, quella vera.
Niente uniformi finte di pelle sadomaso.
«Fermo, non ti muovere!» delle grida echeggiarono nel magazzino.
«Ma io... non ho fatto nulla!» protestò Manfredo.
Si ritrovò una pistola puntata al petto e alzò subito le mani dietro la testa, giusto per mostrarsi collaborativo.
Era lui la vittima, lì! Era lui che aveva subito danni psicologici inenarrabili, con tutta quella paura per il suo culo e tutti i sogni infranti su Giulietta.
«Voglio i danni» brontolò.
«Tu vieni con noi...»

Manfredo Ricciarello, sedici anni. Capelli rossi, un po' in sovrappeso, con la fissa per le magliette di band che non conosceva.
Rischiò la morte, la scampò per miracolo e tornò ad essere il piccolo mentecatto di sempre.
Non è giusto? Eppure andò così.
E non s'iscrisse nemmeno in palestra per rimediare -però inizò una dieta senza gelato.
A piccoli passi.
   
 
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