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Autore: Ilarya Kiki    24/01/2012    2 recensioni
La vita di Amy Wong fa schifo.
Lavora sottopagata in un call-center in una cantina, vive sola in un monolocale nel peggior sobborgo della sua città, Leadenville, con un dirimpettaio invadente e le bollette con cui fare i conti.
Ogni notte va ad ubriacarsi e vaga, solitaria, per le strade notturne come un fantasma…
Finché non si imbatte in una strana ragazza dai capelli rossi.
Quell’incontro stravolgerà la miserabile esistenza di Amy, e la farà intrecciare con i fili rossi dei destini di innumerevoli creature in un misterioso disegno più grande, l’ordine del mondo e l’equilibrio tra bene e male,
fino a risalire al suo oscuro e terribile passato.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tarja

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Amy Wong e Tarja si stringevano la mano nel parcheggio dell’autogrill, accanto al corpo esanime del camionista.
Amy notò solo in quel momento lo strano oggetto che Tarja teneva nell’altra mano, grazie al quale il salvataggio di poco prima aveva potuto avere successo.
“Perché hai un ferro da camino in mano?”
“Oh…”
La rossa sollevò davanti agli occhi la sbarra di ferro nero dalla punta aguzza e curva come un dente di dinosauro, che aveva quasi frantumato il cranio di un uomo solo un paio di minuti prima.
“Sai” rispose con voce malinconica, “mi piacerebbe molto che nella mia nuova casa ci sia un camino, e così ho preso questo per essere pronta nel caso che riesca a trovarne una, ed avere l’attrezzatura idonea.”
Amy trovò la risposta un po’ bizzarra, ma non poté negare di essere infinitamente grata a quella strana ragazza per quello che aveva fatto: era solo merito suo se quel mostro lì per terra non era riuscito a violare il suo corpo.
“Beh…grazie, Tarja…” disse con un certo imbarazzo.
“Ci becchiamo in giro, ok? Ora…forse è meglio che io torni a casa…”
Si girò e fece per andarsene, senza essere neanche riuscita a guardare in viso la sua salvatrice, fece due passi, e non sentì alcun saluto da parte di Tarja.
Si fermò, volgendosi nuovamente all’indietro, e vide che la rossa era rimasta lì dov’era, guardando per terra e giochicchiando con l’estremità puntuta del ferro contro il suo stivaletto, come se ormai non avesse più nient’altro da fare.
“Tu…non torni a casa, Tarja?”
Quella scese come dalle nuvole, e fissò Amy con due occhi allucinati.
“Non ho ancora trovato una casa, almeno per ora. A dir la verità non so dove cercarla, perciò diciamo che non ho nessun posto dove tornare né dove andare a cercare un posto dove tornare. Credo che me ne rimarrò qui.”
Anche se piuttosto frastornato, il cervello di Amy le stava urlando di lasciar perdere quella spostata e di tornarsene a casa al sicuro nella sua amata solitudine, ma qualcosa nella sua pancia le bloccava le gambe.
“…senti…” cominciò a dire, avvampando in volto per l’imbarazzo, “puoi venire a stare da me, stanotte, se non hai un posto dove andare.”
“…davvero!?”
Il volto di Tarja si illuminò come se vi fosse sorto il sole, e subito corse dalla ragazza dai capelli blu, afferrandole le mani e piegandosi in due più volte esclamando formule di gratitudine, e facendo peggiorare drasticamente il rossore di Amy.

“Beh…non è un granché, e il camino non c’è…però…casa!”
Tarja senza fare un complimento si gettò dentro la porta dell’appartamento di Amy, agitando le braccia e gettando gridolini, scaraventò la sua saccoccia di pelle sul divano di Amy e si gettò sul letto di Amy a volo d’angelo, facendo scricchiolare le molle arrugginite di Amy che non erano abituate a tali tuffi (Amy non ne faceva mai).
Amy, rimasta in piedi sull’uscio con le chiavi in mano, trovò il fiato di parlare solo dopo qualche secondo, e chiudendo piano la porta fece gesto di abbassare la voce, perché era molto tardi e tutti i vicini dormivano.
“Oh…scusami”sussurrò Tarja sollevandosi subito dal letto, ed assumendo improvvisamente un atteggiamento pentito e serioso, aggiunse: “Me ne vergogno molto, io non sono molto abituata ad essere ospite di qualcuno, e non sono mai stata in una casa bella come questa.”
Alzò lo sguardo alle quattro mura scrostate del monolocale, l’una, quella dalla parte dei piedi del letto, occupata da una vecchia e minuscola cucina turchese, con un fuocherello a gas, una credenza desolatamente vuota se non per qualche misterioso barattolo e un piccolo lavello ingombro di un cartone unto di pizza, l’altra, di fronte alla cucina, che ospitava la porta -aperta- del bagno ed il divano di finta pelle nera, stracolmo di vestiti in disordine e delle borse, e decorata da un paio di poster di gruppi goth metal; infine, la parete della porta d’ingresso e la parete adiacente al letto, sulla quale si apriva una finestrella dai vetri sporchi, proprio accanto al giaciglio.
Il disordine e l’incuria regnavano sovrane, Amy ne era ben consapevole e se ne stava vergognando nel più profondo dello stomaco, ma a quanto pareva Tarja sembrava apprezzare alquanto tutto ciò.
“E’ così piccola ed intima…come un nido accogliente e vissuto dove tornare dopo che si è volati via per tanto tempo…una vera “casa”!” declamava la rossa appollaiata sul lettuccio sfatto con un sospiro, davanti alla faccia stranita di Amy.
All’improvviso, qualcuno bussò alla porta, facendo sussultare le due ragazze, e poiché non la trovò chiusa a chiave, la aprì; l’imponente statura di Davey occupò il vano dell’entrata, piegata in due per non sbattere la testa e con i pugni chiusi sui fianchi fasciati dalla vestaglia a quadrettoni scozzesi, probabilmente per rimproverare a quella nottambula alcolizzata di Amy l’ennesima sbronza, ma non appena vide quella strana ragazza dai lunghissimi capelli rossi e vestita come una strega seduta nel letto di Amy, il suo unico occhio visibile si aprì a palla per la sorpresa.
“Davey, cosa ci fai qui!?” esclamò Amy seccata, sentendosi giungere in risposta un balbettio confuso e strascicato:“Come mai sei tornata a quest’ora se non sei ubriaca!? Prima ho sentito delle grida e non ti dico cosa ho pensato…e quella chi è!?”
Tarja agitò la manina con un sorriso tirato sulle labbra e le guance bordeaux, e rispose con voce flebile ed intimorita: “…io sono Tarja, ho salvato Amy da un tentativo di stupro.”
“Cosa!?”
“Sì, emh…e visto che non ha una casa l’ho invitata a passare la notte da me.” concluse Amy guardando per terra.
“Come un tentativo di stupro!? Come non ha una casa!?”
Amy stava cominciando sul serio a sentir tornare la nevrosi, e sbottò contro lo studente di tornarsene a letto e di farsi gli schifosi affaracci suoi, ma Tarja lo trattenne con un sorriso divertito: “Ma no, fallo restare, sembra molto preoccupato per te.”
“Sì, come una fottuta mamma anatra” sibilò la ragazza dai capelli blu gettandosi sul divano a braccia incrociate proprio come una figlioletta ribelle, suscitando un risolino di Tarja.
“Mi chiamo Davey , e sono il dirimpettaio.” disse lo studente sedendosi accanto alla rossa e porgendole la mano con gratitudine. “Molto piacere di conoscerti, cavolo, io gliel’ho ripetuto ogni santo giorno a questa spostata che prima o poi le sarebbe capitato qualcosa di brutto, per fortuna che questa volta ha trovato qualcuno come te che l’ha tirata fuori dai guai!”
Tarja arrossì, coprendosi il bel volto con una mano, e poi raccontò per filo e per segno tutto quello che era avvenuto nel parcheggio, con i grugniti di Amy come sottofondo.
“…e così eccoci qui. Sono così contenta di aver trovato una casa!” terminò sorridendo.
Davey e la blu si scambiarono un’occhiata, poi il ragazzo espresse ciò che Amy non aveva ancora avuto il fegato di chiedere.
“Tarja, ma tu perché non hai una casa? Da dove vieni?”
La rossa s’adombrò in un istante, e scattò in piedi incrociando le braccia, a disagio.

“Io non ho una casa, perché non ce l’ho più. Sono scappata da quella dove vivevo prima, ma per me non è mai stata una vera casa, più che altro, una prigione, perciò è come se una casa io non ce l’abbia avuta per moltissimo tempo. Quando ero molto piccola ne avevo una vera, di casa, a questo indirizzo”, estrasse dal taschino il suo foglietto “qui è dove vive mia sorella. Ma purtroppo Madelin, mia madre, mi bandì da quelle mura ed io non potrò mai più tornarci, se non di nascosto.”
Davey ed Amy la seguivano col fiato sospeso, incantati dalla sua voce vellutata, e non ci fu bisogno di nessuna domanda trepidante perché Tarja continuasse la sua storia.
“Questo accadde molti anni fa, tanti che nemmeno ricordo la mia età di allora. Io e mia sorella Cherì vivevamo con i nostri genitori in quella casa immensa, piena di scale, e nella mia memoria non esiste nessun periodo che sia stato più felice di quello…”, persa nei ricordi, strinse le mani sulle proprie spalle, come se stesse rivivendo un tenero abbraccio “ma un giorno, mia padre e Madelin decisero di separarsi per sempre, a causa mia, credo, e mio padre mi disse che io l’avrei seguito e che avrei vissuto con lui. Così io partii, e Cherì rimase con nostra madre. Da quel giorno non l’ho più vista.” Tacque, con gli occhi abbassati sul pavimento.
“La vita con mio padre è stata un inferno, ed io ogni sera prima di addormentarmi mi ripromettevo che sarei fuggita, prima o poi, e che sarei tornata da Cherì ed avremmo vissuto insieme e felici per sempre. Poi, tre giorni fa, mio padre è morto. Ecco perché sono finalmente scappata ed ho intenzione di ritrovare mia sorella, costi quel che costi, e sono qui con voi.”
Dalle labbra di Davey uscì un mormorio di soggezione, ed Amy per sdrammatizzare buttò lì la prima cosa che le passò per la testa: “…cioè, hai i genitori separati e tu e tua sorella siete state separate…cavolo, condoglianze per tuo padre. Mi dispiace moltissimo.”
Tarja sussurrò un “grazie”, senza distogliere lo sguardo dal pavimento.
“Beh…” Amy batté le mani con una sonora schioccata “…ora tutti a nanna, che io domani andrei a lavorare!”
  
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