Hui Jia
回家
Un uomo percorre tutte le strade del mondo per trovare ciò che gli serve,
ma
deve tornare a casa per scoprirlo
[George Bernard Shaw]
“Dottore,
l'appartamento va a fuoco.”
John sollevò lo sguardo,
incrociando gli occhi marroni, leggermente a mandorla e decisamente
irosi di Shan.
La sua mente registrò con lentezza record le
parole, comandando agli occhi di spostarsi prima sulla sua mano
destra, che impugnava la forchetta, poi sul contenitore di cartone
contenente i suoi spaghetti al maiale e bambù, e infine di
nuovo sul volto della sua coinquilina.
“ Come?”
“
Perdonami, credo di aver sbagliato. È il tuo cervello che sta
andando al fuoco.”
Questa volta passarono dieci secondi
prima che il suo sistema nervoso rispondesse allo stimolo.
“
Io non...”
“ Perché non lo chiami e
basta?”
“ Chiamare chi? Scusa non credo di starti
seguendo, ero sovrappensiero...”
“ Sì, da una
settimana ormai. Allo zoo ho visto bradipi con i riflessi più
veloci dei tuoi. Perché non lo chiami?”
“ Chi?”
ripeté l'uomo facendo finta di non capire.
“ Il tuo
amico- disse lei, sollevando gli occhi al cielo- quel
Joseph...”
John distolse lo sguardo, abbandonando la
forchetta sul tavolo. Shan a sua volta ripose le bacchette, prendendo
la bottiglia di vino bianco e versandola nei due bicchieri al centro
del tavolo.
I loro orari non coincidevano spesso.
Solitamente
la ragazza passava la giornata al college e la sera a studiare,
mentre lui dormiva fino a pomeriggio inoltrato, perché il suo
turno nell'ambulatorio era notturno. Aveva preferito così.
L'idea era che se doveva rimanere sveglio la notte per colpa dei suoi
fantasmi, almeno avrebbe reso quelle ore fruttuose.
Vicino
all'ambulatorio c'era una pasticceria. La mattina, quando tornava nel
nuovo appartamento di Badsworth road, prendeva una brioche e la
lasciava sul piccolo tavolo rotondo del salotto, con un biglietto per
lei. Era diventata un'abitudine.
La prima volta lo aveva fatto per ringraziarla di avergli preso la schiuma da barba, perché la spesa comune consisteva solo nelle cose che entrambi consumavano, ma lei l'aveva comprata e lui se l'era trovata sul lavabo del bagno nel momento in cui gli sarebbe davvero servita. Quel giorno non si erano incrociati, lei aveva fatto più tardi e lui era uscito prima, ma aveva trovato un biglietto di risposta.
“
Ho notato che l'avevi finita. Il mio vecchio coinquilino dimenticava
sempre di comprare cose del genere, quindi mi è venuto
spontaneo. Se ti serve qualcosa in particolare lasciami un biglietto,
ho più tempo libero per fare spese di quanto non ne abbia tu
con il tuo lavoro notturno.
Ps: Grazie per la brioche, davvero
ottima :)
Sh.”
Shan si firmava
sempre Sh nei messaggi o nei biglietti. La prima volta aveva
sussultato per quel piccolo particolare, subito dopo si era dato
dello stupido. Anche perché le cose in comune con Sherlock
terminavano lì. La ragazza era un'inquilina perfetta, come
Sherlock non sarebbe mai potuto essere nemmeno avendo a disposizione
tutta la vita.
Non suonava il violino di notte, non sparava alle
pareti, non teneva pezzi di cadavere in decomposizione nel frigo o
nel microonde, era socievole, faceva la spesa, metteva sempre in
ordine e sapeva cucinare bene.
Ma soprattutto, in quanto donna o
forse in quanto non Sherlock, aveva tatto.
Niente di
eccessivo: semplice empatia umana .
Aveva il grande pregio di non
saper ascoltare e di non fare mai domande scomode. Nemmeno nei
momenti che avrebbero richiesto una spiegazione. Una volta,qualche
mese prima, un giornalista era riuscito a rintracciare dove abitasse.
Voleva scrivere un nuovo pezzo su di lui, sul suicidio di
Sherlock, nonostante la notizia fosse ormai più che
stagionata. Ci aveva discusso sul pianerottolo per almeno cinque
minuti, dicendo di non voler rilasciare nessuna intervista e proprio
quando stava per chiudergli la porta in faccia era arrivata Shan.
L'uomo, capendo di non poter avere da lui nessuna informazione, aveva
iniziato a fare domande a raffica alla ragazza, che aveva sgranato
gli occhi, completamente presa alla sprovvista.
Prima che lei
sgusciasse dentro e John riuscisse a rinchiudere fuori il
giornalista, domande come “ Lei è conscia di chi sia
il suo coinquilino?” “Ha mai sentito parlare di Sherlock
Holmes?” “Le ha mai fatto rivelazione relative al suo
suicidio?” “Hai mai fatto cenno ad un certo attore
ingaggiato per fingersi un uomo di nome Jim Moriarty?” erano
fioccate alle orecchie di lei alla velocità della luce.
Una
volta dentro si era aspettato una sequela di domande simili, così
aveva preso lui stesso la parola per iniziare un discorso che sapeva
sarebbe fuoriuscito a fatica e con voce strozzata.
“
Io...”
“ Non ne devi parlare, se non vuoi. Se quel
giornalista tornerà lo caccerò, stai tranquillo.”
C'era
stata una pausa e un sospiro di sollievo.
“ Grazie.”
“ Non pensavo
fossi...”
La frase in sospeso lo riportò al presente,
così di nuovo si trovò ad osservare il viso ovale e
dalla carnagione porcellana di Shan. Non era propriamente bella.
Aveva labbra sottilissime e un naso un po' troppo pronunciato, lungo
e stretto, però gli occhi erano straordinari. Scuri, caldi e
un po' orientali. Insieme ai tratti delicati del viso trasmettevano
un'aria di dolcezza e un'apparenza di genuinità e innocenza.
Un fascino particolare, non artificioso, da ragazza della porta
accanto.
“...fossi?”
“ Bhè, sai... non
c'è niente di male!”
A John venne da ridere, per la
prima volta dopo molto tempo.
“ Non sono gay. E non sono
innamorato di She...Joseph. Abbiamo un uhmm- si interruppe, indeciso
sul come esprimersi- rapporto complicato, al momento.”
“
I rapporti non sono complicati. Le persone sono complicate.”
Shan
portò il bicchiere alle labbra e lui seguì il gesto con
lo sguardo.
“ Mi ha mentito- disse di getto- e mi ha
costretto a fare qualcosa che non avrei mai voluto fare.”
“
Lo conosci bene?”
“ È il mio migliore amico-
rispose subito, poi sospirò- e il mio ex coinquilino.”
“
Forse dovreste parlare, con calma.”
“ Non è
facile parlare con lui. Sono troppo arrabbiato per parlare con lui. E
ogni sua risposta non fa che aumentare la rabbia.”
“
Però non vedevi l'ora, no? Di rivederlo. Di tornare a
casa.”
John le rivolse uno sguardo interrogativo e Shan
sorrise.
“ La tua valigia.”
“ La mia
valigia?”
“ Sono nata a Shangai. Mio padre era
inglese, un antropologo, mia madre cinese, una viziata figlia di papà
che studiava storia dell'arte e a cui piaceva prendere e partire per
stare sempre insieme a lui. Ho viaggiato sempre, da quando ne ho
ricordo, su e giù per la Cina insieme a loro. Mio padre amava
il suo lavoro, era sposato con il suo lavoro, non stava mai
fermo nello stesso posto per più del tempo richiesto dalle sue
ricerche, sempre pronto ad iniziarne di nuove. Mia madre invece si
annoiava. Le piaceva viaggiare, stabilirsi da qualche parte per un
po' di tempo e poi, quando aveva esaurito le cose da fare, le persone
da conoscere, i posti da visitare, quando si trovava a dover badare,
praticamente ventenne, ad una bambina piccola o quando si ritrovava
da sola a fare i conti con sé stessa, allora tutto le
diventava stretto, così scappava ancora. Ho sempre vissuto con
persone con la valigia pronta sotto il letto. Con persone che non
conoscevano il significato della parola casa. Che non ne avevano mai
avuta una, in fin dei conti. Io sono diventata come loro, quando sono
cresciuta. All'inizio ho creduto che anche tu fossi così. Da
quando sei arrivato qui con quella valigia non l'hai mai svuotata.
Lavi le robe, le stiri, le pieghi, ma le rimetti dentro la valigia,
non nell'armadio. Non hai appeso niente sui muri, nessuna foto,
nessun quadro. La tua scrivania è sgombra. Sei praticamente di
passaggio, usi quella stanza come un albergo, non come se fosse casa
tua.”
“ Sei entrata nella mia stanza?” chiese
sinceramente sconcertato.
“ Certo che no, non ne ho bisogno,
ogni volta la trovo con la porta spalancata... come se non ti
importasse che qualcuno possa entrarci. Le persone difendono la loro
privacy, i loro ricordi e il posto dove vivono, in quanto
generalmente lì sta la loro vita. Ma è evidente che la
tua vita non è qui.”
“ E dove sarebbe?”
“
Non so... probabilmente al fianco di Joseph Bell.”
John
arricciò gli angoli della bocca, non sapendo se sentirsi
stupito da quelle considerazioni o semplicemente smaccato. Era
davvero così trasparente?
Shan iniziò a
sparecchiare, facendogli segno di rimanere seduto appena lui provò
ad alzarsi per aiutarla. Rimasero in silenzio per un po', mentre la
ragazza caricava la lavastoviglie. Quando ebbe finito si appoggiò
con le mani al bordo del lavandino, voltandosi verso di lui.
“
Spero di non averti offeso.”
“ No, certo che no.”
Le
sorrise, per rassicurarla, ma i pensieri nella sua mente avevano già
iniziato a rincorrersi. Fu per questo che non fece caso alle sue
parole, troppo impegnato a focalizzare un paio di attenti occhi
celesti tra i suoi ricordi recenti.
“... hui jia.”
“
Scusa- disse colpevole- mi sono distratto un altra volta.”
“
Non preoccuparti, era una cosa stupida.”
“ No, ti
prego- disse lui alzandosi- ripeti, davvero. Ti trovo
istruttiva.”
Shan rise, coprendosi la bocca con la
mano, in un gesto automatico che lui gli aveva visto fare qualche
volta.
Quando Sherlock rideva prima arricciava le labbra, come
per trattenersi, poi le stirava, lasciandosi andare.
“
In cinese, quando una persona dice 'vado a casa', l'espressione che
si usa è 'hui jia'. Hui jia significa 'tornare a casa'. Ogni
volta che si usa la parola casa in relazione ad un verbo di movimento
si dice 'tornare' non 'andare'. Tornare a casa.”
L'uomo
sbatté le palpebre, confuso, ma la ragazza continuò,
questa volta posando lo sguardo sul parquet, evidentemente
imbarazzata. Eppure la sua voce, quando parlò, era ferma e
assolutamente decisa.
“ Ho vissuto la mia vita affianco a
persone che non hanno mai avuto una casa, me compresa. So cosa vuol
dire e so come ci si sente...”
Gli occhi marroni si
sollevarono dal pavimento per incrociare i suoi e improvvisamente
Shan gli sembrò più vecchia e incredibilmente più
intelligente di lui. Come se avesse capito quello che lui ancora non
riusciva ad afferrare. Che novità, un coinquilino
intelligente.
“... Ma tu, tu ce l'hai, Jhon. Hui jia.
Torna a casa.”
Gli amici proteggono le persone.
È quello che ho cercato di fare.
Non c'è altro da dire.
SH
Sherlock Holmes fissò
lo schermo del cellulare, sfiorando con il pollice il tasto di invio
senza premerlo.
Sbuffò irritato, chiedendosi perché
la sua mente dovesse essere tenuta occupata per tre interi giorni in
certe schermaglie infantili, quando fuori, per le strade di Londra,
girava un organizzazione intera di individui che non vedeva l'ora di
appenderlo per il collo alla Torre.
'Jhon Sebastian Moran è
in città' era stato il laconico messaggio che suo fratello gli
aveva inviato quella mattina.
Il secondo uomo più
pericoloso di Londra era tornato in patria per lui...
E il suo
migliore amico, invece di essere lì a dargli una mano,
continuava a tediarlo con quell'odioso comportamento da donnina
offesa. La sua, la loro vita, era di nuovo in pericolo
fintanto che il braccio destro di Moriarty era ancora in circolazione
e con una probabilità abbastanza alta tramava una
spettacolare vendetta. Sicuramente lo accusava della morte del suo
capo, ma Sherlock dubitava fosse dovuto unicamente a quello lo
spiegamento di forze criminali che la sua rete di “irregolari”
aveva notato. Sebastian Moran era un assassino, uno dei migliori in
circolazione probabilmente, un genio nella sua professione, da quel
che aveva potuto appurare lui stesso...ma non era Jim Moriarty. Non
era quel tipo di genio. Era un braccio, non una mente. E
questo giocava a suo favore. Ma non voleva dire che il rischio non ci
fosse. Anzi, non era l'unico a rischiare, lui...
Lui, così,non
riusciva a pensare, dannazione.
Sherlock sbuffò di
nuovo, cancellando con rabbia il messaggio e digitandone velocemente
un altro.
Smettila di essere infantile.
Abbiamo
del lavoro da fare.
SH.
Era così
abituato a firmare i messaggi che ormai lo faceva sempre, anche se in
quel caso John aveva il suo numero. A meno che non lo avesse
cancellato.
Fece per inviare l'sms, ma si fermò,
esibendosi in una smorfia.
Sapeva che quello non era il modo di
affrontare la cosa, sapeva che John era profondamente offeso, sapeva
che forse quello dipendeva da come aveva risposto all'ultima
domanda che gli aveva porto qualche giorno prima durante la loro
discussione... sapeva, sapeva, sapeva... e capiva... ok forse non
completamente, ma in parte capiva.
Però non poteva
continuare così.
Tutto il tempo che John passava lontano,
lo passava scoperto. In balia di ogni possibile attacco di Moran.
Poco importava che quella volta avesse chiesto a Mycroft di farlo
sorvegliare da qualcuno dei suoi agenti. Finché non era con
lui, John non era al sicuro.
Cancellò l'sms per riscriverlo
subito dopo.
Dobbiamo
parlare,
è
urgente.
Pericolo.
SH.
Si fermò,
rilesse il messaggio e riprese a digitare.
L'apparecchio vibrò
tra le sue mani prima che potesse inviare il testo e le sue dita
abbandonarono la bozza, scattando verso la casella degli sms
ricevuti.
È arrivato il Dottore.
Divertiti.
MH.
Un sorriso leggero increspò le sue labbra. In quel momento sentì distintamente l'inconfondibile rumore della marmitta di un black cab che si fermava in strada, poi una portiera sbattuta e l'auto che ripartiva. Pochi secondi dopo, il campanello del 221b di Baker street risuonò nella tromba di scale.
Cura il voyer che c'è
in te.
SH.
Gettò il
cellulare sul divano e si protese verso il basso.
Afferrò
un foglio dalla pila alta dieci centimetri posata sul pavimento poi,
rimettendosi seduto, accavallò le gambe.
Il portone venne
aperto e poi richiuso. La voce della signora Hudson cinguettò
felice un benvenuto al nuovo arrivato. Un nuovo sorriso spontaneo
sfuggì al consulente investigativo quando percepì il
famigliare tonfo attutito di passi sulle scale, scomparendo dietro il
foglio al quale Sherlock finse di dedicare tutta la sua attenzione
anche nel momento in cui la figura di John si stagliò sulla
soglia dell'appartamento.
Riuscì ad aspettare solo cinque
secondi netti, poi sollevò lo sguardo ad incrociare quello
dell'altro.
“ Sei un bastardo.- sputò fuori il
medico senza preamboli- E un idiota.”
“ Grazie
per aver dato il tuo contribu...”
“ No, zitto- lo
interruppe lui guadagnandosi un'occhiata in tralice- non fare più
cazzate, non prendere mai più decisioni che riguardano anche
me senza prima consultarmi, non provare più a mentirmi
e se la prossima volta muori assicurati che sia vero, perché
ti giuro che altrimenti ci penserò io a completare l'opera.
Nel modo più doloroso che mi verrà in mente.”
Sherlock
osservò il dito che gli veniva puntato contro, poi
l'espressione decisa del suo proprietario.
“ Ok, vuoi anche
che porti un collare con targhetta di riconoscimento? O magari un
microchip sub cutaneo?”
L'altro a malapena gli dedicò
un occhiata mentre sprofondava nella poltrona vicina.
Ci furono
alcuni secondi di silenzio, rotti solo dallo scricchiolare leggero
delle pagine tra le mani di Sherlock, mentre John faceva scorrere le
sue sui braccioli morbidi, gettando la testa all'indietro e chiudendo
gli occhi con un sospiro soddisfatto.
Il tepore confortante della
stanza, l'odore famigliare del salotto, dei solventi chimici
nuovamente allineati sul tavolo della cucina, ma soprattutto la
figura silenziosa al suo fianco...
Ogni tassello al suo posto.
O
quasi.
Aprì gli occhi e voltò il capo, trovando
il viso di Sherlock e i suoi occhi azzurri rivolti verso di lui.
Si
guardarono un po' senza parlare, nell'espressione di John ancora
qualche muta domanda.
“ Lestr...”
“ Dopo la
visita al tuo appartamento, tre giorni fa, ho fatto un salto da lui
e gli ho consegnato tutta la documentazione in grado di scagionarmi.
Registrazione audio della mia ultima chiacchierata sul tetto con
Moriarty compresa. Non è ancora ufficiale, ma nessun
poliziotto di Londra mi arresterà se mi vede in giro. Per quel
che riguarda il modo in cui ho finto di...”
“ Quello
dopo- lo interruppe John allungando inaspettatamente la mano ad
afferrare il suo polso- ora stai zitto un secondo.”
Sherlock
fece scorrere lo sguardo sulla mano di John, grande e calda, che gli
aveva scostato la manica della vestaglia e gli stringeva leggermente
il polso, le dita posizionate sulle sue vene, come se stesse cercando
di carpirgli il battito.
“ John, pensavo che avessi superato
questa parte. Sono io, sono viv...”
“ Ho detto- lo
interruppe di nuovo lui- sta zitto un attimo.”
Sherlock
sbuffò, mentre John chiudeva gli occhi, assumendo
un'espressione concentrata.
Dopo poco la presa diminuì e il
medico gli liberò il polso, sfiorandolo inavvertitamente un
ultima volta con le dita e poi ritirando la mano. Aprendo gli occhi
si ritrovò davanti lo sguardo interrogativo dell'altro.
“
Cos'era quello?”
John sorrise.
“ Segreto
professionale.”
“ Cosa? Che vuol...”
Sherlock
ebbe un impercettibile sussulto e si interruppe. Lo guardò di
nuovo, inclinò il capo da un lato, assottigliando gli occhi e
poi, come se niente fosse successo, tornò a dedicarsi ai suoi
fogli mentre John prendeva a stiracchiarsi sulla poltrona,
ringraziando e stupendosi della reazione del detective.
Lo schermo
del cellulare sul divano si illuminò e l'apparecchio lanciò
un leggero beep.
“Puoi passarmi il cellulare?”
Alzando
gli occhi al cielo, John Watson si sollevò in piedi per
prendere il telefono che stava esattamente a venti centimetri dal suo
coinquilino. Lo porse al suddetto, ricevendo in cambio un gesto
di diniego con la mano che, secondo l'esperienza, significava 'leggi
e riferisci'.
“È Lestrade. Dice che hanno arrestato
uno dei sicari di Sebastian Moran. Stanno per interrogarlo. Chi è
Sebastian Moran?”
Sherlock non rispose subito, alzandosi di
scatto e afferrando sciarpa e cappotto. Quando fu vicino alla porta
si voltò indietro verso di lui.
John era in piedi, alle sue
spalle, pronto a seguirlo.
Fu per questo, non per
l'adrenalina che aveva iniziato a scorrere nelle sue vene, che
rispose con un sorriso, guardandolo dritto negli occhi.
“
John Sebastian Moran, il secondo uomo più pericoloso di
Londra...”
John sorrise a sua volta.
“ Bhè,
allora, cosa stiamo aspettando?”
Sherlock si voltò,
prendendo a scendere velocemente le scale.
John attese qualche
secondo, voltandosi a chiudere delicatamente la porta di casa sua,
poi gli andò dietro, seguendo le spalle larghe giù per
gli scalini ripidi.
Un tuono annunciò l'imminente
temporale.
Piccole gocce di pioggia presero a tamburellare sul
marciapiede grigio davanti al 221b di Baker street.
Poco
importava.
Era a casa.
Si
voltò e lentamente tornò sui suoi passi.
Non c’era
più vento, non c’ era più notte, non c’ era
più mare, per lei.
Andava e sapeva dove andare. Questo era
tutto.
Sensazione meravigliosa. Di quando il destino finalmente
si schiude e diventa sentiero distinto, e orma inequivocabile, e
direzione certa. Il tempo interminabile dell’ avvicinamento.
Quell’ accostarsi. Si vorrebbe non finisse mai. Il gesto di
consegnarsi al destino.
Quella è un’ emozione. Senza
più dilemmi, senza più menzogne. Sapere dove. E
raggiungerlo. Qualunque sia, il destino. Camminava – ed era la
cosa più bella che avesse mai fatto.
[Alessandro Baricco]
Note della quasi-autrice.
Nell'altro capitolo
ho dimenticato di dire che il nome usato da Sherlock davanti a Shan
Barker non è preso a caso. Joseph Bell è il professore
di chimica dell'università di Edimburgo che ispirò a
Doyle la figura di Sherlock Holmes. Un altro tributo al nostro amato
Sir Arthur, in fin dei conti:)
Veniamo ora alla storia. Come avevo
detto spiegherò il significato del titolo 'Every step to the
pass', letteralmente traducibile con l'espressione 'Ogni passo verso
il valico'.
Il significato alla fine è semplice e
intuibile. La storia è divisa in tre parti ed è un
cammino verso il ricongiungimento delle figure di John e Sherlock. Il
valico è una metafora per indicare 'il punto d'incontro'...e
poi mi piaceva il suono :D
Quella cosa per il quale in cinese si
dice "torno" invece che "vado" a casa, è
verissima. Lo è anche la trascrizione fonetica:)
Spero di
aver reso in maniera decente questo benedetto ricongiungimento.
Sinceramente fino alla fine ho tentennato tra bromance e slash... e
un minimo, piccolissimo, invisibile accenno di slash c'è...
solo per gli occhi delle più esperte:)
Probabilmente a
molti sembrerà che qui la litigata, soprattutto se si guarda
il precedente capitolo, si risolva in un fuoco di paglia. In realtà
ho una mia idea personale sul fatto che probabilmente John lo avrebbe
preso a pugni e perdonato, limonandolo violentemente, un secondo
dopo, ma questo avrebbe reso vana la fic.
Scherzo:D
La mia idea
è semplicemente che alla fine era scontato che lui tornasse,
solo che aveva bisogno di tempo per realizzare, ingoiare e digerire
tutta la sofferenza di quei mesi. Ho fatto passare solo tre giorni,
anche se nella mia testa sarebbe dovuto trascorrere almeno una
settima, perché altrimenti sarebbero saltati fuori nuovi
problemi. Sherlock mi ha detto chiaramente che non avrebbe resistito
una settimana da solo senza qualcuno che gli porgesse cellulari e
penne e Sebastian Moran mi ha confidato che se in una settimana non
provava ad attentare alla vita di Sherlock almeno una volta poteva
andarne della sua reputazione di secondo super cattivo più
blablabla.
Quindi sono stata costretta dai personaggi di
Doyle/Moffat alla fine, non è colpa mia :)
Spero comunque
che il risultato sia di vostro gradimento.
A chi ha recensito,
BeepAllarm, Erhien, CandyFloss e Jimmy House, mando un grazie
davvero infinito e un augurio che la storia sia stata, fino alla
fine, di vostro gradimento. Sono un po' lenta con la risposta alle
recensioni via messaggi (oddio, sparisco qualche anno e efp si
trasforma peggio del personaggio di Kafka nella Metamorfosi), perchè
rubo il tempo per stare vicino al pc allo studio, ma ci tengo a
ringraziarvi singolarmente, quindi aspettatevi presto mie
notizie:)
Ringrazio davvero anche chi ha semplicemente letto,messo
tra le seguite, tra i preferiti o tra quelle da ricordare e spero
vivamente che quello che ho scritto vi sia piaciuto.
Qui
termina Every Step to the Pass... o no?:)
In realtà qui
termina la fic dedicata all're-incontro di John e Sherlock, ma la
verità è che questo non è che il preludio ad una
long-fic che sta vedendo lentamente la luce. Un preludio in parte
necessario per introdurre la long fic, sinceramente. Il titolo e la
trama sono già stabiliti. Non resta che "battere" il
tutto:)
Per questa volta mi sono tenuta sul bromance, nonostante
la voglia di slashare ( ma che è un neologismo???). Non so se
la prossima storia, chiaramente un seguito di questa, si manterrà
sul bromance o introducerà uno slash leggero. Dipende da
quello che riuscirò a scrivere e se, soprattutto, il risultato
mi sarà gradito ( ma soprattutto ic):)
Quindi, alla
prossima.
Stay Tuned.
Darseey