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Autore: Darseey    25/01/2012    9 recensioni
[...] Quando mi voltai di nuovo Sherlock Holmes mi sorrideva attraverso la scrivania. Mi alzai in piedi, lo guardai sbigottito per qualche secondo poi, a quanto pare, svenni- per la prima e ultima volta in vita mia. Davanti agli occhi mi roteò una nebbia grigia e, quando si dissipò, mi ritrovai col colletto sbottonato e un pungente sapore di brandy sulle labbra. Holmes era chino sulla mia poltrona, con la sua fiaschetta in mano
"Mio caro Watson" disse la voce che ricordavo così bene, "le devo mille scuse. Non pensavo che sarebbe rimasto così sconvolto" [...]
Tratto da "Il ritorno di Sherlock Holmes, L'avventura della casa vuota"
Personale ricostruzione di un futuro, anche se lontano, momento cruciale della 3X01.
Il ritorno di Sherlock e il re-incontro con John.
Spoiler di 2X03 The Reichembach Falls.
Completamente Bromance.
Enjoy yourselvs.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hui Jia

回家






Un uomo percorre tutte le strade del mondo per trovare ciò che gli serve,

ma deve tornare a casa per scoprirlo
[George Bernard Shaw]





Dottore, l'appartamento va a fuoco.”
John sollevò lo sguardo, incrociando gli occhi marroni, leggermente a mandorla e decisamente irosi di Shan.
La sua mente registrò con lentezza record le parole, comandando agli occhi di spostarsi prima sulla sua mano destra, che impugnava la forchetta, poi sul contenitore di cartone contenente i suoi spaghetti al maiale e bambù, e infine di nuovo sul volto della sua coinquilina.
“ Come?”
“ Perdonami, credo di aver sbagliato. È il tuo cervello che sta andando al fuoco.”
Questa volta passarono dieci secondi prima che il suo sistema nervoso rispondesse allo stimolo.
“ Io non...”
“ Perché non lo chiami e basta?”
“ Chiamare chi? Scusa non credo di starti seguendo, ero sovrappensiero...”
“ Sì, da una settimana ormai. Allo zoo ho visto bradipi con i riflessi più veloci dei tuoi. Perché non lo chiami?”
“ Chi?” ripeté l'uomo facendo finta di non capire.
“ Il tuo amico- disse lei, sollevando gli occhi al cielo- quel Joseph...”
John distolse lo sguardo, abbandonando la forchetta sul tavolo. Shan a sua volta ripose le bacchette, prendendo la bottiglia di vino bianco e versandola nei due bicchieri al centro del tavolo.
I loro orari non coincidevano spesso.
Solitamente la ragazza passava la giornata al college e la sera a studiare, mentre lui dormiva fino a pomeriggio inoltrato, perché il suo turno nell'ambulatorio era notturno. Aveva preferito così. L'idea era che se doveva rimanere sveglio la notte per colpa dei suoi fantasmi, almeno avrebbe reso quelle ore fruttuose.
Vicino all'ambulatorio c'era una pasticceria. La mattina, quando tornava nel nuovo appartamento di Badsworth road, prendeva una brioche e la lasciava sul piccolo tavolo rotondo del salotto, con un biglietto per lei. Era diventata un'abitudine.

La prima volta lo aveva fatto per ringraziarla di avergli preso la schiuma da barba, perché la spesa comune consisteva solo nelle cose che entrambi consumavano, ma lei l'aveva comprata e lui se l'era trovata sul lavabo del bagno nel momento in cui gli sarebbe davvero servita. Quel giorno non si erano incrociati, lei aveva fatto più tardi e lui era uscito prima, ma aveva trovato un biglietto di risposta.


“ Ho notato che l'avevi finita. Il mio vecchio coinquilino dimenticava sempre di comprare cose del genere, quindi mi è venuto spontaneo. Se ti serve qualcosa in particolare lasciami un biglietto, ho più tempo libero per fare spese di quanto non ne abbia tu con il tuo lavoro notturno.
Ps: Grazie per la brioche, davvero ottima :)
Sh.”




Shan si firmava sempre Sh nei messaggi o nei biglietti. La prima volta aveva sussultato per quel piccolo particolare, subito dopo si era dato dello stupido. Anche perché le cose in comune con Sherlock terminavano lì. La ragazza era un'inquilina perfetta, come Sherlock non sarebbe mai potuto essere nemmeno avendo a disposizione tutta la vita.
Non suonava il violino di notte, non sparava alle pareti, non teneva pezzi di cadavere in decomposizione nel frigo o nel microonde, era socievole, faceva la spesa, metteva sempre in ordine e sapeva cucinare bene.
Ma soprattutto, in quanto donna o forse in quanto non Sherlock, aveva tatto.
Niente di eccessivo: semplice empatia umana .
Aveva il grande pregio di non saper ascoltare e di non fare mai domande scomode. Nemmeno nei momenti che avrebbero richiesto una spiegazione. Una volta,qualche mese prima, un giornalista era riuscito a rintracciare dove abitasse. Voleva scrivere un nuovo pezzo su di lui, sul suicidio di Sherlock, nonostante la notizia fosse ormai più che stagionata. Ci aveva discusso sul pianerottolo per almeno cinque minuti, dicendo di non voler rilasciare nessuna intervista e proprio quando stava per chiudergli la porta in faccia era arrivata Shan. L'uomo, capendo di non poter avere da lui nessuna informazione, aveva iniziato a fare domande a raffica alla ragazza, che aveva sgranato gli occhi, completamente presa alla sprovvista.
Prima che lei sgusciasse dentro e John riuscisse a rinchiudere fuori il giornalista, domande come “ Lei è conscia di chi sia il suo coinquilino?” “Ha mai sentito parlare di Sherlock Holmes?” “Le ha mai fatto rivelazione relative al suo suicidio?” “Hai mai fatto cenno ad un certo attore ingaggiato per fingersi un uomo di nome Jim Moriarty?” erano fioccate alle orecchie di lei alla velocità della luce.
Una volta dentro si era aspettato una sequela di domande simili, così aveva preso lui stesso la parola per iniziare un discorso che sapeva sarebbe fuoriuscito a fatica e con voce strozzata.
“ Io...”
“ Non ne devi parlare, se non vuoi. Se quel giornalista tornerà lo caccerò, stai tranquillo.”
C'era stata una pausa e un sospiro di sollievo.
“ Grazie.”

Non pensavo fossi...”
La frase in sospeso lo riportò al presente, così di nuovo si trovò ad osservare il viso ovale e dalla carnagione porcellana di Shan. Non era propriamente bella. Aveva labbra sottilissime e un naso un po' troppo pronunciato, lungo e stretto, però gli occhi erano straordinari. Scuri, caldi e un po' orientali. Insieme ai tratti delicati del viso trasmettevano un'aria di dolcezza e un'apparenza di genuinità e innocenza. Un fascino particolare, non artificioso, da ragazza della porta accanto.
“...fossi?”
“ Bhè, sai... non c'è niente di male!”
A John venne da ridere, per la prima volta dopo molto tempo.
“ Non sono gay. E non sono innamorato di She...Joseph. Abbiamo un uhmm- si interruppe, indeciso sul come esprimersi- rapporto complicato, al momento.”
“ I rapporti non sono complicati. Le persone sono complicate.”
Shan portò il bicchiere alle labbra e lui seguì il gesto con lo sguardo.
“ Mi ha mentito- disse di getto- e mi ha costretto a fare qualcosa che non avrei mai voluto fare.”
“ Lo conosci bene?”
“ È il mio migliore amico- rispose subito, poi sospirò- e il mio ex coinquilino.”
“ Forse dovreste parlare, con calma.”
“ Non è facile parlare con lui. Sono troppo arrabbiato per parlare con lui. E ogni sua risposta non fa che aumentare la rabbia.”
“ Però non vedevi l'ora, no? Di rivederlo. Di tornare a casa.”
John le rivolse uno sguardo interrogativo e Shan sorrise.
“ La tua valigia.”
“ La mia valigia?”
“ Sono nata a Shangai. Mio padre era inglese, un antropologo, mia madre cinese, una viziata figlia di papà che studiava storia dell'arte e a cui piaceva prendere e partire per stare sempre insieme a lui. Ho viaggiato sempre, da quando ne ho ricordo, su e giù per la Cina insieme a loro. Mio padre amava il suo lavoro, era sposato con il suo lavoro, non stava mai fermo nello stesso posto per più del tempo richiesto dalle sue ricerche, sempre pronto ad iniziarne di nuove. Mia madre invece si annoiava. Le piaceva viaggiare, stabilirsi da qualche parte per un po' di tempo e poi, quando aveva esaurito le cose da fare, le persone da conoscere, i posti da visitare, quando si trovava a dover badare, praticamente ventenne, ad una bambina piccola o quando si ritrovava da sola a fare i conti con sé stessa, allora tutto le diventava stretto, così scappava ancora. Ho sempre vissuto con persone con la valigia pronta sotto il letto. Con persone che non conoscevano il significato della parola casa. Che non ne avevano mai avuta una, in fin dei conti. Io sono diventata come loro, quando sono cresciuta. All'inizio ho creduto che anche tu fossi così. Da quando sei arrivato qui con quella valigia non l'hai mai svuotata. Lavi le robe, le stiri, le pieghi, ma le rimetti dentro la valigia, non nell'armadio. Non hai appeso niente sui muri, nessuna foto, nessun quadro. La tua scrivania è sgombra. Sei praticamente di passaggio, usi quella stanza come un albergo, non come se fosse casa tua.”
“ Sei entrata nella mia stanza?” chiese sinceramente sconcertato.
“ Certo che no, non ne ho bisogno, ogni volta la trovo con la porta spalancata... come se non ti importasse che qualcuno possa entrarci. Le persone difendono la loro privacy, i loro ricordi e il posto dove vivono, in quanto generalmente lì sta la loro vita. Ma è evidente che la tua vita non è qui.”
“ E dove sarebbe?”
“ Non so... probabilmente al fianco di Joseph Bell.”
John arricciò gli angoli della bocca, non sapendo se sentirsi stupito da quelle considerazioni o semplicemente smaccato. Era davvero così trasparente?
Shan iniziò a sparecchiare, facendogli segno di rimanere seduto appena lui provò ad alzarsi per aiutarla. Rimasero in silenzio per un po', mentre la ragazza caricava la lavastoviglie. Quando ebbe finito si appoggiò con le mani al bordo del lavandino, voltandosi verso di lui.
“ Spero di non averti offeso.”
“ No, certo che no.”
Le sorrise, per rassicurarla, ma i pensieri nella sua mente avevano già iniziato a rincorrersi. Fu per questo che non fece caso alle sue parole, troppo impegnato a focalizzare un paio di attenti occhi celesti tra i suoi ricordi recenti.
“... hui jia.”
“ Scusa- disse colpevole- mi sono distratto un altra volta.”
“ Non preoccuparti, era una cosa stupida.”
“ No, ti prego- disse lui alzandosi- ripeti, davvero. Ti trovo istruttiva.”
Shan rise, coprendosi la bocca con la mano, in un gesto automatico che lui gli aveva visto fare qualche volta.
Quando Sherlock rideva prima arricciava le labbra, come per trattenersi, poi le stirava, lasciandosi andare.
“ In cinese, quando una persona dice 'vado a casa', l'espressione che si usa è 'hui jia'. Hui jia significa 'tornare a casa'. Ogni volta che si usa la parola casa in relazione ad un verbo di movimento si dice 'tornare' non 'andare'. Tornare a casa.”
L'uomo sbatté le palpebre, confuso, ma la ragazza continuò, questa volta posando lo sguardo sul parquet, evidentemente imbarazzata. Eppure la sua voce, quando parlò, era ferma e assolutamente decisa.
“ Ho vissuto la mia vita affianco a persone che non hanno mai avuto una casa, me compresa. So cosa vuol dire e so come ci si sente...”
Gli occhi marroni si sollevarono dal pavimento per incrociare i suoi e improvvisamente Shan gli sembrò più vecchia e incredibilmente più intelligente di lui. Come se avesse capito quello che lui ancora non riusciva ad afferrare. Che novità, un coinquilino intelligente.
“...
Ma tu, tu ce l'hai, Jhon. Hui jia. Torna a casa.”












Gli amici proteggono le persone.

È quello che ho cercato di fare.

Non c'è altro da dire.

SH



Sherlock Holmes fissò lo schermo del cellulare, sfiorando con il pollice il tasto di invio senza premerlo.
Sbuffò irritato, chiedendosi perché la sua mente dovesse essere tenuta occupata per tre interi giorni in certe schermaglie infantili, quando fuori, per le strade di Londra, girava un organizzazione intera di individui che non vedeva l'ora di appenderlo per il collo alla Torre.
'Jhon Sebastian Moran è in città' era stato il laconico messaggio che suo fratello gli aveva inviato quella mattina.
Il secondo uomo più pericoloso di Londra era tornato in patria per lui...
E il suo migliore amico, invece di essere lì a dargli una mano, continuava a tediarlo con quell'odioso comportamento da donnina offesa. La sua, la loro vita, era di nuovo in pericolo fintanto che il braccio destro di Moriarty era ancora in circolazione e con una probabilità abbastanza alta tramava una spettacolare vendetta. Sicuramente lo accusava della morte del suo capo, ma Sherlock dubitava fosse dovuto unicamente a quello lo spiegamento di forze criminali che la sua rete di “irregolari” aveva notato. Sebastian Moran era un assassino, uno dei migliori in circolazione probabilmente, un genio nella sua professione, da quel che aveva potuto appurare lui stesso...ma non era Jim Moriarty. Non era quel tipo di genio. Era un braccio, non una mente. E questo giocava a suo favore. Ma non voleva dire che il rischio non ci fosse. Anzi, non era l'unico a rischiare, lui...
Lui, così,non riusciva a pensare, dannazione.
Sherlock sbuffò di nuovo, cancellando con rabbia il messaggio e digitandone velocemente un altro.



Smettila di essere infantile.

Abbiamo del lavoro da fare.
SH.




Era così abituato a firmare i messaggi che ormai lo faceva sempre, anche se in quel caso John aveva il suo numero. A meno che non lo avesse cancellato.
Fece per inviare l'sms, ma si fermò, esibendosi in una smorfia.
Sapeva che quello non era il modo di affrontare la cosa, sapeva che John era profondamente offeso, sapeva che forse quello dipendeva da come aveva risposto all'ultima domanda che gli aveva porto qualche giorno prima durante la loro discussione... sapeva, sapeva, sapeva... e capiva... ok forse non completamente, ma in parte capiva.
Però non poteva continuare così.
Tutto il tempo che John passava lontano, lo passava scoperto. In balia di ogni possibile attacco di Moran. Poco importava che quella volta avesse chiesto a Mycroft di farlo sorvegliare da qualcuno dei suoi agenti. Finché non era con lui, John non era al sicuro.
Cancellò l'sms per riscriverlo subito dopo.



Dobbiamo parlare,

è urgente.
Pericolo.

SH.



Si fermò, rilesse il messaggio e riprese a digitare.
L'apparecchio vibrò tra le sue mani prima che potesse inviare il testo e le sue dita abbandonarono la bozza, scattando verso la casella degli sms ricevuti.




È arrivato il Dottore.

Divertiti.

MH.



Un sorriso leggero increspò le sue labbra. In quel momento sentì distintamente l'inconfondibile rumore della marmitta di un black cab che si fermava in strada, poi una portiera sbattuta e l'auto che ripartiva. Pochi secondi dopo, il campanello del 221b di Baker street risuonò nella tromba di scale.



Cura il voyer che c'è in te.
SH.




Gettò il cellulare sul divano e si protese verso il basso.
Afferrò un foglio dalla pila alta dieci centimetri posata sul pavimento poi, rimettendosi seduto, accavallò le gambe.
Il portone venne aperto e poi richiuso. La voce della signora Hudson cinguettò felice un benvenuto al nuovo arrivato. Un nuovo sorriso spontaneo sfuggì al consulente investigativo quando percepì il famigliare tonfo attutito di passi sulle scale, scomparendo dietro il foglio al quale Sherlock finse di dedicare tutta la sua attenzione anche nel momento in cui la figura di John si stagliò sulla soglia dell'appartamento.
Riuscì ad aspettare solo cinque secondi netti, poi sollevò lo sguardo ad incrociare quello dell'altro.
“ Sei un bastardo.- sputò fuori il medico senza preamboli- E un idiota.”
“ Grazie per aver dato il tuo contribu...”
“ No, zitto- lo interruppe lui guadagnandosi un'occhiata in tralice- non fare più cazzate, non prendere mai più decisioni che riguardano anche me senza prima consultarmi, non provare più a mentirmi e se la prossima volta muori assicurati che sia vero, perché ti giuro che altrimenti ci penserò io a completare l'opera. Nel modo più doloroso che mi verrà in mente.”
Sherlock osservò il dito che gli veniva puntato contro, poi l'espressione decisa del suo proprietario.
“ Ok, vuoi anche che porti un collare con targhetta di riconoscimento? O magari un microchip sub cutaneo?”
L'altro a malapena gli dedicò un occhiata mentre sprofondava nella poltrona vicina.
Ci furono alcuni secondi di silenzio, rotti solo dallo scricchiolare leggero delle pagine tra le mani di Sherlock, mentre John faceva scorrere le sue sui braccioli morbidi, gettando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi con un sospiro soddisfatto.
Il tepore confortante della stanza, l'odore famigliare del salotto, dei solventi chimici nuovamente allineati sul tavolo della cucina, ma soprattutto la figura silenziosa al suo fianco...
Ogni tassello al suo posto.
O quasi.
Aprì gli occhi e voltò il capo, trovando il viso di Sherlock e i suoi occhi azzurri rivolti verso di lui.
Si guardarono un po' senza parlare, nell'espressione di John ancora qualche muta domanda.
“ Lestr...”
“ Dopo la visita al tuo appartamento, tre giorni fa, ho fatto un salto da lui e gli ho consegnato tutta la documentazione in grado di scagionarmi. Registrazione audio della mia ultima chiacchierata sul tetto con Moriarty compresa. Non è ancora ufficiale, ma nessun poliziotto di Londra mi arresterà se mi vede in giro. Per quel che riguarda il modo in cui ho finto di...”
“ Quello dopo- lo interruppe John allungando inaspettatamente la mano ad afferrare il suo polso- ora stai zitto un secondo.”
Sherlock fece scorrere lo sguardo sulla mano di John, grande e calda, che gli aveva scostato la manica della vestaglia e gli stringeva leggermente il polso, le dita posizionate sulle sue vene, come se stesse cercando di carpirgli il battito.
“ John, pensavo che avessi superato questa parte. Sono io, sono viv...”
“ Ho detto- lo interruppe di nuovo lui- sta zitto un attimo.”
Sherlock sbuffò, mentre John chiudeva gli occhi, assumendo un'espressione concentrata.
Dopo poco la presa diminuì e il medico gli liberò il polso, sfiorandolo inavvertitamente un ultima volta con le dita e poi ritirando la mano. Aprendo gli occhi si ritrovò davanti lo sguardo interrogativo dell'altro.
“ Cos'era quello?”
John sorrise.
“ Segreto professionale.”
“ Cosa? Che vuol...”
Sherlock ebbe un impercettibile sussulto e si interruppe. Lo guardò di nuovo, inclinò il capo da un lato, assottigliando gli occhi e poi, come se niente fosse successo, tornò a dedicarsi ai suoi fogli mentre John prendeva a stiracchiarsi sulla poltrona, ringraziando e stupendosi della reazione del detective.
Lo schermo del cellulare sul divano si illuminò e l'apparecchio lanciò un leggero beep.
“Puoi passarmi il cellulare?”
Alzando gli occhi al cielo, John Watson si sollevò in piedi per prendere il telefono che stava esattamente a venti centimetri dal suo coinquilino. Lo porse al suddetto, ricevendo in cambio un gesto di diniego con la mano che, secondo l'esperienza, significava 'leggi e riferisci'.
“È Lestrade. Dice che hanno arrestato uno dei sicari di Sebastian Moran. Stanno per interrogarlo. Chi è Sebastian Moran?”
Sherlock non rispose subito, alzandosi di scatto e afferrando sciarpa e cappotto. Quando fu vicino alla porta si voltò indietro verso di lui.
John era in piedi, alle sue spalle, pronto a seguirlo.
Fu per questo, non per l'adrenalina che aveva iniziato a scorrere nelle sue vene, che rispose con un sorriso, guardandolo dritto negli occhi.
“ John Sebastian Moran, il secondo uomo più pericoloso di Londra...”
John sorrise a sua volta.
“ Bhè, allora, cosa stiamo aspettando?”
Sherlock si voltò, prendendo a scendere velocemente le scale.
John attese qualche secondo, voltandosi a chiudere delicatamente la porta di casa sua, poi gli andò dietro, seguendo le spalle larghe giù per gli scalini ripidi.
Un tuono annunciò l'imminente temporale.
Piccole gocce di pioggia presero a tamburellare sul marciapiede grigio davanti al 221b di Baker street.
Poco importava.
Era a casa.







Si voltò e lentamente tornò sui suoi passi.
Non c’era più vento, non c’ era più notte, non c’ era più mare, per lei.
Andava e sapeva dove andare. Questo era tutto.
Sensazione meravigliosa. Di quando il destino finalmente si schiude e diventa sentiero distinto, e orma inequivocabile, e direzione certa. Il tempo interminabile dell’ avvicinamento.
Quell’ accostarsi. Si vorrebbe non finisse mai. Il gesto di consegnarsi al destino.
Quella è un’ emozione. Senza più dilemmi, senza più menzogne. Sapere dove. E raggiungerlo. Qualunque sia, il destino. Camminava – ed era la cosa più bella che avesse mai fatto.

[Alessandro Baricco]














Note della quasi-autrice.

Nell'altro capitolo ho dimenticato di dire che il nome usato da Sherlock davanti a Shan Barker non è preso a caso. Joseph Bell è il professore di chimica dell'università di Edimburgo che ispirò a Doyle la figura di Sherlock Holmes. Un altro tributo al nostro amato Sir Arthur, in fin dei conti:)
Veniamo ora alla storia. Come avevo detto spiegherò il significato del titolo 'Every step to the pass', letteralmente traducibile con l'espressione 'Ogni passo verso il valico'.
Il significato alla fine è semplice e intuibile. La storia è divisa in tre parti ed è un cammino verso il ricongiungimento delle figure di John e Sherlock. Il valico è una metafora per indicare 'il punto d'incontro'...e poi mi piaceva il suono :D
Quella cosa per il quale in cinese si dice "torno" invece che "vado" a casa, è verissima. Lo è anche la trascrizione fonetica:)
Spero di aver reso in maniera decente questo benedetto ricongiungimento. Sinceramente fino alla fine ho tentennato tra bromance e slash... e un minimo, piccolissimo, invisibile accenno di slash c'è... solo per gli occhi delle più esperte:)
Probabilmente a molti sembrerà che qui la litigata, soprattutto se si guarda il precedente capitolo, si risolva in un fuoco di paglia. In realtà ho una mia idea personale sul fatto che probabilmente John lo avrebbe preso a pugni e perdonato, limonandolo violentemente, un secondo dopo, ma questo avrebbe reso vana la fic.
Scherzo:D
La mia idea è semplicemente che alla fine era scontato che lui tornasse, solo che aveva bisogno di tempo per realizzare, ingoiare e digerire tutta la sofferenza di quei mesi. Ho fatto passare solo tre giorni, anche se nella mia testa sarebbe dovuto trascorrere almeno una settima, perché altrimenti sarebbero saltati fuori nuovi problemi. Sherlock mi ha detto chiaramente che non avrebbe resistito una settimana da solo senza qualcuno che gli porgesse cellulari e penne e Sebastian Moran mi ha confidato che se in una settimana non provava ad attentare alla vita di Sherlock almeno una volta poteva andarne della sua reputazione di secondo super cattivo più blablabla.
Quindi sono stata costretta dai personaggi di Doyle/Moffat alla fine, non è colpa mia :)
Spero comunque che il risultato sia di vostro gradimento.

A chi ha recensito, BeepAllarm, Erhien, CandyFloss e Jimmy House, mando un grazie davvero infinito e un augurio che la storia sia stata, fino alla fine, di vostro gradimento. Sono un po' lenta con la risposta alle recensioni via messaggi (oddio, sparisco qualche anno e efp si trasforma peggio del personaggio di Kafka nella Metamorfosi), perchè rubo il tempo per stare vicino al pc allo studio, ma ci tengo a ringraziarvi singolarmente, quindi aspettatevi presto mie notizie:)
Ringrazio davvero anche chi ha semplicemente letto,messo tra le seguite, tra i preferiti o tra quelle da ricordare e spero vivamente che quello che ho scritto vi sia piaciuto.

Qui termina Every Step to the Pass... o no?:)
In realtà qui termina la fic dedicata all're-incontro di John e Sherlock, ma la verità è che questo non è che il preludio ad una long-fic che sta vedendo lentamente la luce. Un preludio in parte necessario per introdurre la long fic, sinceramente. Il titolo e la trama sono già stabiliti. Non resta che "battere" il tutto:)
Per questa volta mi sono tenuta sul bromance, nonostante la voglia di slashare ( ma che è un neologismo???). Non so se la prossima storia, chiaramente un seguito di questa, si manterrà sul bromance o introducerà uno slash leggero. Dipende da quello che riuscirò a scrivere e se, soprattutto, il risultato mi sarà gradito ( ma soprattutto ic):)
Quindi, alla prossima.
Stay Tuned.




Darseey








  
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