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Autore: Denki Garl    26/01/2012    2 recensioni
«Zooey, per favore... Dimmelo.» implorava e implorava, senza più forza, senza più lacrime da versare, senza più voce, quasi. E più lo ripeteva, più mi sentivo le ginocchia cedere, le mani sudare, il cuore battere ogni attimo più lentamente. Mi pareva che sarei potuto piombare a terra stecchito da un momento all'altro, per qualche istante pensai d'essere già morto, dato che non riuscivo proprio a muovermi.
La verità è che, se anche avessi trovato il coraggio di pronunciare quelle semplici parole, ne sarei uscito molto più ferito di quanto ne sarebbe uscita lei.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avviso che c'è un minimo accenno ad una storia omosessuale, quindi, se questo può disturbarvi, vi prego di non leggere.




I can't let myself regret such selfishness.







Stava lì, di fronte a me, con la testa china e la faccia inondata di lacrime. Quasi mi faceva temere di poter morire annegata da un momento all'altro, quell'idiota. Forse voleva che l'abbracciassi, non lo so, ma non credo. Un abbraccio è un gesto affettuoso, e in quel momento mi stava implorando di fare tutt'altro. Voleva che la ferissi. E non in quelle maniere leggere, tipo un semplice ed infastidito «Lasciami in pace, cazzo!» giustificabile con un momento incontrollato di malumore, no. Voleva proprio che la ferissi, più di quello che era già. Più di quello che già normalmente facevo. Non che lo volessi, eh. Anzi, tutt'altro. Non giudicatemi, voi, non sapete ancora nulla, non ve lo potete permettere. Ma, se sarete sufficientemente pazienti, come mi auguro, sarò ben disposto nei vostri confronti e vi racconterò un po' di fatti miei, tanto perché ho bisogno di buttare fuori un po' di cose e voi siete i primi - fortunati o no? - che mi sono capitati a tiro.
In ogni caso, stavo dicendovi. Ferirla sembrava fosse una delle cose che meglio mi riuscivano. Il peggio non è questo, no, sono sicuro che lì fuori c'è qualcuno che sarebbe capace di congratularsi con me per questo mio lato apparentemente meschino, ci giurerei la testa del mio cavallo. Non che ne abbia uno, ma se ce lo avessi sarei pronto a farlo. Il peggio era che odiavo farle del male, con tutto me stesso. Alla fine credo che sia una sorta di egoismo, ma davvero non ce la facevo a sopportare l'idea che delle lacrime scendessero copiose da quegli occhi a causa mia. Io ero il suo punto d'appoggio, come potevo farle una cosa simile? Eppure, il mio intento, non è mai stato, mai, nemmeno per una volta, quello di ottenere quel risultato. Paradossalmente, invece, il mio era un tentativo di darle forza, di aiutarla a trovare il coraggio per alzare la testa e sorridere al mondo che tanto la terrorizzava, che con tanta prepotenza e tanta pressione la costringeva a inginocchiarsi e far congiungere la sua fronte al suolo.
Ma lei lo sapeva benissimo, comunque, quanto ci tenevo a lei e quanto mi si stringesse il cuore ogni qual volta che ciò accadeva. Ed è per questo che aveva preso a sforzarsi di arricciare quelle adorabili labbra qualunque cosa accadesse. Reprimeva il suo dolore, la stupida. E lo faceva per me, per non farmi soffrire, per evitare che mi sentissi in colpa. Da un lato, devo ammettere, questo mi faceva piacere, ho sempre avuto un debole per gli imbroglioni. Non fraintendetemi, non è che sia un figlio di puttana qualunque, io. È che trovo che le bugìe abbiano un certo fascino, sbrilluccicano in un modo del tutto particolare e totalmente loro. Badate bene, però, che sto parlando di un determinato tipo di menzogne, e ricordate che non va mai bene fare di tutta l'erba un fascio. Quelle che mi piacciono sono le balle ingiustificate, non quelle in un certo qual modo giustificabili o, come preferisco definirle io, vili e codarde. Adoro quelle bugìe dette per noia, nella speranza di potersi divertire un po', così, tanto per ammazzare il tempo. Quelle bugìe innocenti ed inspiegabili, più che ingiustificate, ecco. Naturalmente, la sua finzione non può in alcun modo rientrare in quest'ultima tipologìa di menzogne, ma mi piaceva comunque. Forse, il fatto è che tendevo a farmi piacere tutto ciò che la riguardava. Con tutta probabilità era questo, sì. Ma c'è da contare, anche, il motivo per il quale lo faceva, che poi sarei io. Se ve lo state chiedendo, sì, sono una persona piuttosto egocentrica e pure egoista, a volte, ed arrogante, ed orgogliosa. Quindi capirete bene che l'idea che qualcuno facesse una cosa tanto idiota solo per farmi piacere, mi faceva piacere. Lo trovavo carino, da parte sua, dolce, se proprio vogliamo. Tanto più che Rayley è sempre stata una ragazzina complicata e più chiusa di un barattolo di marmellata, di quelli che è più facile che ti si stacchi il polso, piuttosto che si aprano, ovviamente. Se c'era una cosa che non sapeva fare, quella era dimostrare i suoi sentimenti. Anzi, farei meglio a dire che ciò che proprio non le riusciva di mostrare era quel lato buono e genuino del suo carattere, perché, per quanto lo negasse, uno ce n'era, eccome. Dico questo perché, è giusto che lo sappiate, era una persona dal «Vaffanculo!» facile, la signorina. In diciannove anni di vita, ci scommetterei la sopracitata testa del mio sopracitato, inesistente cavallo - che, piccola parentesi, ho deciso di chiamare George -, aveva esibito il suo dito medio molte più volte di quante aveva permesso ad un estraneo di perdersi nella ricerca dell'inesistente confine che segnava lo stacco tra le sue iridi e le sue pupille. Ora, mi verrebbe da perdermi nella descrizione di quelle piccole manine dalle unghie mangiucchiate, ma farò uno sforzo e cercherò di proseguire, più o meno linearmente, con il mio racconto. Insomma, vi stavo dicendo che mi provocava un certo appagamento personale, quel suo far di tutto per apparire felice - perché sì, forse gli altri potevano pure risultarne convinti e soddisfatti, ma io sapevo riconoscere la vera felicità, quando la vedevo sorridere. Era una dimostrazione che ci teneva a me, al mio bene. E, più importante ancora, era un tentativo disperato di non rendere vani i miei sforzi, che, naturalmente, facevo solo per lei e per nessun altro, perché ritenevo che il brillio che risplendeva nei suoi occhioni color della pece quand'era veramente felice, fosse quanto di più bello ci fosse al mondo e mi mandava letteralmente in sollucchero. Pensandoci ora, devo proprio dirlo, credo che uno dei motivi per i quali non ha mai funzionato fosse questo nostro essere così fottutamente concentrati su noi stessi. Oh, un peso in meno sulle mie spalle troppo mingherline per essere un avvenente, giovane scrittore dilettante.
In ogni caso, per farla breve, mi dissero che spesso e volentieri cedeva, quando io non ero nei dintorni e non la potevo vedere. Il mio amico, Joshua, sostiene che lo facesse soprattutto la sera, quand'era sola e nessuno aveva la possibilità di saperlo. Si metteva sul suo poggiolo, di solito, e, guardando le stelle, pensava a noi, a me, e piangeva finché aveva lacrime a disposizione per farlo. Mi viene da pensare, se proprio devo dirlo, che ciò accadesse in quelle stesse serate in cui mi veniva il magone senza alcun apparente motivo. Sì, probabilmente fate bene a ritenere che sia un inguaribile romantico, alla fine sono propenso a credere pure io che questa mia convinzione esista solo perché lo voglio io e fa piacere a me. Sicuramente sono solo cazzate da romanzo rosa di serie D, ma che volete che mi importi.
In realtà, se proprio volete saperlo, mi sto pentendo di avere iniziato questo discorso. A parte il fatto che non mi piace parlare di lei - non per altro, ma è che queste cose riguardano me e lei e nessun altro -, trovo che la nostra sia una storia impossibile da spiegare con una narrazione così scadente e dispersiva come è la mia, ma ormai ho iniziato, quindi continuerò - senza, tra l'altro, preoccuparmi di dove questo fiume in piena di insolita loquacità mi codurrà.

Fatto sta che, quello che mi apprestavo a descrivere all'inizio di questo scritto, fu un momento molto particolare della nostra vicenda (il termine "lovestory" proprio non mi va giù, se devo essere sincero, lo trovo ripugnante), del tutto fuori del comune. Prima di continuare, tuttavia, ho la necessità di fare una premessa. È giusto che sappiate che io e lei non abbiamo mai parlato dei nostri ex, mai, neppure una volta, e ancora una volta mi ritrovo a pensare al nostro essere egoisti. Per quel che mi riguarda, sono una persona molto gelosa, oltre che, come già detto qualche riga più insù, un orgoglioso egocentrico. Lei, invece, non ho mai capito bene perché, ma non ne voleva semplicemente sapere. Il fatto è che Rayley era una di quelle ragazze che odiano sentirsi costrette al fianco di qualcuno, chiunque egli - o, perché no, ella - sia e, di conseguenza, odiava l'idea che qualcuno si sentisse in obbligo di starle affianco. Con me, però, era diverso, a detta sua. L'avevo fatta diventare gelosa e possessiva, l'avevo fatta diventare insopportabile a se stessa, oserei dire ora come ora. E così, non aveva mai voluto che le parlassi delle mie vecchie fiamme, cosa che non mi disturbava affatto, in quanto ormai ogni mia attenzione era rivolta a quella catastrofe ambulante.
Con questo, però, ne conseguì il fatto che non ebbi mai occasione di parlarle di quelle voci che giravano riguardo a me ed un vecchio amico, Zac. Girava voce che io e lui avessimo avuto una storia, ecco. Rayley lo sapeva, ma non aveva mai voluto conoscere la verità. Aveva scelto di restare nel dubbio, e tutto quel che potei fare fu rispettare la sua scelta. In ogni caso, non importava, come ho già detto, ora contava solo lei.
Alla fin dei conti, comunque, sono portato a pensare che, semplicemente, non volesse ricevere la conferma alla sua ipotesi. Lei lo sapeva, sì, che Zac era il mio ex. Solo, non era pronta ad accettarlo. E, aggiungo all'ultimo momento, ciò mi stava bene anche perché, devo ammetterlo, a mia volta non ero pronto a tirar in fuori il cassetto riguardante il passato, i ricordi non erano ancora abbastanza sfumati e, di conseguenza, leggeri, pesavano ancora troppo sul mio petto. Ma, quel pomeriggio dal quale sono partito, potremmo quasi definirlo il momento della resa dei conti.
«Zooey, avanti, dimmelo...» sussurrò per l'ennesima volta, prima di tirare su col naso e passarsi il dorso del polso sulla punta di questo. Teneva gli occhi fissi a terra, perlopiù, ma sono sicuro al cento per cento che, quando ero io a parlare, allora li spostava nella direzione da cui proveniva la mia voce, anche se io non potevo vederlo. Suppongo di dover fare una precisazione riguardo a ciò che, arrivati ad un certo punto della conversazione, voleva io dicessi, giusto?
Be', voleva che ammettessi l'importanza che Zac aveva avuto e aveva ancora per me. Il problema, dunque, era proprio questo. Era scontato, d'altro canto, che prima o poi saremmo arrivati a questo punto. Solo che ci arrivammo talmente d'improvviso che fui colto di sorpresa, e non ebbi il tempo di proteggermi o nemmeno di pensare di farlo, che subito venni colpito e atterrato. Mi spiazzò, quando mi chiese di confermarle la relazione tra me e Zac. «In quella poesia, parli di lui, vero?» mi aveva posto la domanda con un tono pacato, forse farei meglio a dire rassegnato. Mi aveva spezzato il cuore, vederla così distrutta. In cuor suo sapeva di non sbagliare, ne era certa. Ma voleva sentirlo dire da me, voleva che la ferissi, ve l'ho detto. Il punto è che, quella suddetta poesia, la scrissi dopo molto tempo che io e Zac avevamo rotto, giusto prima di conoscerla. Sapevo che per lei aveva sempre avuto una certa importanza, e sapevo che questo era dovuto solo ed esclusivamente al fatto che lei ci vedeva qualcosa di totalmente diverso da ciò che realmente c'era scritto. Ma, d'altronde, a me non è mai piaciuto dovermi spiegare, e trovo giusto che ognuno veda quello che vuole nelle mie poesie. Odio quegli artisti che stanno sempre lì a fare la punta allo stronzo sulle loro creazioni, li odio almeno quanto odio i film tratti dai libri. La loro unica utilità, trovo, sia abbruttirerovinare, quindi, diremo, non ne hanno veramente una. A quanto pareva, aveva finalmente realizzato cosa quell'ammasso di parole significava per me, e so che era proprio questo a farle così male.
«Zooey, per favore... Dimmelo.» implorava e implorava, senza più forza, senza più lacrime da versare, senza più voce, quasi. E più lo ripeteva, più mi sentivo le ginocchia cedere, le mani sudare, il cuore battere ogni attimo più lentamente. Mi pareva che sarei potuto piombare a terra stecchito da un momento all'altro, per qualche istante pensai d'esser già morto, dato che non riuscivo proprio a muovermi. La verità è che non ero pronto ad ammettere che non mi era passata. La verità è che, fino a quel momento, mi dicevo che non provavo più nulla per Zac da tempo. La verità è che realizzai che non l'avevo mai lasciato andare, e che lei l'aveva capito prima di me. Non ero pronto ad accettarlo, quindi come potevo anche solo pensare di ammetterlo ad alta voce?
La verità è che, se anche avessi trovato il coraggio di pronunciare quelle semplici parole, ne sarei uscito molto più ferito di quanto ne sarebbe uscita lei.















DE's:

Forse sarebbe il caso di spiegare, non lo so. Il fatto è che trovo d'essermi esposta già troppo, con questo scritto, più di quanto non sia solita fare, però ne avevo bisogno. Potrei pararmi il culo dicendo che non so da dove m'è uscita 'sta cosa eccetera eccetera, ma a quale scopo? Quella Rayley sono io almeno quanto quello Zooey, ma questo mi pare palese e credo ci foste arrivati tutti quanti. E so cosa c'è sotto, sì che lo so. Non del tutto, ma che importa? L'ho scritto io, è qualcosa che viene da me, da ciò che sento, e boh. Magari a voi ha fatto schifo, non lo so. Mi piacerebbe sapere che ne pensate, in ogni caso.
Grazie per l'attenzione,
read ya!

_badspider.
   
 
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