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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    27/01/2012    16 recensioni
Mi mordo il labbro, abbassando lo sguardo. «Non l’hai saputo…? Ho… un’amnesia. Non… non ricordo niente degli ultimi cinque anni…».
Da parte sua, un insolito silenzio. Rialzando gli occhi su di lui, scopro che è immobile, con un’espressione indecifrabile dipinta in volto.
Sto per chiedergli se sta bene, quando parla di nuovo: «Niente?», chiede, a voce talmente bassa che faccio fatica anche a sentirlo. «Proprio niente?».
Scuoto il capo, desolata, accennando un sorriso. «No, nulla».
Abbassa lo sguardo, e infila le mani in tasca. «Quindi tu non ti ricordi di me».
Non è una domanda la sua. È una certezza.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jacob Black | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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'Giornooooo! :D

Sono un pochino in ritardo a postare questo epilogo, ma dato che dovevo mettere la parola 'fine' ho preferito aspettare di essere sicura al 100% di quello che ho scritto ù.ù

Ci saranno un po' di flashback, quindi ricordate che il corsivo indica il passato, altrimenti diventa un pastrocchio XD

Buona lettura!

________________________________

16. Epilogo

Sfioro con la punta delle dita i petali della rosa bianca riposta nel piccolo vaso di vetro trasparente sul tavolino a cui sono seduta, contemplando distrattamente la sua bellezza appena sbocciata, mentre premo con l’altra mano il cellulare all’orecchio.

«Sì, papà, è tutto a posto. No, finora non abbiamo avuto nessun problema». Sorrido sentendo la preoccupazione di mio padre, del tutto immotivata. «D’accordo, ci risentiamo quando arriviamo a Venezia. Ti voglio bene».

Chiudo la chiamata, riponendo il cellulare nella borsa. Bevo un altro sorso di cappuccino, mentre il mio sguardo scorre sui volti delle persone che affollano la strada, sperando di riconoscere quello del mio ragazzo, misteriosamente scomparso. Mi ha lasciata qui al bar venti minuti fa, promettendomi di tornare subito. Non mi ha voluto dire dove è andato, e trovarmi da sola in mezzo a tanta gente senza sapere una sola parola di italiano mi mette a disagio. Nella borsa ho un piccolo dizionario inglese-italiano, ma non mi sento tranquilla comunque. Forse se avessi avuto più tempo per prepararmi a questo viaggio avrei fatto in tempo a imparare qualche frase fatta a memoria, ma non ne ho avuto il tempo.

Appena siamo rientrati a Forks da Washington la settimana scorsa, Edward mi ha proposto di fare di nuovo le valigie e partire per una vacanza in Italia, come era successo quando lui era tornato da New York e ci eravamo messi insieme ufficialmente. Non gli è servito molto tempo per convincermi ad accettare la sua proposta. Nel giro di quattro giorni abbiamo preso le ferie dai nostri lavori e avvertito amici e familiari, e siamo saliti su un aereo che ci ha portati dritti nel cuore dell’Italia, a Roma. Nonostante tutto ho fatto in tempo a sistemare la situazione con tutti a casa: soprattutto con Charlie, Jacob ed Alice. Non è stato semplice, ma neanche troppo difficile.

 

«Quindi…», mormora mio padre, leggermente a disagio, sedendosi su una delle sedie della sua cucina, seguito da me, «hai recuperato tutta la memoria?»

Scuoto il capo, sedendomi davanti a lui. «No. Ma ho più o meno ricostruito e ricordato la maggior parte delle cose che sono successe nell’ultimo anno».

«Ah… quindi hai ricordato anche…», si schiarisce la voce, «anche Edward… suppongo…». Cerca i miei occhi in segno di una conferma, ed io annuisco.

Lui sospira. «Era ovvio che te ne saresti ricordata. Era stupido pensare che non l’avresti fatto».

«Se sapevi che avrei ricordato perché non me ne hai parlato prima?», gli chiedo, cercando di mantenere la calma. «Perché ogni volta che ti chiedevo qualcosa evitavi di rispondermi?»

Papà sospira ancora. «Quando tutti abbiamo scoperto che avevi perso la memoria io e Jacob abbiamo parlato con Carlisle. Ci ha detto quali potevano essere i rischi di un’amnesia del tuo genere, e quali potevano essere i modi per farti tornare i ricordi. Ma ci ha anche detto che bisognava fare attenzione perché c’era la possibilità che ricordando le cose sbagliate avresti potuto smettere di ricordare. Credo abbia parlato di autodifesa mentale…»

«Ricordare cose sbagliate? Del tipo?», domando, incuriosita.

«Qualcosa che ti ha fatto soffrire in passato, e che preferiresti non ricordare… come la rottura con Edward», mormora.

Osservo il viso di mio padre, che a causa della tensione sembra invecchiato di qualche anno. «Per questo non mi hai mai voluto parlare di questi cinque anni? Avevi paura che ricordassi qualcosa di brutto e smettessi di ricordare per sempre?»

Charlie annuisce. «Jacob mi ha convinto a nascondere le foto che c’erano qui, e tutto quello che poteva ricordarti di essere stata con Edward. Aveva paura che potessi non ricordare più niente, e visto quello che aveva detto Carlisle ho pensato che forse aveva ragione…»

Annuisco, mordendomi il labbro.

«Hai già parlato con Jacob?», mi domanda mio padre, dopo alcuni secondi di silenzio.

«No… gli ho chiesto di venire qui stamattina. Credo che stia per arrivare…»

Lui annuisce, e il resto del tempo insieme lo passiamo a parlare tranquillamente, con papà che si scusa ogni cinque minuti, rimproverandosi per aver accettato di nascondermi la verità per tutto il tempo, convinto da Jacob.

Quando il campanello suona mi alzo in piedi, e raggiungo la porta seguita da Charlie. E dopo quasi due settimane rivedo Jacob. Il suo viso è torvo, segno che non è molto felice che l’abbia chiamato per vederci, o forse perché sa di cosa voglio parlare, e sa anche che ho deciso di restare con Edward.

Charlie mugugna qualcosa che mi sembra un «vi lascio soli», e dopo aver dato una pacca solidale a Jacob sulla spalla esce di casa, raggiungendo la sua auto della polizia.

Mi sposto dalla porta per far entrare Jacob, e andiamo in salotto, sedendoci sul divano, a debita distanza l’uno dall’altra. Non credevo che sarebbe stato così difficile per lui rivedermi, tanto da non riuscire neanche a starmi vicino, ma non posso fargliene una colpa; il nostro ultimo incontro è finito con una sberla dritta sul suo viso perché mi ha baciata prendendomi alla sprovvista e risvegliando un vecchio ricordo sopito nella mia mente, quindi immagino voglia stare lontano ora.

«Jacob io… volevo chiederti scusa», sussurro, a disagio, «per quello che è successo l’ultima volta che ci siamo visti. Non sono riuscita a spiegarti il motivo per cui ti ho colpito, e-».

«A me sembra abbastanza ovvio il motivo per cui mi hai tirato quella sberla, Bella», mi interrompe Jacob, gelido. «Volevo fingere che non fosse ovvio già da tempo, ma dopo tutto quello che hai fatto dopo aver perso la memoria non ho potuto fare altro che arrendermi all’evidenza», commenta, amaro.

«Di cosa stai parlando?», gli chiedo, crucciata.

«Del fatto che qualunque cosa Cullen faccia, sceglierai sempre e solo lui. Non importa se lui ti ha tradita baciando un’altra, non importa se ha preferito partire per un mese intero piuttosto che cercare di riconquistarti, tu continuerai a perdonarlo e a tornare da lui». Jacob sospira pesantemente, stringendo i pugni sulle ginocchia, senza guardarmi negli occhi. «So che lui è il tuo primo amore, e che il primo amore non si scorda mai… ma speravo che con il tempo avresti imparato ad amare anche me così, tanto quanto io amo te».

Mi mordo il labbro, distogliendo lo sguardo, sentendo la colpa travolgermi. Jacob mi ha sempre amata, per tutto questo tempo; anche quando io lo tradivo, lui mi amava. Non è stato giusto nei suoi confronti, e non potrò mai perdonarmi per aver fatto una cosa simile.

Ho passato gli ultimi due giorni tornata da Washington a chiedermi se fosse giusto rivelargli che in realtà anche quando eravamo a pochi passi dal matrimonio lo tradivo con Edward. Jacob merita la verità, su questo non ho dubbi, ma merita anche una verità così dura e amara, così ingiusta? Se le cose per me ed Edward ora stanno andando per il meglio, non merita anche lui che sia così per se stesso?

«Mi dispiace Jacob», sussurro, sinceramente. «È stato imperdonabile da parte mia illuderti così. Avrei… avrei dovuto sapere che non sarei mai stata in grado di dimenticare Edward. Avrei dovuto lasciarti libero di vivere la tua vita e di cercare una ragazza che ti ami come meriti».

Gli occhi scuri di Jacob incontrano i miei, seri e sinceri. «Bella, sono innamorato di te da quando eravamo solo dei ragazzini. È stata anche colpa mia se quest’ultimo anno siamo stati entrambi infelici. Avrei dovuto lasciarti andare quando ho capito che dopo averti fatto la proposta eri corsa a cercare lui, per essere sicura di non avere altre alternative. Se l’avessi fatto probabilmente ci saremmo risparmiati mesi di sofferenza, quindi non darti tutte le colpe».

Trattengo il respiro. «Sapevi che ero andata a cercare Edward quando ti ho detto che volevo aspettare a darti una risposta alla proposta? Come?»

Jacob piega le labbra in un triste sorriso, abbassando gli occhi. «Quil ti ha vista nello stesso pub dove c’era anche Edward Cullen. Ho fatto solo due più due».

«Quil…», mormoro soprappensiero, ripensando al giorno in cui quello stesso ragazzo mi ha vista uscire per andare a pranzo con Edward poche settimane fa. «Sicuro che non sia un detective? È la seconda volta che mi scopre da qualche parte e te lo riferisce».

Jacob lascia andare una piccola risata, e mi rilasso leggermente. «In effetti dovrei proporglielo come lavoro. Di sicuro per lui sarebbe più interessante di fare il meccanico nella mia officina».

«Se sapevi che ero andata da lui… perché non mi hai detto niente e hai lasciato che accettassi di sposarti?», gli chiedo, tornando seria.

Jacob abbassa lo sguardo. «Perché avevo paura di perderti», sussurra. «E per lo stesso motivo non ti ho raccontato niente della tua storia con Cullen, quando hai perso la memoria. Avevo paura che… so che è da codardi e meschini, ma avevo paura che ancora una volta potessi preferire lui a me», ammette, a disagio come poche volte l’ho visto. «È stato egoista e stupido da parte mia, perché sapevo che era una tua scelta, e anche che prima o poi avresti ricordato tutto in un modo o nell’altro. Speravo che la tua amnesia fosse una seconda possibilità per noi; speravo di poter sistemare tutto quello che c’era di sbagliato nel nostro rapporto prima del tuo incidente, ora che non c’era Edward Cullen nella tua testa. Ho perfino convinto Charlie ad aiutarmi». Volta il capo, nascondendomi il suo viso. «Sono stato orribile. Mi dispiace, Bells».

Poso una mano sul suo braccio, cercando di sorridere. «Non importa, Jacob», sussurro. «Credo di poter capire perché l’hai fatto. Non sentirti in colpa, abbiamo sbagliato entrambi nella nostra storia. Ma ora dobbiamo andare avanti tutti e due».

Abbasso gli occhi, allontanandomi da lui. «E su una cosa avevi ragione», mormoro. «Non ho mai smesso di amare Edward. Mi dispiace per come sono andate le cose».

 

A strapparmi al ricordo del chiarimento con mio padre e Jacob ci pensa un cameriere, che mi domanda in inglese e con un accento evidente se desidero ordinare qualcos’altro. E prima ancora che possa rispondergli alle sue spalle arriva Edward, che gli chiede il conto, sedendosi su una sedia vicino a me.

Appena il cameriere si allontana mi volto verso di lui, con un sopracciglio inarcato. «Dove sei stato fino adesso?»

«A prendere dei biglietti per l’autobus», risponde, con un sorriso.

«Ma non abbiamo preso il settimanale urbano?», ribatto, accigliata.

«Per andare dove ho in mente io servono altri biglietti», dice senza lasciar trapelare nulla di quello che ha in mente.

«Hai intenzione di dirmi dove vuoi andare? Tanto lo sai che non conosco niente di questa città, un nome non farebbe molta differenza».

«Se te lo dicessi potrebbe tornarti in mente la volta che ci siamo stati due anni fa, così addio sorpresa».

Sto per ribattere e pregarlo di dirmi dove vuole portarmi adesso, ma l’arrivo del cameriere mi zittisce. Dopo aver pagato, Edward si alza, porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi.

«Fidati, ti piacerà», sussurra, mentre le mie dita si allacciano intorno alle sue.

 

«E quindi non sai dove ti sta portando?»

«Uhm… no. Mi sembra che ci stiamo allontanando dal centro di Roma, ma non ne sono sicura…», mormoro, guardando fuori dal finestrino.

«Dammi il nome della via su cui ti trovi così cerco su Google dove sei e possiamo provare a indovinare dove ti sta portando», esclama Alice, seria.

Rido, ricevendo un’occhiata interrogativa da Edward, seduto accanto a me. Siamo su un autobus colmo di persone, e il caldo sarebbe insopportabile se non fosse per i finestrini completamente abbassati, che fanno penetrare aria fresca. Mentre parlo con la mia amica guardo al di là del vetro, osservando il paesaggio scorrere veloce. Ora siamo decisamente fuori dal centro di Roma. «Non penso sia necessario Alice. Per di più non ho idea di che via sia questa, non riesco a leggere nessun cartello…»

Edward afferra il mio cellulare prima che Alice risponda, e se lo porta all’orecchio. «Cuginetta, se osi dire qualcosa a Bella sappi che la tua Porsche sarà in grave pericolo appena ritornerò a casa», lo sento dire, con un sorriso sulle labbra ma con voce minacciosa.

Parlano per alcuni secondi, mentre nella mia mente ripercorro la conversazione avuta con Alice appena sono tornata da Washington. È stata la prima persona che ho deciso di incontrare, quella che desideravo più di tutte rivedere per scusarmi e chiarire tutta la faccenda.

 

I suoi occhi viaggiano da me ad Edward, confusi. «Quindi tu non l’hai tradita…», sussurra, guardandolo, chiedendogli conferma.

Suo cugino scuote il capo, serio. «È stato tutto un grande malinteso, Alice. Se tu e Bella foste rimaste amiche dopo la nostra rottura probabilmente avresti saputo tutto subito e non ti saresti sbagliata».

Abbasso lo sguardo, stringendo le mani in grembo. «Quello è successo per colpa mia». Guardo la mia amica, sentendomi colpevole. «Se ti avessi dato retta quando cercavi di convincermi a chiarire la situazione con Edward prima di mettermi con Jacob probabilmente non sarebbe successo niente di tutto questo. Mi dispiace di non averti ascoltato».

Alice prende le mie mani, stringendole nelle sue, piccole e delicate. I suoi occhi sono lucidi, e le sue labbra sono piegate in un sorriso. «A me dispiace di averti urlato contro quelle cose alla serata di beneficenza e di non averti aiutato subito con la tua memoria. Forse se avessi cercato di aiutarti di più avresti recuperato prima i ricordi».

Ricambio la stretta, sorridendole a mia volta. «Non importa. Sono sicura che presto recupererò tutta la memoria».

 

«Bella?», mi chiama Edward, porgendomi il cellulare, con la chiamata ancora attiva. Lo porto all’orecchio, pronta a salutare la mia amica.

«Adesso vado a dormire, ma quando scopri dove state andando mandami un messaggio, sono curiosa di sapere se ho indovinato!», esclama, quasi più emozionata di me. Anche lei è stata a Roma con Jasper - l’anno scorso, se non sbaglio -, ed ha amato questa città. Ha perfino chiesto ad Edward se lei e il suo ragazzo potevano aggregarsi a noi per questa vacanza improvvisa, ma in qualche modo suo cugino è riuscito a dissuaderla da quest’idea, dopo aver convenuto con me che ci serve un po’ di tempo da soli, lontani da Forks e tutto quello che la riguarda. E anche se l’idea di fare una vacanza tutti insieme mi piaceva molto, ho capito che Edward aveva ragione: dopo tutto quello che abbiamo passato dal momento in cui ci siamo lasciati ci meritiamo del tempo per noi, lontani da tutto e tutti.

Siamo arrivati a Roma da soli tre giorni, eppure mi sembra solo ieri che siamo scesi dall’aereo e siamo arrivati all’hotel. Tre giorni trascorsi fra monumenti, musei, strade, negozi, ville e giardini, alcuni talmente belli da togliermi il fiato; e ad ogni luogo visitato ho iniziato a ricordare sempre di più del viaggio che abbiamo fatto tre anni fa e della mia relazione con Edward. Forse è per questo che insiste a non volermi dire dove siamo diretti adesso.

Nella mia memoria, però, continua ad esserci un enorme buco nero intorno agli avvenimenti più importanti fra me ed Edward. Vorrei ricordare ogni cosa, ma neanche sforzandomi riesco a sbloccare i ricordi. A quanto pare dovrò avere pazienza e aspettare che tornino da soli.

«Va bene, Alice», le dico, divertita dal suo entusiasmo. «Ci sentiamo presto. Buonanotte».

«E a te buona giornata», ride. «Divertiti».

Quando chiudo la chiamata ritiro il cellulare nella borsa, sotto lo sguardo di Edward.

«Le hai fatto capire dove stiamo andando?», gli chiedo, curiosa, rendendomi conto di non aver prestato attenzione alla sua conversazione con lei, e ricordando quel “sono curiosa di sapere se ho indovinato” di poco fa.

Edward inarca un sopracciglio. «No, anche se ha tirato a indovinare».

«E ha indovinato?»

«Questo non te lo posso dire per precauzione», risponde, sorridendo. Poi guarda l’orologio. «E comunque fra cinque minuti siamo arrivati».

 

«Oh».

«È un ‘oh’ deluso o un ‘oh’ del tipo ‘oh mio Dio’ sorpreso?», mi domanda Edward, divertito. Ma nella sua voce leggo anche sincera preoccupazione.

«Credo che sia una via di mezzo fra un ‘oh mio Dio’ sorpreso e un ‘oh Signore, sono in paradiso’ entusiastico», sussurro, incapace di smettere di guardarmi intorno.

Edward ride leggermente, e lo sento aprire la cartina del luogo.

Ci troviamo a Villa d’Este, a Tivoli. L’autobus ci ha scaricati davanti all’ingresso della Villa, e nonostante trovassi il luogo familiare non sono riuscita a riconoscerlo e a ricordarlo fino al momento in cui abbiamo finito la visita del palazzo per arrivare al terrazzo che si affaccia sui giardini. Sugli immensi giardini.

Il verde degli alberi, dei cespugli e dei prati si estende intervallato da stradine, scale, fontane e vasche d’acqua, creando un suggestivo paesaggio. La gente cammina pacifica scattando fotografie, e i bambini giocano con l’acqua zampillante delle fontane. I rumori della caotica Roma sembrano lontani e isolati da questo luogo di pace.

Edward mi prende la mano, sorridendo. «Andiamo?»

Annuisco, e lo seguo giù per una scalinata di pietra, che conduce ad una delle tante fontane del luogo.

Seguendo la cartina, che propone l’antico percorso che bisognava compiere nel sedicesimo secolo per raggiungere il palazzo passando per tutti i giardini, ci avventuriamo fra le fontane e le siepi, fermandoci di tanto in tanto all’ombra degli alberi per riprenderci dal sole scottante. Ora che siamo fuori dal palazzo, lontani dal fresco delle mura di pietra, il caldo è quasi soffocante, e ringrazio mentalmente il consiglio di Alice di portarmi dietro una grande quantità di prendisole e vestiti leggeri per contrastare il caldo mediterraneo.

Dopo un’ora di passeggiata arriviamo in un viale stretto, chiamato viale delle Cento Fontane. Da un lato è costeggiato da un’alta siepe, mentre dall’altro da un complesso di fontane fra le più belle che abbia mai visto in tutta la mia vita. Come appunto dice il suo nome, si tratta di cento fontane a forma di gigli, aquile, obelischi e barchette, da cui l’acqua zampilla creando una scenografia mozzafiato. Il muschio ricopre le pareti chiare, creando un suggestivo effetto naturale.

«Wow», esclamo, non riuscendo a trattenere per l’ennesima volta la meraviglia di fronte a tanto splendore. «È bellissimo».

Edward sorride, seguendomi mentre percorro il viale lentamente, guardando le fontane zampillare una dietro l’altra, fino ad interrompersi ai piedi di una scalinata che conduce ad un’altra fontana, che scende a ventaglio in una vasca d’acqua limpida, circondata da un portico ricoperto da piante rampicanti e muschio.

Appena arriviamo in cima alla scala mi immobilizzo, provando una strana sensazione. A differenza degli altri luoghi, questo posto mi è familiare e al tempo stesso sconosciuto. Fino a un momento fa man mano che osservavo il paesaggio riuscivo a ricordare anche l’altro nostro viaggio qui, ma adesso non è più così; adesso provo solo una strana sensazione di vertigine, vuoto e buio.

«Come si chiama?», sussurro ad Edward, confusa. Forse l’altra volta non siamo stati qui, per questo non riesco a ricordarmela.

«Fontana dell’Ovato», risponde, senza guardare la cartina. Mi osserva, l’espressione illeggibile. «Stai bene?»

Annuisco, deglutendo e tentando di sorridere per essere convincente. «È solo che… non riesco a ricordarmi questa fontana. L’abbiamo vista l’altra volta?»

Edward mi osserva in silenzio per un lungo istante, poi ritira la cartina nella tasca dei pantaloni, e mi prende per mano. «Vieni».

Mi porta sotto il portico della fontana, lontani dal sole cocente e avvolti dalla piacevole frescura dell’acqua e dell’ombra. Lo scrosciare dell’acqua è piacevole, e riesce a tranquillizzarmi un po’.

Arriviamo fino a metà del portico, dove uno scalino conduce ad un semicerchio di pietra che porta proprio sotto la fontana. I getti creano una cupola d’acqua che permette di rimanere sotto di essi senza essere bagnati e ricadono nella vasca sottostante con un lieve fragore, nascondendo la vista delle persone dall’altro lato della parete acquatica.

Seguo Edward fino a sotto la cascata, incantata da questo gioco d’acqua.

«È meraviglioso», sussurro, ancora una volta shoccata da quanto questo posto sia bello.

Le labbra di Edward si piegano in un lieve sorriso. «Sono contento che ti piaccia. Avevo paura che ricordandotene avresti trovato noioso tornarci».

«Stai scherzando, vero? Come potrebbe essere noioso un posto simile? E comunque se non mi avresti riportato forse non l’avrei nemmeno ricordato», mormoro, tentata di toccare il getto d’acqua.

Edward resta in silenzio, e mi volto a guardarlo, preoccupata. «Va tutto bene?», gli chiedo, trovandolo intento a fissarmi, con la stessa espressione indecifrabile di poco fa. Ogni volta che mi osserva in questo modo non riesco mai a capire cosa gli passa per la testa.

Annuisce lentamente. «C’è una cosa che vorrei dirti».

«Va bene…», sussurro, confusa dal suo comportamento strano. Eppure improvvisamente mi sento senza fiato. Che cosa sta succedendo?

«So che non hai ancora recuperato del tutto la memoria», inizia, nervoso, «e che quindi per te sono un estraneo sotto certi aspetti…»

«Aspetta», lo interrompo, accigliata. «Cosa stai dicendo? Un estraneo? Credi che dopo tutto quello che abbiamo condiviso io ti consideri un estraneo?»

Edward si gratta la nuca, a disagio. «Non mi sono spiegato bene…»

«Allora riprovaci», mormoro, confusa. «Come puoi pensare che con tutto quello che è successo dall’intervista ti consideri un estraneo? Credo di averti considerato tale solo quando ci siamo incontrati davanti casa mia il giorno dopo il mio incidente, e poi…»

«Poi?», mi incita, vedendo che non continuo.

«Non lo so, ho sempre avuto la sensazione di conoscerti, anche quando non ricordavo niente di te. È… strano», sussurro. «Per questo ho accettato di uscire con te il giorno prima della serata di beneficenza. Non sarei uscita con uno sconosciuto, ti pare?»

Scuoto il capo, non capendo il motivo di tirare fuori un simile argomento proprio adesso. A meno che… «C’è qualcosa che non mi hai detto? Qualcosa che hai paura che ricordi all’improvviso?», gli chiedo, in ansia.

Edward mi osserva con la fronte aggrottata. «Sì… sì, c’è una cosa che non ti ho ancora detto».

Trattengo il fiato, pronta a sentire il mondo crollarmi addosso un’altra volta, proprio come quando ho ricordato il momento in cui era con un’altra donna. «Che cosa?»

Edward fa un passo avanti, nella mia direzione, con l’espressione seria. «Sicura di volerlo sapere adesso?»

«È così terribile?», pigolo.

Lui prende una mia mano, stringendola nella sua, abbassando lo sguardo sulle nostre dita che si intrecciano fra di loro. «Potrebbe. Dipende dai punti di vista».

«Se è così terribile perché hai aspettato di essere qui a Roma? Perché non dirmela quando eravamo a casa, prima di partire?»

«In realtà», dice, con un piccolo sorriso a piegargli le labbra, «te l’ho già detto quando sono venuto a casa tua la sera che c’è stato il temporale. Solo che non mi hai sentito perché ti sei messa a urlare per colpa di un tuono».

Aggrotto le sopracciglia, perplessa. Mi sono spaventata talmente tante volte quella sera a causa del temporale che non ricordo nemmeno a quale momento si riferisce. «Allora perché poi hai aspettato così tanto? Se avevi trovato il coraggio di dirmelo quella sera potevi farlo anche dopo».

«Con tutto quello che è successo il giorno dopo quella notte non mi sembrava opportuno. E poi speravo che presto saremmo tornati qui». Le sue dita sfiorano la mia mano leggere come piume. «Speravo di poter tornare sotto questa fontana con te, nello stesso luogo dove ti ho detto questa stessa cosa tre anni fa».

I suoi occhi incontrano i miei, grandi e intensi; il verde delle iridi sembra quasi liquido grazie al riflesso dell’acqua della fontana in esse, e potrei passare ore intere ad osservarle.

Le sue labbra si schiudono, e trattengo il fiato, pronta a quello che mi deve dire.

«Ti amo», sussurra, con gli occhi fissi nei miei e la sua mano stretta intorno alla mia.

E per un istante non succede nulla. Per un istante il mondo sembra immobilizzarsi, sospeso nello spazio fra un respiro e l’altro.

Poi tutto inizia a girare, e nella mia mente si susseguono mille ricordi ed emozioni, che come un uragano mi investono, facendomi girare la testa, lasciandomi senza fiato e confusa. Tante voci diverse si sovrappongono, riportando alla memoria dialoghi spezzati, emozioni antiche e dimenticate, sorrisi e lacrime incancellabili.

 

“Stai bene?” “Credo di aver sbattuto la testa. Mi dispiace, ti ho investito. Non ti avevo visto.” “Ci credo, stavi correndo come una furia. Comunque piacere, io sono Edward.” “Isabella, ma preferisco Bella. Piacere.”

 

“Bella, lui è Edward Cullen. Mio cugino.” “Sei sua cugina?” “Vi conoscete già?” “Diciamo di sì…”

 

“Bella…? Ti andrebbe di uscire stasera?” “Noi due?” “Sì… noi due.”

 

“Fai l’amore con me, Bella.”

 

“Devi ritornare a New York…” “Sì… È meglio se rimaniamo solo amici.”

 

“Mi manchi, Edward…” “Mi manchi anche tu, Bella.”

 

“Che… che ci fai qui? Dovresti essere a New York…” “Io…credo di essermi innamorato di te.”

 

“Un viaggio in Italia?” “Perché no? Hai sempre sognato di andarci.”

 

“Ti amo.” 

 

Edward posa l’altra mano sul mio braccio, riportandomi al presente. I suoi occhi mi osservano preoccupati.

Respiro con la bocca, cercando di riprendere fiato, agitata. Trattengo a stento l’istinto di gettarmi un po’ di acqua fredda sul viso per calmarmi, tanto il mio cuore batte forte da sembrare sul punto di esplodere e il mio respiro sia accelerato.

«Stai bene?», mi domanda Edward, con la fronte aggrottata e le mani saldamente strette intorno alla mia e al mio braccio, forse timoroso che sia sul punto di svenire.

«M-Mi ami», sussurro, con gli occhi sgranati.

Sorride leggermente, la preoccupazione ancora negli occhi. «È così difficile da credere?»

Scuoto il capo, in segno di diniego. No, non è difficile. Credo che il fatto che solo la settimana scorsa abbia attraversato gli Stati Uniti per venirmi a cercare sia una dichiarazione. «Me l’hai detto qui la prima volta, vero? Sotto questa cascata», mormoro, ricordando quel giorno come se fosse ieri. È stato uno dei giorni più belli di tutta la mia vita, e adesso so di poterlo dire senza alcuna esitazione. «Me lo ricordo», realizzo solo ora. «Ricordo tutto quanto ora».

Le sopracciglia di Edward si inarcano, e un’espressione a metà fra lo stupito e il confuso appare sul suo viso. «Ricordi cosa? Il viaggio?»

«Non solo», rispondo, mentre le mie labbra si piegano involontariamente in un sorriso emozionato. «Ricordo tutto quello che è successo da quando ci siamo conosciuti, Edward. Ho recuperato tutta la memoria!»

I suoi occhi si sgranano, e in un attimo le sue braccia avvolgono la mia vita, stringendomi a lui e sollevandomi da terra. Allaccio le braccia intorno al suo collo, soffocando la mia risata improvvisa nell’incavo del suo collo.

Ho recuperato la memoria, finalmente. Alla fine sono riuscita a farcela. E tutto grazie ad Edward.

Quando i miei piedi toccano di nuovo terra mi alzo sulle punte, premendo la mia fronte contro la sua, lasciando che i nostri respiri si mescolino e i nostri occhi si incontrino.

Nonostante abbia recuperato i ricordi mi sento la stessa persona di cinque minuti fa. Sento ancora le stesse cose, le stesse emozioni. E so che quello che provo per Edward non è mai cambiato in tutti questi anni; non è cambiato nemmeno quando ho perso la memoria, nemmeno quando ci siamo lasciati e ho creduto che mi avesse tradito. E non cambierà mai, ora lo so.

«Edward?»

«Mh?»

«Ti amo anch’io», sussurro.

E il sorriso che spunta sulle sue labbra è il più bello che abbia mai visto, e non sparisce nemmeno quando la sua bocca incontra la mia, firmando come una promessa le nostre parole.

Fine

________________________________

 La Fontana dell'Ovato

Alcune piccolissime precisazioni:

1. Non sono mai stata a Villa d'Este e Roma (shame on me >.<), quindi chiedo perdono se ho scritto qualche cretinata parlando dei giardini. Tutto quello che so l'ho appreso qua e là su internet, e spero di non aver scritto grandissime castronerie.

2. Quando Edward dice a Bella di averle già detto di amarla si riferisce a questo pezzo, preso dal capitolo 12. Tempesta:

“La sua bocca trova il mio orecchio, e il suo sussurro sfiora la pelle sensibile, facendomi fremere. «Perché è dal minuto dopo che hai lasciato casa mia il giorno prima di cadere dalle scale che voglio farlo. Perché baciarti è una delle cose più piacevoli di questo mondo. E perché, anche se adesso non lo ricordi, ti…».

Un tuono più forte degli altri mi fa sobbalzare e urlare, coprendo la voce di Edward, e facendomi aggrappare al suo corpo come se fosse una boa in mezzo a una tempesta in mare.”

Ed ecco la tanto sospirata parola 'fine'... ho impiegato esattamente 11 mesi a concludere questa fic, roba da matti O_O quindi un grazie nei vostri confronti è più che dovuto, perché se non aveste continuato a leggere e a recensire, dandomi la spinta a continuare, probabilmente non avrei mai finito la storia. Quindi GRAZIE. Sia ai lettori silenziosi (che a quanto pare sono parecchi *__*), sia - e soprattutto - a coloro che hanno recensito i capitoli. Grazie anche per aver aggiunto la storia alle preferite, seguite e ricordate.

Grazie, grazie, grazie :*******

   
 
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