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Autore: HuskyGentile    28/01/2012    5 recensioni
“Holmes, è un piacere rivederla, vecchia volpe!” dissi, rompendo quel silenzio che aveva già detto tutto quello che dovevamo dirci come non saremmo mai stati capaci di fare con le parole.
“Anche per me Watson, anche per me” rispose con un sorriso sghembo.

Ambientata alla fine del film "Sherlock Holmes Gioco di Ombre", tiene conto del racconto di Arthur Conan Doyle "L'ultima avventura" e "Il racconto della casa vuota". Un tentativo di conciliare la versione cinematografica e con il Canone di Doyle.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5.

Sogno di una notte di mezza estate

 

“Solo un bicchiere e poi vado a casa, d’accordo?” avevo esordito mentre Holmes tirava fuori bottiglie di vino, whisky, formaldeide e qualunque altra cosa che secondo lui fosse anche solo lontanamente bevibile.

Un paio d’ore e parecchie bottiglie dopo, eravamo sprofondati nelle rispettiva poltrone, a rinvangare gli anni vissuti insieme con una nostalgia che solo l’alcool sapeva dare. Guardai il rispettabile detective, che non appariva più tanto rispettabile al momento: il braccio mollemente abbandonato sul bracciolo, il bicchiere ricolmo pericolosamente inclinato, la camicia fuori dai pantaloni e slacciata per il caldo estivo e per le vampate dell’alcool, le parole impastate per il troppo bere e per il fumo di pipa in cui eravamo immersi. Mi bastò incrociare il suo sguardo per capire che pensava le stesse cose di me. Tentai di recuperare un po’ di dignità allacciandomi la camicia (e sbagliando l’ordine dei bottoni).

L’ultimo barlume di razionalità mi stava dicendo di andare a casa, finché ancora mi reggevo in piedi, ma, come spesso accade quando si è ubriachi, la ragione è l’unica cosa che non si ascolta: si ascoltano invece gli istinti, le pulsioni represse che bramano di uscire. E mentre gli ultimi sprazzi di ragione andavano a farsi benedire, diedi retta ai miei istinti e aprii il vaso di Pandora.

“Lei non può vivere senza di me, Holmes.”

Il mio amico mi diede appena un’occhiata sarcastica, prima di rispondere: “O forse, è lei che non può vivere senza di me, Watson.”

“Eppure, nonostante la sua scomparsa, mi pare di essermela cavata bene in questi tre anni. Lo stesso non può dirsi di lei: sono vedovo da appena cinque minuti e mi salta già addosso implorandomi di tornare a fare coppia fissa.”

Stavo esagerando, e lo sapevo. Era un discorso volutamente malizioso, insinuante come la lingua di un serpente. Ma volevo stuzzicarlo, vedere fino a che punto gli ero mancato. Volevo fargli provare un po’ del dolore che aveva provocato a me, fingendosi morto per tutto questo tempo.

E la risposta non si fece attendere. Spietata, fredda e crudele: “E lei doveva tenerci davvero molto a quella ragazza, per dimenticarsela in cinque minuti.”

Fu un colpo basso. Persi la testa, e benché annebbiato dai fumi dell’alcool mi alzai con uno scatto dalla poltrona e mi gettai a testa bassa contro Holmes. Fece appena in tempo a tirarsi in piedi, che lo colpii con un gancio destro, mandandolo rovinosamente a terra.

Rimasi sconvolto dal mio stesso gesto: da dove mi veniva tutta quella rabbia neanch’io lo sapevo. Mentre Holmes si rialzava, gli urlai contro la mia collera: “Non manchi di rispetto a mia moglie”. Sì, era quello il motivo della mia furia, non poteva essere altro che quello.

Holmes mi si avvicinò, in volto un’espressione risoluta: “Smetta di giocare coi sentimenti altrui, Watson, e ammetta a se stesso che non è questa la verità.”

E mi colpì al diaframma, facendomi restare senza fiato, piegato in due dalla potenza del colpo. Ma più del pugno, mi colpirono le sue parole. Perché finalmente avevo capito la verità.

La verità è che la perdita di Mary era stata sì dolorosa, ma non quanto lo era stato vedere Holmes gettarsi tra le acque e crederlo perso per sempre. Mary era una donna eccezionale, dolce e servizievole, acuta e premurosa, una moglie perfetta, una perfetta padrona di casa. La vita familiare con lei era semplicemente un quadro, compiuto e stupendo in ogni dettaglio. Ma era anche una vita statica, monotona; e Mary non era la persona che avrei voluto accanto nella vita reale, al di fuori delle mura domestiche, in mezzo all’avventura e alle sfide.

Massaggiandomi l’addome per la potenza del colpo e ancora senza fiato, replicai in un sussurro: “La verità, Holmes? Ma come, la mente deduttiva più brillante del secolo ancora non c’è arrivata?”

Feci per tirargli un pugno, ma lo parò. Continuai a colpirlo senza sosta, ma mi afferrò entrambe le braccia bloccando i miei assalti. Mi dimenai e lo spinsi indietro con la forza del mio corpo, facendolo indietreggiare finché non inciampò nella pelle di tigre stesa sul pavimento, finendoci sopra e trascinando me con lui.

La botta gli fece lasciare la presa, e ne approfittai per bloccargli i polsi con le mani. Era immobilizzato, avevo ormai vinto la lotta. Peccato che non avessi più la minima voglia di lottare.

Lo guardai negli occhi, colmi dello stesso dolore che provavo io; mio malgrado, una lacrima mi sfuggì e cadde sulla sua guancia, mentre dicevo “Lei mi ha abbandonato. Si è spinto giù da quel balcone senza pensare al dolore che mi stava dando. Holmes, lei mi ha tradito. Non glielo perdonerò mai.”

Rimasi sopra di lui, ma lasciai lentamente la presa sui polsi, offrendo libero movimento alle braccia di Holmes. Questi si passò una mano sulla guancia per asciugare la lacrima che vi avevo versato, dopodiché salì verso il mio volto e me lo accarezzò con dolcezza. Quell’insolito gesto di gentilezza mi fece vergognare del mio temperamento irruento, e abbassai lo sguardo per non incrociare il suo. Nel frattempo, la mano di Holmes era arrivata fino ai miei capelli e vi si era insinuata, prima con dolcezza, poi stringendo con maggiore forza.

Mi scappò un gemito quando la stretta, da forte e decisa che era, divenne improvvisamente dolorosa e brutale: Holmes mi stava tirando con violenza per i capelli, e mi ritrovai inevitabilmente a guardarlo negli occhi, che lampeggiavano come quelli di un felino in agguato.

Troppo tardi mi accorsi delle sue intenzioni: grazie all’arte del baritsu rovesciò le sorti dell’incontro, ed improvvisamente fui schiena a terra, il corpo di Holmes che sovrastava sul mio.

“Maledizione Holmes, mi lasci!” gridai, un poco intimorito: il detective sembrava più folle che mai, una luce di rancore inespresso trapelava dalla sua espressione quasi bestiale.

“Lei non può dirmi questo, Watson, non può! Dannazione, sa cosa ho passato a vederla sposarsi, a vederla uscire dalla mia vita, lei che mi è stato vicino come mai nessun altro ha fatto né farà mai? Perché ha sposato Mary, perché?!”

Lo disse urlando, esigendo spiegazioni, ma improvvisamente non sapevo cosa rispondergli: ero incredulo per il suo comportamento, ma la furia ebbe la meglio, e mi riscossi in pochi attimi.

“Se davvero le importava così tanto di me, perché non me lo ha detto prima che mi sposassi, idiota testone egoista bastardo?! Avrebbe dovuto combattere di più per me, invece che comportarsi come un bambino di due anni che voleva il proprio giocattolo tutto per sé.”

Mi dimenai nella sua stretta ma mi era impossibile liberarmi, quindi mi limitai a sibilargli con odio: “Sa perché ho sposato Mary? Perché con lei avrei potuto essere finalmente felice, perché lei mi amava!”

Anch’io la amavo!” urlò Sherlock Holmes con tutto il fiato che aveva in corpo.

Era l’unica risposta che non mi sarei mai aspettato. E senza pensarci, senza averlo premeditato, feci la sola cosa sensata da fare: sporsi il mio viso verso il suo, chiusi gli occhi e lo baciai con foga sulle labbra.

Lo sentii trasalire e tentare di sfuggire a quel bacio, ma ora ero io che non avevo intenzione di lasciarlo andare; l’unica cosa che riuscivo a pensare era che non dovevo in alcun modo spezzare quel legame che ci stava unendo. Per la verità il mio cervello non era del tutto funzionante e nemmeno me ne importava un granché: con le labbra calde e morbide di Holmes sulle mie, che altro poteva importarmi?

Finché Holmes finalmente non si abbandonò al bacio: sentii le sue labbra smettere di contrastarmi e cercare le mie con la stessa passione con cui io cercavo le sue.

Percepii i nostri respiri sincronizzarsi, i nostri corpi, da rigidi che erano per lo sforzo della lotta, rilassarsi; e la sua bocca, finalmente schiudersi invitante.

Un brivido mi percorse tutto il corpo, mentre la sua lingua sfiorava le mie labbra e si insinuava dolcemente nella mia bocca, e il contatto tra le nostre lingue mi elettrizzò a tal punto che mi ritrovai a mia volta a spingere con passione la mia lingua verso di lui, che, ben contento, mi lasciò esplorare quella parte si sé che non avevo mai conosciuto, mugugnando di piacere.

Quasi senza rendercene conto ci trovammo avvinghiati braccia gambe labbra lingue in un groviglio inscioglibile.

Le mie membra sembravano possedere vita propria, e mentre le mie mani s’insinuavano sotto la sua camicia e ne saggiavano i muscoli della schiena e delle spalle, la sua esplorava la pelle del mio torace, mentre l’altra era ancora immersa tra i miei capelli, che pareva non avere alcuna intenzione di lasciare andare.

Ormai i nostri baci sembravano più morsi di animali selvatici abituati ad usare le zanne, per i quali la dolcezza è una cosa sconosciuta. Ma dietro quest’apparente brutalità la realtà appariva chiara: è che ci eravamo tanto voluti, che averci adesso non ci bastava, volevamo possederci interamente, mangiarci l’un l’altro, tanto era il nostro selvaggio desiderio. La realtà era che tanto grande era il male che ci eravamo fatti a vicenda, che ogni bacio era anche un morso, un modo per espiare i nostri peccati, soffrendo e godendo, odiandoci e amandoci a un tempo solo.

A poco a poco la stanchezza prese il posto della scarica di adrenalina ed euforia che ci aveva assaliti; ci trovammo improvvisamente senza forze, ebbri ma non di vino, mentre i postumi della sbornia e della lotta cominciavano a farsi sentire. Così abbandonammo le vestigia di lupi selvatici per tornare ad essere umani. Il bacio si affievolì, le zampate ridivennero carezze, e con tenerezza le nostre labbra si separarono di qualche centimetro.

“Se questo è un sogno,” sussurrai sulle sue labbra “non svegliarmi.”

“Se vorrai,” rispose Holmes “domattina potremmo far finta che sia stato solo un sogno.”

“Guardami.” dissi con dolcezza. Mentre apriva gli occhi sussurrai “Non è un sogno.”

Mi sorrise, poi richiuse gli occhi e si addormentò, la mano ancora impigliata tra i miei capelli.

 

 

 

NOTA DELL’AUTRICE (eh sì, niente nota alla lettura stavolta… È tutto originale quindi non posso più dare la colpa ad ACD se fa schifo): finalmente sono riuscita ad andare a parare dove volevo! Spero vi sia piaciuta! In caso affermativo siete pregati di farmelo sapere (se vi è piaciuto un personaggio più dell’altro, se avete trovato che fossero IC, se vi è piaciuta una frase o una visione in particolare, se vi è piaciuto lo stile, se vi è piaciuto il finale…sono solo alcuni suggerimenti!) così da aumentare enormemente la mia gioia; se avete consigli, frasi che non vi tornano, passaggi lenti o cose così, sentitevi liberi di farmelo sapere! Una sola piccola puntualizzazione da parte mia: a volte desideriamo talmente tanto vedere realizzata una scena, che descriviamo minuziosamente ogni dettaglio (dove sta chi, cosa fa, quanti peli del naso ha, quante fibre di tessuto di tappeto pesta mentre si muove e cose così); è un errore che tendevo a fare spesso, e quindi, di contro, mi sono impegnata a farlo il meno possibile. Spero di non essere caduta nell’errore contrario, togliendo al lettore immagini che non può figurarsi da solo. Se ho trovato una buona via di mezzo, sarei contenta se mi faceste sapere anche questo.

Vi lascio per un altro giorno e mezzo, giusto il tempo di preparare l’EPILOGO!

  
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