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Autore: Medea00    30/01/2012    25 recensioni
"Headshot. Dritto in mezzo al petto. Un colpo di fulmine, a confronto, aveva l’intensità di una minuscola scossa elettrica."
Cheerio!Kurt/Nerd!Blaine. C'è bisogno di aggiungere altro?
Liberamente ispirata da un sacco di gifset che in questo periodo popolano Tumblr.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8

Awakening







“Te la sei cavata bene, Porcellana.”
Sue Sylvester stava squadrando dall’alto verso il basso il suo capitano dei Cheerios mentre quest’ultimo sembrava più interessato all’orribile colore delle tendine di quell’ufficio piuttosto che a quel discorso.
“Sono ancora dell’idea che la tua sottospecie di canto assomigli al richiamo di una sirena arenata, ma a quanto pare è piaciuto alla gente e quel giornalista da quattro soldi ti ha dedicato dieci righe nel suo articolo per la rivista locale.”
Il cheerio afferrò il giornale con nonchalance, leggendo il trafiletto con poca convinzione, occupandosi unicamente di controllare che il suo nome fosse stato ben messo in evidenza e che non ci fosse nessun riferimento a peso inopportuno, divise orripilanti, o altri inserti che si era ritrovato spesso e volentieri a commentare con ripicca. Gli piaceva pensare che fossero delle situazioni isolate dettate unicamente dalla loro immensa invidia, oppure da una grave miopia non diagnosticata. Perchè, insomma, era impossibile.
“Va bene, evita quel tuo sorrisetto. Per il momento non ti caccio fuori dai Cheerios.”
“Non lo farà – puntualizzò Kurt- perchè faccio notizia e perchè posso ancora esserle utile per la sua notorietà da insegnante buona e perfetta.”
“Esattamente.”, proferì la professoressa, ed il secondo dopo Kurt roteò gli occhi chiedendosi chi dei due presenti in quella stanza fosse il più falso.
“Ad ogni modo, non mi piace il tuo atteggiamento da ragazzina in crisi ormonale, a volte mi sembri la versione nemmeno tanto mascolina di Hannah Montana.”
“Coach – scandì lui, con sufficienza - lei porta la parrucca, io ho dei capelli fantastici. Non ci sono proprio paragoni.”
La Sylvester esitò, decidendosi se far affogare una volta per tutte quel ragazzino impertinente nella sua lacca biologica oppure ammirarlo per la sua risposta pronta.
“Vedi di darti una regolata, Hummel. Non voglio salvare le tue chiappe sode da qualche giocatore di football.”
In risposta a quelle parole, Kurt non disse niente. Sapeva benissimo che ultimamente aveva alzato il tono, sia nei suoi modi di fare che nelle frecciatine durante le lezioni; non credeva, però, che agendo in quel modo rischiasse qualche pericolo, anzi: era assolutamente certo che più riusciva nell’essere stronzo, più evitava attenzioni particolari.
Quando la coach gli ordinò di andare fuori dai piedi obbedì senza troppe cerimonie, dirigendosi velocemente verso la sua prossima lezione. Delle Cheerios lo affiancarono subito, facendogli per la millesima volta i complimenti, chiedendogli quale fosse la sua marca di shampoo e se potevano riunirsi per un pigiama-party a casa di Addison. Lui prima dovette riflettere su chi fosse realmente Addison – gli sembravano tutti uguali, quelle ragazze in divisa, con la coda e l’aria da stupida, era difficilissimo distinguerle – e poi impiegò ancora più tempo nel trovare una scusa efficiente per rifiutare l’offerta. Forse usare come scusa “mi scade lo yogurt a mezzanotte e quindi non posso proprio uscire” non era il massimo dell’efficacia, ma era a corto di munizioni pungenti per quella giornata, e poi era sicuro che non lo stessero ascoltando sul serio; infatti, non appena disse quella frase, tutte sembrarono capire profondamente rivolgendogli sguardi comprensivi.
La mente di Kurt rielaborò il tutto con un semplice commento: C.V.D, ossia, Come Volevasi Dimostrare – la tipica formula presente alla fine di ogni teorema di matematica -.
E poi, non appena lo fece, si bloccò di colpo.
Una parte di sé volle istintivamente sbattere la testa contro un armadietto vicino e, magari, chiudercisi dentro;  perché, andiamo, non lo aveva fatto. Lo aveva fatto davvero?! Aveva pensato come un nerd, si era espresso nella lingua dei Maya?!
Aveva bisogno di un lavaggio del cervello, di una lavanda gastrica a base di riviste di moda. Era tutta colpa di quella maledetta matematica, che ormai riempiva le sue lunghe giornate da due intere settimane; era sempre lì: la mattina, il pomeriggio, perfino di notte si era ritrovato a sognare gli esercizi del futuro compito, con tanto di trauma interiore e conseguente F finale. In effetti, a pensarci bene, assomigliava di più ad un incubo.
E tutto quello gli fece ricordare anche un’altra cosa, che lo rese immediatamente nervoso.
Adagiando svogliatamente la tracolla lungo il fianco diede un’ultima occhiata ai suoi capelli, dopodiché richiuse l’armadietto e si incamminò verso la prossima lezione, mentre con una mano estrasse il cellulare cominciando a digitare velocemente i tasti sul touch-screen.
 
“Allora. Oggi lezione? Finisco gli allenamenti verso le 4, possiamo andare a casa mia con la macchina. -Kurt”
 
La risposta, sorprendentemente, arrivò dopo nemmeno un minuto, e lui rimase a fissare per qualche secondo il nome apparso sullo schermo; lo stesso che si rifiutava di nominare, ma che aveva un suono molto dolce perfino nella sua immaginazione.
 
“Va bene, ti aspetterò all’entrata del parcheggio. -Blaine”
 
Si vietò tassativamente di sentirsi risollevato, ma anche se poteva negarlo a parole, di fatto continuò ad osservare il messaggio con un sorriso lampante: era qualcosa di più forte di lui; dopo quella situazione nei campi da football e quel discorso in infermeria non aveva più senso chiedersi perché non riuscisse ad essere cinico e freddo nei suoi confronti, né, tantomeno, perché trovasse così piacevole la sua compagnia. Si limitò a constatare che le cose stavano in quel modo, che quel ragazzo aveva ottenuto più fiducia di quanto fosse lecito concedergli, e, forse, anche qualcosa di più.
Il tono del suo messaggio fu in netto contrasto con la serietà dei suoi pensieri, giusto per allentare un po’ la tensione – virtuale, ma comunque presente -: “Portati del Prozac, ho la netta sensazione che sarà una lunga lezione.”
 
Sorrise tra sé e sé per la battuta – più veritiera che altro – e allo stesso tempo si sentì quasi avvilito: la data del compito si avvicinava terribilmente e ogni giorno che passava si sentiva sempre più vulnerabile; era ormai arrivato in classe, e sfoggiando una falsa convinzione andò a sedersi al suo solito posto accanto alla finestra attendendo impaziente l’arrivo di Mercedes, la schiena un po’ incurvata, la mano posata sotto al mento serrato in una smorfia.
Era ancora immerso in oscuri presentimenti quando gettò rapidamente un’occhiata alla risposta appena ricevuta, e per un attimo aggrottò le sopracciglia: erano tre lettere.
 
“Asd.“
 
Una volta che Mercedes fu arrivata osservò confusa il suo migliore amico intento a girare e fissare il cellulare tra le mani, il volto perplesso che cercava una soluzione a chissà quale enigma complesso; l’ora passò con lui che continuava a chiedersi se fosse una sottospecie di faccina, un nome in codice, oppure un acronimo per qualche agenzia di servizi segreti. Forse, aveva davvero bisogno di un traduttore.
 
 
 
La prima lezione non andò molto bene.
All'inizio Kurt si soffermò a commentare ogni singolo numero scritto da Blaine perchè non riusciva a leggere la sua calligrafia: era strana, spigolosa e un po' confusionaria, anche se in realtà trapelava un moto di eleganza. Completamente diversa da quella di Kurt, grande, tonda e minuziosa, precisa perfino nei punti esclamativi.
Kurt notò anche che Blaine era un tipo introverso; non era silenzioso, ma di certo non affrontava mai argomenti che parlassero di sé. Sembrava più disposto a conoscere ogni sfaccettatura del carattere di Kurt, osservandolo con attenzione mentre si mordeva un labbro per la concentrazione, socchiudeva i suoi occhi limpidi, gesticolava nervosamente con le mani mentre spiegava a Blaine il tipo di problema.
Discussero per mezz'ora su come risolvere la derivata di una funzione composta con radice quadrata e Kurt aveva anche la pretesa di saperla fare meglio di Blaine; quando quest'ultimo gli fece notare attraverso una dimostrazione lunga e tortuosa che la radice di x al quadrato era VALORE ASSOLUTO di x, e non soltanto x, e che non era un "dettaglio da niente" ma piuttosto il fattore che avrebbe segnato la sua fantomatica B al compito in classe, il cheerio alzò il mento all'insù ed incrociò le braccia, e si limitò a sentenziare una sola frase: "comunque io la scrivo meglio."
 
 
La seconda volta fu il giorno successivo; Blaine aveva finito in anticipo la riunione con il club e Kurt non volle domandargli del perché mai le sue mani fossero piene di vernice e la sua maglietta imbrattata leggermente di colla, ma cominciò a chiedersi che razza di club frequentasse: forse, una versione nerd di Art Attack.
Quella riflessione non fece altro che peggiorare le cose: passò più tempo a guardare Blaine piuttosto che a risolvere gli esercizi del libro; non si stancava a memorizzare ogni sfaccettatura del colore dei suoi occhi, e ad osservare il suo volto serio mentre si focalizzava su chissà quale problema. Constatò che Blaine quando era particolarmente concentrato aggrottava leggermente le sopracciglia e socchiudeva appena la bocca, come per respirare meglio; i muscoli si irrigidivano e la sua schiena si incurvava leggermente in avanti, facendo aderire completamente la sua camicia alle sue spalle. Quando l’esercizio era particolarmente complicato si concedeva un sospiro e passava una mano tra quei riccioli scuri, che avevano sempre un bell’aspetto, e sembravano incredibilmente morbidi.
Kurt si domandò quale fosse il profumo di Blaine. Ma poi quest’ultimo si era voltato verso di lui con tutto l’entusiasmo possibile, mentre dichiarava di aver trovato la soluzione tanto agognata.
Pensò che un simile cambio di espressione dovesse risultare nient’altro che disarmante; lo era, ma sotto un altro punto di vista. Se possibile, gli occhi di Blaine, una volta che incrociavano i suoi, si illuminarono ancora di più e il cuore di Kurt perse qualche battito per la strada.
Man mano che passavano le ore Kurt si trovava sempre più a suo agio con quel ragazzo che era intelligente, simpatico e che aveva appena ammesso che, anche se non la praticava direttamente, apprezzava la moda in tutte le sue forme. Evitò di specificare che aveva cominciato ad apprezzarla notando tutti i vari outfit di Kurt, di volta in volta volta sempre più sorprendenti;  l’altro ragazzo, inevitabilmente, si ritrovò a squadrare i suoi pantaloni arrotolati e le sue caviglie prive di calzini, assieme alla camicia a quadri e gli occhiali enormi, e non riuscì a trattenersi dal dire che, senza offesa, lui rappresentava l’emblema del paradosso. Ma non si era reso conto del danno che aveva causato quell’affermazione, fino a quando non lo sentì esclamare entusiasticamente: “il paradosso di Russel!”
Interdetto, lo guardò confuso, restando in attesa di spiegazioni; Blaine si gonfiò come una rana e con un sorriso sornione formulò: “se tutti coloro che non si fanno la barba da soli se la fanno fare dal barbiere, allora chi fa la barba al barbiere?”
Kurt non parlò per un'ora.
 
 
La terza volta, sotto a quel punto di vista, non andò molto meglio: tutto era cominciato da Kurt che aveva provato a fare dei panini, ma Finn prima di uscire di casa aveva smanettato con il tostapane e senza dire niente a nessuno lo aveva praticamente reso fuori uso; al posto di un paio di fette di pane croccanti, i due ragazzi ottennero una nuvola di fumo nero e il rumore sordo di un corto circuito. Non si rese conto che il solo fatto di accettare l’aiuto di Blaine senza fare alcuna obiezione e senza alcun imbarazzo per il disastro appena combinato fossero sintomi di quanto inevitabilmente si era abituato a lui ed alla sua presenza.
“E' destino che capitasse proprio a me – borbottò, mentre apriva tutte le finestre di casa aiutato da Blaine – sono sfortunato nel DNA. E’ la legge di Murphy.”
“La cosa?” Ribatté Blaine.
“La legge di Murphy. Governa le leggi della natura.”
Era troppo impegnato a cercare un ventilatore per far circolare meglio l’aria per notare il tono scettico del ragazzo mentre diceva: “Io ero abbastanza sicuro che quella fosse la scienza.”
“Ma è una scienza. Ad esempio: hai mai sentito del modo di dire che, se cade una fetta di pane e burro di arachidi, cadrà sempre dalla parte del burro? E’ matematico.”
Silenziosamente, rifletté su quelle parole per una manciata di secondi, il tempo necessario a Kurt per far tornare la cucina ad uno stato pressoché normale. Fu solo quando si voltò verso di lui per complimentarsi del suo ben riuscito intervento da vigile del fuoco che si accorse del suo sguardo serio e concentrato, intento ad analizzare minuziosamente qualcosa.
“In verità, credo che ci sia una spiegazione fisica a quello. Il burro di arachidi è più pesante e quindi rallenta l'accelerazione centripeta del toast che, presumendo che cada dall'altezza media di 1.70 mt, non fa in tempo a compiere un giro completo e quindi cade dalla parte del burro, con un mezzo giro. Se proprio vogliamo essere precisi, è soltanto una questione di altezza.”
I due ragazzi si fissarono in silenzio.
“Sono comunque sfigato.”
L’altro ridacchiò, stringendosi nelle spalle e mormorando “Ok, d'accordo”. Dentro di sé pensò che fosse il ragazzo più cocciuto che avesse mai incontrato; pensò anche che fosse molto, molto adorabile.
 
 
 
Era la quarta lezione, capitata esattamente di Venerdì pomeriggio – rendendo il tutto ancora più deprimente di quanto non fosse già -, e Kurt e Blaine avevano passato le precedenti tre ore e mezza tra funzioni matrici ed integrali. Dopo l’ennesimo sbuffo del primo, ed un leggero sbadiglio del secondo, entrambi capirono di essere arrivati al limite e che quella tangente poteva anche concedersi un minuto di pausa.
“Basta –decretò Kurt, chiudendo il libro con un tonfo secco e rivolgendosi deciso al suo compagno di studi -usciamo.”
Blaine lo guardò di rimando, inarcando un sopracciglio: “usciamo?”
“Sì, usciamo, prendiamoci una pausa, respiriamo un po’. Non ne posso più di stare seduto davanti a questo libro.”
Allora era proprio come aveva pensato lui: Kurt gli stava davvero proponendo di andare fuori, farsi vedere dal mondo intero, loro due, insieme. E la cosa non sembrava preoccuparlo per niente. Forse non ci aveva riflettuto bene, oppure, forse, era troppo stanco perfino per riflettere. Ad ogni modo, non si preoccupò di sottolineare quei dettagli a Kurt, si limitò a sorridere annuendo con un cenno della testa.
“Dove vuoi andare?”
Soddisfatto della domanda, si alzò velocemente in piedi e andò a prendere i cappotti di entrambi: “nell’unico posto decente di questa città: il Lima Bean.”
“E’ il mio posto preferito.”
Kurt si voltò verso di lui, con le chiavi della macchina in una mano e la sciarpa nell’altra.
“Sul serio?”
“Sul serio.”
“Anche per me.”
“Cosa?”
“E’ anche il mio posto preferito.”
Si fissarono, uno più stupito dell’altro. Beh, quello era interessante.
 
 
 
Il bar, come sospettato da Kurt, era praticamente vuoto; l’unica eccezione consisteva in qualche studente universitario che spulciava il proprio computer e una coppia di vecchietti che si godeva un sano e caldo caffè. Non c’era mai nessuno di Venerdì sera, o almeno, nessuno che potesse riconoscerlo e cominciare a fare fastidiose domande. Non che si vergognasse di stare con Blaine; era solo che, sarebbe stato troppo complicato da spiegare. Era solo che si trovava tanto bene con Blaine, fuori dalle mura di quella scuola in cui era costretto a fingere per andare avanti, e non voleva che finisse tutto quanto; anzi, voleva continuare. Era bello sedersi assieme a Blaine ad un tavolino appartato nel retro della caffetteria, osservandolo riferire la propria ordinazione alla cameriera senza bisogno di controllare il menù: era proprio vero, allora, era davvero il suo posto preferito. Lo intuì anche da come sembrava conoscere ogni centimetro di quel posto e dal sorriso gentile che gli aveva appena rivolto la ragazza del bar. Aspettarono le loro ordinazioni rilassandosi nei loro divanetti, uno di fronte all’altro, e lasciandosi cullare da una piacevole musica di sottofondo. C’era silenzio, tra di loro, ma non del vero imbarazzo: non c’era bisogno di dire qualcosa, o risultare di compagni; in quei quattro giorni avevano passato così tanto tempo insieme, tra polemiche, smentite su assurde teorie e risate sommesse, che ormai la presenza dell’altro era diventata quasi scontata; Kurt si sentiva a suo agio. Perché Blaine era sempre gentile ed interessante, in qualsiasi situazione si trovasse, ed era una bella sensazione: rilassarsi, bere un caldo caffè in compagnia di Blaine. Pensò che dovessero farlo più spesso; pensò che non sarebbe stato male uscire di nuovo, senza matematica o scuola, soltanto lui e il suo… conoscente. Amico? Compagno di studi.
Alla fine il primo a rompere il silenzio dopo qualche sorso di caffè ed un sonoro sbuffo fu Kurt: “Non ce la farò mai a prendere quella B in matematica.”
Blaine appoggiò delicatamente il suo caffè medio, intrecciando le mani sulle ginocchia: “abbiamo ancora una settimana e mezzo, e poi non stai andando male. Non guardarmi così, dico sul serio: sei migliorato.”
“Certo. Adesso so distinguere una x da una y. Bel progresso.”
Il moro ridacchiò, ma subito dopo la sua espressione mutò velocemente in un sorriso: “Non ti sottovalutare, sei in gamba. Ce la farai.”
Lo diceva come se ne fosse assolutamente convinto, e Kurt si sentì profondamente riconoscente. Quel ragazzo credeva in lui, nonostante tutto; era bello sentirselo dire.
“Ti avrò rovinato chissà quale fantastica serata – mormorò, sviando lo sguardo verso il latte macchiato -, mi dispiace.”
“Non ti preoccupare. Tanto, per stasera non avevo niente in programma.”
Sentendo ciò, non riuscì a trattenersi dal rialzare gli occhi e puntarli sui suoi: “ti mancava la voglia, oppure la compagnia?”
Si rese conto troppo tardi che quella frase, detta in quel modo, potesse sembrare piuttosto ambigua: non intendeva una compagnia strettamente maschile, ma quello non era un tentativo implicito di scoprire se avesse un ragazzo, e si sentì un idiota perché sicuramente Blaine aveva frainteso, e adesso infatti sembrava cercare una risposta plausibile per allentare tutto il loro crescente imbarazzo.
“Non-non volevo intendere quello che ho detto, voglio dire, quella frase mi è uscita male, non volevo dire che tu- cioè, non ci sarebbe nulla di male, ma non sei obbligato a rispondermi, anzi, non devi farlo, io sono un idiota e tu-“
“Kurt, Kurt, frena, rilassati.”
Per un millisecondo gli venne la malsana idea di afferrarlo per le braccia e stringerlo finché non si fosse del tutto calmato, perché sembrava così imbarazzato per una cosa così piccola, ed era completamente diverso dal Kurt che si aggirava ogni mattina con aria fiera lungo i polverosi corridoi del McKinley. Il Kurt che Blaine aveva di fronte era introverso, timido e gentile, con dei brillanti occhi blu – o grigi, o forse anche un po’ verdi – e un sorriso che desiderava soltanto di uscire allo scoperto.
“Non avevo programmi perché alcuni miei amici escono con le loro ragazze e altri se ne stavano chiusi in casa a giocare ad Halo 3. Niente di imperdibile, insomma.”
Oh, ok.
Quindi, Blaine non aveva un ragazzo. Perché, insomma, se lo avesse avuto, di certo non avrebbe potuto bere un caffè di Venerdì sera con un ragazzo con cui passava la stragrande maggioranza del giorno e che, oltretutto, era gay. E quindi Blaine era gay ed era single; ma Kurt pensò immediatamente che se fosse stato etero ed impegnato non sarebbe cambiato nulla; erano dei dettagli di lui che non gli interessavano. Per niente.
“Quindi… giochi spesso ad Hello 3 di Venerdì sera?”
Blaine si domandò se avesse storpiato quel nome intenzionalmente oppure non se ne fosse nemmeno reso conto; per educazione, sorvolò e si limitò a rispondere: “diciamo di sì. Mi piace passare serate tranquille con gli amici, e poi, non è che ci sia molto altro da fare nei paraggi.”
“Già –commentò, con una smorfia - che strazio, vero?”
“Il popolarissimo Kurt Hummel…annoiato?”
In risposta, gli rivolse un’occhiata scettica, allontanando con nonchalance la tazza di caffè.
“Diciamo solo che anche io mi sono ritrovato con tanti Venerdì liberi, perché tutti quanti puntualmente vanno a ballare in qualche discoteca chissà dove.”
“Non ti piace la discoteca?”
Kurt si stupì del tono con cui Blaine aveva pronunciato quella domanda, come se fosse una cosa assurda e fuori dal normale.
“No.” Disse, con tranquillità. “Beh, mi piace, ma preferisco altri tipi di serate.”
“Del tipo?”
Di nuovo, gli sembrò allibito ed estremamente incuriosito allo stesso tempo. Kurt non era sicuro di voler condividere quelle informazioni con lui, ma, d’altro canto, voleva farlo.
“La mia serata perfetta è una cosa privata e top secret. Non vorrei che tutti quanti mi fregassero l’idea.”
Blaine gli rivolse un’occhiata complice, sorridendo.
“Penso la stessa cosa della mia.”
“Frena frena frena: mi stai dicendo che ritieni la tua serata perfetta meglio della mia?”
“Non so. Può darsi. Probabilmente.”
Da un lato voleva spiattellargli in faccia tutta la verità e rivendicare la superiorità della sua serata; dall’altro, però, si sentiva incredibilmente allettato dall’idea di conoscere che tipo di idea avesse in mente, vivere una giornata come farebbe Blaine.
Perché quel ragazzo adesso assomigliava sempre di più a ciò che aveva sempre desiderato chiamare amico, e tutto quello stava diventando sempre più appassionante.
“Facciamo una scommessa?”
Blaine restò in ascolto, osservandolo intensamente da dietro la sua tazza di caffè.
“Tu provi la mia serata e io provo la tua, e vediamo qual è la migliore delle due.”
Sembrò valutare attentamente quella frase, concedendosi qualche secondo di pausa per incrementare la suspense. Kurt intanto si stava quasi crogiolando nella curiosità e per poco non sobbalzò quando sentì Blaine affermare: “Va bene. Ma non ti dirò il mio tipo di serata, devi venire con me e viverla direttamente.”
Lo aveva preso in contropiede; ma per quanto volesse mostrarsi indispettito si sentiva soltanto felice ed entusiasta. Preferì ignorare una vocina dentro la sua testa che si stava domandando il perché di quel sorriso ampio e raggiante.
“Allora non ti dirò nemmeno la mia”, dichiarò.
“Va bene, non importa. Mi piacciono le sorprese.”
Continuarono a guardarsi, le loro espressioni sempre più divertite.
“Chi vince paga all’altro il caffè per una settimana?”
“Ti concedo il vantaggio di iniziare per primo.”
“Sei così sicuro di vincere, Kurt?”
“Il caffè lo prendo macchiato, con molto zucchero.”
Il sorriso di Blaine si allungò e si adagiò allo schienale della poltrona, non distogliendo lo sguardo dall’altro ragazzo nemmeno per un secondo.
“Va bene.”
Pagarono i rispettivi caffè, si salutarono con un cenno e qualche parola e alla fine ognuno si diresse a casa propria, Kurt con la sua macchina e Blaine incamminandosi in una lunga e rilassante passeggiata. (*)
 
 
 
Kurt aveva appena finito di mangiare quando sentì la tasca dei suoi jeans vibrare freneticamente, avvisandolo di un nuovo messaggio in arrivo:
“Se sei libero domani, ti passo a prendere verso le sei e mezza. Fammi sapere – Blaine”
 Aveva un impegno con le Cheerios: c’era la classica festa alcolica a casa di chissà quale ragazza, e in quel momento l’idea di quella serata non poteva sembrargli meno allettante. Avrebbe detto a Mercedes di sentirsi poco bene, e lei avrebbe riferito la stessa cosa a tutte le altre.
 
“Mi devo vestire bene? –Kurt”
Blaine non riuscì ad evitare di sorridere e appoggiò il joystick della playstation 3 per concentrarsi unicamente sul suo cellulare. Una parte di sé voleva rispondergli sì anche solo per vedere che cosa intendesse Kurt con vestirsi bene. Riusciva solo ad immaginarlo, e quello che immaginava era abbastanza sensazionale. Ad ogni modo gli disse di vestirsi in modo tranquillo, perché il posto in cui sarebbero andati non era frequentato da gente molto elegante.
Kurt, leggendo il messaggio, scartò automaticamente una dozzina di idee che aveva stilato prima di cena e gli rimasero ben poche opzioni da valutare: il cinema, il centro commerciale oppure una sagra di campagna.
Sorrise: era ovvio, sicuramente lo avrebbe portato al cinema a vedere un thriller, oppure, uno di quei adattamenti dei fumetti americani con quei supereroi che indossavano tute al limite del ridicolo. Qualcuno avrebbe dovuto dire all’inventore di Superman che le mutande sopra ai pantaloni sono l’apice dell’orrido. Scrisse velocemente il testo di risposta prima che Burt lo chiamasse per la centesima volta chiedendogli perché diavolo si fosse rotto il tostapane.
 
“Va bene. Ci vediamo domani allora, adesso vado. Buonanotte.”
 
“Ok – scrisse Blaine -BB. GL e HF.”
 
Sospirò, scrivendo velocemente un altro messaggio.
 
“Blaine?”
 
“Sì?”
 
“Inglese, per favore.”
 
“Asd, ok. Voglio dire, ‘ahah’. Buonanotte. “
 
 
Si ritrovò a sogghignare contro il cellulare, rileggendo più e più volte quell’ultimo messaggio. Voleva ignorare quella voglia irrefrenabile di andare a prendere i suoi quaderni di matematica solo per osservare la calligrafia di Blaine ed immaginarsi quei messaggi scritti dalla sua mano, mentre stringeva la penna in modo gentile e rilassato; si immaginò quelle dita affusolate sfiorare le sue accarezzandogli dolcemente la pelle fredda, e poi, scrollò la testa e scacciò via tutte le fantasie: aveva intenzione di andare a letto senza nessun tipo di pensieri. Però, prima di riuscire ad addormentarsi, continuò a domandarsi come diavolo potesse significare ‘ahah’  quello stranissimo ‘asd’.


***

Angolo di Fra

(*) Nella mia testa Blaine abita a Lima. Altrimenti non frequenterebbe il McKinley se abitasse a Westerville con una comodissima Dalton Accademy, no?

Voglio soltanto scusarmi per aver aggiornato esattamente dopo una settimana. Sono imperdonabile.
Ad ogni modo se sono riuscita a pubblicare ora e non mercoledì è solo merito della mia coinquilina, che è riuscita a prendere il capitolo dal portatile ed inviarmelo per posta. E' stato imbarazzante quando mi ha chiesto "ma cos'è una storia? Posso leggere?" e io immediatamente "NO! E' un saggio...cioè...una cosa di una ragazza che non conosci e...boh, cioè, lascia stare." Ahahah! Grazie conqui!
Grazie ancora a chi mi legge e mi recensisce!
Un bacione

Fra

   
 
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