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Autore: whatashame    30/01/2012    0 recensioni
Liam ha 16 anni, un padre nei Conservatori e molti più soldi in tasca di quanti lui e Matt possano spenderne sabato sera. Ashley McKenzie invece è la figlia perfetta della famiglia perfetta e sogna soltanto la nuova baguette di Fendi. Esteban Robledo Ramos mastica poco l'inglese, sua madre è l'ennesima cameriera di casa McKenzie e sente forte la mancanza del padre. Cos'avranno mai in comune con l'occhialuta Charleen, e la tanto chiacchierata SaSh dal passato ambiguo? La quarta B e molti più problemi di quanto appaia.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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St Mary's College



capitolo 6



Don't stop me now






Le luci basse e lo stereo che suonava le note di un vecchio successo anni '60, un ritmo orecchiabile e già sentito. Persino troppe volte.

Alcuni invitati ballavano timidamente al centro della grossa stanza che di solito fungeva da refettorio, mentre una coppia più temeraria delle altre si esibiva nell'imitazione malriuscita di Fred e Ginger, travolgendo i vicini nei propri incauti volteggi. Gli altri si radunavano in piccoli manipoli e gruppetti ciarlieri, e all'esterno Phil correva libero, rischiando di far inciampare qualche vecchietto.

I volontari avevano portato via le panche basse e spostato i tavoli contro le pareti facendo spazio nel mezzo, mentre sulle tovaglie colorate tartine variopinte e cocktail fruttati venivano presi d'assalto.

Loiuse si godeva i complimenti per tutti quegli anni di sacrifici e le sue guance erano di un delizioso color ciliegia, Tim e Alec cercavano di scucire a potenziali finanziatori promesse di donazioni e Alì stava come un falco a controllare che tutti assaggiassero le delizie che aveva preparato con le sue mani.

Liam, pigramente appoggiate con le spalle contro il muro, si godeva in prima fila lo spettacolo dei degustatori che fuggivano a gambe levate verso il bagno dopo un incontro ravvicinato con la sua torta killer rafano & datteri. Un accostamento micidiale.

Per quell'occasione aveva avuto il permesso di indossare quel che più gli piaceva e quello, insieme al fatto che il 13 settembre fosse l'ultimo giorno di condanna, era decisamente un evento da festeggiare. Aveva quindi optato per un paio di jeans - che di economico non avevano nemmeno la cerniera lampo - e una camicia bianca, che risaltavano le spalle ed il fisico magro ma atletico. Peccato che in quella folla di sconosciuti non riuscisse a scovare Mary da nessuna parte.





***




- Ti prego, ti prego, ti prego – scongiurò di nuovo Charleen – Non truccarmi come un semaforo vestito a festa! – implorò sua madre, che per la terza volta cercava di avvicinarsi con l'applicatore del mascara.

-Ho capito Charlie, ora però sta ferma!- le intimò SaSh mezzo esasperata e mezzo divertita.

Aveva finito le riprese un po' più tardi del solito e quando era tornata a casa l'aveva trovata sottosopra, sconquassata dall'uragano Katrina.

Parecchi vestiti erano stati tolti dal suo armadio e da quello della figlia e stavano ammonticchiati sui letti o pendevano dalla balaustra delle scale. Scarpe di vari modelli e colori erano state tirate fuori dalle scatole e lasciate sul pavimento, mentre un cimitero di forcine, fermagli per capelli e bigiotteria assortita giaceva sul ripiano del bagno, travolto dalla furia degli elementi. Charleen invece era davanti allo specchio e cercava di darsi fuoco ai capelli, a giudicare da quanto accanimento metteva nel ripassare la piastra per capelli più volte sulla stessa ciocca.


A giudicare dal numero di fazzolettini sparsi sul pavimento e dall'occhio destro con ben due centimetri di nero sulla palpebra, sua figlia aveva tentato anche di truccarsi - e di struccarsi - senza troppi risultati.


SaSh le tolse il ferro caldo dalle mani - per evitare che a quindici anni restasse precocemente calva - e facendole notare che i capelli erano già sufficientemente lisci, andò a ripescare qualche salvietta struccante e la trousse con i colori più tenui che avesse.


Esaminò con occhio critico il vestito un po' retrò che Charleen aveva scelto e i saldali bassi ai suoi piedi, e dopo averle dato la sua approvazione si premurò di andarle a nascondere gli occhiali in fondo ad un cassetto: sua figlia era cieca come una talpa, ma in casa avevano una nutrita collezione di lenti a contatto ancora sigillate. Finalmente era giunto il momento di usarle.

Dopo averle prestato una delle sue collane, SaSh si era offerta di truccarla un po'. Difficilmente riusciva a rendersi utile ad una divoratrice di libri con la passione per i Grandi Problemi del Mondo, considerò, ma almeno quello poteva farlo.


Nonostante avesse fatto tutte quelle storie per un po' di ombretto ed un tratto di matita nera, Charleen stava davvero benissimo. L'abitino era un po' vuoto sul davanti (SaSh si appuntò mentalmente di regalarle un push-up alla prima occasione) ma per il resto era molto graziosa, non troppo elegante ma decisamente carina.


L'accompagnò fino alla mensa a piedi ed estorcendole la promessa di non fare la strada di ritorno da sola, la salutò senza preoccuparsi di darle un orario per il coprifuoco. SaSh non era mai stata molto incline alle regole e cercava di imporne il meno possibile, anche perché Charleen se ne imponeva abbastanza da sola; sua figlia poi, le poche volte che usciva di sera, rincasava sempre prestissimo e per qualsiasi problema le mandava un messaggio sul cellulare. Sospirò tirando fuori le chiavi dalla borsa: a volte la genetica aveva un bizzarro senso dell'umorismo.




Col cuore in gola ed un'inspiegabile ansia, Charleen si presentò alla festa ormai iniziata da un pezzo.

Liam, elegante e bellissimo nella sua camicia leggera, stava appoggiato contro la parete, con un bicchiere stretto in una mano e l'altra abbandonata mollemente su un fianco. Avvicinandosi notò che si guardava freneticamente intorno.


Cercherà me? Si chiese lusingata da quel pensiero.


Poi finalmente lui la vide, dall'altro lato della sala e sopra la calca dei ballerini. Le scoccò un'occhiata ammirata e le rivolse il sorriso più bello che avesse mai visto.




***



- Posso entrare? - chiese sua madre bussando alla porta.


Poteva davvero vietarglielo?, si chiese Esteban considerando che quello dove lui ed Eva dormivano in realtà era il salotto di casa e loro due si limitavano ad aprirvi due lettini pieghevoli la sera e a farli sparire nel ripostiglio la mattina dopo.


- No, non puoi. - sibilò alla porta chiusa.


Catalina, pallida e con le occhiaie, entrò comunque.

Sua madre lavorava come un mulo e, anche se il trasferimento aveva portato notevoli miglioramenti alle loro vite, avevano una casa minuscola con solo due stanze per dormire ed un bagno da dividere in quattro. Le scale del palazzo puzzavano di piscio di gatto ma l'appartamento che avevano preso in affitto, per quanto semplice e spoglio, era arredata con grazia ed il frigo rigurgitava di cose buone. Fernanda si era iscritta di nuovo all'università e le avevano addirittura riconosciuto qualche esame. Certo, prima studiava per diventare medico mentre adesso non poteva aspirare a niente di più di un onesto lavoro da infermiera, ma era comunque meglio che arrabattarsi fra mille lavoretti saltuari per tutta la vita.

Guardò sua madre che si accomodava sulla poltrona di fronte a lui e si chiese se sarebbero sempre stati destinati ad accontentarsi degli avanzi che la vita offriva, o se quelli come loro avrebbero mai potuto permettersi il lusso di sognare.


- Esteban - esordì sua madre con voce bassa e stanca.

- NON. DIFENDERLO!!! - sbraitò lui interrompendola e gridandole addosso.

- Non lo stavo...- provò a ribattere ragionevole la donna.

- Oh sì che lo stavi facendo. Lo fai sempre! - la rimbeccò lui.

La madre lo fissò con un cipiglio severo, esausta ma perfettamente controllata.

- Ok, scusa. Parla - soffiò il ragazzo mentre sentiva quel vortice di rabbia repressa che lo aveva tenuto in piedi abbandonarlo come una vela a cui manca improvvisamente il vento.


- Non ti dirò che non sono arrabbiata con tuo padre. Sarebbe una bugia. Però non ti dirò nemmeno che se abbiamo divorziato tre anni fa è stato solo per colpa sua. - dichiarò passandosi una mano fra i capelli - Ognuno di noi due aveva le sue colpa e le sue responsabilità, ma sei grande e sono sicura che questa cose le capisci benissimo da solo. Quello che volevo chiederti è perché hai strappato la lettera. Volevo farlo ieri ma stavi già dormendo quando sono tornata o oggi... beh, non volevo farlo davanti ad Eva. -

Esteban la fissò scettico, chiedendosi se davvero sua madre non capisse un motivo tanto palese.

- No aspetta, non volevo dire che non capisco perché lo hai fatto. - disse leggendogli sul viso quello che aveva dentro - Quello che volevo sapere è perché non riesci ad accettare che le tue sorelle potrebbero non essere d'accordo con la tua scelta -.

- Perché quel vigliacco dici ha abbandonati tutti. Ci ha traditi... -


Catalina sospirò forte, cercando da qualche parte dentro di sé la forza per ribattere, per fare la cosa giusta, per non lasciare che fosse quel groviglio di emozioni disordinate che le stringeva lo stomaco ogni volta che nominavano il suo ex-marito a parlare al suo posto. Non ci riuscì.

Si alzò dalla poltrona e in pochi passi guadagnò la porta. Prima di varcala parlò di nuovo, con voce bassa ma ferma, rivolgendogli le spalle.

- Non ti ho mai detto cosa fare Esteban, anche se sai benissimo che penso dovresti dare a tuo padre almeno la possibilità di scusarsi. Una cosa te la chiedo però: devi lasciare ad Eva la possibilità di scegliere da sola, come io sto facendo con te. Fer è grande e decide con la sua testa, ma Eva ha solo dodici anni e prende come oro colato tutto quello che esce dalla tua bocca. -

- Ma non è vero! - sua madre l'aveva decisamente sparata grossa - Se non fa altro che darmi dell'imbecille... -

- E' una cosa bellissima – proseguì sua madre senza mostrare di aver ascoltato una parola - Ma essere oggetto di una fiducia del genere, incondizionata e totale, richiede tanta responsabilità. - dichiarò mentre lasciava il figlio a riflettere da solo.




***




Era sorprendente quanto, con un aspetto ridicolo e lo sguardo sprezzante dei volontari della mensa puntati addosso, Liam si fosse trovato perfettamente a suo agio a chiacchierare con Mary. Adesso, nella penombra di luci smorzate e nessuno che lo stesse guardando, Liam era a corto di parole e aveva la gola secca.

Charleen sorrideva imbarazzata, attorcigliandosi nervosamente una ciocca di capelli fra le dita.

Se ne stavano impalati a bordo pista, accanto ad un tavolo con le bevande. Tanto per fare qualcosa ed interrompere quell'imbarazzante silenzio, Liam versò un cocktail rosato in un bicchiere di plastica e l'offrì a Mary. La ragazza tese la mano e mentre si avvicinava per prenderlo, Liam sentì i suoi lunghissimi capelli sfiorargli il braccio ed il profumo delicato di Mary che gli invadeva le narici. Acutamente consapevole di quell'intima vicinanza, Charleen afferrò il bicchiere fra le dita, e le loro mani si sfiorarono per un secondo.

Una scossa elettrica la percorse tutta, dalle loro mani unite fino al cervello, mentre un brivido le saliva lungo la schiena facendola staccare di colpo.

Si sentiva strana, donna e bambina e ribelle ed emozionata come mai prima di quel momento. Portò il liquido alle labbra e lasciò che il sapore fruttato e fresco degli ultimi giorni d'estate le scendesse lungo la gola, e poi più in basso ancora.

La bevanda era ghiacciata sulla lingua e quel freddo inaspettato, unito a quello della brusca separazione, restituì ad entrambi un po' di lucidità.


- Vuoi ballare? - chiese Liam, un sussurro caldo contro il suo orecchio.

- Come scusa? Non ho capito!- gli urlò Charleen che con la musica ad alto volume non aveva afferrato bene.


Fantastico, doveva anche ripeterlo... come se dirlo una volta non fosse stato sufficientemente imbarazzante.


- Vuoi ballare? - domandò con voce più ferma.

Questa volta lei doveva averlo sentito, visto che arrossì e distolse lo sguardo.


Bella figura. Per la prima volta in vita sua un ragazzo la invitava a ballare e lei gli chiedeva di ripetere, come una perfetta deficiente.


- Non so ballare – rispose piano. Ed era vero.

- Oh... – fece lui.

Oh..., ma che razza di risposta è? Liam sei un cretino, si rimproverò da solo.


- Allora ti va di fare un giro? - propose di nuovo.


La ragazza annuì sollevata, lo sguardo puntato sul bicchiere vuoto che artigliava ancora fra le dita. Probabilmente era più in imbarazzo di lui. Quella sua timidezza ingenua, la ritrosia candida di un uccellino selvatico, lo fece sorridere e gli trasmise uno strano senso di calore. Con rinnovata sicurezza, pensando distrattamente che di solito ne sfoggiava persino troppa mentre adesso sentiva le gambe di gelatina, Liam la precedette di un paio di passi e poi si voltò per controllare che lo stesse seguendo.

Charleen cercò di stargli dietro, ma i ballerini erano aumentati ed era difficile farsi largo tra la calca. Vide Liam fermarsi per aspettarla e poi sentì la sua mano grande e calda posarsi delicatamente alla base della sua schiena per guidala fra la folla, attento che nessuno potesse urtarla o farle male.


La mano era immobile sulla sua schiena, abbandonata in un gesto semplice e privo di sottintesi e ambiguità. Giaceva inerte, eppure era viva attraverso i vestiti, sulla sua pelle.


Liam aprì una porta a caso e si ritrovarono lungo il corridoio che portava alle scale. Qui la musica arrivava molto più bassa, tagliata fuori dalla porta chiusa alle loro spalle. C'erano diverse persone che come loro avevano preferito rifugiarsi in un posto più tranquillo; ospiti sconosciuti ad entrambi, finanziatori del centro, rappresentanti di quartiere ed eleganti damine di carità. Un vecchio signore coi baffi fumava appoggiato al muro ed una ragazza rideva divertita, le guance accese dal vino.

Liam continuò a camminare senza mollare Charleen nemmeno per un attimo, trascinandola lontano dalla festa, dalla folla e per un attimo da quella che era la loro realtà. La ragazza lo seguì tenendo gli occhi bassi, fiduciosa.

Arrivarono fino alla tromba delle scale e lì si fermarono ansanti.

Non si guardavano negli occhi, ma Liam non aveva ancora ritirato la sua mano.


Poi Charleen, stupendosi per prima di tanta audacia, allungò le dita per accarezzargli la mascella coi polpastrelli. Liam si girò di scatto, gli occhi nei suoi, e sembravano bruciare. Lei gli si fece ancora più vicina e si sollevò sulle punte.

L'espressione sul viso del ragazzo si incrinò, e dietro l'azzurri puro dei laghi di montagna si aprirono labirinti di specchi, scale e sottopassaggi. Ma quando la baciò era troppo buio e non si vedeva bene.


Al chiarore opalescente delle lampade al neon, a Charleen sembrò soltanto che quegli occhi bellissimi riflettessero i suoi come specchi.




***




Ashley McKenzie, una maschera di bellezza sul viso e due fette di cetriolo sugli occhi, dormiva. Il suo sonno di bellezza richiedeva almeno nove ore, se non voleva ritrovarsi il giorno dopo con due spiacevoli borse sotto gli occhi.

Ai piedi del suo letto tre valigie di Alviero Martini erano state appena chiuse degli sforzi congiunti di un paio di cameriere. Per far entrare tutto, una delle due ci si era dovuta addirittura sedere sopra, incurante dei danni che avrebbe potuto causare alle Tod's. Tutt'intorno una mezza dozzina di scatole rigurgitavano di vestiti e suppellettili varie. C'erano persino una cappelliera e un portagioie formato baule.

Il signore e la signora McKenzie, che come ogni sera erano passati a dare la buonanotte alle figlie, cercarono di non soffocare dalle risate: Ashley, prima di salire a preparare i bagagli per la scuola, aveva dichiarato solenne: - Porterò solo il nècessaire -.




***




- Non credo che tornerò spesso qui appena inizierà la scuola... - aveva mormorato Charleen nel buio, ancora sdraiata sotto le lenzuola. Voleva spiegargli che non poteva, voleva dirgli tante cose.

Forse avrebbero potuto vedersi ancora...

Accarezzò quell'idea per un istante prima di lasciarla andare via, lontano.


- Nemmeno io. - la risposta di Liam, apatica e fredda, la gelò, ricacciando indietro tutte le parole che non era riuscita a pronunciare.

Rimase ad ascoltare il silenzio il ritmo irregolare del suo respiro, sperando che parlasse ancora, la gola gonfia di frasi non dette ed una morsa dolorosa all'altezza del petto. Cercò di non dare a vedere che quella frase secca e il suo mutismo l'avevano ferita e lui non se ne accorse: tanti anni di umiliazioni e risatine crudeli erano stati insegnanti efficaci, che l'avevano resa un'attrice migliore persino di sua madre.

Si mosse appena, contro il corpo caldo del ragazzo disteso al suo fianco.

Charleen quella notte non aveva cercato una relazione e nemmeno l'amore. Era la prima ad ammettere, almeno con se stessa, che si era lasciata andare proprio perché, in fondo, non credeva che si sarebbero rivisti se non sporadicamente. Due perfetti sconosciuti in una città di milioni di abitanti, troppo imbarazzati persino per scambiarsi qualcosa di più di un saluto di cortesia. Ed era meglio così, perché uccidere il ricordo con lo squallore della realtà del giorno dopo?

Aveva avuto ciò che voleva. Questo era quello che diceva il suo cervello, ma allora perchè quel rifiuto secco faceva male come un ago sulla pelle?


Sdraiato accanto a lei, vicino e lontanissimo, Liam Pittwighs, ancora un po' spossato da tutte quelle emozioni e dal movimento, decideva di custodire per sé quel groviglio di sentimenti, di ansia e di paura che quella notte gli avevano aggrovigliato lo stomaco, i lombi e il cervello. A Matt avrebbe detto al massimo che poteva smetterla di prenderlo in giro, ma quello che era successo era troppo personale, troppo intimo per dividerlo con qualcun'altro. Non pensò che chiudendosi a riccio stava impedendo a se stesso di condividerlo persino con la ragazza che teneva stretta fra le braccia.


Felice e mezzo nudo scivolò fra le accoglienti spire del sonno, mentre Charleen, in silenzio, si alzava, raccattava i propri vestiti e lasciava la stanza, fredda e rigida, armata di nuovo della corazza che la proteggeva da tutta una vita.




***






note:

Il titolo del capitolo è, ovviamente, il famosissimo successo dei Queen.


   
 
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