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Autore: Aya_Brea    31/01/2012    7 recensioni
"La figura alta ed imponente di Gin era ferma affianco al letto della piccola scienziata, teneva le mani infilate nelle tasche dell’impermeabile ed i suoi lunghi capelli d’oro seguivano la direzione del vento. Dal suo viso imperturbabile non trapelava alcuna emozione, ombreggiato com’era, dall’argentea luce lunare. I suoi occhi verdi brillavano come quelli di un felino."
Genere: Malinconico, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Gin, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione [...]. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato?"



(Nietzsche)
 




Ai suonò ripetutamente il campanello di casa e qualche secondo più tardi il dottor Agasa comparve sulla soglia.
“Ai, che hai fatto?” Le chiese, notando che i suoi occhi erano ancora rossi e gonfi di pianto. La piccola però non rispose, si limitò ad entrare con rapidità, come se qualcuno la stesse inseguendo.
“Dottore.” Esordì poi con un tono che non ammetteva repliche, Agasa poté percepire in esso una sottile punta di amarezza. “Lei per me è stato come un padre, non finirò mai di ringraziarla per quello che ha fatto, ma credo che oggi io sia giunta ad un bivio. Devo percorrere la mia strada da sola.” Deglutì, le sembrò così difficile continuare a parlare. “E’ giunto il momento di affrontare il mio destino, ma ho bisogno di farlo da sola, ho bisogno di tempo.”
L’uomo assunse un’aria bonaria e compassionevole: era paradossale e anche buffo che quelle parole fuoriuscissero dalle labbra di una bambina. “Vuoi andartene?” Azzardò dunque, debolmente.
“Non vedo alternative. Devo farlo. Non mi chieda il perché, non mi faccia domande. Un giorno tornerò e le spiegherò tutto. Andrò a vivere da un’amica di mia sorella Akemi, mi ha chiamato poco fa e mi ha assicurato che ha un posto letto per me, che le farà piacere ospitarmi. E così ho deciso.” A quel punto, calò uno strano silenzio fra i due. Agasa non seppe che dire: non poteva fermare quella ragazza: l’apparenza avrebbe ingannato chiunque, ma egli sapeva che aveva ormai diciotto anni, ragionava come tale e avrebbe dovuto lasciarla andare, col carico delle sue responsabilità. Gli dispiaceva soltanto che se ne andasse. Quella casa senza di lei, era vuota.
“Le devo chiedere un ultimo favore, Dottore. Presto Conan sarà qui. Lei gli dica semplicemente che sto andando da questa mia amica, che avevo bisogno di restare da sola per poter pensare.”
“Ai, puoi contare su di me. Fa semplicemente attenzione. Sai che quando avrai bisogno di una mano, il Dottor Agasa sarà sempre qui.” Sorrisero entrambi. Dopotutto se lo aspettava, quella ragazzina doveva ritrovare se stessa.
“Grazie.” La piccola concluse così quella conversazione, poi salì le scale in fretta. Non c’era tempo per quei convenevoli, per i saluti. Doveva cercare di rendere quel distacco meno emotivo e sentito, così non avrebbe avuto ricadute.  Come da lei previsto il campanello prese a suonare qualche minuto più tardi, lei si assicurò semplicemente di non fare rumore, al resto avrebbe pensato Agasa. Quando finalmente sentì che la porta blindata si era richiusa nuovamente si fiondò in bagno e si chiuse la porta alle spalle. Dall’armadietto sopra al lavabo afferrò l’ultima provetta che le era rimasta. Cominciò ad osservare con minuzia il liquido denso e trasparente che ai suoi movimenti fluiva da una parte all’altra di quel contenitore in vetro. Doveva eliminare quell’antidoto e andarsene via dalla città. Sperava che l’Organizzazione non la trovasse, ma per depistarli aveva bisogno di tornare nuovamente Shiho: come avrebbe potuto, una nanerottola, girare per il mondo, prenotare una stanza d’albergo, sfuggire dalle grinfie di una banda di criminali? Si avvicinò al box doccia e aprì l’acqua. La osservava scorrere giù: e se invece quella creazione l’avesse uccisa? Cercò in tutti i modi di scacciare quei pensieri dalla sua testa, eppure razionalmente doveva considerare quel rilevante margine d’errore che accomunava qualsiasi tipo di esperimento scientifico. Errore relativo, errore percentuale, assoluto. Numeri, calcoli che nel concreto avevano perso qualsiasi significato. Quando fu sotto la doccia il getto di acqua calda la rasserenò: i suoi capelli morbidi si intrisero di acqua, il suo corpicino ricevette finalmente quel calore che le mancava. Magari fosse bastato quello, per riscaldarle il cuore. Sarebbe stato tutto più semplice. Stappò la provetta e in un gesto repentino ne ingerì il contenuto: sentì quel liquido denso bruciarle la gola e quasi immediatamente fu colta da uno spasmo indescrivibile. Un grido le si strozzò in gola, con le mani volle quasi strangolarsi, nel tentativo di reprimere quel dolore che sembrava provocato da un acido che scorreva lungo la faringe. Sarebbe morta, stava morendo, ne era certa. Cadde in ginocchio. L’acqua continuava a scorrerle addosso ma la vista le si era completamente appannata. Per un attimo giurò di aver perso completamente i sensi, ma non seppe giudicare per quanto tempo. Si ritrovò seduta contro una parete del box doccia, col respiro affannato e i battiti a mille. Quel dolore era finalmente cessato e lei era tornata nel mondo dei vivi, dopo una brevissima parentesi che non seppe ricostruire. Trasse un lungo sospiro nel tentativo di riprendere fiato, poi si alzò in piedi e chiuse l’acqua. Uscì dalla doccia e vide immediatamente la sua immagine riflessa nello specchio, offuscata dal vapore che aveva sprigionato l’acqua calda e che già cominciava a condensarsi sul vetro in microscopiche goccioline. Intravedeva le forme del suo corpo e da lì in poi, poté davvero dare un addio alla piccola Ai Haibara.
Si avvolse l’asciugamano intorno a quel corpo ritrovato e si fiondò nella sua camera, per prendere i primi vestiti larghi che le capitarono a tiro. Certo, per i pantaloni sarebbe stato un problema, così decise di indossare una vestaglietta che le andava grande. Che strana sensazione, non aver nulla da infilare in valigia. Dall’armadio di Agasa trafugò un grande giubbotto, quando l’ebbe indossato rise fra sé e sé, osservandosi allo specchio. ‘Dottore, questo lo prendo in prestito!’ Chiuse le ante e afferrò la valigetta, purtroppo per lei, mezza vuota. Non salutò, non si preoccupò di farlo, anche perché in cuor suo voleva avere la certezza che avrebbe fatto ritorno nella casa che l’aveva ospitata nel corso di tutti quei mesi. Voleva rivedere Agasa e i giovani detective, quei bimbetti petulanti ma buoni, ma più di ogni altra persona, voleva rivedere il piccolo Sherlock Holmes.
 
 

Il viaggio per raggiungere l’altro capo della città fu piuttosto stressante e lei odiava dormire in pullman. Quando scese con tutti gli altri passeggeri sentì le ossa deboli e i muscoli a pezzi, come se avesse dormito su un letto di spine. Per giunta era buio pesto e le strade completamente deserte, quindi quell’arrivo in quel luogo sperduto non corrispose sicuramente alle sue aspettative. Si armò della dovuta pazienza e si lasciò guidare da un uomo del posto presso l’hotel più vicino.
Appena arrivata di fronte a quell’albergo, notò che la struttura si ergeva imponente di fronte a lei, quasi a formare un grande ferro di cavallo: i piani erano collegati gli uni agli altri mediante un sistema di scale in ferro che le sembrò decisamente molto robusto e lungo l’edificio centrale correva un balconcino che dava sul grande giardino interno. Anche se era completamente buio, i lampioncini lungo l’entrata e quelli dislocati fra le stradicciole del punto verde le fecero comprendere che non era male, magari le camere sarebbero state anche accoglienti. Una volta alla reception dovette sbrigare le solite questioni burocratiche ma in meno di un quarto d’ora ebbe le chiavi della sua stanza. La 409 all’ultimo piano.
Shiho salì le scale, fortunatamente non aveva un peso eccessivo da trasportare ma la donna che si trovava qualche scalino sopra di lei sembrava faticare molto per portare quei due grossi bagagli che la opprimevano. La biondina si sbrigò ad accorciare la distanza che le separava e si “impose” con un sorrisetto cordiale. Dopotutto aveva bisogno di parlare con qualcuno.
“Ha bisogno di una mano?”
La donna la guardò con due occhi grandi e bluastri come due zaffiri. “Mi faresti un immenso favore.”
“Ma certo, lasci che l’aiuti. Tanto io ho questa valigetta ma non pesa nulla. Non c’è niente dentro.” Aggiunse con un sottile velo di ironia, poi aiutò quella ragazza a portare quel carico nella sua stanza, che per ironia della sorte era quella dirimpetto alla 409 e in linea d’aria distavano poco più di una quindicina di metri. Shiho entrò nella camera di quella donna e lasciò la valigia presso la porta; quando ella accese la luce un sorriso le irradiò il viso e per poco la piccola biondina non si lasciò sfuggire un mugolio di sorpresa.
“Mi chiamo Veronika, molto piacere. Sei stata troppo gentile, non so come ringraziarti.” Shiho non si accorse neanche che quella splendida ragazza dai capelli neri le tendeva la mano: scorse per qualche brevissimo istante, il volto di sua sorella. Akemi.
“Io mi chiamo Shiho. Non c’è bisogno di ringraziamenti. Sentivo di doverla aiutare.” E così, si decise a stringerle la mano. Quella sensazione di calda accoglienza non l’abbandonò.
“Non darmi del lei, siamo quasi coetanee. E poi preferisco il ‘tu.’ Queste formalità mi fanno sentire vecchia.” La ragazza dai capelli scuri si girò per poter dare una rapida occhiata alla stanza e anche se fu rapida, Shiho si rese conto che fu altrettanto meticolosa. C’era un letto ad una piazza e mezzo disposto in fondo ad essa, un armadio con tre ante e una scrivania alla loro destra. Tutti i mobili erano laccati in legno e la moquette dal colore chiaro creava un contrasto molto particolare con le tendine rossastre alla finestra. Era proprio graziosa.
“Per quello che costa, direi che è davvero carina, non trovi, Shiho?”
“Si, carina.”
“Ma dimmi, come mai sei venuta in albergo? E non hai freddo con quelle gambette scoperte?”
Effettivamente doveva aver notato la pelle d’oca e il lieve tremolio che la scuoteva tutta.
“Diciamo che è stato un viaggio di fortuna. Mi sento come un naufrago.”
“Non sarai mica scappata di casa? Su, entra pure.” E così Veronika richiuse la porta alle sue spalle ed entrambe si sedettero sul letto. Shiho cercò di ricostruire gli eventi in maniera tale da tralasciare gli incontri con Gin, l’antidoto. Gli parlò di Conan e lo descrisse come il ragazzo per cui provava un’amicizia particolare, della loro rottura. Insomma, ricreò la sua storia ed il suo passato alla luce di quel che voleva che fosse.
“Mi dispiace Shiho, spero che tu riuscirai a schiarirti le idee in fretta e che tornerai da Conan.” La bionda invece, apprese che Veronika era una studentessa universitaria e di lì a poco avrebbe dato gli ultimi esami: era ad un passo dalla laurea in Economia e sembrava particolarmente felice ed entusiasta dei suoi studi. Con un sorriso sul viso le dimostrò che il contenuto di quelle valigie era in parte dato dalla considerevole mole dei suoi libri.
“Diamine, odio l’Economia. “ Commentò Shiho mentre era intenta a sfogliarne uno. Dalle parole e dall’atteggiamento di quella donna così simile ad Akemi trasudava la voglia inesauribile di conoscere, il gioco ambiguo dell’avventura e il rinnovato coraggio nell’affrontare la vita nei suoi molteplici aspetti. Era una ragazza pronta a tutto e Shiho si sentì davvero bene nel parlare con lei, tanto che alla fine della serata entrambe si recarono al piano inferiore per bersi una bella cioccolata calda. La scienziata non si era mai sentita così serena e tranquilla come quella sera. Non era la tipa da fidarsi ciecamente delle persone, specialmente quando si scontrava per la prima volta con esse, eppure, in un modo o nell’altro, Veronika fu l’eccezione. Forse per via della straordinaria somiglianza con la sua cara sorella, Akemi, forse per la grande voglia di vivere che esprimeva ad ogni parola, ad ogni dolce sguardo. Shiho rimase a pensare a lei per tutto il tragitto che la separava dalla sua stanza e quando se la chiuse alle spalle, si sentì finalmente libera. Era così stanca che appena fu immersa nel tepore delle coperte si addormentò.
 


Il giorno seguente sentì che qualcuno bussava alla sua porta: da sotto le lenzuola si ritrovò a borbottare e a chiedere di chi si trattasse.
“Dormigliona, svegliati, sono le dieci del mattino. Ma si può sapere per quanto tempo hai intenzione di dormire?” Shiho sbuffò, ma alla fine si costrinse ad abbandonare quel materasso così morbido e si decise finalmente ad aprirle la porta, sebbene avesse ancora quella vestaglietta striminzita addosso.
“E’ ancora presto, che c’è?” Chiese lei, stropicciandosi gli occhi con le mani, con fare assonnato.
“Ti ho portato questi, pelandrona.” La ragazza mora teneva con entrambe le mani i manici di una busta di cartone. “Non siamo poi così diverse in termini di costituzione fisica.”
Shiho inarcò le sopracciglia e fu piuttosto curiosa di capire di cosa si trattasse, così la aprì di fronte a lei: dentro vi erano un paio di jeans, una maglia ed un lupetto nero. Sollevò il capo ed incrociò lo sguardo di Veronika. “Sono per me?”
“E per chi sennò, per quella dietro di te? Certo che sono per te! Non vorrai mica continuare a vivere con questa vestaglia e quel giubbotto per il resto dei tuoi giorni?” Rise.
Shiho non poteva crederci: era stata gentilissima. “Credo che tu abbia proprio ragione. Grazie.” La bionda si lasciò finalmente scappare un sorrisino. “Non dovevi.”
“Ma figurati. Andiamo a farci una passeggiata in centro, ti va?”
Shiho si strinse nelle spalle. “Dammi soltanto qualche minuto e ti raggiungo nella Hall.”
Dopo essersi data una rapida lavata uscì di corsa con quei nuovi vestiti che le aveva dato Veronika, non si era neanche curata di asciugarsi completamente i capelli. Voleva esplorare quella nuova città che non conosceva affatto, se non sulla cartina. Scese le scale e percorse un breve tratto del giardino, poi notò che la sua compagna era già sul marciapiede, fuori dal complesso dell’albergo. Quando varcò la soglia, però, il suo sguardo fu completamente rapito da una macchia nera che si stagliava al di là della strada, sullo sfondo della parte opposta, percorsa da una bellissima schiera di villini. La riconobbe. Avrebbe potuto riconoscerla d’altronde, fra mille altre automobili. Un’auto d’epoca, una Porsche Nera. E poteva essere soltanto di una persona, fra le suddette mille. Gin.
Sgranò gli occhi e si morse convulsamente il labbro: la spaventava quella sensazione che l’aveva colta d’improvviso, aveva paura che tutta quell’ansia e quella smania la potesse portare sull’orlo di una crisi di nervi. Veronika fu talmente scossa dal repentino cambio di colore che aveva assunto il suo visino che non poté far a meno di avvicinarsi. “Shiho, mio Dio, che cosa hai visto, un fantasma?” Le chiese, buttandola sull’ironia e nella speranza di farla riprendere. “Ci sei?”
La bionda annuì leggermente e fu rincuorata soltanto nel notare che dentro quella stramaledetta macchina non v’era nessuno.
“Credevo di aver perso il cellulare.” Che scusa puerile. Veronika infatti non le credette, era evidente dallo sguardo ambiguo che le stava rivolgendo.
“Sei strana. E ti vuoi prendere un malanno con quei capelli umidi.” Così, entrambe si avviarono.
La città piacque molto a Shiho ed entrambe fecero alcune compere: Veronika, attratta da alcuni vestitini eleganti, la bionda, invece, costretta dalla necessità e da quella fuga organizzata in un batter d’ali. Trascorsero l’intera giornata in giro per negozi, giardini, musei. Fu dunque un’uscita così piena e densa di avvenimenti che, seppur per qualche ora, il pensiero costante di Gin l’aveva abbandonata. Quando però le due fecero ritorno al loro albergo, notò a malincuore che quell’auto era ancora parcheggiata lì, non un centimetro più avanti, non un centimetro più indietro. Le venne il sospetto che Gin o Vodka potessero alloggiare proprio in quell’albergo. Era paradossale, quei due brutti ceffi cominciava a vederli dappertutto, ad immaginarseli. Prima o poi avrebbe cominciato ad avere anche le allucinazioni come in mezzo ad un deserto.
Controllò di nascosto i registri della Reception eppure non notò nulla di strano. Forse quell’auto era di qualcun altro. Perlomeno, lei lo sperava vivamente.
Le due ragazze si salutarono quando furono ormai giunte al piano superiore e Shiho quella notte fece una fatica immane per addormentarsi: il volto di quell’uomo le annebbiava la mente, i suoi capelli biondi le solleticavano le guance. Lo odiava.
 


I giorni seguenti volarono e le due ragazze non facevano che approfondire la loro conoscenza, anche se Veronika non aveva ancora un’idea chiara di chi fosse realmente Shiho Miyano. Non lasciava mai trapelare molto sul suo passato, le parlava soltanto di cose piuttosto banali e questo cominciò a farla davvero inquietare. Il verme del sospetto si insinuava sottopelle, lentamente.
Chi era davvero, quella timida e riservata biondina? Un alone misterioso di malinconia e nostalgia la avvolgeva ed ogni volta che i loro sguardi si incrociavano percepiva nel fondo dei suoi occhi chiari, la paura. La rabbia, l’angoscia. Perché? Non sapeva darsi una spiegazione.
Quella notte, era la terza consecutiva che le due si attardavano alla Hall per bersi qualcosa e per fare quattro chiacchiere. Frugò nella sua borsetta per trovare la chiave della sua stanza e dopodiché la inserì nella serratura. Era completamente buio, incespicò nel tentativo di accendere la luce: la luna, quella sera, non volgeva il suo volto alla terra.
Il cuore di Veronika sprofondò nel gelo, sentì una mano fredda avvolgerle la vita, l’altra le si parò contro le labbra prima che da esse potesse sfuggire un urlo.
“E’ Shiho Miyano, vero?” Una voce gelida provenire alle sue spalle si diffuse nel suo orecchio, sentiva il fiato di un uomo sul collo. “E’ Shiho Miyano quella ragazza bionda. Non è così?” Ripeté nuovamente in un sussurro. La porta si chiuse con un tonfo sordo e a giudicare dagli altri passi ovattati sulla moquette, un altro uomo, dalla corporatura più robusta di quello che la teneva, aveva fatto il suo ingresso in camera.
Veronika tremava come una foglia, era terrorizzata. “Chi siete?” Sussurrò debolmente.
“Rispondi alla mia domanda, Veronika.” Il tono di quell’uomo sembrava essersi fatto minaccioso. Dio, puzzava di fumo. E l’altro, di alcol.
“Non fare la stupida, so che hai un fidanzato pronto ad aspettarti in America e un corso di laurea ormai agli sgoccioli. Non vuoi diventare una grande economista?”
Perché quell’uomo sapeva tutte quelle informazioni? Lo ricollegò quasi istintivamente alla Porsche nera.  Le dispiaceva dover collaborare ma quando sentì la canna della pistola premere contro il fianco ebbe un tremito, un sussulto.
“E’ lei.” Deglutì amaramente, anche se ormai aveva la gola riarsa. Il tempo si stava dilatando in maniera estenuante.
“Brava. Un ultimo favore, se ci tieni alla vita.” Quell’uomo era un pezzo di ghiaccio, la stringeva sempre di più nella sua morsa.
“Domani alle dieci in punto darai un appuntamento a Shiho Miyano, in questa stanza. Al resto penseremo noi. Se farai la brava, potrai sperare di salvare te e la tua dannata carriera. Altrimenti…” Lo sentì stringere i denti. “Di’ pure addio al tuo lurido futuro.” Sussurrò con un tono sprezzante. “Intesi, signorina?”
Lei tremava ancora di più, le lacrime uscivano copiose, le bagnavano le guance. “Si, si. Ho capito. Lasciatemi ora, vi prego. Farò quello che mi chiedete ma lasciatemi.” Il suo tono supplichevole ed implorante fece schizzare i nervi di quell’uomo alle stelle, tanto che la spinse via con un gesto secco. “Buonanotte, Veronika.” L’altro uomo lo seguì ed entrambi uscirono, così rapidamente e silenziosamente come erano entrati. O meglio, come avevano fatto irruzione. Quella notte non riuscì a prendere sonno, sentiva le mani di quell’uomo sulla sua pelle. Dio. Non poteva far altro che obbedire loro.
 


Shiho fu sorpresa da quell’appuntamento che Veronika aveva fissato, eppure non si era minimamente preoccupata per le sorti della ragazza: il modo in cui gliel’aveva chiesto non aveva procurato sospetti di alcun genere in lei. Si infilò il lupetto nero e i jeans che le aveva regalato e si allacciò un paio di stivaletti simili ad un paio di anfibi, poi uscì e raggiunse, grazie al camminamento che univa le due ali della struttura, la stanza di Veronika. Bussò.
“Sono Shiho. Aprimi.”
Nessuna risposta. Provò a bussare nuovamente.
“Veronika, va tutto bene?” A quel punto, spinse la mano contro la maniglia e la porta si aprì. “Veronika?” Cercò l’interruttore della corrente e quando la luce si accese si portò istintivamente le mani contro le labbra. Le si gelò il sangue, si sentì sprofondare la terra sotto ai piedi.
Veronika giaceva al suolo, aveva due fori sulla schiena che le perforavano il petto in corrispondenza del cuore. Un lago di sangue denso si spargeva intorno alla sua figura longilinea. Gli occhi erano spalancati e le pupille rivolte al soffitto, le labbra contratte in una smorfia di dolore. Era morta. Akemi era morta per la seconda volta.
Non ebbe il tempo per pensare, sentì quell’odore del fumo di sigaretta che ormai le dava il voltastomaco. Le si contorsero le viscere ma non poté far nulla.
Si ritrovò con le spalle al muro, a sottostare nuovamente e per l’ennesima volta alla furia di Gin. Stavolta lo poté vedere bene in faccia, quei suoi occhi verdastri ricolmi di odio, imbevuti di un cinismo che le metteva i brividi in corpo.
“Io ti odio.” Proferì Shiho, le cui spalle premettero al muro sotto il peso delle mani di quell’uomo. “Perché l’hai uccisa?” La ragazza strinse i denti e i pugni con tutta la forza che le rimaneva in corpo, ora nutrita ed alimentata dal fuoco di rabbia che ardeva nel suo cuore.
Gin non poté trattenere un sorriso. “Avevamo fatto un patto, non ricordi?” Lo sguardo di lei scorse la figura di Vodka che entrava nella stanza e chiudeva la porta a chiave, abbassò le tapparelle con un gesto secco.
“Non voglio mantenere un patto con gente del tuo calibro.”
“Mia cara, non ti ho graziato del dono del libero arbitrio. O almeno, non mi sembra di averlo fatto.”
La voce di Vodka parve interrompere quel teatrino che Gin adorava costruirsi con Shiho. Ogni santa volta. “Capo, sbrigati. Non abbiamo molto tempo.”
A quel punto lo sguardo di Gin lo fulminò. Il biondo teneva fra le labbra la sigaretta, che se ne stava morbidamente appoggiata in quella fessura. “Sta zitto, idiota. Fa’ silenzio e non mi disturbare.” Borbottò. Il suo partner sospirò in segno di rassegnazione, così Gin ebbe la possibilità di tornare sulla ragazza.
“Vai all’Inferno. Entro 72 ore l’antidoto sarà completamente smaltito dal mio corpo e voi dell’Organizzazione non l’avrete vinta.” Shiho pareva essersi ripresa, accumulò forza e coraggio. Veronika era morta. Senza neanche sapere la verità. Avrebbe voluto tanto salutarla. Avrebbe voluto tanto vederla coronare il suo sogno di conseguire la laurea e di fare una splendida tesi. Avrebbe voluto riavere semplicemente sua sorella.
Lei non riuscì a trattenere l’odio ed il rancore che aveva dentro e così gli sputò in faccia. Gin indietreggiò di qualche passo e si accarezzò la guancia con una mano, ricoperta dal guanto nero.
Vide quella ragazza tentare di dirigersi verso la porta ma l’uomo dai lunghi capelli biondi le afferrò nuovamente il braccio, glielo strinse bruscamente, talmente forte che lei gemette.
“Dove vai? Non ho ancora finito.” Nell’impeto di rabbia che quella ragazzina aveva provocato col suo affronto, la spinse violentemente contro il muro. Shiho deglutì a fatica nel sentire il corpo di Gin premere contro il suo, toglierle letteralmente il fiato. Era troppo vicino, mai prima d’allora, era stato così vicino.
Lo vide strapparsi la sigaretta dalle labbra e in un gesto secco egli gliela piantò fra la scapola ed il collo, ancora accesa. Shiho strinse i denti, una lacrima di dolore le attraversò la guancia.
“Sherry, fai la brava. Settantadue ore sono più che sufficienti. Rallegrati...” Con un sorrisino sadico non fece che mettere il dito nella piaga, letteralmente. Quella sigaretta, gliela stava spegnendo addosso.
“… Non è ancora giunto il tuo momento.” Finalmente il fiato di quell’uomo divenne meno pressante, indietreggiò per poter afferrare un paio di manette. Vodka si avvicinò ai due e le mise un nastro argentato alla bocca.
“Tienila, Capo!” Shiho si dimenava come un animale e mugolava di rabbia, anche se i suoi sforzi furono del tutto inutili. Quei due l’avevano legata bene. Vodka la prese di peso e nonostante continuasse a sbraitare, riuscirono a condurla fuori dall’hotel senza destare troppi sospetti.
“Dove la metto?” Vodka stava aprendo la portiera che dava sui sedili posteriori, ma il biondo, mentre faceva il giro per raggiungere il posto alla guida della sua Porsche, fece un cenno di dissenso. “Nel bagagliaio.”
“Ma Capo!” Vodka rise. Certo che non gli era bastato umiliarla usandola a mo di portacenere.
“Esegui gli ordini e non fiatare. E muoviti.” Gin salì al volante e trasse un lungo sospiro. Socchiuse gli occhi.

‘Ora sei mia.’ 










Bene bene, eccomi qui, ho deciso di modificare nuovamente i saluti in modo da poter ringraziare per bene tutti quanti. Primi fra tutti, Iman, a cui la storia è dedicata. Ti ringrazio tantissimo per lo splendido disegno che mi hai regalato (ritrae Gin e me. Bwuahuahauahauhau U_U XD) spero che questo capitoletto ti sia piaciuto! Poi ringrazio tantissimo Alice e Lisa, la mojettina mia (Sylvia) che sopporta me ed i miei voli pindarici, poi le mie assidue lettrici, Yume, Flami e I_Am_She! Siete troppo carine *-* !! Coloro che le hanno fra le seguite, e cioè:
Bankotsu90, ChibyRoby, I_Am_She, Kuroshiro, Layla Serizawa, Red Fox, Spencer Tita, Violetta_, Yume98; _Flami_
Coloro che invece l'hanno inserita nelle preferite, ovvero: 
A_M_B (Alice XD); chyo, I_Am_She, Shinku Rozen Maiden, _Flami_ 
:) <3 grazieeeeeeeee, siete così belli *-* vi amo tutti u.u XD Spero che questo cappy vi sia piaciuto.


Infine, faccio i miei più cari Auguri a _FLAMI_ !!! AUGURIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII *__________* Ti è piaciuto il mio regalo di compleanno? Spero vivamente di si *-* Te lo dedico questo chappy e te lo "regalo" con tanti abbracci :) Auguroni, mi raccomando divertiti e non ti ubriacare troppo (Di Gin si intende. GHGHGH!)


<3 

Alla prossima :) 


Byeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!
  
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