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Autore: LucyToo    03/02/2012    1 recensioni
Kurt aiuta Dave a trovare la via d'uscita dal suo nascondiglio. Quando le cose prendono una piega peggiore di quanto potesse aver mai immaginato, è compito di Kurt aiutare Dave a rimettere insieme i pezzi. Non-con, violenza, omofobia.
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"Allora pensa a questo: se lo fai, qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere? Onestamente, non voglio essere impertinente, ma dovresti pensarci sul serio. Perché se immagini la cosa peggiore che potrebbe succederti e la confronti con l'inferno in cui stai vivendo adesso... vedrai qual è la scelta migliore e potrai prendere una decisione in modo più semplice.
E per quel che conta... anche se non sceglierai la strada che penso dovresti, sono comunque abbastanza fiero di te."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky, Kurt Hummel
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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The Worst That Could Happen
- Capitolo 27 -

http://www.fanfiction.net/s/7109340/27/The_Worst_That_Could_Happen

 

Kurt non era sicuro di cosa fosse successo quando Dave aveva messo Azimio nelll'angolo a scuola martedì mattina e avevano risolto la questione hockey/football, ma quel giorno dopo le lezioni Dave accettò l'offerta di Cooper e ottenne di nuovo la sua giacca e il suo vecchio numero.

Se Kurt aveva qualche riserva sul fatto che Dave giocasse, andare in giro con un gruppo di sportivi arroganti che potevano diventare sadici così facilmente... beh, quelle riserve non andarono oltre quel martedì sera, quando Finn arrivò a casa prima di Dave e bussò alla porta della camera di Kurt con un ghigno sulla faccia.

"Quel cacchio di Barry Manilow," fu tutto quello che riuscì a dire inizialmente.

Andò avanti dicendo a Kurt che prima dell'allenamento di quel pomeriggio Finn e Puck e un paio di altri giocatori erano stati cacciati dallo spogliatoio dall'intera squadra di hockey, entrati tutti insieme e ognuno di loro strillando le parole di Copacabana come se fossero appena usciti da un bar col karaoke.

"Scott Cooper davanti a tutti, che guidava lo spettacolino intero, e ho pensato che lo stesse facendo per dare fastidio ad Azimio.” sorrise a Kurt.

Kurt era rimasto mezzo perplesso nell'immaginarsi una massa di teste col ciuffo che urlava cose su Lola e Rico.

"Hanno cominciato a farci uscire, come se fosse il loro territorio o qualcosa del genere, e ho quasi permesso a Puck di dare un pugno ad un ragazzo ma poi ho capito cosa stavano facendo."

"C'era una pensata dietro quella pagliacciata musicale?”

Finn annuì guardando Kurt. “Proprio nel mezzo del gruppo ho intravisto Dave, che rideva così tanto di quegli idioti che non penso avesse nemmeno realizzato dove fosse, e quando se n'era accorto, non gli è importato.” disse alzando le spalle. “Tutti sapevano cosa gli era successo negli spogliatoi. Scommetto che era nervoso di tornarci e loro l'avessero capito.”

La bocca di Kurt si spalancò di colpo, tutte le preoccupazioni riguardo Dave che giocava a hockey se ne andarono all'istante.

Finn di avviò con passi lunghi verso la porta, ovviamente aveva finito con le novità e probabilmente voleva chiamare Rachel o chiunque fosse la sua ragazza quella settimana. “Te lo dico io,” affermò mentre era sull'uscio, voltandosi di nuovo verso Kurt, “quei ragazzi sono dei completi idioti ma penso che non siano male.”

Quando Dave arrivò a casa dagli allentamenti un po' più tardi, sorrideva, era paonazzo e umido a causa della doccia della scuola, e non c'era traccia di ombre nei suoi occhi quando si sedette a tavola scusandosi con Carole per il ritardo.

Kurt lo guardò, trovando difficile spostare lo sguardo, e non lo disturbò il fatto che Finn e Dave trascorsero la cena intera a discutere delle differenze tra hockey e football. Si alzò dal tavolo della cucina con la testa piena di discorsi su strategie e posizioni e allenatori ed era tutto così macho e mascolino che si sentì stranamente etero mentre saliva le scale.

Ma Dave bussò alla sua porta ed andò a sedersi sul letto di Kurt per parlare un po' con lui mentre rispondeva a Mercedes su Facebook, e in pochi minuti il suo “gay” era di nuovo sano e salvo.


L'intera settimana fu stranamente troppo facile sotto quel punto di vista. Dave e Kurt non andavano insieme a scuola – tra gli allenamenti e le prove e Dave che aveva sessioni con la dottoressa Mad di giovedì e Kurt che le aveva di venerdì, sembrava poco probabile. Ma quello fu l'unico lato negativo della settimana.

Non c'erano pettegolezzi su Dave nei corridoi, Jacob continuava a raccontare della Sordida Storia del Brittano sul suo blog, e le cose sembrava stranamente tranquille. Tra i Glocks e Azimio (e i cinque che erano stati cacciati dalla scuola) non sembrava ci fossero molti altri sportivi che sentissero il bisogno di rendere la vita dei ragazzi del Glee un inferno. La granita che Dave aveva bevuto quel lunedì fu l'unica che Kurt vide per tutta la settimana.

Dave andava alle prove del Glee al martedì, ammazzando il tempo tra le lezioni e l'appuntamento con la psicologa.

Di venerdì, Kurt trascorreva lo stesso tempo andando a vedere gli allenamente della squadra di hockey.

Visto che non avevano abbastanza fondi per portare i ragazzi alla pista di pattinaggio ogni volta, spesso si allenavano in palestra sui rollerblades. Kurt trovava la cosa divertente, ma farlo notare a Dave lo portò a subire una ramanzina di venticinque minuti sulle differenze tra il muoversi sul ghiaccio e sulle ruote e quanto calavano le loro possibilità di vittoria se non riuscivano a fare pratica sul ghiaccio ogni giorno. Kurt aveva preso un appunto mentale che gli ricordasse di non riportare a galla quel discorso.

Andò in palestra venerdì, pronto per divertirsi, e all'inizio ci riuscì. Seriamente, era un branco di idioti che gridavano e scorrazzavano e brandivano le loro mazze per tutto il campo mentre avanzavano. Come faceva a non essere divertente?

Si sedette su una panchina in un paio di file dal fondo della palestra – giusto per evitare che qualcuno gli arrivasse addosso – e li guardò gironzolare, scontrarsi l'uno con l'altro e seguire questo minuscolo disco nero. L'allenatore di hockey era su un lato e strillava comandi che sembravano tanto una lingua straniera, e i giocatori a bordo campo fischiavano e urlavano.

Kurt vide Dave con un paio di altri ragazzi che non stavano giocando – erano in piedi vicino al muro con una fila di dischetti, colpendoli uno ad uno in una versione rimpicciolita di un goal, provando a farli entrare in una piccola porta. Sembravano prendersi in giro esattamente come facevano tutti gli atleti della loro stessa età.

Kurt non era un atleta. Non desiderava esserlo. Andava alle partite e ogni tanto poteva cantare con le Cheerios, ma quello era l'inizio e la fine della sua partecipazione nel programma di sport del McKinley.

Eppure, riusciva quasi a comprendere perché qualcuno avrebbe voluto far parte di una cosa del genere. Dopo una lunga giornata nella vita di un ragazzo di quell'età, doveva essere una sorta di sollievo sfogare un po' di stress mettendosi un'imbottitura e sbattere contro altre persone senza conseguenze. L'hockey, per quello che ne sapeva lui, esisteva solo per il gusto di andare addosso ad altre persone e pattinare.

Per metà del tempo non riuscì nemmeno a dire dov'era il dischetto e non era sicuro che nemmeno i giocatori lo sapessero.

Circa dieci minuti prima di mettersi in marcia per andare al suo appuntamento con la dottoressa, l'allenatore chiamò Dave in campo per giocare.

Sembrava più il vecchio Dave sotto quell'imbottitura – gli dava un po' di quella massa che gli ultimi mesi gli avevano tolto. Kurt non riusciva a capire la sua esperessione sotto il casco protettivo ma sembrava abbastanza entusiasta.

Poi si gettò dal bordo campo nella mandria dei giocatori e Kurt si dimenticò che quel gioco non aveva per niente senso.

Era molto più aggraziato di quanto Kurt si sarebbe aspettato. Più aggraziato della maggior parte degli altri idioti che scivolavano sul pavimento. Sfrecciò fuori dalla folla, si mosse veloce in mezzo e attorno agli altri giocatori, piroettava senza problemi, dando l'impressione di essere nato con le rotelle ai piedi.

Era bravo – era meglio della maggior parte di quei ragazzi, almeno se si parlava di muoversi agilmente. Kurt non sapeva dove Dave doveva essere o in che posizione stesse giocando, ma capiva perché Scott Cooper era stato così felice di sapere che sarebbe tornato nella squadra.

Era un gioco aggressivo. Forse anche più aggressivo del football, perché era così veloce e gli scontri sembravano molto più violenti. Dave sembrava aggressivo mentre volteggiava astutamente tra gli altri e ancora più astutamente andava loro contro se ce n'era bisogno.

Quando si ritrovò col dischetto, sembrava che qualcuno avesse premuto un interruttore dentro di lui. Si incurvò su sé stesso, stretto nelle spalle e con uno sguardo feroce, la sua mazza scivolò veloce attraverso la palestra, avanti e indietro, muovendo il dischetto davanti a lui finché non lo lanciò ad un altro giocatore o verso la porta.

Era bravo. Era veramente bravo.

Kurt poteva dirlo. Ed era Kurt, quindi Dave di sicuro era fantastico. Non era così semplice col football, ma non c'erano tante posizioni nel football che richiedevano qualche abilità in più rispetto allo andare addosso a qualcuno.

In quel momento sapeva di aver avuto ragione, a Dave mancava giocare. Al gioco era mancato lui.

Parlare con Cooper, rischiare quell'incontro lunedì mattina, sgridare Azimio e farlo parlare con Dave riguardo il giocare a football...

Ne era valsa la pena.

Mercedes poteva prendersi gioco di Dave sul fatto di cantare per far colpo su Kurt, e Rachel poteva sfinirlo chiedendogli in continuazione di unirsi al Glee Club, ma Kurt vedeva nella grinta di Dave la concentrazione e sentiva nelle urla e nei richiami agli altri giocatori che quello era quello che amava, così come Kurt amava cantare. Quello sciocco, irragionevole sport, quelle teste col ciuffo sui pattini a rotelle perché non avevano abbastanza soldi per andare sulla pista di pattinaggio... era lì che Dave voleva essere.

Non fu una sorpresa rendersene conto. Anche se Dave cucinava, leggeva riviste di scienza e forse cantava anche, rimaneva pur sempre Dave. Era ancora il tipo sportivo che era sempre stato, quello che voleva essere. Non fu un sorpresa il fatto di vederlo felice su quel campo.

La sorpresa stava nel realizzare che Kurt fosse felice con lui lì, quando Kurt guardò il suo orologio e si accorse che sarebbe dovuto partire cinque minuti prima, eppure era ancora restio ad andarsene. Non gli importava dell'hockey, non sapeva chi giocava in quale posizione o chi stava vincendo o qualsiasi altra cosa, ma voleva restare e guardare Dave sfrecciare per il campo e colpire il dischetto con colpi secchi e precisi sul il pavimento verniciato.

Blaine era un cantante, ed era bravo. Un artista. Kurt nel suo stato più adorante pensava che non ci fosse niente di meglio che amare un ragazzo che facesse le stesse cose che piacevano a lui, e le facesse così bene. Ma quello? Hockey? Dischetti e mazze? Poteva stare lì seduto e guardarlo come quando guardava una delle performance dei Warblers.

Probabilmente significava qualcosa, ma Kurt era già in ritardo di dieci minuti e non poteva mettersi a pensare cosa volesse dire veramente.


“Stavo leggendo delle cose a riguardo,” disse, mettendosi comodo sulla sua poltrona nera e ammirando ancora una volta il profondo color rosa delle pareti. “per provare ad informarmi ed essere pronto per oggi.”

La dottoressa Maddie sembrò divertita. “Capisci che la responsabilità di essere intelligente in questo ufficio è per la maggior parte mia, vero?”

“Beh.” Kurt mosse una mano a mezz'aria. “Uno, stavo solo leggendo cose su Wikipedia, il che non è essere propriamente preparati. E due..” Alzò le spalle sorridendo. “Speravo davvero di capire delle cose.”

“Come ad esempio?”

Gli piaceva il fatto che fosse così informale. Non stava seduta con un blocco e una penna, guardandolo e annotando tutte i suoi discorsi più strani. Sorrideva, parlava con semplicità.

Aiutava il fatto che fosse anche adorabile, un po' conservatrice, ma con stile e gusto – ed era piuttosto sicuro che stesse seriamente indossando delle Jimmy Choo.

E poi, stava aiutando Dave. Era passata solo una settimana, non abbastanza per miracoli o epifanie. Ma qualsiasi fosse la terapia quando Dave era seduto su quella poltrona, non era teso o arrabbiato quando tornava a casa. E quello bastava per motivare Kurt a darle una chance.

Si schiarì la gola e realizzò che non le aveva risposto. “Sinceramente?”

Sorrise. “E' un processo molto più efficace così, sii sincero.”

“Beh...” il suo sorrisò svanì leggermente. “Alcune cose sono state portate alla mia attenzione ultimamente, ed è molto da gestire, e...non lo so. Non posso evitare di pensare che questo tempo sarebbe speso meglio con Dave, quindi.. più cose posso risolvere da me, meglio è.”

“Aha.” Sorrise, ma le sue parole furono calcolate. “Spero tu capisca che il tuo essere qui non ha nulla a che fare con Dave.”

Sbatté le palpebre a quelle parole.

“Capisco che tu sia preoccupato per lui, ma Dave ha già avuto due sessioni questa settimana, e non penso che sia ansioso per una terza. Non stai prendendo del tempo pensato per lui, Kurt. Sei qui per te.”

Kurt si mise a pensare, e si sentì sorridere in modo falso. “Ho perso interesse nel preoccuparmi di me stesso.”

Rise, piano e con una risata musicale. “E' tutto a posto: così come essere preparata, essere interessata è il mio dovere qui.”

“E' pericoloso,” Kurt disse con un ghigno. “Chieda a mio padre – non sono bravo a parlare a meno che non venga incoraggiato.”

Lei lo studiò, e il suo sorriso svanì. “Dimmi che genere di letture hai fatto.”

Alzò gli occhi al cielo. “E' stupido, ed era solo Wikipedia.”

Lei continuò a guardarlo, in attesa.

Poteva sentire il calore arrivargli al volto. “Okay. Io, uhm.” provò a non sembrare troppo impacciato. “Non so, è che.. lei sa cosa sia la codipendenza?”

Annuì.

Arrossì vistosamente – era una psicologa, certo che sapeva cosa fosse la codipendenza.

Sul suo viso non c'era altro che pazienza, quindi provò a scacciare il suo imbarazzo. “Beh. Quello. Stavo leggendo riguardo quello. Pensavo ci fosse una possibilità che lei mi dicesse che... beh, lo sono.”

“Cosa pensi?” chiese semplicemente. “Ti preoccupi di poter diventare codipendente?”

Alzò le spalle.

Sorrise dopo un attimo. “Hai avuto un sacco di resposanbilità ultimamente, lo capisco.”

Rise. “Non proprio, più che altro me le sono prese e ora non voglio lasciarle andare.” Non rispose, sospirò e si girò nella poltrona. “Non ho mai esitato. Non mi si è dovuto chiedere nulla. Non una sola volta da quando Dave era stato aggredito qualcuno mi ha dovuto chiedere di essere lì per lui. Mi sono offerto volontario, e lo rifarei tutto da capo.”

“E coma mai?”

“Perché è stata colpa mia.”

E...

Okay. Cosa?

Non era di certo una rivelazione – era molto a cosciente del suo senso di colpa supersviluppato. Ma era sorpreso di se stesso per essere arrivato subito a quella conclusione. Aveva saltato tutte le altre ragioni – che Dave era suo amico, che erano entrambi gay e quindi c'era un legame, che l'aveva visto sul pavimento nello spogliatoio e che sapeva non sarebbe stato in grado di andarsene – come se non contassero nulla in confronto.

"Che cosa è stata colpa tua?" chiese lei.

"Tutto." Il suo sorriso era svanito, e non aveva gran voglia di toccare quell'argomento. Avrebbe preferito divagare sulla sua preoccupazione di essere codipendente, temendo di non riuscire ad abbandonare il suo ruolo di guardiano e infermiere.

Avrebbe preferito parlare di Dave.

Ma lei lo guardò con occhi calmi, ed era la stata la prima persona a chiedergli una cosa del genere senza che Kurt si dovesse preoccupare in qualche modo.

Non poteva parlare a suo padre di tutto quello che lo preoccupava, perché suo padre doveva gestire già abbastanza cose. Suo padre era stato incredibilmente d'aiuto con entrambi e avrebbe continuato ad esserlo se Kurt fosse andato da lui e gli avesse raccontato i suoi problemi.

Ma suo padre era ancora abbastanza fresco di matrimonio, aveva già avuto un attacco di cuore, e Kurt sapeva che solo perché poteva chiedergli il mondo quello non voleva dire che l'avrebbe dovuto fare.

Non poteva di certo parlarne con Dave. Non voleva far gravare quella cosa su Mercedes, o Blaine o Finn. I suoi amici avevano i loro problemi e anche se ora stavano migliorando, avevano ancora una visione distorta di Dave.

La donna di fronte a lui voleva seriamente ascoltare, e non avrebbe influenzato le sue parole con le proprie opinioni. Non sarebbe andata da suo padre a raccontargli le sue preoccupazioni e di certo non avrebbe spettegolato. Pensava ancora che in confronto a quelli di Dave non valesse la pena tirare fuori i suoi problemi, ma gli era stato dato un incipit ed esitando mosse un passo in avanti per vedere come andava.

“Tutta questa cosa...” distolse lo sguardo dai profondi occhi neri della dottoressa. “Sono quello che ha iniziato. Sono stato il catalizzatore.”

Lei non disse nulla.

Kurt sapeva che il silenzio era il miglior modo per far parlare una persona, ma non poteva di certo biasimarla per aver usato quel trucchetto. Era il suo mestiere dopotutto, giusto?

Emise un sospiro e cercò di mantere le sue parole il più studiate possibili. “Quando ho scoperto che Dave era gay... quando mi ha baciato l'anno scorso. Non lo so, era come se fosse una cosa enorme. Voglio dire... con qualcuno come me, essere gay è la caratteristica principale. E' la parte più prominente della mia vita, e... penso che forse ho pensato che fosse così per tutto. Blaine, il... il mio ragazzo...” si incespicò su quella parola, e quello era un problema non ignorabile. “Anche lui è fatto così. Voglio dire, non è solamente gay, ma è una delle prime cose che qualcuno noterebbe. Le sue storie sono sempre su vecchi fidanzati, o coming out, o vedersela con i bulli. La maggior parte del tempo parliamo di cantare canzoni ed essere gay.”

Le lanciò un'occhiata, ma lo sguardo profondo non era cambiato.

“Quindi... All'improvviso, ecco Dave. Ecco Karofsky, questo sportivo grande e grosso che si diverte a prendersi gioco degli sfigati nei corridoi. E per un momento questo è tutto quello che è. Quello dopo... è gay. E' uno di noi.” Kurt scosse la testa con un sorriso incerto. “L'ho ritenuto di idee ristrette per le cose che pensava volessero dire essere gay, ma sono colpevole quanto lui. Ho pensato che se era gay allora segretamente doveva essere come me e Blaine, ed essere gay era questa cosa enorme, ma al contrario di noi lui non la esprimeva. Ho pensato che forse era perché era così crudele, e se solo avesse ceduto un po' e avesse fatto vedere la sua parte gay, tutto sarebbe stato favoloso.”

Lei sorrise quando Kurt alzò il suo sguardo.

Alzò gli occhi al cielo. “Comunque... Mi sono preso l'incarico di aiutarlo, questa povera pecora persa e lontana dal gregge gay. Non all'inizio – abbiamo avuto il nostro periodo di drammi. Mi aveva minacciato e io lo avevo fatto espellere, mi aveva spaventato e io mi sono iscritto ad una scuola privata. Una di quelle fasi.”

La dottoressa rise sotto i baffi.

Kurt si rilassò un poco – parlare non era difficile per lui, ma parlare di quelle cose, di Dave, e ad una donna che anche se amabile era pur sempre un'estranea... non era facile. Quindi lo aiutò il fatto che sembrasse divertita. Kurt era un intrattenitore dopotutto, e il suo ego era abbastanza piccolo da farlo sentire legato alle persone che ammiravano il suo talento o ridevano per le sue storie.

"Quando abbiamo superato quel periodo, quando sono tornato al McKinley e mi aveva detto che era dispiaciuto e che non avrei più dovuto aver paura di lui. Quello è stato il momento nel quale mi sono prefissato di aiutare quel povero ragazzo gay intrappolato nei panni del burbero giocatore di football. E tutto quello che gli ho detto dopo quel momento, ogni volta che abbiamo parlato, quella era l'unica cosa su cui ero concentrato. Farlo uscire allo scoperto, aiutarlo a farlo diventare più gay, come me e Blaine.”

In quel momento esitò, perché quella storia si stava muovendo su una linea dritta, e non gli piaceva molto cosa veniva dopo. Le sue parole a Dave nei corridoi del McKinley, o nell'ufficio di Figgins, o sul palco al ballo, quelli erano momenti abbastanza brutti, ma almeno erano innocenti.

La parte che veniva dopo era più difficile.

“Mi ha mandato una mail,” sussurrò, la sua voce improvvisamente bassa. “Voleva tenermi d'occhio a scuola, essere sicuro che la gente mi lasciasse in pace, e voleva sapere se fosse okay. La mia risposta? 'Esci allo scoperto! Fai coming out, dimentica tutto il resto..'” Si accigliò. “Qual è quella cosa che ha la gente che non riesce a smettere di urlare “cazzo” a casaccio?”

“La Tourette?” suggerì lei, anche se sembrava leggermente disapprovante della sua descrizione della malattia.

“Ecco. Penso di aver avuto una gay Tourette o qualcosa del genere. Nel momento in cui vedevo il suo nome in una mail o sentivo la sua voce nei corridoi cominciavo a strillare 'esci allo scoperto' come se non potessi controllarmi.” Si accigliò guardando verso le pareti rosa, verso il gruppo di diplomi e certificati appesi dietro la scrivania. “Voleva fare ammenda, o essere amici, e tutto quello che ho fatto è stato tirarlo fuori dal suo armadio metaforico.”

Lei lo studiò nella pausa. “Ti ha mandato una mail,” continuò dopo un momento.

La guardò in modo cauto, chiedendosi se Dave le avesse già parlato di questa storia o se avesse solo un dono nello scovare le parti più importanti e sapere che portano da qualche parte.

“Già. Mi ha mandato una mail, e ho risposto con un'altra scarica di gay Tourette, e ho detto...” sospirò. “Gli ho chiesto quale... qual era la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere se mi avesse ascoltato davvero. Si era comportato come se fare coming out fosse la fine del mondo, e lo è stato... Dio, sono stato così insolente, e non riesco a superare la cosa. Ho ignorato cosa mi stesse dicendo. Mi sono rifiutato di pensare che gli sarebbe potuta andare peggio di come già stavano le cose. Ho solo continuato a punzecchiarlo. Gli ho chiesto, da piccolo marmocchio insolente, cosa ci potesse essere di così brutto nell'uscire allo scoperto. 'Pensaci e basta, Dave, vedrai che non c'è niente di peggio rispetto alla tua vita ora.'”

A quel punto alzò lo sguardo e, anche se era assolutamente colpevole di quello che stava dicendo e non era lì per essere perdonato, non riuscì a fermarsi dal dire. “Mi ha detto che era deprimente vivere come lo stava facendo lui. Ho seriamente pensato che fosse meglio per lui se avesse smesso di mentire a se stesso e a tutti gli altri. Ho pensato che stessi dicendo la cosa giusta.”

Annuì tranquilla. “Ti credo.”

Lo odiava. Davvero. Era lui che aveva iniziato la conversazione e l'aveva portata fino a li e lo odiava. Viveva sapendo chi c'era da incolpare per tutto quello che era successo a Dave, perché mai avrebbe voluto parlare proprio di quello?

Chiuse gli occhi per un momento e le immagini gli tornarono in mente così facilmente. Un momento Dave lo stava superando nel corridoio con un piccolo, timido sorriso sul viso. Il momento dopo era steso sul pavimento, le sue unghie erano insanguinate e l'asciugamano che lo copriva si stava spostando..

Deglutì e scosse la testa in modo amaro. “La prossima cosa che so è che è stato cacciato di casa, il suo migliore amico l'ha tradito, e lui è all'ospedale con un tubo nella gola e le infermiere gli sta facendo delle analisi del sangue per malattie sessualmente trasmissibili.”

Dio, di già. Non l'avrebbe fatto, diventare una palla di angoscia singhiozzante solo perché essere nell'ufficio di una psicologa lo permetteva. Ma la sua voce era tremante e sentiva delle punte pizzicargli gli occhi e odiava quel sentimento.

Aveva spinto Dave ad uscire allo scoperto. Uscirci aveva portato Dave da Azimio, e aveva fatto arrivare la verità alla squadra di football, e aveva spinto Jason Campbell e i suoi amici crudeli a mettere Dave nell'angolo dello spogliatoio delle ragazze.

“Non volevo che fosse ferito,” disse, e la sua voce era tesa e flebile. “Pensavo che sarebbe stato okay. Sono stato così stupido e lui è stato quello che ha sofferto. E' colpa mia, tutto quello che ha fatto. Tutto quello che è successo.”

“Kurt.”

Alzò lo sguardo, quasi in segno di sfida. Non c'era dibattito da fare – poteva essere intelligente ma nessun ammasso di neuroni poteva cambiare il passato.

Si girò nella sua sedia, lisciandosi la gonna in grembo. “Torniamo a quel bacio per un momento.”

Kurt si accigliò. La sua mente era ad un giorno diverso in un altro spogliatoio, ed era molto più importante del bacio.

Continuò, calma e costante. “Dave mi ha detto che il bacio è stato il risultato di un consiglio che ti ha dato il tuo ragazzo.”

Sbuffò, asciugandosi gli occhi mentre il calore diventava umidità. “Sono arrivato ad accettare il fatto che Blaine da dei pessimi consigli.”

Sorrise in modo finto. “Dave era un bullo con te, fisicamente e verbalmente. Aveva mostrato aggressività e disprezzo. E' ovviamente più grande di te come stazza e molto probabilmente anche più forte.”

Kurt annuì – non capiva come quello potesse essere più importante di Dave e dello spogliatoio o delle mail, ma dopotutto non ci teneva particolarmente a parlare di quelle cose. “E l'ho affrontato da solo, e probabilemente avrei dovuto essere colpito in piena faccia per quello.”

“Te lo aspettavi?”

Kurt ci ripensò. “Non mi aspettavo nulla. Quando l'ho seguito riguardava me, non lui. Voglio dire... quando mi ha sventolato il pugno davanti alla faccia ho cominciato a pensare a tutti i modi possibili in cui la cosa mi si sarebbe potuta ritorcere contro, ma in quel momento era già troppo tardi.” Si accigliò dopo un momento. “Mi aspettavo che mi colpisse, penso, una volta che lo avevo affrontato nello spogliatoio.” Sorrise debolmente. “Posso dire con certezza che non mi aspettavo mi baciasse.”

“Ma Blaine se lo aspettava.”

Sbatté le palpebre. “Cosa?”

Lo guardò incuriosita. “Non è così? Di sicuro sapeva cosa sarebbe successo.”

“Come avrebbe..” Kurt scosse la testa. “Di sicuro non lo sapeva. Non mi avrebbe spinto ad affrontarlo altrimenti.”

“Ma una volta che l'hai affrontato, e lui ti ha baciato e spaventato così tanto, sono sicura che Blaine ti abbia chiesto scusa per il suo consiglio. Sono sicura che abbia capito che quello che era successo era completamente colpa sua.”

Ebbe improvvisamente un cattivo pensiero – Dave le aveva parlato di Blaine? Aveva sentito cose orribili sul suo conto per arrivare a dire cose del genere? Non c'era altra spiegazione – era una dottoressa, avrebbe dovuto conoscere meglio quelle cose.

“Ascolti.” disse, con la voce nuovamente decisa, “quello che è successo non ha niente a che vedere con Blaine. Mi ha dato il miglior consiglio a cui potesse pensare, ma sono io quello che è andato in quello spogliatoio. Sono io quello che...”

Lei lo guardò.

Kurt sbatté le palpebre. Distolse il suo sguardo da lei corrugando la fronte. Blaine gli aveva dato il consiglio, ma era stato Kurt a tradurlo in fatti concreti.

Oh.

Deglutì.

Parlò dopo un momento. “Hai dato un consiglio a qualcuno che ne aveva bisogno. Hai dato il miglior consiglio a cui avessi potuto pensare, data la tua esperienza. Dave ha scelto di accettare quel consiglio, e dal momento in cui ha fatto la sua scelta si è assunto tutte le responsabilità per qualsiasi cosa sarebbe venuta dopo.”

Scosse la testa, ma gli ci volle un momento per far uscire la voce dalla gola che si stringeva. “Non è la stessa cosa.”

“No? Se Dave ti avesse davvero fatto del male quando l'hai affrontato, sarebbe stata colpa di Blaine? Se Dave, che entrambi sapevate capace di almeno un po' di violenza, ti avesse picchiato e ti avesse mandato all'ospedale, se si fosse scagliato contro di te per il tuo essere gay, se ti avesse aggredito nel modo in cui gli altri studenti hanno aggredito lui... quello sarebbe stato abbastanza per far diventare Blaine colpevole?”

“No!” poteva sentire il calore colargli sulle guance, ma non si disturbò ad asciugarsi stavolta. Chiuse gli occhi e scosse la testa in segno di negazione. “Non è la stessa cosa, avrei dovuto stare più attento.”

“Sei un teenager gay che è uscito allo scoperto e circondato da una famiglia amorevole e degli amici che ci tengono a te. Perché non dovresti incoraggiare qualcun altro a seguire i tuoi passi?”

“Perché! Il mondo non funziona così!”

“Alcuni ragazzi dicono ai loro padri di essere gay e finiscono per essere cacciati di casa, sì. E alcune vittime affrontano i loro bulli e finiscono all'obitorio.”

Non era così facile.

Non poteva esserlo. Non c'era modo che la cosa potesse avere senso. Di sicuro era colpa di Kurt. Tutto quello che era successo, era tutta colpa di Kurt. Lo sapeva, lo accettava. Aveva camminato curvato sotto il peso dei sensi di colpa dal giorno in cui era successo.

Non era possibile che gli fosse dato il permesso di levarselo, di metterlo sulle spalle di Dave. Non era giusto che la colpa andasse a Dave.

“Vorrei dirti una cosa, Kurt. Puramente in linea teorica, certo, dato che non darò dettagli su un mio paziente ad un altro. Teoricamente, una vittima di stupro ha un gran numero di ostacoli da superare mentre guarisce. Uno dei più grandi è con il ricordo della totale perdita di controllo. Lo stupro è un crimine di potere, non di passione. Per le vittime di sesso maschile in particolare il ricordo di essere estremamente impotenti è una delle cose più difficili da superare.”

Kurt non poteva fermare le lacrime dal loro scendere una ad una, ma anche se la dottoressa era sfocata alla sua vista, si concentrò su di lei, ad ascoltarla.

“Se qualcuno ha perso il proprio senso del controllo, rifiutargli ulteriore controllo è un atto di crudeltà. Anche se sembra ben intenzionato, anche se dare loro la responsabilità sembra più chiedere loro di prendersi la colpa."

Lo guardò solennemente. “Sei un ragazzo intelligente che capisce che il mondo non è sempre gentile. Quando hai deciso di seguire il tuo bullo in un posto isolato e affrontarlo, hai capito che qualsiasi cosa sarebbe successa era sulle tue spalle. Non negare a Dave lo stesso controllo sulle sue azioni. Anche lui è un ragazzo intelligente. Quando gli hai chiesto di pensare alla cosa peggiore che potesse succedere, sono sicura che l'abbia fatto. Ha pensato. E poi ha fatto la sua scelta e ha agito.”

Scosse la testa di nuovo in modo confuso, ma non ribattè. C'era qualcosa nel suo petto che si muoveva, si spostava, ma non sapeva ancora se il cambiamento era in meglio o in peggio. Sembrava rendere le sue lacrime più amarei, ma abbassò la testa e premette i palmi delle mani contro gli occhi, e questo sembrò aiutare.

La dottoressa non parlò. Il silenzio cadde e Kurt non voleva spezzarlo.

Sarebbe stato una lusso lasciarsi andare e crederle. Le sue parole avevano senso e pensandoci e confrontandolo con il suo accettare il consiglio di Blaine era sorprendente perché non gli era mai capitato.

Poteva rimanere ferito quando aveva affrontato Dave. Se lo era quasi aspettato. Ci aveva quasi sperato, come se fosse una prova della sua audacia. Sarebbe uscito da lì con un occhio nero o un labbro rotto e avrebbe comunque tenuto la testa alta. Sarebbe stata una vittoria morale, un simbolo del suo coraggio.

Sarebbe stato orgoglioso di se stesso, e felice di aver ricevuto il consiglio ma non al punto da dar credito a Blaine delle sue azioni.

E se lo cose fossero andate male, peggio di un occhio nero o un labbro sanguinante... se fosse finito in ospedale, se Dave con la sua rabbia e la sua forza gli avessero fatto davvero male, non avrebbe permesso a Blaine di prendersi la colpa per un istante.

La dottoressa Maddie aveva ragione – era quasi offensivo pensare che quando si era deciso ed era entrato nello spogliatoio avesse a che fare con Blaine. Blaine gli aveva parlato di coraggio, ma la vera audacia era stata di Kurt.

Forse era offensivo pensare che quando Dave finalmente si era deciso a parlare a suo padre, avesse a che fare con Kurt. Se le cose fossero andate bene, Kurt si sarebbe preso tutto il merito? Avrebbe sorriso e scosso la testa per quanto fosse fortunato Dave ad avere Kurt Hummel che gli diceva cosa fare?

Forse, per un attimo, Kurt si sarebbe compiaciuto a quel modo. Ma non sarebbe stato giusto. Sarebbe stata sciocca vanità.

Era facile dare consigli. Non ci voleva molto a dire 'esci allo scoperto'. Non ci voleva molto a dire 'coraggio'.

L'azione era l'unica cosa che importava. L'uscire dall'armadio, e l'atto di affronto. Un coro greco poteva stare sullo sfondo e cantare quanto voleva, ma non avrebbe mai diretto le azioni della commedia.

Dave aveva pensato a cosa aveva detto Kurt. Ci aveva pensato conoscendo suo padre meglio di quanto facesse Kurt e capendo i suoi amici in una maniera che Kurt non avrebbe mai compreso. Aveva fatto la sua scelta e aveva agito.

E non era colpa di Kurt.

Avrebbe dovuto essere una rivelazione emozionante. Avrebbe dovuto farlo felice, avrebbe dovuto essere un tale sollievo da non poter evitare di ridere dallo stupore.

Invece, non riusciva a smettere di piangere.


Ad un certo punto la dottoressa si alzò e andò dietro la scrivania e quando tornò Kurt prese il pacchetto di fazzoletti dalla sua mano con una risata. Si asciugò la faccia e si soffiò il naso nel fazzoletto, e quando alzò lo sguardo riuscì di nuovo a sorridere.

“E' sempre così?”

“Cosa, la terapia?” rise in modo gentile. “No. Non sempre. Di solito, i momenti di realizzazione posso essere tremendamente difficili da trovare.” Lo guardò e lui non dubitava che la sua faccia fosse rossa, gli occhi ancora bagnati e il suo sorriso probabilmente assurdo. “Allora, cos'altro hai letto su Wikipedia?”

Sorrise, ma svanì l'attimo dopo.

Ci fu un affluire improvviso quando realizzò che le poteva rispondere. Che lei lo avrebbe ascoltato, che probabilmente non sarebbe rimasta nemmeno sorpresa, che gli avrebbe detto seriamente se si stesse comportando in modo ridicolo.

Afferrò il pacchetto di fazzoletti con la mano. “Non penso di essere codipendente,” si lasciò scappare. “Ci ho pensato molto, e so che sarebbe facile pensare che lo sia, ma non lo sono.”

“Perché no?”

“Perché... perché voglio che stia meglio. Farà male, forse, un po', quando non avrà più bisogno di me. Ma voglio quel dolore. Se significa che lo perderò del tutto...” Kurt non poté nascondere il suo accigliarsi. “Spero che non succeda, ma se è il modo in cui le cose andranno per il meglio, sceglierò io per lui.”

La dottoressa sorrise. “Vedo che ci hai ragionato parecchio.”

“Mah.”

Aspettò rispettosamente.

Sorrise debolmente. “L'altra cosa.. Non ne sono così sicuro. La... cosa di Florence Nightingale.”

Sorrise di nuovo mentre le sue sopracciglia si alzarono. Nel sorriso potè vedere che lei sapeva già dove voleva arrivare. Era intelligente e di certo una psicologa sapeva cos'era l'effetto Florence Nightingale. Conosceva la sua situazione, sapeva che ruolo aveva preso nella guarigione di Dave.

Probabilmente aveva già capito le sue paure, ma nel suo silenzio Kurt sapeva che voleva farlo parlare ancora.

Aprì la bocca per continuare, ma esitò.

Dato che era già cosciente di dove stava andando, non c'era bisogno di ulteriori spiegazioni. Invece sospirò, e andò dritto al punto del dilemma. “Pensa che sia possibile provare troppo per una persona? Troppe cose?”

“In che senso?”

“Voglio dire...” si accigliò, gesticolando senza farci troppo caso. “Voglio dire, è possibile provare tutte queste piccole cose differenti e scambiarle per qualcosa di più grande?”

Lo guardò, aspettando che andasse avanti.

Sospirò di nuovo. “Se ti piace davvero qualcuno, e ci tieni a questa persona, e sei preoccupato tutto il tempo, e la vuoi sempre intorno, e forse sei davvero attratto da questa persona... è possibile sentire tutte queste cose in una volta e scambiarle per qualcos'altro, come... amore?”

La dottoressa incontrò i suoi occhi. “Cosa pensi che sia l'amore, se non tutte queste cose, tutte assieme in una volta?”

La bocca di Kurt si aprì e poi si richiuse.

Se l'epifania sull'avere il permesso di lasciar andare i sensi di colpa lo aveva fatto arrivare alle lacrime...

Quella lo lasciò completamente ammutolito.

  
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