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Autore: Remedios la Bella    04/02/2012    1 recensioni
Un ragazzo tedesco che tollera gli ebrei e trova misera la loro condizione. Max.
Una ragazza Ebrea dallo sguardo vuoto e dal passato e presente tormentati e angustiati. Deborah.
Due nomi, un'unica storia. 15674 è solo il numero sul braccio di lei, ma diverrà il simbolo di questa storia.
In un'epoca di odio, nasce l'amore.
E si spera che quest'amore rimanga intatto per lungo tempo, e sradichi i pregiudizi.
Enjoy!
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ma buona sera! Da me ha nevicato tantissimo, anche se ormai si è tutto sciolto, e come vedete ho trovato il tempo di aggiornare la storia in tempo per il mio patto! Evvai :D
Buona lettura, e grazie a tutti quelli che hanno inserito la storia tra seguite, preferite, ricordate, e che hanno gentilmente recensito e seguito la storia fino in fondo. 
Remedios 


Capitolo 41

 
Ormai i giorni sul campo volavano e si dissolvevano come neve al sole o come attimi spazzati da battiti di ciglia. Fatica, sangue, bombe e disperazione erano le parole chiave su una terra ormai arsa dal calore delle fiamme e stanca di essere pestata da pesanti scarponi, intenti a fuggire più che a lasciare la loro traccia su quel campo maledetto. Alla fine rinunciai a tenere il conto dei giorni che passavo lì, in quell’inferno, rinunciavo anche alle speranze di poter tornare un giorno, davvero, a vivere in pace, lontano da tutto quello. L’apocalisse stava per colpirci tutti, non c’era più niente da fare, e io ero rassegnato a essere spazzato via insieme al resto.
Nonostante però il senso di oppressione, la debole fiamma della speranza di poter di nuovo rivedere il resto del gruppo, e soprattutto Deborah, era l’unica fonte di calore che riuscisse a scaldare un poco il mio cuore, ormai chiuso nella morsa di ghiaccio della freddezza di sangue tipica di ogni soldato che si rispetti. Forse era proprio quella a mandarmi avanti nella missione.
Sognavo, ogni notte, di poter rivedere mia sorella, mia madre, Jordan, scomparso da secoli ai miei sensi, e, anche se il mio odio per lui non mancava di esistere, mio padre Frank.
Sì, anche l’uomo che sotto il consiglio di Xavier mi aveva spedito in anticipo negli inferi sulla Terra. Anche lui iniziava a mancarmi, e mi chiedevo anche se poche volte, cosa stesse facendo, cosa stesse pensando.
Un’ossessione, seppur piccola, che riusciva a mandarmi avanti nelle missioni più difficili.
E venne un giorno in cui questa ossessione mi aiutò in un altro modo, di certo inaspettato. Pensai veramente, quando accadde, che tutta la mia vita stesse per svenire per colpa di un caldo dolore accanto al mio cuore.
 
Corsi in postazione, e riuscii ad evitare solo per caso una scarica di mitra distante un cinquecento metri dai muri dove mi riparai dai colpi. Alcuni proiettili riuscirono a colpire un soldato, che finì a colabrodo sulla terra macchiandola con il suo sangue. La vista di quell’orrore  mi fece salire la nausea.
“ Che schifo …” sibilai, mentre caricai gli ultimi colpi rimastimi a disposizioni. Dovevo attendere che mi arrivassero le munizioni, l’unica cosa da fare era rimanere dietro quel muro e aspettare che venisse qualcuno. Non potevo sprecare le ultime cinque cartucce rimaste in tasca, nel caso di un attacco a sorpresa non potevo permettermi negligenze come sparare a caso senza nemmeno colpire chi avevo davanti.
Una goccia di sudore mi pizzicò la pelle, mi stropicciai gli occhi stanchi e osservai oltre il muro di mattoni. Sagome in lontananza continuavano a correre o cadere, sentivo colpi provenire da tutte le parti e non avevo la più pallida idea di cosa diavolo stesse accadendo.
Un soldato stava venendo dalla mia parte, aguzzai la vista e caricai un colpo.
“ Sono dalla vostra parte! Sono dalla vostra parte!” urlò quello, avvicinandosi. Solo allora notai lo stemma dell’aquila sulla sua giacca e abbassai l’arma.
Lui mi vide e si mise insieme a me dietro il muro.
“ hai munizioni?” fu la prima cosa che gli chiesi appena mi fu vicino.
“ Penso di si …” frugò nella tasca e tirò fuori una scorta intera di proiettili che mi porse senza esitazioni: “ sei rimasto senza?”
“ A quanto pare sì, grazie amico. Cosa è successo?” chiesi, mentre riempivo la mia scorta con i proiettili del nuovo arrivato.
“ Un altro attacco a sorpresa, mi hanno mandato a chiedere rinforzi. Alcuni dei nostri sono stati fatti fuori da colpi volanti del nemico, deve averci scoperto …”
“ Non ci voleva … vengo con voi.” Mi affrettai a rendermi utile, di certo non potevo restare lì come un allocco mentre gli altri morivano senza dignità: “ Da che parte si va?”
“ Ti guido io … arrivati lì, ci separeremo, tu andrai dalla squadra del cadetto Jordan …”
“ va ben … C- Cadetto Jordan??” urlai quasi quel nome, tanto ero sorpreso. Lui mi guardò con aria perplessa: Ho detto qualcosa di strano?”
“ No …” altro che aver detto qualcosa di strano, aveva appena accennato  a qualcosa che non mi aspettavo.
Poteva benissimo essere un altro Jordan quello che aveva appena nominato, ma sentivo, in qualche modo, che era il Jordan che conoscevo.
Mi misi a seguire il soldato, alimentato dalla speranza che quello che aveva nominato fosse davvero il mio amico.
Raggiungemmo il fatidico posto di guerra in dieci minuti, e ad accoglierci fu una strattonata all’uniforme che mi fece inciampare. Il mio corpo sentì violentemente la caduta all’indietro, mentre una voce mi suonò alle orecchie:” sta giù ..”
Era un sussurro, ma non riuscii a vedere da chi provenisse. Sentii l’urto deviato di una pallottola che scalfì il muro dietro il quale mi ero riparato. Mi alzai carponi, e presi il fucile pronto a sparare.
“ Com’ la situazione?”
“ Sono in pochi, ma hanno un calibro 32 dalla loro parte. Brutta faccenda, quella ci può uccidere seduta stante.” Fece quello accanto a me. Mi misi sul bordo del muro e sparai un colpo, mirando alla testa di un soldato che riuscii a intravedere nella polvere.
“ Meno uno ..” dissi, per poi puntare il mirino verso un altro scorcio nero.
Sentii improvvisamente una mano schiacciarmi la testa e spingermi verso il basso, e questo fece deviare il colpo della mia pallottola, che andò a scemare tra la polvere del campo.
“ ma cosa …” imprecai, a causa del dolore che avvertii alla schiena, ma appena aprii gli occhi, notai che sopra di me stava il viso più familiare che conoscessi da quelle parti.
Il muscoloso uomo stava sparando con precisione assurda.
“ Jordan …” sussurrai, per poi alzarmi e scostarmi in fretta. Volli vederlo bene in faccia, i lineamenti dalla prospettiva di prima potevano benissimo essere un gioco di luci. Ma appena mi misi accanto a lui, gli occhi azzurri e per niente freddi del ragazzo che tempo fa se n’era andato senza dire niente mi guardarono sorpresi.
“ Non ci scommettevo più nel rivederti … come te la passi?” disse, quasi sorridendo e rimettendosi a guardare il campo, mentre io ero paralizzato dalla sorpresa.
“ oddio …” fu l’unica cosa che riuscii a far uscire dalla mia bocca. Finalmente, ero di nuovo accanto a lui, inspiegabilmente ma ero di nuovo insieme alla persona che mi aveva sostenuto di più nei giorni di rabbia e frustrazione in Accademia e sul campo.
Era stranissimo ritrovarsi accanto a lui, anche in quella situazione così di giornata per me come soldato.
“ Beh .. il gatto ti ha mangiato la lingua Max?” disse, con fare scherzoso. Sinceramente, non avevo tanta voglia di scherzare, ma lui sembrava talmente a suo agio che un po’ della sua tranquillità mi arrivò e mi sciolse le parole in bocca :” Cosa diavolo ti è preso l’altro giorno??” gli urlai addosso.
“ Volevo divertirmi un po’, tutto qui! Ti ho fatto preoccupare? Che tenero!” esclamò, mostrando un sorriso inadeguato alla situazione.
“ Preoccupare? Sono morto accidenti! Dimmelo quando fai certe cose!” stavo urlando addosso al mio amico accecato dalla rabbia, nonostante fossi felice di averlo di nuovo accanto a me.
“  La prossima volta ti mando una cartolina prometto! Ma vedo che te la sei cavata comunque!” fece, poggiandomi una mano in testa e strofinandola sul mio elmetto. Rimasi basito davanti alla sua azione, e non spiccicai altra parola. Mi limitai a mettermi in posizione, pronto a sparare chiunque mi attaccasse.
Ero felice, in fondo, felice di riaverlo accanto a me. Ma può la felicità uccidere una persona o solo ferirla?
Mi diedi una risposta da me, quando la vista mi si annebbiò all’istante, e un calore immenso e doloroso mi si diramò nel petto.
“ Max!!” sentì l’urlo di Jordan, ovattato e non troppo stridulo. La presa sul fucile si allentò, sentii il mio corpo spinto verso il suolo, mentre con la coda dell’occhio vidi un foro nel muro dove prima ero appoggiato.
“ Max!” un altro richiamo, ancora più ovattato. E poi buio.
 
Mi svegliai di colpo in un bagno di sudore. Avevo il fiatone, e appena mi poggiai una mano sul cuore, avvertii il battito accelerato a mille.
Avevo fatto un incubo, ne ero certa. Avevo appena premonito qualcosa che ancora mi stava scioccando da sveglia.
Le immagini del sogno mi passarono davanti agli occhi come fotografie: Io da sola in mezzo a un cerchio di fuoco, il suono di un proiettile, le fiamme che si erano alzate per magia e io che morivo dal caldo e dalla paura. La comparsa del numero 15674 sulla terra. In fiamme anche quello. Una voce in lontananza che chiamava il mio nome.
Cosa diavolo fosse stato non ne ero certa, ma un’orrenda sensazione mi stava lentamente uccidendo.
Il mio pensiero, non seppi mai perché, volò alla sola persona che in quel momento il sogno mi rammentò: Max.
Doveva essergli successo qualcosa, di sicuro. Ma non ne ero sicura, eppure … un enorme fastidio mi premeva il petto soffocandomi in atroci sofferenze di spirito.
“ Max .. Max .. Max …” ripetei il suo nome a ritmo del mio respiro, mentre lacrime silenziose si fecero strada sulla mie gote.
   
 
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