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Autore: MikiBarakat96    06/02/2012    2 recensioni
Stella Barakat è la sorella di Jack, il chitarrista degli All Time Low con il quale condivide la passione per la musica ma a differenza del fratello, lei non è ancora riuscita a diventare famosa per colpa della sua paura del pubblico. Le cose però cambiano e la vita di Stella si sconvolge totalmente con l’arrivo degli All Time Low nella città dove vive: Roma.
Le recenzioni sono bene accette, mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate della storia :). P.s. Non soffermatevi sui primi capitoli, quelli sono abbastanza noiosi rispetto al resto della storia ;).
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Let it roll-.
 
Partì dall’aeroporto di Fiumicino verso le nove di mattina e dopo otto ore lunghissime, rese ancora più interminabili dalla mia fretta di arrivare, arrivai a Baltimore che erano le undici di mattina, lì, ma in Italia erano le cinque di pomeriggio.
Chiamai i miei genitori e Debbie per avvisarli del mio arrivo. Mamma e papà erano stati contentissimi del regalo che Debbie mi aveva fatto e non avevano cercato di opporsi alla mia partenza, anzi, mi avevano aiutata a fare i bagagli e mi avevano preparato un sacco di snack per il viaggio insieme a molte riviste, un nuovo ipod – con dentro le canzoni degli A.T.L. e dei Simple Plan- e alcuni vestiti nuovi, della mia nuova taglia, un po’ più piccola di quella vecchia, ma stavo ricominciando a mettere su chili, quindi sarei tornata ad indossare presto la mia vecchia taglia, almeno lo speravo.
Debbie aveva avuto ragione a definirmi una mummia, quando quel giorno mi ero spogliata davanti allo specchio, ero stata vari minuti ad osservarmi spaventata. La mia pelle era pallidissima e sottilissima, tanto che mi si vedevano le ossa e le vene pulsanti, i capelli erano un groviglio di nodi, gli occhi due pozzi rossi con due borse gigantesche ed il mio viso era spigoloso come un comodino. Ero magra quanto Lady Gaga ed orribile come un cadavere.
Per fortuna, avevo ripreso un po’ di colore e anche un po’ di ciccia, i capelli erano tornati ad essere la cascata nera e setosa di sempre, gli occhi erano di nuovo marroni come quelli di Jack e le borse se ne erano andate grazie alle dormite tranquille che avevo fatto e anche grazie al trucco, che non avevo mai usato tanto, ma che nello stato in cui mi trovavo era d’obbligo, ecco spiegata anche la matita nera intorno agli occhi.
Non assomigliavo più ad uno scheletro: per quanta roba mi avevano fatto mangiare Debbie e i miei avevo messo su sei chili e le ossa si erano andate nascondendo a mano a mano, ma ero ancora troppo magra, non che fossi stata mai cicciona, ma rispetto a come ero prima ero ancora una sogliola! Jack ed Alex se ne sarebbero accorti, di sicuro, ma io gli avrei solo detto che mi ero messa un po’ a dieta. Non volevo raccontargli del brutto periodo che avevo passato, anche perché ora stavo bene ed era quella la cosa più importante.
Se a Roma faceva freddo, in America si congelava, c’era persino la neve, che io non vedevo quasi mai, solo quando qualche volta mamma e papà decidevano di andare a sciare in montagna, per il resto la vedevo solo in televisione. Fortunatamente indossavo dei jeans lunghi,  una maglietta bianca a maniche lunghe e sopra un giacchetto di lana, che mi riparava dal freddo.
Uscita dall’aeroporto, chiamai un taxi e gli diedi l’indirizzo di casa di Alex, che mi aveva dato Debbie facendomi giurare di non darlo a nessuno vivo o morto.
Ovviamente avevo anche quello di Jack, ma il mio cuore mi aveva spinta ad andare prima da Alex: non potevo più aspettare per rivederlo, volevo riabbracciarlo, sentirlo di nuovo vicino, sentire la sua voce… era stata un’astinenza atroce, ora avevo bisogno di rifarmi. E poi era palese che una volta arrivata da Alex, lui chiamasse anche gli altri per avvisarli della notizia… almeno che lui non mi fosse saltato addosso e mi avesse portato nella sua camera da letto…
Scossi la testa .
Stavo andando fuori, non sarebbe mai successa una cosa del genere e non doveva succedere.
Devo ricordarti cosa hai appena passato?
Mi chiese una voce nella mia testa.
No.
Le rispose.
Bene, perché se vai troppo in là con lui rischi davvero di peggio quando tornerai a Roma e sai che non saprai essere forte!
Sbuffai.
Come si permetteva una vocina fastidiosa di dirmi che non sarei riuscita ad avere la forza di andare avanti una volta tornata a Roma?
Questo lo dici tu sciocca vocina del cavolo!
La voce sparì ed io mi rilassai godendomi la vista delle strade piene di neve, che copriva anche i tetti delle case, rendendole ancora più belle in un certo senso.
Mancavano due settimane precise a Natale, chissà se sarei stata ancora lì. Non avevo un biglietto di ritorno, dovevo decidere io quando andarmene… speravo il più tardi possibile, ma comunque loro avrebbero continuato il tour dopo i due giorni di vacanza ed io che avrei fatto? Li avrei seguiti?
Il taxi iniziò a girare in varie stradine, con villette tutte dello stesso tipo: ad un piano, con il tetto sul blu chiazzato del bianco della neve, i muri dipinti di bianco, un giardino abbastanza grande sul davanti e recintate da una staccionata bianca.
Ero arrivata.
Il cuore iniziò a battermi forte, senza che io potessi farci nulla, ero troppo agitata ed emozionata al solo pensiero di riavere davanti agli occhi Alex, i suoi occhi scuri, il suo sorriso sghembo, i capelli lisci davanti alla fronte portati in modo scomposto, il fisico magro e muscoloso… oddio!
Mi sentì mancare quando il taxi si arrestò davanti ad una delle casette, che avevo già visto in una foto che Debbie mi aveva fatto vedere;  aveva detto di averla presa da internet, dove una stalker le aveva postate. La cosa mi aveva fatto alquanto rabbrividire, era incredibile come la gente impazzisse a volte! Cioè: andare a casa del cantante che ti piace ed iniziare a fare foto alla sua casa e a spiarlo era una cosa da pazzi! Io non lo avrei mai fatto, anche perché il cantante in questione potrebbe arrabbiarsi ed è meglio che lui non sappia della tua esistenza piuttosto che ti consideri una maniaca… o no?
Pagai il tassista, che scaricò i pochi bagagli che avevo portato e poi se ne andò salutandomi con un grande sorriso, che ignorai completamente troppo presa dal pensiero di Alex, a soli pochi metri da me… sempre se fosse stato a casa. Una luce proveniente da una finestra, rispose alla mia domanda.
Il cancelletto che univa la staccionata era aperto, così entrai trascinandomi dietro il trolley. Stavo per avviarmi alla porta per bussare con le mani tremanti e sudate, quando un abbaio mi fece trasalire. Mi girai un po’ perplessa, verso la fonte di quel richiamo acuto e mi trovai davanti un cagnolino, delle dimensioni di un volpino più o meno, che assomigliava molto alla razza Papillon, ma in realtà dedussi fosse un bastardino, dal pelo bianco, eccetto la parte delle orecchie fino a sotto gli occhi neri da cucciolo, che era di varie tonalità, iniziava dal marrone chiaro della punta delle orecchie, al marrone scuro dell’inizio della testolina e finiva con il nero del contorno degli occhi; aveva anche una macchina marrone chiaro su un fianco e un’altra sulla punta della coda. Era adorabile.
Il cane iniziò a scodinzolare guardandomi con la lingua penzoloni, pronto a farsi coccolare e a riempirmi di leccate che io definivo baci. Lasciai il trolley e mi chinai ad accarezzarlo.
<< Ma ciao piccolino >>, dissi massaggiandogli la testa.
Abbaiò.
Lo presi in braccio e mi accorsi del collare con il ciondolo a forma di osso che portava al collo. Lo presi tra le dita e lessi il nome: Sebastian.
<< Ciao Sebastian, lo sai che sei davvero carino? >>.
Sebastian, per tutta risposta mi leccò il naso abbaiando di nuovo.
Risi e continuai ad accarezzarlo, quando all’improvviso sentì uno scatto, come una serratura che viene aperta e subito dopo, udì la sua voce.
Iniziai a tremare in un modo incontrollato e sorrisi mentre il cane continuava a leccarmi la faccia.
<< Sebastian! Ma che fai?! Vieni dentro! >>, lo rimproverò Alex con tono brusco.
Sebastian ubbidì al comando e staccandosi da me corse verso Alex, il quale probabilmente non mi riconobbe visto che disse: << E lei, chi è? >>.
Gli davo le spalle, forse era per questo che non mi aveva riconosciuta. Mi venne da ridere, una risata di… benessere, gioviale.
Mi girai e lo guardai con un sorriso a trentadue denti. << Non mi riconosci più? >>, chiesi accennando ad una risata.
Alex spalancò la bocca e sgranò gli occhi sorpreso. Decisamente non si aspettava di vedermi.
Quando si riprese dallo schok, socchiuse gli occhi e mi studiò. << Stell, sei davvero tu? >>, mi chiese.
Quella voce era una melodia dolce e sensuale che fece fremere il mio cuore.
<< E chi dovrei essere, se no?! >>, chiesi fingendo di essere stizzita.
La bocca di Alex si aprì in un sorriso grande quanto il mio e prima che potessi accorgermene, mi corse incontro e mi abbracciò così forte che per un minuto non respirai.
Sapeva di bagnoschiuma, ed aveva i capelli leggermente umidi, segno che probabilmente si era appena fatto la doccia e questo non me lo face di certo desiderare di meno, anzi…
<< Ma sei dimagrita? >>, mi chiese staccandosi da me e guardandomi da capo a piedi.
D’oh!
Feci un sorriso, sperando risultasse vero e non nervoso come io lo sentivo. << Solo un po’ >>, risposi vaga.
<< Ma non ne avevi bisogno >>, disse aggrottando le sopracciglia.
Mi strinsi nelle spalle non sapendo che aggiungere.
Mi lanciò un’occhiataccia. << Dovrò provvedere io a farti riprendere qualche chilo >>.
Risi. << Va bene >>.
Mi tese una mano. << Vieni, andiamo dentro, non è un bene rimanere qui fuori al freddo >>.
Con le gambe tremanti, allungai la mano verso quella di lui e quando le nostre dita si toccarono non riuscì quasi ad evitare di sorridere per le scintille che mi attraversavano la palle. Intrecciai le mani con le sue, ma come sempre, nessuno dei due diede troppo peso a quel gesto che risultava così naturale.
Mi condusse dentro la villetta, che era calda e accogliente con un profumo che mi ricordava… Alex! Quella casa sapeva proprio di Alex, ma l’arredamento mi stupì molto. Insomma, la casa di un cantante te l’aspetti tutta disordinata, con buste di patatine e bottiglie di birre sparse sul pavimento o sul tavolo, spartiti e fogli nei posti più assurdi, chitarre sparse in giro, una montagna di vestiti da lavare… insomma un caos e invece la casa di Alex era uno splendore da cima a fondo, molto ordinata e davvero molto carina.
Percorremmo un piccolo corridoio dalle pareti bianche, come del resto tutta la casa, con il pavimento a mattonelle marroni, che si affacciava sulla cucina con i mobili ed i fornelli dello stesso colore del pavimento. Al centro della cucina, circondato dagli elettrodomestici, c’era un grosso tavolo alto, con sei sgabelli dai cuscini bianchi intorno. La cucina comunicava con il salotto, un’ampia stanza, con un lungo divano bianco al centro, posto davanti ad una tv al plasma con sotto un lettore dvd, una libreria rifornita di libri, dvd e cd, uno stereo abbastanza grande con casse altrettanto grandi ed un tavolino di vetro posto tra il divano e la tv. Nel muro che univa la cucina con il salotto, c’era una porta che dava su un altro piccolo corridoio con tre porte: una era il bagno tutto sull’azzurro, una la camera di Alex con un letto matrimoniale dalle coperte nere, un armadio, due cucce per cani ed uno specchio; l’ultima era una sorta di stanza ricreativa, con varie chitarre, una scrivania con un computer ed una playstation.
<< Benvenuta nella mia casa! >>, disse Alex sorridendo. << Non è chissà che cosa, ma a me piace >>.
<< No, no è davvero carina, mi piace >>, annuii.
Mi rivolse un sorriso sghembo. << Mi fa piacere >>.
Dopo avermi portato a fare un giro della casa e avermi fatto poggiare le valigie in camera sua, mi riportò in cucina, dove Sebastian stava gironzolando attorno al tavolo forse alla ricerca di cibo.
<< Lui lo hai già conosciuto >>, disse Alex indicando il cagnolino.
<< Già >>, concordai accucciandomi e facendo segno a Sebastian di venire da me. Lui obbedì e con un abbaio acuto trotterellò vicino alle mie ginocchia. << È molto carino >>.
<< Già, lo adoro, lui e Peyton sono la mia famiglia >>.
<< Peyton? >>, chiesi.
Alex mi fece segno di attendere, poi portando il labbro di sotto verso l’interno della bocca, fischiò. Ci fu un momento di silenzio, poi, ci fu un rumore di zampe sul pavimento ed ecco che comparve un altro cane da fuori la casa, entrato dalla porticina per cani sotto la porta, che prima non avevo notato. Era più grande di Sebastian, anche lui un bastardino bianco, con due macchie marroni chiaro intorno agli occhi ed una su un fianco; aveva un musino dolce, a differenza di quello di Sebastian che era più furbetto.
<< Lui è Peyton >>, disse Alex accarezzando dolcemente la testa del cane, che gli iniziò a leccare la faccia.
Sebastian corse da Peyton iniziando a girargli intorno, finché lui non si accorse della sua presenza ed insieme iniziarono a giocherellare, poi Peyton mi si avvicinò e mi diede una leggera leccata sulla guancia.
Risi.
<< Gli piaci, a tutti e due >>, disse Alex con aria soddisfatta.
<< Loro piacciono a me >>.
Alex mi sorrise e rimanemmo per cinque minuti contati, a guardarci senza dire nulla, ma le mie guance paonazze dicevano tutto.
<< Allora, posso offrirti qualcosa? >>, mi chiese alzandosi e dirigendosi verso la cucina.
Lo imitai e mi andai a sedere su uno degli sgabelli, prima di rispondere: << Un bicchiere d’acqua grazie, in aereo non ho fatto che mangiare gli snack che i miei mi hanno messo in borsa >>.
Ridacchio mentre apriva il frigo e ne cacciava una bottiglia d’acqua. << Allora, come mai sei qui? >>, mi chiese. << È… davvero una sorpresa… non ti aspettavo e poi vieni giusto in tempo per i nostri giorni di vacanza >>.
Mi porse il bicchiere d’acqua, che io sorseggiai sentendo improvvisamente una gran sete. << Mi mancavate >>, risposi sinceramente. << Ecco perché sono qui >>.
Alex si sedette sulla sedia accanto alla mia e mi fece un sorriso comprensivo.
<< Non era stato programmato da molto anzi, lunedì ho deciso di venire >>. Non era proprio la verità, ma non faceva nulla.
<< Uhm… ci scommetto che Debbie ti ha avvisato delle nostre vacanze, giusto? Non saresti mai venuta sapendo che potevamo non essere in casa >>, disse Alex con un sorriso divertito.
Arrossì per l’imbarazzo. << Si… ci hai preso in pieno, Debbie mi ha detto che sareste andati in pausa e mi ha anche dato i vostri indirizzi >>.
Alex annuì. << Ci scommettevo anche su quello >>, rise.
Mi strinsi nelle spalle. << Ha voluto solo aiutarmi, visto che ero un po’… giù >>.
Un po’?!
Tuonò una voce nei miei pensieri.
Con mia grande sorpresa Alex mi prese una mano e me la strinse tra le sue. << Ha fatto bene, anche tu mi mancavi… >>, diventò rosso, << o meglio ci mancavi… >>. Fece sgusciare le mani via dalla mia un po’ imbarazzato ed io dovetti soffocare una risata: era divertente vederlo imbarazzato, sembrava sempre tanto sicuro di sé.
Decisi di cambiare discorso. << Allora, siete già in vacanza oppure avete qualche altro impegno? >>, chiesi.
Alex sembrò sollevato dal cambio d’argomento e rispose con un sorriso: << In verità stasera ci sarebbe l’ultimo concerto prima dei due giorni di vacanza >>.
<< Davvero, dove? >>, chiesi.
<< A Philadelphia, dopo aver girato più o meno tutta l’America del nord, abbiamo deciso di fare una tappa più vicina a casa per poi continuare il giro con l’America centrale e poi anche l’Europa >>.
< < Wow! È fantastico! >>, esclamai.
<< Verso le sei andremo a fare le prove >>, continuò Alex.
<< Oh, allora io starò a casa di mio fratello, non voglio darvi fastidio >>, dissi.
Alex aggrottò le sopracciglia. << Non voglio che tu stia a casa di Jack! >>, esclamò, poi divenne nuovamente rosso e distolse lo sguardo prima di correggersi: << Insomma… voglio che tu venga, vedrai che ti divertirai. Puoi anche restare a vedere il concerto, per noi non c’è nessun problema, davvero >>.
Sorrisi. Non potevo rifiutare, l’idea di vedere un concerto dalle quinte era allettante e poi avrei visto un palco! Ci sarei stata sopra! Ci avrei camminato! Praticamente era come un sogno che diventava realtà.
<< Ok, se non do nessun fastidio accetto volentieri >>.
Alex mi sorrise. << Fantastico! >>.
<< Allora, come sono andati questi primi quattro mesi? >>, gli chiesi.
<< Alla grande, ogni sera è sempre un divertimento, con i ragazzi facciamo sempre un sacco di giochi, scherziamo sempre, facciamo a botte… >>.
Mi accigliai.
<< Ovviamente per finta >>, mi tranquillizzò.
Annuii.
Alex rimase per qualche minuto in silenzio, pensieroso, in cerca delle parole da usare. << Esibirsi è davvero un’esperienza fantastica, ci sono… milioni di persone che ti guardano, che ti acclamano perché per loro sei importante, ti considerano… quasi il loro Dio >>, rise. << Ogni volta che salgo su un palco, mi dico sempre di dare il meglio di me, perché non posso deluderli: loro credono in me, sono venuti lì per avere uno spettacolo da ricordare, un’esperienza mozzafiato e non vogliono andare a casa delusi, quindi mi concentro sulla musica ed inizio ad esibirmi con tutto me stesso >>.
<< Com’è trovarsi tutta quella gente davanti? >>, gli chiesi.
Io avevo sempre sognato di avere una folla buia di fronte, che urlasse il mio nome e che mi scattasse tante foto che poi avrebbero fatto vedere ai loro amici o che avrebbero messo su Facebook, vantandosi di essere venuti ad un mio concerto, ma non avevo la più pallida idea di che cosa si provasse davvero in quei momenti.
<< La prima volta che sono salito su un palco sentivo le gambe che mi tremavano >>, ridacchiò. << Ero agitatissimo, non sapevo se sarei riuscito a cantare e avevo paura di stonare o di sbagliare qualche attacco. La vista della folla non mi ha aiutato, erano talmente tanti, urlavano come matti e tutti mi fissavano… >>, fece una pausa. << Lo stomaco mi si stava contorcendo e mi sentivo come se dovessi vomitare, ma quando è iniziata la musica ho chiuso gli occhi concentrandomi solo sulle note ed ho iniziato a cantare. Quando poi mi sono sentito sicuro, ho aperto gli occhi ed ho affrontato la folla, sfoggiando un sorriso e beandomi delle loro urla >>.
<< È così ogni sera? >>.
<< L’agitazione c’è sempre, ma ormai ci sono abituato, lo faccio da tanto tempo >>.
Sorrisi. << Deve essere davvero fantastico >>, commentai sentendomi un po’ invidiosa.
Alex mi guardò. << Tranquilla, arriverà anche il tuo momento; se questo è davvero il tuo sogno allora si avvererà, basta crederci e  credere in se stessi >>.
Come al solito, le sue parole mi riempirono di fiducia e di calore, ma quel giorno, non mi convinsero, non dopo le orrende esperienze che avevo passato, non dopo essermi  imbarazzata davanti a varie case discografiche che mi avevano insultata e riso in faccia.
Cercai di non dar a vedere il mio disaccordo e sorrisi annuendo.
<< Tu che hai fatto in questi quattro mesi? >>, mi chiese.
Uhm… vediamo, ho pianto tutti e quattro i mesi, non ho mangiato quasi mai, ho mandato a fanculo Enrico, sono diventata una fan dei Simple Plan, mi sono depressa in un modo assurdo, sono diventata una mummia, non sono uscita mai di casa facendo preoccupare Debbie e i miei genitori ed ho imparato le vostre canzoni.
Pensai.
La maggior parte di quello che avevo fatto non glielo avrei mai potuto dire, quindi prima di rispondere mi creai un po’ di balle nella testa inventando scene ed azioni che non erano mai accadute, ma lui non lo avrebbe mai saputo. << Niente di molto importane, ho imparato le vostre canzoni grazie a Debbie, siamo uscite quasi tutti i giorni a fare shopping, ho scoperto una nuova band che mi piace e… sono andata a trovare i nonni… ah e ho fatto anche l’albero di Natale >>.
Ok, l’ultima era assolutamente pietosa, ma era meglio di nulla!
Alex ridacchiò. << Davvero hai imparato le nostre canzoni? >>.
Annuì. << Sono diventata una fan >>, mi strinsi nelle spalle.
<< Be’ sei la fan più fortunata di tutte >>, commentò.
<< Già, sono anche la sorella del chitarrista >>.
<< E un’amica del cantante >>, aggiunse Alex.
Un’amica… mah!
Pensai un po’ stizzita, ma mi scossi subito da quei pensieri tornando alla realtà e a come stavano davvero le cose tra me e lui.
<< Giusto >>, concordai.
<< Qual è la band che hai scoperto? >>, mi chiese.
<< Oh, sono i Simple Plan >>, risposi.
Alex annuì. << Oh si, li conosco, abbiamo fatto una canzone insieme >>.
Sgranai gli occhi. << Davvero? >>.
<< Certo, è nel loro nuovo album >>.
<< È l’unica che non ho sentito >>, risi vergognandomi un po’.
Alex si unì alla mia risata. << Tranquilla, te la faremo sentire >>.
<< Non vedo l’ora >>, sorrisi.
Incredibile: Alex conosceva i Simple Plan, era fantastico! Avrei dato oro pur di conoscerli e dirgli che erano stati la mia luce in un momento di buio, ma per dirgli questo avrei dovuto accertarmi che nessuno degli All Time Low fosse in ascolto.
Rimanemmo a parlare, quando qualcuno bussò alla porta.
I cani abbagliando, si diressero alla porta uscendo per annusare il novo arrivato, che con mia –non molta- sorpresa, si rivelò essere Jack.
Quando Alex aprì la porta, Jack era accucciato ad accarezzare i due cagnolini che gli saltavano addosso facendogli le feste.
<< Ciao Jack! >>, lo salutò Alex scoccandogli un sorriso.
<< Ehi Alex! Sei pronto per stasera? >>, gli chiese Jack continuando a prestare la sua attenzione ai cani.
Alex si girò e mi lanciò un’occhiata. << Molto più che pronto >>, rispose con un sorriso, che ricambiai arrossendo.
<< Be’, è una gioia sentirlo, da quando non ti mostravi così gioioso per un concerto, eh? >>.
Le spalle di Alex s’irrigidirono e la sua voce si incrinò un po’. << Ehm… lo sappiamo entrambi da quant’è… ma oggi è diverso >>.
Per la prima volta Jack alzò i suoi occhi marroni verso Alex alzando un sopracciglio. << Come mai? >>.
Alex si spostò dall’entrata proprio nel momento in cui io scesi dallo sgabello, per avvicinarmi di poco alla porta. Lo sguardo di Jack si spostò da Alex verso l’interno della casa e poi a me. La sua reazione fu come quella di Alex, completamente sbalordita, con gli occhi sgranati e la bocca a forma di “O”.
<< Wow, è così scioccante rivedermi? >>, chiesi ridacchiando verso Alex.
Alex si unì alla mia risata e annuii.
Jack lasciò perdere i cani, che rimasero abbastanza delusi da quell’interruzione di coccole, e mi si avvicinò a passo lento, finché non ci trovammo a pochi centimetri di distanza e allora mi abbracciò, circondandomi di amore fraterno, quell’amore che mi era mancato come l’aria. Era la cosa più bella che una persona potesse mai avere.
Chiusi gli occhi assaporando quel momento e godendomi il suono del cuore di Jack e del profumo di casa che emanava. 
<< Dio mio! Ma che ci fai tu qui? >>, mi chiese.
<< Vi ho fatto una sorpresa >>, risposi non accennando a staccarmi da lui. << Mi mancavate e Debbie mi ha detto che avevate due giorni di vacanza, così ho deciso di partire >>.
Dal tono allegro che assunse la sua voce, dedussi che stesse sorridendo. << Ma è grandioso, è… fantastico che tu sia qui, davvero, mi mancavi così tanto sorellina, mancavi a tutti >>.
Scostai il viso dal suo petto e alzandomi sulle punte gli scoccai un bacio sulla guancia che mi pizzicò le labbra data la barba.
<< Per quanto resterai? >>, mi chiese.
Alzai le spalle. << Non ho un biglietto di ritorno, quindi quando voglio o quando voi non mi vorrete più >>, risposi lanciando un’occhiata a tutti e due come per dire “se lo fate vi ammazzo”.
Alex si avvicinò. << Tranquilla, ti vorremo sempre qui >>.
<< Già, te ne andrai quando lo vorrai, per noi puoi restare anche per l’intero tour >>.
Lo guardai sgranando gli occhi. << Esagerato! Come facciamo ad entrarci tutti in un pullman? E poi il tour dura un anno, non posso stare lontano da casa per un anno, per quanto lo vorrei >>.
Alex e Jack si lanciarono uno sguardo silenzioso, come se stessero comunicando in silenzio. Probabilmente erano come me e Debbie, si capivano con una sola occhiata. << Ok, allora… te ne andari quando vorrai >>, concluse Jack.
<< Per ora godiamoci il tuo ritorno >>, aggiunse Alex, stringendoci tutti e due in un abbraccio.
Per la prima volta, dopo quattro mesi, mi sentivo di nuovo a casa.
 
“Let It Roll
Our time is fleeting
So we take control”.
  
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