In nome della perfidia
Antonin Dolohov.
Un nome che racchiudeva in sé un enorme perfidia.
Rinchiuso ad Azkaban, passava i suoi giorni a meditare su come vendicarsi una volta venuto fuori da quell’inferno. Quando gli dicevano che era impossibile uscirne vivi, lui rispondeva con un ghigno ed una fragorosa risata. Sapeva che non sarebbe stato imprigionato a lungo in quella sudicia cella.
Quattro mura grigie proprio come la sua anima.
C’era solo uno spiraglio di luce fioca proveniente da una finestra grande quanto una noce di cocco. Ma anche di giorno, in quella cella, regnava l’oscurità.
Nella sua testa sentiva rimbombare continuamente il vociare degli altri Mangiamorte. Alcuni dei quali chiedevano implorando il ritorno del signore Oscuro. Ma lui non parlava mai con gli altri. Preferiva rimanere il quel finto silenzio.
Poggiato ad una parete viscida sentiva crescere in sé il desiderio di torturare ancora, e ancora, fino a quando la sua bacchetta avrebbe gridato di smetterla.
Gli mancava l’ebbrezza che assaporava dopo aver lanciato la Maledizione Cruciatus, anche se non era la sua preferita. I gemiti delle vittime quasi lo facevano star bene.
Essere un Mangiamorte, per lui, era come aver vinto alla lotteria una marea di galeoni d’oro. Diceva sempre che vivere era sinonimo di “Antonin Dolohov”.
Oltre che di perfidia, si macchiava anche di narcisismo.
Considerato ribelle, e per questo, un pericoloso combattente ed un uomo enormemente spietato e perverso.
Antonin Dolohov.
Un nome che racchiudeva in sé un enorme meschinità.