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Autore: Ilarya Kiki    09/02/2012    1 recensioni
La vita di Amy Wong fa schifo.
Lavora sottopagata in un call-center in una cantina, vive sola in un monolocale nel peggior sobborgo della sua città, Leadenville, con un dirimpettaio invadente e le bollette con cui fare i conti.
Ogni notte va ad ubriacarsi e vaga, solitaria, per le strade notturne come un fantasma…
Finché non si imbatte in una strana ragazza dai capelli rossi.
Quell’incontro stravolgerà la miserabile esistenza di Amy, e la farà intrecciare con i fili rossi dei destini di innumerevoli creature in un misterioso disegno più grande, l’ordine del mondo e l’equilibrio tra bene e male,
fino a risalire al suo oscuro e terribile passato.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lacrime e acqua santa

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Amy era sicura che quella trovata fosse pessima, oltre che orrendamente imbarazzante.
Lei e Davey aspettavano ormai da quindici minuti, in piedi impettiti di fronte a quella porta vecchissima, vestiti con due camice azzurre identiche –ma dalla taglia tragicamente sbagliata- e un sorriso fintissimo che faceva dolere le guance.
Di fianco a loro gemeva con stridii rugginosi il povero motorino della blu, sovraccarico di una quantità indicibile di libri impacchettati in qualche modo con spago e carta velina rosa, i quali avevano il compito di far credere alla proprietaria di casa di essersi imbattuta in due improbabili e petulanti venditori di bibliografie.
“Te l’avevo detto che non era una buona idea…” mugolò Amy tra i denti.
“Abbi un po’ di pazienza, se continueremo a suonare così dovranno uscire per forza, quanto meno per tirarci una schioppettata!”.

La casa era davvero imponente, ma afflitta da una pesante, deprimente decadenza: le alte finestre dai polverosi vetri frantumati erano state sbarrate in malo modo con assi di legno da cantiere e chiodi arrugginiti, fazzoletti, sigarette, sacchetti di plastica e sporcizia di ogni genere gettata da qualche maleducato impestavano il cortile incolto, piante rampicanti selvagge ricoprivano i muri, imbrattati dai colori innaturali di bombolette spray.
Mai ad Amy sarebbe venuto in mente che qualcuno potesse ancora vivere là dentro, e la cosa comunque sarebbe stata da pazzi –ma, ripensando a quella matta di Tarja, Amy non faticava ad immaginare quale poteva essere lo stato di salute mentale di sua madre-.
In ogni modo, stare in piedi dentro il giardino di quell’edificio desolato conciata in quel modo assurdo la faceva sentire una perfetta idiota.

Mentre Amy stava scagliando contro se stessa maledizioni impronunciabili per essersi fatta coinvolgere in quella pagliacciata, l’immenso portone d’ingresso, dopo un sonoro schiocco sinistro, cominciò lentamente ad aprirsi verso l’interno.
“Santo cielo collega, è proprio una bella giornata!” esclamò Davey a voce troppo alta, prima di intrufolarsi nella fessura buia e inquietante che si era appena aperta.
Amy lo seguì, esitante.
Si ritrovarono in una sala oscura dal sapore vago e pregnante di polvere e forse di naftalina, dalle dimensioni sconosciute ma sicuramente immensa, a giudicare dal fatto che tutte la pareti erano immerse nel buio più assoluto: ai loro occhi era visibile solo il pavimento di parquet consunto sotto i loro piedi ed un vago profilo di candelabro sul soffitto, grazie ai nuvolosi raggi autunnali che entravano alle loro spalle dalla porta, unica fonte di luce.
Tutta quanta la situazione era parecchio strana, e non appena la porta si richiuse con un improvviso CLAK! in completa autonomia, spegnendo anche quella fievole luminosità e lasciandoli completamente al buio in preda alla loro immaginazione impazzita, i due ragazzi provarono entrambi con un brivido di ghiaccio la pessima sensazione di essersi cacciati in un film dell’orrore.
“Pe…pe…permesso?” domandò Amy al buio, facendo sibilare le parole al di fuori dei denti che sbattevano frenetici.
Ok, brutta stramaledetta idiota, perché aveva deciso di rovinarsi la vita in quel modo!? Come se non facesse già abbastanza schifo di suo. Aveva giurato a se stessa anni prima che avrebbe evitato di lasciarsi coinvolgere in altre follie da qualunque altro pazzoide nel quale si fosse imbattuta durante il suo cammino, ed invece eccola là, con quel cretino di Davey rinchiusa nella casa di “Non aprite quella porta”, probabilmente in procinto di essere fatta a pezzi a suon di motosega da qualche barbone tossicomane psicopatico pluri-omicida!
Doveva essere impazzita, anzi! Era stata Tarja a contagiarla con le sue patologie mentali, stupida Tarja!
-Si ripromise di cacciarla di casa e/o strangolarla, una volta usciti di lì, sempre se mai sarebbero riusciti ad uscirne incolumi, s’intende.-
Il pensiero che quella casa fosse davvero abitata da un barbone pericoloso e che Tarja si fosse inventata tutto quanto dal contorto mondo alieno che stanziava nella sua testa cominciò a farsi pericolosamente strada nella mente della ragazza, la quale percepiva ormai il terrore come una consistenza solida che la soffocava pressante con il suo puzzo gelido.
Davey sentì le dita di Amy artigliargli la stoffa della manica della camicia e percepì i suoi respiri spezzati dal terrore: sarebbe stata un’ottima occasione per confortarla, per riuscire finalmente ad averla più vicina…se non fosse stato anche lui paralizzato dalla paura nell’oscurità.

All’improvviso, il buio parlò.
“Chi siete voi, stolti che avete osato porre piede in questa casa!?”
I due ragazzi, balzando l’uno addosso all’altra in una stretta strangolante dallo spavento, balbettarono istericamente i loro nomi:
“A-Amy Wong, signora…”
“Davey! Davey Hawk!”
“Sappiate che questo è un luogo di meditazione e preghiera, e le anime impure non possono entrarvi! Confessate i vostri peccati!”
La voce era femminile, vellutata, ma stonava per un’evidente solennità troppo forzata.
“Emh…noi in realtà vorremmo proporle l’acquisto di una bellissim…”
Confessate i vostri peccati ho detto!” I due deglutirono all’unisono, un po’ allibiti, e Davey appoggiandole le mani sulle spalle spinse Amy in avanti con uno strattone, come se stesse pronunciando un galante “prima le signore”. Lei, dopo aver trovato il piede dello studente ed esserci saltata sopra, cominciò a scandire il suo confessionale:
“Io…emh…ho rotto una bottiglietta di Jack Daniels contro una scuola elementare l’altro giorno…poi insulto un sacco il mio vicino e…”
“Che fai, non parli dell’alcool, vicina!?” la interruppe Davey acido, con un accento isterico nella voce.
“Ah già…a volte mi piace bermi un goccetto e…”
“E’ un’alcolizzata!”
“Sì è vero lo ammetto ho il vizio del bere!” esclamò l’ubriacona in un impeto sconsolato di pentimento, con gli occhi inumiditi dal grande ardore sacro e le gambe che traballavano.
“Ed ora è il tuo turno, vicino!”
“Io…io non sono come lei lo giuro! Sono un bravo ragazzo io! Vado a letto presto ogni sera e studio un sacco e non dico mai le bugie e la prego signora non ci faccia del male noi vogliamo solo…”
La voce di Davey si incrinò sempre più fino a diventare un guaito acuto cagnesco, e all’improvviso cacciò un urlo degno di una grassa soprano inseguita da una pantegana: erano stati investiti da qualcosa di liquido e dal puzzo pungente di incenso, probabilmente lanciato dalla donna misteriosa che si nascondeva nel buio.
La doccia di acqua santa purificò la loro anima orrendamente corrotta dai peccati.
“In nomine patris et filii et spiritus sancti.” sentenziò la voce, ponendo fine al rito.
Finalmente, dopo quegli attimi di puro terrore, la luce si accese.

“Santo cielo collega, è proprio una bella giornata!”
Tarja udì il segnale, strillato da Davey dal cortile davanti all’ingresso, dal suo nascondiglio tra le sterpi incolte del retro, e seppe che era giunto il momento di agire.
Facendo il più piano possibile, si districò tra i rami e riuscì a raggiungere il muro umido e ricoperto di vegetazione della casa, dove cominciò a frugare con le mani tra viticci e foglie secche in cerca di una finestra. La trovò presto. Troppo presto.
Non appena le sue mani sfregarono contro il legno scheggiato che barricava per intero l’antica finestra, il suo cuore fece un tuffo, e cominciò a rimbombarle nelle orecchie: Cherì era da qualche parte là dentro e presto l’avrebbe riabbracciata, al diavolo sua madre e tutti i patti stabiliti tra le Stirpi e la Regola che le era stato imposto di venerare.
Prese un grosso respiro, ed un istante dopo la finestra stava esplodendo con un innaturalmente silenzioso schianto di fuoco.

Un Angelo era venuto a prendere Sharon.
I contorni dell’enorme buco nel muro erano ancora accesi di fiamme purpuree quando l’Angelo saltò sul pavimento e si guardò intorno scuotendo la magnifica chioma ondulata, ed infine la vide, lì, accovacciata in un angolo con la Divina Commedia sulle ginocchia, lei infima creatura del buio.
Lentamente l’Angelo si avvicinò a lei e, quando i suoi occhi uscirono dalla cecità causata dalla troppa luce, Sharon si rese conto che quell’essere celeste aveva il volto di sua sorella.
“Cherì…”mormorò Tarja.
“Jaja…”
L’una allungò la mano verso l’altra, il libro cadde e furono subito in piedi viso a viso, mute ed incapaci di lasciare la presa delle dita della sorella, intrappolate in quel momento magico che entrambe avevano sognato per anni ed anni, separate e straziate dalla nostalgia.
Nessuna parlò, ma d’altronde non c’era alcun bisogno di parole.
Negli occhi di sua sorella, Sharon sentì qualcosa spezzarsi nel petto:
“Jaja!” gridò, e le gettò le braccia attorno al collo stringendola a sé come un pezzo di anima ritrovato dopo una vita di dolore, e sentì Tarja che faceva lo stesso ripetendo il suo nome e baciandole gli occhi e le gote; piangendo come bambine si riunirono alla loro metà perduta in quel tempio decadente, dimentiche di ogni altra cosa al mondo che non fosse la loro amatissima sorella.
Quando l’impatto potente dell’emozione fu un poco svanito, permettendole di schiarire l’animo e di rendere di nuovo almeno in parte efficiente il suo cervello, Sharon fu invasa da un’ondata di domande:
“Dove sei stata!? Dov’è papà!? Come hai fatto a convincerlo a farti venire qui!? Lui… la mamma…”
Tarja accarezzò le labbra della sorella e le sfiorò con un bacio per tranquillizzarla ed interrompere quel fiume impetuoso di parole, e guardandola negli occhi le disse:
“Papà è morto, sorellina, ed io sono riuscita a scappare durante la sua processione funebre. Sono venuta a prenderti, ti porterò via da qui e da oggi staremo sempre insieme e nulla potrà mai più separarci.”
L’incredulità si mischiò a fiumi di gioia nel sorriso di Sharon, un sorriso bellissimo perché dotato di una dolcezza rara come una perla nell’oceano, un sorriso che da anni non faceva capolino sul suo volto pallido.
“Allora sbrigati, dobbiamo andarcene prima che nostra madre si accorga che sono qui.”
Tarja la tirò gentilmente per la stretta delle mani che non avevano mai sciolto, ma Sharon puntò i piedi.
“Aspetta” disse. Si volse indietro e raccolse dal pavimento ligneo il pesante volume di poesia, lo spolverò e lo strinse sottobraccio, pronta a partire.
Stavano per incamminarsi, quando un nuovo dubbio le bloccò le gambe:
“Ma…cosa faremo se la mamma ci scopre?”
“Non preoccuparti” la rassicurò Tarja “ci sono degli amici che la stanno tenendo occupata…”

La donna che si ritrovarono davanti non era alta come sua figlia.
A dir la verità, quanto a statura superava di poco Amy, però i capelli sì, quei capelli rossicci raccolti in un’acconciatura all’antica un po’ scomposta erano gli stessi di Tarja.
In linea di massima, trovarsi davanti un tipo del genere lasciava decisamente spaesati, infatti era avvolta da una severa veste nera con un colletto immacolato di pizzo in perfetto stile puritano, ma nello stesso tempo le tremavano visibilmente le gambe, assieme alle guance un po’ afflosciate per l’età ricoperte da goccioline di sudore, e stringeva convulsamente la bottiglietta di ceramica a forma di Madonna di Lourdes con la quale li aveva appena innaffiati di acqua santa.
Però, pensò Amy, rimaneva pur sempre una bella donna come sua figlia.
La signora Madelin svettava tremante accanto allo stipite di una porta altissima, nella parete di fronte dell’enorme salone nel quale i due ragazzi si trovavano, che rispetto all’esterno in via di disfacimento mostrava di essere stato pulito, lucidato e messo in ordine con perfetta regolarità.
I due ci misero un tempo che Amy giudicò di una lunghezza troppo sospetta per ricomporsi, ma in qualche modo riuscirono a tirare di nuovo la faccia nei sorrisi da copione della loro parte di venditori ambulanti.
“Buongiorno signora.” cominciò Davey, con una tranquillità poco verosimile, “Siamo qui oggi per proporle un’occasione unica, la bibliografia di Heg…”
La signora Madelin lo interruppe, secca: “Ci sono già moltissimi libri in questa casa.”
“Oh, ma l’edizione che le proponiamo noi è…”
La donna lo interruppe nuovamente, -che maleducata, pensò Amy- e sentenziò: “Non è buon costume discutere in piedi nel salone d’accoglienza”-sì, che bella accoglienza, pensò Amy-
“Prego, potete seguirmi nel salottino degli ospiti. Vi offrirò una tazza di the.”
Percorsero dietro alla donna due lunghi corridoi privi di qualsiasi decorazione amena, tranne per il fatto che essendo di foggia antica aleggiavano di una vaga atmosfera da castello delle fiabe, illuminati da candelieri e adornati da qualche rara croce in ferro battuto.
Furono accolti in una stanza più piccola rispetto al salone, al centro della quale si trovava un tavolino circondato da due divani foderati in lana pregiata, e piena di librerie alle pareti: non sarebbe stata malaccio, se tutte quante le finestre non fossero state sprangate.
La signora li invitò a sedersi e se ne andò lasciandoli là a guardarsi attorno storditi per qualche minuto, per poi fare ritorno nella stanza reggendo un vassoio con teiera e tazzine; non c’era traccia della zuccheriera.
Tutte queste operazioni erano state svolte in un opprimente silenzio imbarazzato, ed Amy cercò in sé il coraggio di non sembrare troppo maleducata:
“E’ molto gentile da parte vostra offrirci questo the, signora.”
“Non dire sciocchezze. E’ il minimo che posso fare per due viandanti come voi, avrete patito un sacco di freddo là fuori ed è mio dovere morale ristorarvi. Sarei io a dover ringraziare voi per aver tollerato la mia assenza, ma d’altronde sono anni che non mi avvalgo più della servitù, poiché è un vezzo peccaminoso che rende la vita indolente e pigra.”
“Beh…grazie.”
Davey allungò la mano verso la sua tazzina fumante, ma qualcosa di molto simile ad un frustino di legno si abbatté sulle sue dita con uno schiocco improvviso, ed un sonoro “AHI!” da parte dell’interessato.
“Alt! Che fai, bevi senza aver prima ringraziato il Signore!? Scellerato!”
Amy stava pregando. Pregava che Tarja si sbrigasse e che li portasse via da quella pazza scatenata.
“Ed ora uniamo le nostre mani in preghiera.”
I due ragazzi furono costretti a prendere le mani ossute della signora Madelin, e sopportarono un quarto d’ora di borbottio in latino, mormorando “Amen” quando le unghie della donna stringevano dolorosamente la loro stretta.
Dopodiché, bevvero il the: era amarissimo.
Giustamente aggiungerci del latte o dello zucchero sarebbe stato peccaminoso.
“Di cosa volevate parlarmi, cari ragazzi?”

Davey aprì la bocca, ma la signora lo zittì all’improvviso con un sibilo minaccioso ed un’occhiataccia.
Nel corridoio fuori dal salottino risuonavano dei passi in corsa.
“Cosa sta facendo quella disobbediente!? Le avevo detto di andare a farsi il bagno!”
Amy e Davey furono attraversati all’unisono da un brivido di paura: dovevano tenere occupata la madre di Tarja a qualsiasi costo, o le conseguenze sarebbero state tremende –così aveva spiegato la rossa-: dovevano impedirle di uscire dalla stanza.
“D…di chi state palando, signora?”
“Della mia bambina.” La signora si alzò in piedi: “Devo vedere cosa sta combinando.”
“Ma no, ma no…starà sicuramente giocando…non crede?” cinguettò Amy con un sorriso fintissimo.
“Sciocchezze. Le ho proibito di giocare, induce al peccato.”
La donna fece per incamminarsi verso la porta, ma Davey le si piazzò davanti con la sua formidabile statura e la fermò.
“Non ci farà la scortesia di lasciarci di nuovo soli, vero? Avanti resti ancora per…”
“Come osi metterti fra me e mia figlia, scriteriato!? Lasciami passare!”
Davey, in un impeto di stupidità, afferrò la signora per le spalle per impedirle di superarlo con fare minaccioso, e lei avvampò all’improvviso di furia e strillò, strillò come impazzita ed il suo volto si fece terreo di rabbia e terrore.
Vi ha mandati LUI! Ora è chiaro! Non avrete la mia bambina, vi impedirò di portarmela via!
Davey, piuttosto sbalordito da quelle strida senza senso, fu scaraventato da parte con forza sovrumana e vide la signora precipitarsi fuori in corridoio, mentre Amy si alzava per inseguirla, strattonava in corsa un braccio dello studente per tirarlo su e gridava:
“Sei un idiota! Dobbiamo fermarla o finiremmo sicuramente nei guai! Ci denuncerà per sequestro di persona!”
Corsero a perdifiato dietro alla signora Madelin che seguiva il rumore veloce di passi davanti a lei attraverso i corridoi, fino a che si accorsero di essersi diretti verso l’uscita.
Appena entrarono nel grande salone d’ingresso, fermarono la loro corsa: la signora era impietrita davanti a loro, con gli occhi alla porta.
Fuori, alla luce del sole, due ragazze dai capelli rossi si tenevano per mano, bloccate anch’esse per lo spavento.
“TU!?” sibilò la donna, come un’accusa.
Tarja piantò in sua madre due occhi feroci.
Troppo tardi…
  
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