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Autore: Hotaru_Tomoe    19/09/2006    3 recensioni
Inuyasha ha scelto Kikyo. Sango è morta. Miroku si interroga sul perchè. Kagome torna nella sua epoca, ma si sente solo un guscio vuoto. Tristezza e dolore si intrecciano in questa storia... riuscirà la speranza a portare sollievo a queste anime tormentate?
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo, Miroku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DUE FERITE
Si susseguirono giornate limpide e serene, ma i sentimenti di Kagome non mutavano. Ormai si poteva dubitare che la ragazza avesse ancora dei sentimenti: usciva con le amiche, ma restava silenziosa e distratta, si perdeva a osservare il tè che vibrava nella tazza al passare dei camion nella strada. Inuyasha e l’epoca Sengoku erano racchiusi in un angolo remoto della sua memoria, circondati da uno spesso muro di indifferenza, affinché il dolore non traboccasse fuori. A volte si chiedeva se avesse sognato tutto e tentava di convincersi che era davvero così, ma i visi dei suoi compagni di avventura le apparivano chiari, troppo vicini e veri per essere solo un sogno. Hojo_kun era sempre molto insistente con lei e spesso Kagome accettava di vederlo solo per non dover discutere o inventare scuse. Le andava bene così, ormai tutto le andava bene. La rassegnazione più cupa e nera si era impadronita di lei, giorno dopo giorno, l’aveva avvolta nelle sue spirali e ora la teneva racchiusa in una prigione, dalla quale Kagome non provava alcun desiderio di fuggire.
Un pomeriggio stava rientrando a casa: il sole era basso sull’orizzonte, stava tramontando dietro la collinetta del tempio Higurashi, ma era incredibilmente grande e luminoso, di un rosso acceso e infuocato che non era possibile fissarlo. C’era qualcuno in cima alla scalinata del tempio, ma era contro sole. Anzi, per un curioso effetto ottico, quella persona pareva ardere nel sole, senza però bruciarsi. A metà della scalinata si portò una mano sulla fronte, per proteggersi dal sole e vedere meglio, ma la figura restava scura e indistinta, man mano che si avvicinava Kagome distinse nuovi dettagli: quella persona indossava una lunga veste che ondeggiava pigra nel vento. Una veste ampia… e se fosse stato… accelerò il passo trattenendo il fiato, giunse a pochi gradini da lui e…
“Buonasera Kagome_sama.” Era Miroku.
Miroku? Che diavolo ci faceva Miroku nella sua epoca, sulla soglia del suo tempio? Per la sorpresa inciampò, Miroku la afferrò per un braccio e la sostenne. “Stai bene?”
La ragazza annuì, ancora frastornata. Non era Inuyasha… che stupida era stata a sperare che fosse lui! Prima che la tristezza e la delusione potessero fare capolino nel suo cuore, Kagome respinse i sentimenti con forza e rabbia e cancellò l’immagine del mezzo demone dalla sua mente. “Che ci fai qui? Come hai fatto a passare dal pozzo?”
“Avevi dimenticato il tuo zaino di là, così mi sono recato al pozzo per buttarlo dentro: credevo che sarebbe arrivato di qua. Solo che mi sono attorcigliato una cinghia attorno al braccio, ho perso l’equilibrio e sono caduto dentro. Forse, essendo un oggetto di Kagome_sama mi ha permesso di passare.”
“Sei caduto?” Che strano! Miroku_sama era sempre stato molto agile. “Non è da te.”
“No, Ma ultimamente molte cose che faccio non sono ‘da me’. Allora, come stai?”
Kagome si strinse nelle spalle, ostentando indifferenza “Bene. Sono a casa mia, non ci sono più demoni che minacciano la mia vita, quindi sto bene.”
Miroku non rispose e si guardò in giro.
“Hai già incontrato la mia famiglia?”
“Certo! Tuo nonno è simpatico e tua mamma è davvero una bella donna.”
“Non è un po’ vecchia per te?”
Miroku si grattò il mento meditabondo: “La conosco troppo poco per poter decidere.”
Kagome ridacchiò: “Sei incorreggibile, Miroku_sama!” D’un tratto la ragazza si ricordò del kazahana e si rimproverò: come aveva potuto dimenticarsene? “E la tua mano?”
“Il kazahana si è totalmente rimarginato. Sono libero.”
Ma Kagome pensò che Miroku non aveva affatto la faccia di una persona che era libera, né felice. Fu tentata di chiedergli notizie di Inuyasha, ma poi si trattenne: se davvero voleva dimenticarlo per sempre, doveva cancellarlo completamente dalla sua vita. Provava una consolazione sottile nel parlare con Miroku_sama; vagamente intuiva che lui, forse avrebbe potuto comprendere il suo dolore, poiché portava nel cuore un peso simile al suo. Tuttavia restarono lì, nel cortile, senza parlare, senza aprire il cuore l’uno con l’altra. Poi, timidamente, Kagome ruppe il silenzio: “Hai qualcosa da fare?”
Miroku scosse la testa, fissando con curiosità la grande città che si stendeva alle sue spalle.
“Allora puoi restare con noi per un po’, se ti va. Dato che sei stato così gentile da riportarmi lo zaino.”
“Grazie, Kagome_sama, accetto volentieri.” “Perché qui è abbastanza lontano. Lontano da Sango, dalla sua tomba alla quale non riesco ad avvicinarmi…” Kagome gli fece strada e ogni tanto parlavano. Non era un chiacchiericcio fitto, era una conversazione fatta di brandelli di argomenti, che faticavano ad emergere da un abisso di apatia.
“Cosa stai facendo?” chiese a un certo punto Kagome.
“Nulla.”
“Nulla?”
“Nulla.”
“Nemmeno io.”
La conversazione morì così e in fondo non c’era altro da aggiungere, i due si capirono vicendevolmente: erano entrambi troppo feriti per poter pensare a fare qualsiasi cosa in futuro, così dedusse Kagome. Miroku venne alloggiato nella stanza degli ospiti e restò tutta la sera a parlare con Sota e il nonno. Era gentile e disponibile come sempre, ma un po’ lontano e distaccato, come se in realtà la sua mente fosse concentrata su ben più profondi, e forse tristi, pensieri. Kagome andò a dormire presto e il mattino seguente non lo incrociò, poiché uscì molto presto. Il pomeriggio, tornando a casa, ebbe una piccola sorpresa: una lunga fila di persone, in maggioranza donne o ragazze giovani erano ordinatamente in fila sulle scale del suo tempio, come tante formiche che aspettano pazientemente il turno per strappare un boccone da un pezzo di pane caduto a terra. Tra di loro c’erano anche le sue tre amiche. “Hikaru, ma che succede?”
“Ciao Kagome! Avresti potuto anche avvertirci, siamo o non siamo amiche?”
“Ma… - balbettò Kagome confusa – di che stai parlando?”
“Di quel bel ragazzo che avete assunto per leggere il futuro!” rispose Himeko.
Kagome sospirò: aveva più o meno capito di cosa si trattava… Infatti Miroku era seduto nel tempio principale a predire il futuro alle ragazze (un futuro ricco di felicità e bambini per tutte), la cosa non era molto credibile, ma Miroku era così convincente che nessuno ci badava. Molte, osservò Kagome, probabilmente erano lì solo perché avevano sentito dire che il giovane monaco era molto carino, senza conoscere nulla di lui, del suo dolore e di tutto quello che aveva passato. Senza un motivo preciso, Kagome provò un forte odio per tutte quelle ragazze che ridacchiavano tra loro facendo commentino frivoli su quanto fosse bello Miroku. Poco lontano suo nonno e Sota vendevano gli amuleti del tempio.
“Nonno – sospirò la ragazza – è stata una tua idea, vero?”
“Nipote mia, quel ragazzo è fantastico, gli affari del tempio cresceranno a dismisura, facciamo in modo che si fermi il più a lungo possibile!”
“Ma nonno! Miroku_sama non è venuto qui per farsi sfruttare da te!”
“Non c’è motivo per arrabbiarsi così, Kagome_sama – le rispose Miroku – questo incarico è molto divertente per me.”
“Vuoi dire che ti piace?”
“Sì, perché no?”
“Mente ancora…”
Quel pomeriggio, sul tardi, Miroku la fermò sulla soglia di casa, con aria seria: “Ti devo parlare.”
“Non adesso, sto andando a studiare.” Rispose lei, sentendosi a disagio: intuiva quale argomento volesse affrontare il monaco.
“Questo non è vero.”
“Come sarebbe a dire?”
“Ti ho osservata attentamente: stai davanti a un libro aperto, ma in realtà non leggi e non vedi nulla. Per quanto pensi di poter continuare a vivere così?”
“Sei forse mia madre? Come osi parlarmi così?” rispose Kagome arrabbiatissima.
“Kagome_sama, Inuyasha ti ha lasciato e questo è difficile da accettare, ma non puoi negarti una esistenza solo per questo. Io ti capisco, ma…”
“NO, BUGIARDO! Né tu né nessuno siete in grado di capire ciò che provo, perciò non osare mai più rivolgerti a me con quel tono!”
“Kagome_sama, lo dico solo per il tuo bene. Anche Inuyasha si è ricostruito una vita, io sto cercando di dimenticare, quindi perché non provi anche tu a…”
SMASH!!! Kagome tirò un violentissimo schiaffo a Miroku e poi gli urlò: “Non mentire: non accetto prediche da chi fa finta che non sia successo nulla! Ti comporti come sempre, ma so che in fondo al cuore non riesci a scordare la morte di Sango; scommetto che non sei andato nemmeno una volta sulla sua tomba! Perché fa troppo male, vero? Non è vero? Lo sai anche tu quanto si soffre! Perciò non dirmi che devo reagire! E smettila di chiamarmi Kagome_sama! Kagome_sama era la reincarnazione di Kikyo ed è morta!”
“Non dire assurdità: tu sei ancora viva, Kagome! Però sembra che te ne sia dimenticata.”
“Non è un problema tuo. Lasciami stare!”
“No, su questo hai ragione. Dovrai trovare da sola la tua strada. Ed io farò altrettanto.” Detto questo il monaco si diresse verso il tempietto e si tuffò nel pozzo. Era contento della reazione violenta che aveva avuto Kagome_sama, era la prova che non si era completamente lasciata andare alla disperazione, che aveva ancora forza sufficiente per reagire. E poi, aveva detto una grande verità, riguardo alla morte di Sango.

Quando riemerse dall’altra parte del pozzo, Miroku raccolse gli ultimi fiori che regalava quello scampolo di autunno. Fiori dai colori delicati e dal profumo appena percettibile. Fiori semplici, così come lo era stata lei. Ne fece un mazzetto e si diresse verso la tomba di Sango.
Una piccola stele, su un poggio dal quale si dominava la vallata. Si inginocchiò sulla sua tomba e accese un bastoncino di incenso, che ora ardeva piano nell’aria immobile. Un filo di fumo saliva pigro verso il cielo, avvolgendosi di tanto in tanto in piccole volute. Un profumo dolciastro si spargeva tutto attorno. Il monaco fissava i monti oltre il cimitero, con il suo solito sguardo indecifrabile e svagato, ma d’un tratto iniziò a parlare. “Ciao Sango. Scusami se non sono venuto prima. Non ce la facevo. Ogni volta che mi avvicinavo a questo luogo, ogni volta che pensavo al momento in cui sei morta, venivo assalito da cattivi pensieri, pensieri e sentimenti di cui mi rifiutavo di prendere coscienza, tanto erano orribili. Vedi Sango, io non volevo ammetterlo, ma ero arrabbiato con te. Ti avevo gridato di fermarti, ma tu, pur sapendo che saresti morta, ti sei lanciata contro Naraku senza esitazioni, senza voltarti mai. Ho pensato diverse volte che eri stata egoista … il pensiero di lasciarmi solo non ti ha neanche sfiorato. E’ orribile, vero? Ma allontanandomi da qui, ho fatto chiarezza nel mio animo, ho cercato di capire cosa puoi aver provato in quell’istante terribile e ora sono pronto a parlarti. Ti chiedo perdono per aver pensato certe cose ed essermi arrabbiato con te, tu non hai alcuna colpa; la verità è che se sei morta, in parte è colpa mia. Era rimorso ciò che giaceva sotto la mia rabbia ed io non riuscivo ad ammetterlo. Perché non ti ho mai detto chiaramente cosa provavo per te, quanto ti amassi davvero. Ho preferito fare l’idiota e tu avrai pensato che stessi solo giocando, che non ero seriamente interessato a te. Ma non era così: io ti ho amato davvero, sei stata l’unica donna che ha mai toccato il mio cuore. Solo che non ho mai avuto il coraggio di confessartelo, perdonami. So bene quanto possa essere straziante la morte di una persona cara e capisco il dolore che hai provato, quando Naraku ti ha detto di aver ucciso tuo fratello. Ma forse, se io ti avessi confessato tutto il mio amore, ti avrei offerto un appiglio più solido a cui aggrapparti e non ti saresti corsa incontro alla morte. Mi sento colpevole e mi chiedo se potrai mai perdonarmi per non essere stato sincero con te. Avrei potuto salvarti e non l’ho fatto. Scusami, mia piccola Sango.”
Miroku appoggiò una mano sulla lapide di Sango e chiuse gli occhi. Improvvisamente gli parve di percepire un alito di vento caldo e denso, quasi palpabile, che con delicatezza gli sfiorò la guancia e i capelli. Niente a che vedere col freddo vento invernale, sembrava la mano delicata e leggera di una donna. “Sango?” chiese ad occhi chiusi. L’alito di vento si fermò sulla sua spalla e la strinse appena, poi scomparve. “Grazie, Sango.” Restò lì ancora qualche minuto, osservando il bastoncino d’incenso che finiva di consumarsi, poi se ne andò.

Nel frattempo Kagome corse giù per le scale del tempio e sbattè contro Hojo. “Higurashi_san, va tutto bene? Mi sembri sconvolta.”
“No, Hojo_kun, sto bene.” Ma era una bugia, l’ennesima detta a se stessa e agli altri: in le parole di Miroku l’avevano toccata nel profondo, un profondo che non credeva più di avere.
“A me sembri molto agitata. Facciamo due passi nel parco, magari ti calmi…”
Nel parco semideserto, dove solo qualche studente universitario o qualche giovane casalinga sfidava il freddo intenso facendo jogging, Hojo fece sedere Kagome su una panchina e le porse un caffè caldissimo, aspettando pazientemente che la ragazza si calmasse. “Va meglio?” chiese con aria esitante dopo un po’.
“Sì grazie.” Kagome bevve un sorso di caffè e lo guardò con gratitudine: Hojo le era sempre stato vicino in silenzio, aveva sopportato i suoi malumori senza fiatare e lei era stata ingiusta e terribilmente fredda nei suoi confronti. Non riusciva a credere di essersi comportata così male, senza alcun motivo concreto, poi! Tutte le sgradevoli sensazioni che in quell’ultimo periodo l’avevano tenuta lontana da Hojo, quel pomeriggio non esistevano più. Che cosa strana, stranissima, si sentiva sollevata e aveva la mente leggera, come se avesse bevuto una bevanda fortemente alcolica! Il ragazzo si sedette di fianco a lei, sorridendo.
“Sai, recentemente mi è successa una cosa…” iniziò Kagome.
Hojo annuì con forza più volte: “Per forza, io me l’immaginavo.”
“E’ molto evidente?”
“Sì.”
“Già, penso che sia così. Vedi, ho perduto una cosa importante…”
“Un… ragazzo che amavi?”
“All’inizio pensavo che fosse solo quello, ma c’è molto di più…” "Io ho perso me stessa…" ma non riuscì a pronunciare questo pensiero, era troppo oscuro e temeva che Hojo_kun ridesse di lei. Il ragazzo restò pensieroso per un po’, poi sorrise e si alzò: “Sono contento che tu me ne abbia parlato, sono certo che d’ora in poi le cose andranno molto meglio.”
Kagome non ne era affatto convinta, ma pensò che le parole di consolazione del suo amico fossero molto belle.
“Vieni, passeggiamo.” Propose Hojo. I due si inoltrarono sempre più nel parco, fino a giungere al capanno degli attrezzi dei giardinieri. Ma d’inverno non c’era molto da fare e quel giorno non c’era nessun giardiniere, perciò la zona era deserta. “Torniamo indietro, questo posto non mi piace!” esclamò Kagome, improvvisamente nervosa. Poi avvertì un brivido gelido lungo la schiena e un prurito alla base del collo: era passato poco tempo dall’ultima volta che aveva provato quella sensazione per potersi sbagliare, si sentiva così ogni volta che un demone si avvicinava a lei. E ora era sola con un ragazzo che non era assolutamente in grado di fronteggiare la situazione e, inoltre, non aveva più alcun potere di purificazione. “Ascolta Hojo_kun – disse al ragazzo alle sue spalle – torna sui tuoi passi molto, molto lentamente…”
“Qualcosa non va, Higurashi_sama?” chiese il ragazzo con tono ironico. Kagome si voltò e al posto del suo compagno di scuola, vide un demone dalla pelle rossa e tre corna sul capo.
“Tu chi sei?” domandò Kagome spaventata.
“Ma come, non mi riconosci?” la voce era quella di Hojo.
“Hojo_kun? Non è possibile!”
“Il mio nome è Noburu, mi nutro di ragazze dotate di un potere spirituale elevato e tu sei la mia prossima vittima.”
“Cosa? Ma – ma io non ho alcun potere spirituale, non più!” Kagome si allontanò di qualche passo, era terribilmente spaventata, ma il terrore giungeva attutito alla sua mente, invasa da una specie di torpore che inibiva i suoi sensi e le sue reazioni.
“Questo lo temevo anch’io, infatti, ultimamente non lo percepivo più in te, ma stasera qualcosa è cambiato. Sai, è stata dura arrivare a te. Mi sono iscritto alla tua stessa scuola media, perché un giorno, passando lì davanti, ho percepito una forte energia spirituale, la stessa di cui mi cibo. Ho assunto sembianze umane e ho iniziato la ricerca. Mi ci è voluto un bel po’ per individuarti, poi tu eri sempre assente! Ma ora è giunto il momento: ho bisogno di energia e non posso più aspettare oltre. E’ inutile cercare di scappare, il tranquillante che ti ho messo nel caffè farà effetto fra breve.”
Kagome iniziò a correre più veloce che poteva, mentre il demone la fissava tranquillamente: “Più corri, più velocemente il tranquillante entra in circolo.” Infatti poco dopo la ragazza crollò a terra: sentiva la testa ovattata, le gambe pesantissime e non riusciva più a muoversi. Noburu/Hojo la raggiunse in poco tempo e Kagome cercò di guadagnare tempo, doveva farsi venire un’idea alla svelta perché nessuno sarebbe venuta a salvarla, doveva cavarsela da sola. “Come mai non mi sono mai accorta che sei un demone?”
Il demone si scoprì il braccio, mostrando un bracciale in argento pieno di strane iscrizioni: “Questo talismano impedisce che le persone come te mi riconoscano. E ora prenderò il tuo potere spirituale. Ah, se te lo stai chiedendo, a seguito di questo morirai, ma sarà una morte molto dolce, non temere.” Stese il braccio verso Kagome e attese. Ma non successe nulla. “Perché – sbraitò furioso – perché la tua energia non giunge a me? Con tutte le pozioni che ti ho somministrato in questi mesi avrebbe dovuto uscire spontaneamente dal tuo corpo.”
“Di tutta quella roba non ho mai preso niente!” ribattè Kagome con rabbia.
“Ma che peccato! Questo significa che sarò costretto a mozzarti la testa. Avrei preferito evitarlo, dal momento che hai un visetto così grazioso, ma è solo colpa tua.”
Il demone pronunciò una formula magica e nella sua mano apparve una scimitarra. Kagome cercò di strisciare via, quando una vocina maliziosa e suadente si intrufolò nei suoi pensieri confusi: “Perché fuggire?” le chiedeva. “Che senso avrebbe per te restare in vita, continuare a trascinare senza meta un’esistenza priva di affetto, sentimenti, una esistenza vuota e solitaria? Non sarebbe una vita, ma una lentissima agonia. Non c’è più niente che ti leghi a questo mondo e allora, non è forse meglio farla finita qui? Una volta per tutte.” Così le parlava una voce e Kagome si accorse con orrore che era la sua voce, non era un incantesimo del demone. Desiderava dunque la morte? Ma allora perché si accaniva a strisciare sul terriccio umido e freddo, nonostante sapesse che era perfettamente inutile e che il demone l’avrebbe raggiunta in un attimo? Forse perché nel punto più segreto e recondito del suo cuore, la fiammella della speranza non si era ancora spenta del tutto e le mormorava che non poteva negarsi una nuova possibilità.
“Io non voglio morire! pensò Kagome con forza e in quel momento si sentì più viva che mai: una potente e inaspettata energia la riempì, il suo corpo vibrò come percorso da una scarica elettrica, le sue gambe reagirono e Kagome si lanciò in avanti, evitando d’un soffio la scimitarra, poi corse via. Al capanno degli attrezzi aveva visto qualcosa di familiare e molto interessante e se il demone Noburu non si era sbagliato sulla sua energia spirituale, forse poteva ancora sconfiggerlo. D’estate una parte del parco era riservato al tiro con l’arco. Spaccò il vetro della finestra del piccolo ripostiglio ed entrò: in un angolo c’erano arco e frecce. Li raccolse e senza esitazioni tornò indietro. Noburu le corse incontro. Kagome prese la mira e scagliò la freccia senza alcuna esitazione Colpisci!
Una scia di energia purificatrice brillò d’improvviso e il demone, colpito a un fianco, barcollò all’indietro. “Maledetta… ti avevo sottovalutato, Higurashi. Ma non è ancora finita.” Il demone formò una sfera di energia nella mano e la lanciò verso la ragazza, Kagome, che nel frattempo aveva preso nuovamente la mira. “Muori!” gli gridò e scagliò la freccia con tutta la rabbia che aveva in corpo. La testa del demone venne trafitta e l’essere. Kagome temette di venire investita dall’esplosione e di restare uccisa, ma d’improvviso venne avvolta da un tiepido e rassicurante fuoco azzurro, che non la bruciava, anzi, la proteggeva. Poi d’innanzi a lei comparve una bellissima volpe, dalle zampe lunghe e agili, il pelo folto e lucente, che aveva uno splendido colore che mutava dal ruggine all’oro a seconda di come veniva investito dai raggi del sole, la sua coda era maestosa e terminava in una punta aggraziata. Il muso era fiero e gli occhi, verdissimi, scintillavano come due smeraldi. Era circondato da tante fiammelle azzurre che danzavano sospese nell’aria: era un demone volpe.
“Shippo… Shippo_chan?”
La volpe parve inclinare all’insù gli angoli della bocca in un sorriso e poi rispose: “Sì, sono io.”
“Oh – esclamò Kagome commossa – come sei cambiato! Sei diventato adulto, un magnifico demone volpe. Sono certa che tuo padre sarebbe molto orgoglioso di te.”
“Ti ringrazio, è tutto merito tuo Kagome.”
“Mio?” domandò la ragazza stupita.
“Sì. Tu col tuo esempio di vita, con la tua forza, la tua determinazione in ogni situazione, il tuo altruismo e la tua dolcezza mi hai indicato la strada da percorrere. Quello che sono oggi lo devo in gran parte a te. Kagome, dentro di te ardono una grande forza e una immensa bontà, non dimenticarlo mai. Tu sei una persona rara e speciale. Addio.” E così dicendo Shippo si dileguò nel suo fuoco fatuo.
“Grazie! Grazie mille Shippo_chan! Non dimenticherò mai le tue parole. Addio!” urlò Kagome rivolta al vento. “E’ stata una fortuna che i miei poteri siano tornati in tempo. O forse non se ne sono mai andati. Solo che ero preda di mille altri pensieri e non me ne rendevo conto.”
Kagome riflettè: l’ondata di tremendo dolore che l’aveva travolta in seguito alla scelta di Inuyasha l’aveva quasi annullata e tutto in lei si era assopito, come un germoglio che dorme sotto la neve, in attesa che quel periodo passasse e tornasse il sereno.
“Non può piovere per sempre.” Le parole della sua mamma le riecheggiarono nella mente e, guardando il cielo limpido attraverso i rami spogli degli alberi, si rese conto che quella era una semplice ma cristallina verità. In fondo, il suo cuore le aveva mandato diversi segnali riguardo a Hojo e solo ora comprendeva a cosa era dovuto il suo disagio provato nei confronti del compagno di scuola.
“Torniamo a casa.” Casa: la mamma, Sota, il nonno, la cucina assolata, dove sul fuoco bolliva sempre qualcosa di buono, la sua stanza profumata di menta e violetta; tutte quelle immagini si accavallarono nella sua mente, facendole provare una intensa nostalgia. Sì, voleva assolutamente tornare a casa, quello era il suo posto, lo era sempre stato.
Faceva freddo, ma il sole rosso del tramonto faceva del suo meglio per combattere il gelo, coi suoi raggi rossi e arancioni. “Ed io farò lo stesso – si disse Kagome – vivrò come il sole, lottando per riscaldare e prima o poi tornerà la primavera.”

ADDIO
Qualche giorno dopo, mentre Kagome riponeva ordinatamente i suoi libri di testo sullo scaffale, sua mamma bussò alla porta: “Disturbo?”
“No, entra pure.”
La donna sembrava un po’ sulle spine, apriva bocca e poi la richiudeva, spostando nervosamente il peso del corpo da un piede all’altro. Kagome le sorrise per incoraggiarla: “C’è qualcosa che devi dirmi?”
“Sì. Io non so cosa sia successo fra te e Inuyasha. Un giorno, se ne avrai voglia, me lo racconterai. Se hai deciso davvero di far sigillare il vecchio pozzo, credo però che dovresti vederlo un’ultima volta, perché non potrai mai iniziare una nuova vita, se non chiarisci definitivamente le cose con lui.”

Inuyasha se ne stava appollaiato come al solito sul tetto della capanna di Kaede, quando il vento gli portò alle narici un odore tremendamente familiare… Kagome! Si alzò in piedi di scatto e balzò giù. In quel momento, Kikyo si affacciò sulla soglia della capanna, pallida e ansimante: aveva percepito la forte energia spirituale della ragazza. “Lo sapevo – mormorò, stringendo lo stipite della porta sino a farsi diventare le nocche bianchissime – sapevo che non ci avrebbe lasciati in pace!”
“Kikyo!” la rimproverò Inuyasha. La sacerdotessa si ritrasse con un gemito. Il mezzo demone restò a lungo indeciso sul da farsi, poi mosse un passo. “NO! NON ANDARE!” gridò Kikyo.
Inuyasha non si voltò: “E invece andrò. Kagome mi ha dato così tanto, non posso non andare… anche se in questo momento mi odi, anche se la odi, io la incontrerò.”
“Ami di più quella donna? – chiese Kikyo, ma poi fece una risatina amara – credo che finché vivrò, non avrò mai una risposta a questa domanda, vero Inuyasha?”
“Scusami se ti faccio sempre soffrire, Kikyo.”
Kagome attendeva seduta sul bordo del pozzo e i suoi capelli ondeggiavano piano nel vento. Già un’altra volta la aveva vista così: quella volta aveva deciso di restare con lui, nonostante sapesse che non aveva dimenticato Kikyo. E quella volta lui si era sentito profondamente commosso, fino alle lacrime, da quella ragazza che gli dava tutta se stessa senza pretendere nulla in cambio, nemmeno un po’ d’amore. Da allora il suo cuore era stato diviso a metà e batteva per entrambe. Il ricordo di quel giorno fece sentire profondamente in colpa Inuyasha nei confronti di Kagome. “Kagome…” com’era dolce il suono del suo nome.
“Ciao Inuyasha.” Disse lei senza voltarsi.
“Se vuoi seppellirmi sotto una montagna di insulti e osuwari, sei libera di farlo. O forse preferisci prendermi a pugni?”
Kagome scosse la testa, ripetè dentro se stessa più volte “Coraggio”, poi si voltò verso di lui. Tutto il suo training autogeno andò a farsi benedire in un istante, non appena incontrò gli occhi limpidi e tristi del mezzo demone. La diga di indifferenza che aveva eretto nel suo cuore crollò in mille pezzi e tutto il suo straziante dolore traboccò fuori in una volta sola, come un’ondata gigantesca. Dalle viscere del suo corpo risalì lungo il suo petto, le strinse la gola in una morsa e dai suoi occhi finalmente iniziarono a sgorgare lacrime calde. Prima poco a poco, poi sempre più fittamente, finché Kagome fu scossa dai singhiozzi e si abbandonò in un pianto dirotto e liberatorio. Pianse i momenti che avevano condiviso, pianse per tutte le volte che Inuyasha l’aveva salvata e per tutte quelle in cui l’aveva fatta infuriare, pianse per un amore che non era stato forte come avrebbe voluto.
Inuyasha sedette di fianco a lei e le tenne la mano, senza dire niente. Passarono diversi minuti così, senza dire una parola, senza guardarsi in faccia, il loro livello di comprensione era così profondo che non ne avevano bisogno. Però, dopo un po’, Inuyasha bisbigliò piano: “Ti ho ferito profondamente e non avrei mai voluto farlo.” la sua voce era seria e sincera.
“Lo so. – Kagome si calmò un poco e finalmente riuscì a parlare – Non hai bisogno di dirmelo. Io ti capisco, Inuyasha.”
Ma il senso di colpa del mezzo demone non si era ancora placato: “Vedi, non voglio che tu pensi che ti ho usato, che sono stato con te solo per ritrovare la sfera degli Shikon. Io ti ho voluto bene, Kagome e te ne voglio ancora, ma…”
“Ma vuoi bene anche a Kikyo. O forse resti legato a lei per senso del dovere, perché sei un ragazzo all’antica.”
“All’antica?”
“Se penso ai secoli che separano le nostre epoche direi di sì, proprio all’antica. Ma non è un difetto.”
“Vedi, quando Kikyo mi ha consegnato la sfera, mi sono tornati in mente i tempi in cui era viva e proteggeva il gioiello. Se l’energia non si era ancora esaurita, lei sarebbe stata costretta a proteggerla nuovamente. E io non volevo più vedere quello sguardo triste sul suo volto. Quando era in vita Kikyo invidiava molto le altre ragazze del villaggio, perché potevano divertirsi alle feste e sposarsi. A lei tutto questo non era concesso, perché tutta la sua esistenza era votata alla protezione della sfera, non aveva legami veri di amicizia o d’amore con nessuno. Tutti la adoravano e la veneravano come una dea, ma non c’era nessuno che le fosse veramente amico. Era come…”
“Come te?”
Inuyasha annuì gravemente: “Quando iniziai a conoscerla meglio, questo pensiero non mi abbandonava mai. ‘Lei è come me’ continuavo a ripetermi. E per questo la sentivo vicina.”
Kagome sospirò appena: “Ho capito.”
“Non posso abbandonarla. Anche se mi sento un vigliacco nei tuoi confronti, anche se tu mi hai dato così tanto.”
“Non sempre le cose vanno come speriamo. A volte le cose sono terribilmente complicate. Io non ti odio, Inuyasha, di questo deve essere sicuro; e ora che mi hai parlato non riesco più nemmeno odiare Kikyo perché ti ha portato via da me.”
“Io ti ho amato, Inuyasha, sei stato il mio primo amore.”
Il mezzo demone arrossì e abbassò lo sguardo.
“Com’è dolce e indifeso!” pensò Kagome, poi proseguì: “Separarmi da te è la cosa più dolorosa che abbia mai fatto, ma devo guardare avanti e continuare a vivere. Ti porterò sempre nel mio cuore, Inuyasha.”
Inuyasha le sfiorò delicatamente i soffici capelli neri e per l’ultima volta inspirò il suo dolce e balsamico profumo, come per imprimerlo nella mente: “Anch’io ti amerò per sempre, Kagome.”
“Addio.”
“Addio.”
Inuyasha si voltò e si avviò lentamente verso il villaggio. Kagome restò a fissare la sua schiena, sulla quale si era appoggiata tante volte, finché non scomparve oltre la collina. Poi pianse di nuovo, a lungo. “Inevitabile – si disse – verserò ancora un bel po’ di lacrime. Ma va bene così, è stato un bene aver chiarito le cose con lui. La mamma aveva ragione: se non l’avessi fatto, me ne sarei pentita per sempre.”
Inuyasha tornò al villaggio. Kikyo si era allontanata, gli disse Kaede.
“Inutile seguirla ora – pensò Inuyasha – spero solo che prima o poi possa capire.”

La prima neve d’inverno iniziò a cadere sui campi del villaggio di Kaede; lieve e silenziosa, scendeva dal cielo in piccoli fiocchi leggeri e si posava su ogni cosa con la delicatezza di una carezza. Kagome chiuse le mani a coppa e fissò i fiocchi che si posavano. Restavano un attimo, poi si scioglievano a contatto col calore della sua pelle.
Con le mie forze! Anche se Inuyasha non è più con me, io sopravviverò. Credevo di essere solo una pallida imitazione di Kikyo e che tutti vedessero il suo riflesso attraverso di me. Ma non è così: io sono io, sono Kagome. Il potere della purificazione è solo mio, voglio usarlo per fare del bene, per aiutare gli altri, non sprecherò più la mia vita piangendomi addosso come ho fatto finora. Rivolse il suo sguardo all’interno pozzo, che avrebbe ora attraversato per l’ultima volta, ma ora i suoi sentimenti erano mutati.
“Supererò gli esami di fine trimestre? A che scuola mi iscriverò? Mi innamorerò di nuovo?”
Al momento non lo sapeva proprio, ma la voglia di vivere scorreva di nuovo nel suo animo e, qualsiasi cosa le avesse riservato il futuro, non sarebbe più scappata.


FINE


Ringraziamenti: grazie a tutti quelli che hanno lasciato dei commenti, li ho letti tutti e li ho apprezzati tantissimo.
Anche se la fiction si conclude con un addio, credo che in qualche modo ci siano dei segnali positivi, sia per Miroku, sia per Kagome. Il messaggio che volevo lanciare è che anche quando la vita ci tratta a pesci in faccia, dentro di noi dobbiamo trovare il coraggio di reagire e guardare avanti, spero di esserci riuscita.

@Byrba, Eclipsis e Leandra: spero di non avervi depresso troppo. @Elychan: grazie per le osservazioni, ci starò più attenta!!! ^^ @Elly: mi è spiaciuto far morire Sango (perché anche io sono una fan della coppia Miroku-Sango) e forse avrei potuto approfondire meglio quella parte (ti confesso che non ne sono del tutto soddisfatta), ma purtroppo è stata coinvolta nell’overdose di angst generale ^^;
   
 
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