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Autore: Fair_Ophelia    14/02/2012    4 recensioni
Dopo la caduta di Galbatorix, un altro pericolo incombe su Alagaësia e soprattutto su Nasuada: un nemico che silenziosamente stringe intorno a lei la sua rete, separandola dai suoi alleati. Riuscirà a liberarsi dal suo aguzzino e a sciogliere i nodi di questa intricata matassa, alla scoperta del vero essere del Waìse Néiat? Scopritelo con me attraverso un viaggio pieno d'azione e romanticismo... Spero che diate almeno un'occhiatina :)
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Murtagh, Nasuada, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buon San Valentino a tutte/i! Non che l'abbia fatto apposta ma il capitolo si addice alla festività... Grazie a tutti, Giorgia98, laramao, Chiara_, shruikan99, Wany97... e speriamo che si aggiunga qualcuno! Buona lettura! ;-P

3-EMOZIONI DEL TRASCORSO (PRIMA PARTE)

Tra poco pioverà.
Nasuada, ferma lungo un ripido sentiero che portava da Ilirea allo sperone roccioso che la sovrastava, aveva lo sguardo rivolto al cielo cupo.
Credeva che in poco tempo avrebbe raggiunto la sua meta, il punto più alto della sporgenza, dove finalmente recidere ogni legame con il mondo, ma a metà della salita aveva già il respiro ansante e si era dovuta fermare.
Perché?
In realtà lo sapeva: non si era ripresa ancora dalle ferite fisiche e mentali che la prigionia di Urû’baen le aveva inferto, anche se una parte di lei si rifiutava di accettarlo. Quella parte che l’aveva aiutata  a raccogliere le sfide, incurante dei pericoli; a prendere decisioni proibitive; a rimanere sveglia la notte per pensare a come deporre  l’Usurpatore; che le aveva permesso di sconfiggerlo e di dare un futuro al suo popolo. Erano stati la determinazione, e l’orgoglio. Quei due elementi non volevano vedere quanto il suo fisico fosse deperito, o quanto fosse vicina all’orlo di una crisi mentale, finché non ne sentiva gli effetti o qualcuno glielo rinfacciava, come era successo qualche giorno prima con Elva.
Scacciò il pensiero e riprese a camminare fino a giungere ad un vecchio salice piangente. Le piaceva sedersi sotto i suoi rami, in un incavo del tronco: era il suo rifugio segreto, dove sognare a occhi aperti e dimenticare la dura realtà.
Inoltre a Ilirea non avrebbe mai trovato un luogo in cui sentirsi veramente a suo agio a causa dell’atmosfera che vi si respirava, resa opprimente dall’aria pesante e secca ma soprattutto dalla presenza dello sperone roccioso, un tiranno che sembrava schiacciare i suoi sudditi e seguire onnipresente ogni loro mossa con occhi invisibili. Trovarsi su di esso era anche un modo per liberarsi, almeno per un po’ di tempo, dalla sua egemonia. Il Farthen Dûr era diverso: oltre ad essere molto più vasto, aveva l’apertura da cui si vedeva il cielo e, per poche ore al giorno, il sole. Un’altra caratteristica che Nasuada non sopportava della città era la mancanza di vento e pioggia, elementi di cui aveva fatto a meno per gran parte della sua vita ma che aveva imparato ad apprezzare dopo essere uscita dalla città-montagna.
E quel giorno era salita sulla sporgenza proprio perché si avvicinava una tempesta e aveva voglia di godersela da vicino; non voleva bagnarsi, ma solo sentire il vento che con le sue carezze la tentava a giocare con lui, a danzare, lasciarsi trasportare, liberarsi delle sue vesti umane, diventare una delle ninfe decantate nelle leggende. L’intrico di rami l’avrebbe protetta dalle gocce, ma avrebbe fatto passare le correnti: un luogo perfetto per ammirare la furia dei nuvoloni bigi e densi che si stava per abbattere sulla regione.
Con un sospiro abbandonò le sue riflessioni e si sedette nella solita nicchietta comoda fra due radici, appoggiando la schiena al tronco. Proprio davanti a lei molti rami erano stati tagliati, aprendole una finestra sul mondo all’esterno del rifugio naturale.
Ripensò a ciò che si era appena detta. Tagliati? Era la prima volta che lo notava. Chi avrà tagliato dei rami ad un salice isolato, e in maniera così particolare? E perché?
Si arrovellò su quelle domande per qualche secondo, poi capì. Qualcun altro doveva aver scelto quel luogo come nascondiglio da tutto e da tutti, e lo aveva modificato a suo piacimento. Doveva essere qualcuno che dopo la caduta dell’Impero era morto o si era trasferito, però, poiché, ne era certa, nessuno dopo allora era più tornato lì oltre a lei.
Si alzò e uscì dal riparo offerto dal salice, mentre i primi tuoni annunciavano l’approssimarsi della pioggia, preceduti da esplosioni di luce o fili seghettati all’orizzonte. La brezza si trasformò a poco a poco in vento forte.
Osservando i moncherini dell’albero, si accorse che non erano stati tagliati, ma che la loro crescita era stata bloccata dalla magia.
È opera di un mago. Ma chi... I suoi occhi si soffermarono su alcuni blocchi di pietra scalfiti e la risposta le venne in mente prima ancora che potesse ponderarla. Era inequivocabile. Nel suo inconscio l’aveva sperato, ma neanche nei suoi pensieri era stata capace di ammetterlo. E ora non poteva negarselo. L’aveva sognato, e il sogno si era avverato. L’ironia della vita.
I macigni erano scheggiati da artigli di drago. La creatura non doveva essere troppo grande, perché tra le orme c’era una zampata integra di dimensioni ridotte, che raffigurava tutti i quattro artigli di un arto posteriore. Shruikan avrebbe lasciato un segno sei volte più grande. No, era opera di Castigo.
Il misterioso visitatore era Murtagh.



Murtagh volava con Castigo.
Stavano sorvolando Skradhzeb, un villaggio Urgali aggrappato alle pendici di un monte della Grande Dorsale. Le vette selvagge, incappucciate di neve candida nonostante la stagione, fornivano ai loro occhi uno spettacolo inestimabile.
Il ragazzo si accasciò sul collo del drago con un sospiro, chiuse gli occhi e ripensò alla loro vita dopo aver salutato Eragon e Saphira: inizialmente avevano viaggiato verso nord, senza una meta precisa né una fissa dimora. Dopo aver raggiunto le pianure isolate della zona di Ceunon, aveva usato il vero nome dell’Antica lingua per liberare se stesso e Castigo da ogni sortilegio di Galbatorix, e da lì avevano  iniziato il difficile cammino per superare il passato. La vita nomade li aveva aiutati nello scopo: infatti per lui erano bastate una decina di settimane per sentirsi meglio, anche se gli incubi continuarono a tormentarlo ancora per mesi, ma per Castigo fu più difficile. Essendo nato e vissuto sempre sotto il controllo perverso del tiranno, inizialmente non riusciva neanche ad afferrare il concetto di mente libera; era pericolosamente barcollante sull’orlo della pazzia. Solo grazie all’aiuto del Cavaliere si era lentamente ristabilito e aveva riconquistato una sua dignità. Una dignità da drago. Libero da catene mentali, ora esprimeva appieno il suo carattere forte ed orgoglioso, a volte solenne, che aiutava Murtagh ad osservare con realismo le sue visioni pessimistiche. In compenso lui gli risollevava il morale quando qualcosa non andava.
Sì, erano davvero una gran bella coppia.
Sentì un’ondata di affetto venire da Castigo, che aveva percepito i suoi pensieri, e gli rispose con una pacca sulla spalla.
Solo quando il drago si fu ristabilito completamente osarono riavvicinarsi alla civiltà. Gli Urgali facevano al caso loro: li trattarono sin dall’inizio come loro pari, e mai come reietti o nemici; inoltre avevano un fortissimo senso dell’ospitalità che li lasciò sbalorditi. Infatti il capo villaggio, Qag, aveva alloggiato il Cavaliere in una capanna tutta per sé e lo invitava a pranzo tutti i giorni, mentre Castigo era riverito quasi come un dio per la sua brutalità nella caccia: quando dilaniava le prede con le zanne e gli artigli scarlatti di sangue, gli Urgali lo guardavano ammirati, prendendolo come esempio. Lì inoltre erano venuti a conoscenza di tutto ciò che riguardava il regno, le uova e la partenza di Eragon. Era ormai un anno che  vivevano a Skradhzeb e in quel periodo avevano imparato ad apprezzare gli Urgali, nonostante le tradizioni bellicose.
Tornò al presente. In cielo sembrava che un dio dei venti avesse soffiato su un letto di ceneri, facendo alzare nubi di ogni sfumatura di grigio. Presto avrebbe piovuto.
Torniamo a casa? La voce tonante di Castigo gli rimbombò nella mente.
A casa?! Murtagh non credeva alle proprie orecchie.
Certo, a casa. Se così si può chiamare quella catapecchia di travi marcite. Girò in parte il collo, quel tanto che gli permettesse di incrociare lo sguardo con lui. Murtagh, che c’è di strano? Perché quell’espressione incredula?
L’aria intrappolata nei suoi polmoni uscì, e  con essa le illusioni che le sue speranze segrete gli avevano creato.
Niente. Abbassò lo sguardo, mentre il drago tornava a guardare in avanti. Per un attimo ho creduto che per “casa” ti riferissi a Urû’baen... A Ilirea, si corresse. Comunque sì, scendiamo.
Tra i due calò il silenzio.
Castigo colse una corrente discensionale e la prese. Il cambio di direzione sollevò i capelli neri del ragazzo, facendoli ondeggiare. Dopo pochi minuti giunsero a terra; lui scese, ma nonostante la tempesta imminente non entrò nella capanna: si rannicchiò sotto un’ala di Castigo. Voleva stare ancora con lui.
Pensi ancora a lei? fece il drago dolcemente. La frase sussurrata squarciò il silenzio fra di loro come un coltello una tela.
Penso sempre a lei.
Lui stette in silenzio, ma il suo non era un silenzio assente, bensì quello che esprimeva più emozioni di cento parole. Voleva consolare il suo piccolo, sempre deriso dalla vita, tanto che dopo aver scoperto che lei lo amava era stato costretto a lasciarla. Vide i suoi pensieri tingersi di un rosso simile alle sue squame, un colore luminoso che la mente di Murtagh assumeva quando pensava a lui... O a quella ragazza che vedeva come stupenda. Quando scorgeva i ricordi che il suo Cavaliere conservava di lei, lo assaliva una serie di informazioni confuse: capelli corvini lisci, profumo delicato e penetrante, occhi neri in cui sprofondare che a volte scintillavano per una forte emozione, portamento fiero, voce sprezzante e aggressiva o dolce e remissiva che sembrava impossibile attribuire quelle sfumature alla stessa persona. In quel momento Murtagh stava pensando al loro primo incontro; lui ridacchiò, emettendo una serie di curiosi grugniti, mentre iniziava a piovigginare.



Le gambe di Nasuada cedettero e cadde in ginocchio. Le sembrava impossibile che lei e Murtagh avessero scelto lo stesso luogo come rifugio. Eppure il wyrda si divertiva a beffeggiarli ancora una volta, come aveva già fatto con lui, come aveva sempre fatto con lui. Si rialzò per poi andarsi a sedere sotto il salice. Le prime gocce di pioggia precipitarono dalle nuvole.
Sussurrò il suo nome e rabbrividì. Prima che la ragione potesse impedirglielo, ripensò al loro primo incontro, e quel pensiero le fece spuntare il più dolce dei sorrisi sulle labbra.

******************************
Nasuada superò la soglia di una cella rettangolare piuttosto spaziosa, arredata con un tavolino, uno scrittoio ed un letto. Su quest’ultimo era sdraiato un bel giovane dai capelli lunghi e neri, gli occhi scuri e il fisico atletico. I tratti leggermente marcati ma non sgradevoli gli conferivano un fascino particolare. Stava leggendo un libro e in quel momento si stava infilando in bocca un acino d’uva che aveva piluccato da una ciotola piena, accanto a lui.
Non si era ancora accorto della sua presenza; forse era troppo assorto nella lettura. La ragazza richiuse la porta dietro di sé, poi diede un leggero colpo di tosse.
A quel suono il prigioniero distolse lo sguardo dal libro e incrociò il suo. Sbarrare gli occhi, emettere un grugnito soffocato e balzare a sedere fu tutt’uno: divenne rosso in viso e iniziò a tossire; l’acino gli era andato di traverso. Allarmata, Nasuada corse verso di lui, gli circondò il collo con le mani e premette coi pollici sulla gola per una frazione di secondo. Dopo un terrificante istante il boccone scese giù, mentre lui, col fiato grosso e una mano sul cuore, mormorava:-Per un soffio...-
-Mi dispiace di averti spaventato...- Tolse lentamente le mani dal collo di lui.
-Ti sei fatta perdonare; mi hai salvato la vita-. Le sorrise. Aveva ancora le guance rubizze.
-Un trucchetto della mia tribù... In realtà si usa per uccidere, ma ne ho appena scoperto un uso alternativo.
-Chi sei?
-Mi chiamo Nasuada. Sono la figlia di Ajihad.
-Davvero, figlia di Ajihad? Gli somigli.- Si alzò in piedi. Era di un paio di pollici più alto di lei.
-E tu, come ti chiami?
-Non te l’hanno detto?
-Veramente mio padre mi ha detto: “Va’ a trovare il prigioniero arrivato con il Cavaliere dei Draghi e chiedigli da parte mia se vuole sottoporsi all’esame dei Gemelli”. Non so nient’altro di te.
-Fai da messaggera per tuo padre?
-In parte, e non solo... Allora, come ti chiami?
-Il mio nome è Murtagh e sono... il figlio di Morzan
-Sul serio?! Non sapevo che i Rinnegati avessero figli! A dire il vero non ho mai sentito parlare di te.
-Penso di essere l’unico, infatti- le rispose lui laconico. -Vuoi sederti?
-Va bene-. Il letto duro non cambiò quasi forma quando i due si accomodarono una accanto all’altro. Si sistemò l’abito viola con le dita, poi si girò verso Murtagh. La stava guardando.
-Comunque... Di’ a tuo padre che non voglio ancora sottopormi all’esame.- Prima che potesse rispondergli, aggiunse:-Sai, sei l’unica che non ha provato neanche un minimo di repulsione per me, quando hai saputo che sono figlio di Morzan.
-Ti capisco. Anch’io sono stata presa in giro per i miei natali, da bambina... Ma penso che il tuo caso sia più difficile. Mi chiamavano tutti “principessina”.- Fece Una smorfia. -Mi dava fastidio non essere trattata come gli altri.
-È la stessa cosa che succedeva a me.
-Inoltre mi deridevano per la pelle scura.
-Che sciocchezze! Ma se
sei bellissima!
Fermi tutti. Cos’ha detto?!?
******************************
Ripensando a quella frase, la regina provò un’emozione indescrivibile, un misto di adorazione, malizia e sincera tenerezza. Come aveva fatto a non capire già da allora che lui era pazzo di lei?


Le aveva detto “sei bellissima” solo pochi minuti dopo averla conosciuta. Murtagh non poteva fare a meno di sentirsi ancora uno sciocco. Riparato sotto l’ala di Castigo, se la rideva tra sé e sé rievocando l’imbarazzo, mentre la tempesta infuriava al di fuori. In seguito aveva imparato a nascondere meglio i suoi sentimenti, ma in quel momento era in balia di una parte del suo essere che aveva appena scoperto.
******************************
-Che sciocchezze! Ma se sei bellissima!
Lei si girò verso di lui. I suoi occhi spalancati, neri come inchiostro, brillavano di una luce strana. Capì di averla messa in imbarazzo e cercò di rimediare:
-Cioè, certo, non sei un’elfa, per dire, insomma... Però...- Lei  lo divorava con lo sguardo, curiosa di sapere cos’avrebbe detto. Era nel panico. Adesso l’aveva spinta anche troppo in basso. Come rimediare?
Si arrese e seguì il suggerimento del suo cuore.
-...però sei bella lo stesso.
Sei bellissima.
Al posto di migliorare la situazione l’aveva peggiorata. Abbassò lo sguardo per non incrociare di nuovo il suo; non ne aveva il coraggio. Con uno sforzo sovrumano si costrinse a farlo. E gli occhi di lei esprimevano solo pura dolcezza. Avrebbe voluto guardarli all’infinito, annegare in quegli oceani neri.
-Grazie, Murtagh- sussurrò Nasuada. Si alzò. –Mio padre voleva che riferissi altri messaggi. Devo andare.- Lui le avrebbe voluto chiedere se sarebbe tornata, ma temeva che si insospettisse. Fortunatamente lei, già sulla soglia, lo anticipò: -Magari ti torno a trovare uno di questi giorni, va bene? Ciao, Murtagh.
-Ciao, Nasuada.- La porta si chiuse senza un cigolio là dove prima si trovava la ragazza.

******************************
Murtagh, sei davvero divertente! “Ma se sei bellissima”...
Oh, taci.
Tacere?!
Castigo emise una serie di grugniti e borbottii divertiti che gli sconquassarono il corpo possente. Passò un minuto intero in preda all’ilarità, mentre il suo Cavaliere rimaneva schiacciato sotto la membrana color vino.
Insomma, smettila! Mi stai anche schiacciando!
Va bene, va bene...
Il drago, dopo immani sforzi, tornò serio.
E se penso alla seconda volta che vi siete visti! Ancora peggio!
Lui gli inviò un pensiero truce.
Hai finito?
Sì, basta... Ah, Murtagh?
Sì?
Sei bellissimo.

Il ragazzo gli affondò un gomito nelle costole.
******************************
Stavano chiacchierando da una mezz’oretta. Dopo le scuse che Nasuada gli aveva rivolto per non poter essere venuta a trovarlo per due giorni, avevano iniziato a parlare della struttura di Tronjheim e della costruzione di Isidar Mithrim. Tutti i suoi sforzi non bastarono a evitare che due leggere chiazze rosse gli imporporassero le guance. Lei invece discorreva del più e del meno, gesticolando.
-...E così Korgan morì, dopo aver appena terminato la sua opera.
-Una vita davvero ben spesa, però. Insomma, creare una tale meraviglia!
-Già... Almeno aveva realizzato il suo scopo.
I loro discorsi furono interrotti dal suono melodioso e leggiadro di un flauto e una lira, proveniente dall’esterno. Le note altalenanti di una ballata riempirono la cella.
-Vuoi ballare?
Murtagh si riscosse e la guardò.
-Come?
-Ho detto, vuoi ballare?- ripeté lei, sorridendogli.
-Veramente... Non l’ho mai fatto.
-Neanch’io ho mai ballato, però ho visto farlo... Dai, al massimo ci facciamo una bella risata.- Gli porse la mano.
Non poteva resistere ad un tale invito. –Va bene.- Le strinse le dita e si alzò. Anche se tutto fosse finito lì, nello stare mano nella mano, si sarebbe ritenuto soddisfatto. E invece continuò.
-Io ti poggio una mano sulla spalla... Così... Mettimi il braccio sinistro sul fianco... Prendimi la sinistra. No, la tua mano sotto e la mia sopra. Mantieni sempre la distanza di una mezza dozzina di pollici. Perfetto. Ora, vai sempre così: un passo avanti, due indietro, uno avanti, io farò il contrario, e ti giri verso destra. Via.
Iniziarono a muoversi a ritmo di musica. La vicinanza a Nasuada lo stordiva, rendendolo goffo e impacciato. Si sentiva ardere vivo. Dal canto suo lei non mostrava eccessivo imbarazzo, né parve accorgersi delle sue reazioni. Si muoveva leggera, seguendo il ritmo, un passo indietro, due avanti, uno indietro, la  veste azzurra che frusciava sul tappeto.
-Sei davvero bravo.
-Neanche tu sei da meno.
-Allora siamo entrambi ballerini provetti?- Una strana luce illuminava i suoi occhi come un cielo stellato: Murtagh non avrebbe mai voluto smettere di guardarli.
-Già! Tutti e due!- fece con un sorriso.
Ballarono ancora per alcuni minuti, poi la canzone arrivò alle battute finali.
-Attento: nel finale la dama fa un giro su se stessa.
La mossa lo colse impreparato: lui cos’avrebbe dovuto fare? Prima che se ne rendesse conto, Nasuada aveva terminato la mossa e si erano ritrovati petto a petto. Il suo braccio che circondava tutta la vita sottile della ragazza. Le fronti che si toccavano. I nasi che si sfioravano.
Le loro labbra a un soffio di distanza.
Il mondo si fermò. “Baciala”, gli diceva un imperativo dentro di lui. Sarebbe stato così maledettamente facile avanzare di un decimo di pollice e incontrare le sue labbra morbide! Eppure era paralizzato, non riusciva a muoversi.

******************************
E poi dici che non dovrei ridere! Ti sei buttato addosso a lei! Ah! Ah! Un ruggito interruppe la monotonia del picchiettio delle gocce sulle foglie, le travi e le squame, seguito da una fiammata.
Vuoi un’altra gomitata?
Ehi, calmati! Anche se a momenti la bacia... Ouch!




La pioggia cadeva già da tempo, e il vento, come voleva lei, la prendeva in pieno, ma Nasuada nemmeno se ne accorse. Non era sotto il salice: era nella cella del Farthen Dûr, stretta a Murtagh, e stava per baciarlo.
******************************
Non sapeva come, non sapeva perché, ma si era ritrovata appoggiata al petto di lui, il suo braccio che le circondava i fianchi con una presa delicata ma decisa, lei che con il suo gli attorniava le spalle, i capelli di lui che le pizzicavano le guance, il suo profumo che le risaliva nei polmoni per poi scorrere nel sangue, ma soprattutto le labbra semidischiuse che si sfioravano e non si sfioravano.
Incrociò il suo sguardo. Non riuscì più a distogliere gli occhi: era rimasta come ipnotizzata dalle iridi nocciola, scure, tendenti al nero, di lui. Il ragazzo non era arrossito, di più: era paonazzo. Se non avesse avuto la pelle scura, era certa che avrebbe avuto lo stesso colorito; sentiva comunque il sangue ribollirle sugli zigomi.
Sapeva che doveva allontanarsi, chiedergli scusa per quell’enorme, stupido errore del fato, ma non riusciva quasi a respirare, figurarsi a parlare. Eppure doveva trovare il modo di togliere lei e il suo
amico da quella situazione imbarazzante.
Dopo lunghissimi minuti di lotta interiore, riuscì a dire:
-Devo andare.
La frase cadde pesante  come un pezzo di piombo nella stanza e le ferì le orecchie. L’unica cosa che cambiò fu la luce negli occhi di Murtagh.
Seguirono secondi eterni.
Improvvisamente il prigioniero spostò la testa e la baciò bruscamente sulla guancia sinistra, poi vi appoggiò  la propria.

Che diamine sta succedendo?!? Forse non sa che fare... Ma certo. Credeva che io volessi baciarlo, ma lui non voleva e per non deludermi ha agito così... Che confusione, ed è tutta colpa mia! Eppure non poteva fare a meno di provare un sottile piacere nel trovarsi così vicina al bel ragazzo, guancia a guancia.
Stettero così per un tempo indefinito, poi lui scostò il viso dal suo e disse:-Vai-. Nei suoi occhi, così come nella voce incerta, Nasuada lesse un tumulto di emozioni. L’accaduto doveva averlo turbato.
Senza che neanche lei sapesse bene cosa stesse facendo, gli posò una mano su una guancia e gli baciò l’altra. Si scostò subito.
Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.
-Ciao-, fece, mentre si dirigeva verso la porta. Prima che lui potesse risponderle, era già uscita.

******************************
Rivivere quell’episodio le aveva fatto provare le stesse sensazioni ed emozioni di tanto tempo prima. Se solo il fato li avesse spinti appena un soffio più vicini! Invece aveva fatto sì che fossero loro a decidere il loro destino, e la timidezza aveva decretato la fine di quel sogno.
   
 
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