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Autore: SabrinaPennacchio    15/02/2012    2 recensioni
Ahahah ebbene si, la mia mente unita a quella delle mie amiche: Lucy -trascinando poi anche Elena, costretta a scrivere il peccato di Gumi XD ha pensato di scrivere una fan fic sui peccati capitali dei vocaloid, creando una sola storia dei vari video.
Ovviamente noi seguiamo le traduzioni dei video e ci basiamo a ciò che noi riusciamo a capire da essi, poi ognuno può essersi fatto idee diverse xD
I capitoli delle varie storie si susseguono così:
Il Principio (Moonlight Bear, Okizari Tsukiyosyou, Chrono Story) scritto da me.
La Superbia - scritto da Lucy
La Lussuria - scritto da me
La Gola - scritta da Lucy
L'Invidia - scritta da me
L'Avarizia - scritta da Lucy
L'Accidia - scritta da me
L'Ira - scritta da Elena
Conclusione (Heartbeat Clocktower) scritta da Lucy.
Qui trovate le info sulla saga http://strawberry91word.forumcommunity.net/?t=49482210#lastpost
Spero tanto che il nostro lavoro vi sia gradito
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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GOLA



E lo sapete come si dice, no?
-Non lasciare niente nel piatto...-


°°°°°

In una mansione riempita da un odore spregievole,


Una donna dal lungo e lussureggiante abito rosso avanza per i corridoi di una lussuosa magione. Indossava un lungo abito scarlatto, finemente decorato. Aveva un aspetto regale: era estremamente pulita e curata. I capelli ordinati, il collo e I polsi sottili erano impreziositi da gioielli che rifulgevano appena nel corridoio in penombra. La fioca luce lunare penetrava dalle alte finestre opache e illuminava fiocamente lo spesso strato di polvere che ricopriva ogni oggetto presente nel corridoio, dandogli un aspetto spettrale: le librerie di mogano, i tappeti persiani, le armature, le cornici dei quadri, tutto era in uno stato di quasi totale abbandono. La donna, quasi fuori posto in quello scenario, avanzava lenta e silenziosa, materializzandosi nei corridoi bui e polverosi e muovendosi con la scioltezza e la silenziosità di un cumulo di nebbia, o di uno spettro. Quella parte della magione era fredda, impolverata e oscura, come se nessuno vi mettesse piede da tempo. Eppure, nell'ala dell'edificio presso la quale la fanciulla si stava dirigendo, vi era un gran daffare e una grande agitazione: passi affrettati, mormorii e tintinnii di argenteria provenivano da quella Sala alla fine del corridoio, illuminata, pulita e splendente in tutto e per tutto.
Come se vi fosse sempre e solo movimento in un'unica parte dell'edificio.

l'ultimo pasto inizia come sempre.

Un'enorme e lunga tavola imbandita troneggiava nella Sala: la tovaglia bianca la ricopriva morbida come un manto di neve, e sopra vi erano posizionati candelabri accesi in tante piccole fiammelle vivaci e piatti. Molti, moltissimi piatti d'argento luccicante. Le sedie pesanti e imponenti, in lucido mogano scuro, erano poste in ordine attorno al tavolo, ma in realtà, solo una di quelle sedie sarebbe stata occupata, come sempre. Accanto alla sedia del posto a capotavola, in piedi, vi era un ragazzo, mediamente alto, dai capelli color del grano ben legati in un codino, vestito da cameriere e dal portamento impeccabile, benchè così giovane. Fa un piccolo inchino, per poi scostare appena la sedia dal tavolo. La sua padrona vi si siede, sorridendo e lisciandosi sulle ginocchia la gonna rossa.

Il suo nome è Vanika Conchita.

-L'attesa è fondamentale, nei pasti- Due paia di occhi scuri contornati da lunghe e nere ciglia si specchiarono nel piatto d'argento tirato a lucido. Un broncio infantile contornava i suoi lineamenti delicati -Ma trovo imperdonabile che non ci sia ancora nulla di servito, qui-

Amava alla follia tutti i cibi esistenti...


Si guardò attorno con disappunto e battè le mani con una brevità e un gesto quasi stizzito che tradiva la sua impazienza. Il servo, notando la sua irritazione, si affrettò ad uscire dalla Sala e, poco dopo accorse un'altra persona: una ragazza perfettamente identica al servo, di certo una sua parente. Portava un grande vassoio con sopra una lucente cupola d'argento in precario equilibrio su una sola mano. La donna sorrise compiaciuta, congiungendo le mani sul piatto, mentre un ghigno largo e avido le si allungava repentinamente sulle labbra rosse, strappando il vassoio dalle mani della ragazza ancora prima che fosse posato sulla tavola e alzando la cupola d'argento, mentre la cameriera presentava il Menù facendo un piccolo inchino accanto alla sedia della padrona.
-Permetta che le presenti la cena di stasera, padrona...
Succo vegetale alle 16 erbe
Insalata speciale dello chef
Insalata di cipolle fritte e crude, con cipolle extra
Carpaccio con un polipo rosa, stile regina
Melanzana alla griglia senza la melanzana
Pane a casaccio fatto dalla cameriera
Speciale dello chef: gelato fritto alla francese "d'alta qualità" fatto in casa-


-Bene...- disse Conchita una volta che la cameriera ebbe finito di parlare. Passò l'indice lungo il bordo del piatto, portandolo alla bocca e succhiandolo con voluttà, per poi passarsi la lingua rossa e appuntita sul labbro superiore. Roteò gli occhi verso la cameriera. Prese il vassoio in mano...

….Ma alla fine finì per desiderare...


...e sorrise -Cosa c'è dopo gli stuzzichini?- 

...il cibo più raccapricciante al mondo.


Questa volta furono gli occhi azzurri attoniti della cameriera, a specchiarsi nei piatti ritornati lucidi.

Inchinati e mostra rispetto per la nostra grande Conchita!

Davanti all'espressione della sua sottoposta, la donna scoppiò in una grassa risata. Le sue risa rimbombarono per la Sala e rimbalzarono sulla lucida argenteria da tavola. Il loro luccichio tremolante alle fiammelle del candelabro sembrava scuotersi dalle risa assieme a lei. O forse era solo l'impressione della cameriera, mentre portava via piatti e posate d'argento, che tremavano appena nelle sue mani.

Tutte le pietanze di questo mondo le appartengono.


La padrona, rimasta seduta a tavola, schioccò le labbra, lanciando un'occhiata alla figurina sottile della cameriera.

Divorando tutto ciò che c'è in questo mondo.

Sì, era decisamente troppo sottile, quella ragazzina. Si alzò dalla tavola, massaggiandosi lo stomaco piatto, fasciato dallo stretto corpetto rosso, puntellandosi le labbra con l'indice. Le cucine non erano lontane dalla Sala e ogni Signora conosce bene, si sa, ogni angolo del proprio castello.

Ma resta ancora spazio nello stomaco.

Il quindicesimo chef personale di quell'anno, nell'angusta cucina, stava preparando la prossima portata, ma sembrava nervoso. Sì, era decisamente diverso dal solito. La tunica bianca avvolgeva il corpo alto e non eccessivamente magro, e delle ciocche di capelli blu gli incorniciavano il volto sotto il cappello da cuoco. Aveva davanti a sè un elaborato piatto, uno di quelli che lui amava tanto preparare, un tempo. La portata presentava un aspetto magnifico, e un aroma delizioso.
Ma mancava un ingrediente. Prese dalla tasca della tunica immacolata una boccetta. Ne stappò il tappo e ne mise alcune gocce. Un rivolo di sudore gli scivolò sulla tempia e sullo zigomo, ma la mano e gli occhi erano fermi e determinati. Dopo quell'ultima portata, avrebbe ripreso ad amare a cucinare. Finalmente.

Anche il veleno mortale scintillante di blu...

-Era ora!- Una voce canzonatoria lo riprese alle spalle, mentre una mano sottile si posò pacatamente sulla sua spalla, artigliandola. Lo chef spalancò gli occhi, immobilizandosi. Un secondo braccio gli circondò le spalle, premendo appena sulla gola, la manica di seta scarlatta che frusciava appena alla tunica bianca. Vanika Conchita premette il seno sulla schiena dello chef, facendo capolino con la testa al di sopra della sua spalla.

...non è altro che una spezia per il piatto forte!

Sorrise candidamente, ma gli occhi brillavano di luce famelica, guardandolo fisso negli occhi e schiudendo le labbra rosse.

Finchè finì per desiderare...


-...la prima portata è finalmente servita...- Prese una mano dello chef, inumidendo un suo dito nella salsa della portata nel piatto davanti a loro, prima di rialzarla. -...e ora, possiamo passare alla seconda...-
L'uomo fissò la sua mano intrappolata in quella della sua signora, seguendola con lo sguardo.

...il cibo più raccapricciante al mondo.


Si portò il dito dello chef alle labbra. Le labbra rosse fremettero appena in una risata cristallina, prima di accogliere il dito intero in bocca, lo accarezza con la lingua, mentre lo chef rimaneva immobile, come pietrificato. Finalmente tirò fuori il dito, ma per leccare il dorso della mano, sulla quale stava fuggendo un sottile rivolo di gustosa salsa. Lo chef guardava ancora la scena, immobile, con gli occhi blu spalancati, ma non osando muoversi, non osando quasi respirare.
La signora della magione alzò gli occhi su di lui, il dito ancora vicino alle sue labbra, ritirando la lingua. -è buono...molto buono- Sorrise, allungando poi una mano per accarezzare la boccetta che era stata abbandonata sul piano da cucina.

Inchinati e mostra rispetto per la nostra grande Conchita! 


I giorni si susseguivano uguali, sempre uguali.

Mangiando fino a quando non restano le ossa.


Ogni giorno la quantità di cibo nella magione si consumava...

Se questo non basta, mastica i piatti.

Era assurdo, era tutto assurdo. Le provviste dovevano durare ancora per almeno altri tre mesi...La servitù pativa la fame, razionando le sue riserve di cibo...

Beatitudine totale sulla sua lingua.

...perchè la loro signora aveva fame.

°°°°
Era una sera come tante altre, il servo aveva portato via l'ultimo vassoio, e la tavola era vuota, così come i piatti che la sua signora aveva lasciato tra le sue mani.

Ma questa volta, la cena di stasera è ancora lontana dalla fine. 

Vanika Conchita era rimasta da sola, nella grande Sala, a parte un calice di vino pregiato, che rigirava nel palmo della mano. Seduta alla sedia di lucido mogano, si appoggiò all'alto schienale, accavallando le gambe sotto il vestito di seta scarlatta, sfiorando con la punta delle dita la rosa in tinta che portava tra i capelli, impreziosita da perle. Alzò appena il calice, ma non bevve subito. Guardò il liquido scarlatto, socchiudendo gli occhi: quello era un vino pregiato...un vino che andava bevuto con qualcosa di....dolce. 
Era immersa nei suoi pensieri, quando dei passi lievi e adagi furono traditi dal pacato rimbombo sul marmo lucido. La donna alzò pigramente lo sguardo, come se avesse percepito la presenza dello chef nella stanza.
Ma in realtà, Conchita non ne aveva avvertito la presenza...

Il quindicesimo cuoco personale di quest'anno
chiese a bassa voce, con le ciocche blu che gli coprivano il volto, in un inchino
-Potrei avere delle ferie, mia signora?-


...Conchita ne aveva sentito l'odore.
Arricciò il naso, inalando profondamente dalle narici l'aria circostante. Lo guardò con sufficienza, roteando il calice nella mano. Il liquido che ondeggiava nel vetro trasparente sembrava tradurre in movimenti chissà quali pensieri le passavano in testa.
Alzò le sopracciglia, e con esse il calice di vino, e diede il suo responso.

-Umppff...che persona inutile-

Il vino pregiato di cinquecento anni si infranse sulla faccia del quindicesimo chef personale di quell'anno, incollandogli i capelli blu alla fronte e agli zigomi e gocciolano lungo il collo e sul petto, andando a sporcare la candida tunica da chef.

Inchinati e mostra rispetto per la nostra grande Conchita!

Rimase fermo, sul momento. Spiazzato dal gesto, mentre il vino gli bruciava appena la pelle e le labbra delicate. Ma, anche se avesse avuto la prontezza di muoversi, non avrebbe mai potuto fuggire: Conchita si alzò di scatto dalla sedia, si avvicinò a lui con una velocità e dei movimenti fluidi impressionanti per una dama con un vestito così lungo e lo spinse a terra con un solo braccio. Lo chef cadde rovinosamente a terra, ma questa volta ebbe la prontezza di alzarsi sui gomiti, preparandosi a rialzarsi in piedi. Ma quando alzò lo sguardo, vide la sua signora chinarsi per terra e piegarsi sulle sue gambe tese sul pavimento, tendendo il busto sopra il suo petto e avvicinando il proprio volto al suo. L'uomo non potè fare a meno di guardarla: i suoi occhi traboccavano di voluttà, le labbra si schiusero, lasciando che la punta appuntita e rossa della lingua le lecchi...ma la narici? Perchè aveva le narici così dilatate?
La donna si avvicinò di più. Di più, sempre di più, fino a leccare con la lingua le labbra dello chef, che sgranò gli occhi, completamente sbalordito.

Chiunque la tradisca...

Conchita ritirò la lingua nella propria bocca, assaporando il sapore del ragazzo, socchiudendo gli occhi. Schioccò appena la lingua, sorridendo. Si avvicinò nuovamente. Mentre parlava, le sue labbra sfiorano quelle del suo ultimo chef.
-Come pensavo...questo vino si sposa bene col dolce- catturò le sue labbra con la propria bocca, saggiandone la morbidezza e il gusto deliziosamente dolce.

...dovrà pagarne le conseguenze.

L'urlo dell'ultimo chef di Conchita non proruppe mai dalle sue labbra sigillate.

Divorando tutto ciò che c'è in questo mondo.
Mangiando fino a che non restano che le ossa.


Il servo della magione girovagava per i corridoi polverosi per l'ennesima volta: aveva fatto il giro del castello, ma non riusciva a trovare lo chef. La situazione era grave: ormai i viveri erano quasi terminati. Bisognava ricorrere a un piano di emergenza...anche se nessuno sapeva ancora quale. Entrò nella Sala, scoprendola, con sua sorpresa, ancora illuminata a quell'ora. Eppure, era passata circa un'ora, dalla fine della cena...
Un rumore. Il ragazzo si voltò verso la sua fonte. Vanika Conchita era seduta alla sua sedia preferita, giocherellando con un calice vuoto. Lo stava guardando, probabilmente, da quando era entrato nella Sala. Anzi, non lo stava solo guardando...lo stava studiando...
Gli stava studiando...il collo?

Se questo non basta, ordina il bis.

Il servo scosse appena la testa, tra sè e sè. Prima che crollasse definitivamente dalla stanchezza, doveva trovare lo chef. Cominciò a camminare verso l'uscita della Sala che portava alle cucine, ma prima doveva passare alle spalle della sua signora. Più le si avvicinava, più i suoi stessi passi, leggeri, gli sembravano rimbombanti, e cercava di fare meno rumore possibile, leggermente a disagio, anche se non ne capiva il motivo. Forse, se avesse fatto meno caso ai propri passi e maggiore attenzione ai rumori attorno a lui, avrebbe udito il lieve fruscio del lungo abito di Conchita, mentre si voltava per afferrarlo per il bavero della camicia bianca.

-Hei, piccolo servo, laggiù...-

I loro volti erano l'uno a pochi centimetri dall'altro, tanto che respiravano lo stesso fiato. Non poteva sbagliarsi, ora, il ragazzo: la donna aveva il volto perfettamente davanti al suo, ma le sue pupille stranamente, paurosamente dilatate occhieggiavano il suo collo, lasciato scoperto dal colletto della camicia. La bocca si allargò in un sogghigno. I suoi denti bianchi erano stranamente aguzzi.


-...di cosa sai?-


La piccola cameriera bionda si voltò di scatto, scostando gli occhi dal bucato che stava ripiegando accuratamente nella lavanderia del pianterreno. Rabbrividì appena. Era un urlo, quello che aveva sentito? Era troppo lontano, non ne poteva essere sicura, ma sembrava provenire dal piano di sopra...

Divorando tutto ciò che c'è in questo mondo...


La cameriera salì le scale, ripetendosi che di certo doveva essere caduto qualcosa, tipo una sedia. Le sedie della Sala erano molto pesanti, di spesso legno in mogano. Eppure, scalino dopo scalino, passo dopo passo, non riusciva liberarsi di quella strisciante inquietudine che le attanagliava il petto.

...fino a quando non restano nemmeno le ossa.

Arrivò nella Sala. Si guardò attorno. Non c'era nessuno, solo il silenzio vi regnava sovrano. Nulla era fuori posto. Si avvicinò alle sedie in mogano che circondavano la grande tavola dalla tovaglia bianca, confusa: eppure, le era sembrato che provenisse proprio da lì, da quella stanza...
Effettivamente, però, c'era una sedia fuori posto, leggermente scostata dalle altre. Si avvicinò, sfiorandola con le dita.

Beatitudine totale sulla sua lingua.

Una mano sbucò da sotto la tovaglia bianca, afferrando la caviglia esile della cameriera e tirandola giù, senza lasciarle nemmeno il tempo di lanciare un'esclamazione di sorpresa, prima di trascinarla sotto il tavolo.
La cameriera, ritrovatasi distesa, si guardò attorno, sorpresa e disorientata. Lì sotto la luce giungeva ovattata e confusa, creando spettrali giochi di luci e ombre attraverso la tovaglia, e le pesanti sedie di mogano che a malapena riusciva a spostare con le sue piccole mani sembravano zanne di oscure creature della notte. Udì una risatina alle sue spalle. Si voltò: Conchita era lì, sotto il tavolo, assieme a lei, inginocchiata, con la mano tesa rimise la sedia di mogano accostata al tavolo, richiudendo quindi lo spazio che aveva creato scostando la sedia, per trascinare là sotto la cameriera. La sua lunga gonna rossa era morbidamente ripiegata sul pavimento di marmo, circondandola come i petali di un fiore sgualcito, ma dal colore vivace e rigoglioso. La cameriera osservò la veste. Sapeva bene quanto la sua padrona amasse quel colore, e conosceva a memoria tutti i suoi vestiti, tutti dello stessa identica tinta. Ma era strano, che là sotto, nonostante regnasse la penombra, il suo vestito apparisse lo stesso così... così rosso. 

E Vanika Conchita sapeva bene come si diceva...

Solo in quel momento la cameriera si accorse che la sua caviglia era ancora stretta nella mano della sua signora, che la stava guardando. Non poteva scorgere bene l'espressione sul suo viso, per via della semioscurità, ma vide distintamente lo scintillio dei suoi occhi, fissi su di lei. Ed era certa anche che sorrideva, dal modo in cui pronunciò quelle parole -L'ho sempre pensato, mia cara...- disse carezzevole -che tu...- passò dolcemente le dita dalla sua caviglia al suo polpaccio, esercitando una lieve pressione coi polpastrelli caldi e pulsanti -...fossi troppo sottile...però, sai com'è che si dice, no...?- La cameriera era così impegnata a chiedersi che diamine stesse succedendo, che si accorse solo in quel momento che dietro la sua padrona c'era qualcosa. Si alzò appena sulle ginocchia, fino a quanto glielo consentiva l'altezza del tavolo, e fu allora che li vide, nella semioscurità.
Sgranò gli occhi inorriditi, aprì le bocca, da cui fuoriuscì un gemito strozzato, e si premette una mano sulle labbra, contenendo un conato di vomito, mentre però il terrore regnava sovrano dentro di lei, sempre più crescente, sempre più accecante, come l'accecava la vista orrenda che le si presentava davanti agli occhi. Conchita sorrise, guardando anche lei, alle sue spalle. Il corpo dello chef era disteso a terra con le labbra ridotte a un indistinto coagulo di sangue secco e liquido corporeo, gonfio e rossastro, quasi livido, da cui si intravedeva il biancore perlaceo dei denti, dalla mascella ancora intatta scivolavano rivoli di sangue scuro sul collo e sulla tunica bianca da chef. Quello del servo era appoggiato alla gamba di una sedia con la testa ciondolante su una spalla, in bilico sul collo rotto, il sangue scuro e spumeggiante fuoriusciva a fiotti ancora vivo e caldo dalla ferita profonda, i cui contorni di pelle erano a brandelli, con forme strane...forme di denti. Era stato...erano stati presi a morsi, quando il sangue pompava ancora nei loro cuori, quando erano ancora vivi. Conchita continuò, passandosi la lingua sulle labbra, fissando ora la cameriera e completando la frase lasciata in sospeso pochi attimi prima.

...-Non lasciare niente nel piatto...-


Questa volta la ragazza lanciò un urlo lancinante, completamente folle di terrore. Calciò via la mano della donna dalla sua caviglia, si scaraventò di lato sulle gambe di una delle pesanti sedie in mogano, e cercò di spostarla con le esili braccia per scappare via. Aveva appena spostato le gambe della sedia di qualche centimetro, che venne strattonata violentemente dalla caviglia, ancora. Lanciando un urlo ancora più forte, si aggrappò con entrambe le mani alle gambe della sedia, mentre Conchita la tirava verso di sè, in un crudele tiro alla fune, sghignazzando dolcemente.
-Vuoi giocare con me, piccola cameriera? Il moto fa venire appetito...- Scoppiò in una piccola risata. La cameriera, con un calcio potente, con la forza della disperazione, riuscì ancora una volta a liberarsi, cominciando a muoversi a quattro zampe il più velocemente possibile sotto il tavolo, sbattendo mani e ginocchia sul freddo marmo: era inutile cercare di spostare ancora una di quelle pesanti sedie: la padrona avrebbe avuto il tempo di afferrarla di nuovo in un batter d'occhio.
Mentre continuava forsennatamente a strisciare, inciampando sulla gonna lunga, ma senza fermarsi, lo vide, lì, in fondo, davanti a lei: al posto di capotavola, a sei o sette metri di distanza, la sedia preferita della padrona, sulla quale si sedeva sempre durante i suoi lunghissimi pasti, era più scostata dal tavolo delle altre...un barlume di luce in più filtrava attraverso i bordi della tovaglia, e con esso, un barlume di speranza che fece accelerare la sua disperata corsa. Ansimava, mentre avvertiva una sensazione claustrofobica, l'ossigeno le mancava, sotto la pesante tovaglia candida, le mani e le ginocchia le dolevano, ma non sentiva nemmeno il dolore, tanto era il terrore in corpo. Non osava voltarsi, anche se la terrorizzava il pensiero che la donna era di certo lì, dietro di lei, e la stava seguendo: lo poteva sentire distintamente, dal fruscio del lungo vestito rosso tinto di sangue dietro di lei. Ecco, le mancavano tre metri...due metri...un metro...allungò una mano verso l'orlo della tovaglia, rantolando quasi. Ce l'aveva fatta.
Le sue dita sfiorarono l'orlo della tovaglia...
Ma fu un attimo.
Un colpo metallico che colpisce il marmo, un colpo secco dato con precisione e violenza. E poi, un dolore lancinante. Collassò a terra, sbattendo la faccia sul pavimento, mentre avvertiva il sangue caldo fuoriuscire dalla ferita alla caviglia. Alle sue spalle, Conchita teneva la mano stretta al manico un coltello affilato, la cui punta toccava il pavimento di marmo. Il resto del raffinato coltello d'argento era infilzato nella sua caviglia. La signora della magione si erse sulla figura della piccola cameriera, che in quel momento, con la bocca socchiusa e tremante, al cui interno battevano appena I denti, gli occhi spalancati, pallida come uno spettro, e le unghie che raschiavano spasmodicamente il liscio pavimento marmoreo, sembrava ancora più piccina.
-Scusami- disse Vanika Conchita, dolcemente. La sua figura si specchiava negli occhi chiari della giovane. -...ma era troppo divertente vederti correre-
E fu l'ultima cosa che quelli occhi videro.

Col passare del tempo, il castello si svuotò
.

Silenzio. La magione non era mai stata troppo rumorosa, certo. Ma ora un silenzio di morte aleggiava sull'intero edificio, la sua eco riecheggiava tra le alte mura sudicie e lungo le grandi finestre impolverate, assordante e interminabile.

Non rimase più niente e nessuno tranne lei.

Ora anche la Sala, un tempo sempre tenuta in ordine, scintillante e pulita, era coperta da uno spesso strato di polvere, in totale abbandono. L'argenteria era come sempre disposta accuratamente e ordinatamente sul lungo tavolo dalla tovaglia ora ingrigita, ma anche il suo argento non scintillava più. Il metallo opaco sembrava quasi schernire la sua stessa padrona, che vagava come uno spettro per il castello, ma era la Sala il luogo in cui, inevitabilmente, finiva sempre per giungere dopo I suoi vagabondaggi....

Eppure anche allora continuava a cercare...

Arrancò accanto alla finestra. Era pallida e smunta. Solo gli occhi, vivi e scuri, scintillavano nel suo giovane volto. La magrezza aveva reso I suoi occhi ancora più grandi, e occhieggiava la tavola impolverata e vuota, mentre le sue mani arrancavano in un tremolio nervoso e incontrollabile sulla cornice della finestra, disegnando girigori confusi sulla polvere, con le dita che si muovevano quasi meccanicamente verso le labbra arse dalla fame, portandovi però il nulla.

...l'alimento più raccapricciante al mondo.

Aveva fame. Tanta, tantissima fame...Con la schiena premuta sul freddo vetro della finestra, si lasciò scivolare a terra. Non aveva mai avuto tanta fame in tutta la sua vita...si sentiva svenire. Aveva bisogno di cibo. Doveva mangiare qualcosa. Sentiva che la fine stava per arrivare, e nel castello non c'era rimasto più nulla. Solo lei.

Allora...

Le sue mani, che raschiavano con le unghie consumate e quasi ridotte all'osso il pavimento di marmo, cessarono di muoversi. Improvvisamente, si immobilizzò. Alzò una delle mani.

...guardò la mano destra e sorrise amabilmente.

Era così semplice....

-è rimasto ancora qualcosa da mangiare-

Nessun urlo squarciò le alte finestre di quel polveroso e decadente castello. Ma i più, spesso condadini o pastori di passaggio, giurarono di aver sentito delle risate folli e assordanti risuonare ogni notte nella magione, appena soffocate dalle mura, attorno all'ora di cena.

L'ultimo raccapricciante pasto di Conchita
fu...esatto! Fu se stessa.


Delle risate che divenivano sempre più deboli e strozzate, notte dopo notte. Fino a quando l'angosciante litania notturna si spense, e nessuno sentì più nulla.
Il piatto di Conchita era finalmente vuoto.

Adesso conosce tutti i sapori esistenti...

...ma nessuno conoscerà mai il suo.


   
 
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