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Autore: Medea00    16/02/2012    35 recensioni
"Headshot. Dritto in mezzo al petto. Un colpo di fulmine, a confronto, aveva l’intensità di una minuscola scossa elettrica."
Cheerio!Kurt/Nerd!Blaine. C'è bisogno di aggiungere altro?
Liberamente ispirata da un sacco di gifset che in questo periodo popolano Tumblr.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12
Going under




 

 
Una delle parti più emozionanti e stressanti della vita di un adolescente con poche altre emozioni sono, di sicuro, i countdown.
Per questo Kurt aveva segnato nella sua agenda ogni singolo giorno che lo separava dal compito in classe, cerchiando la data fatidica, e barrando in rosso i giorni antecedenti ad essa: mancavano tre giorni. A Kurt non era passata nemmeno una settimana da quando aveva ricevuto quell’assurda minaccia della Sylvester, eppure, eccolo lì, a un mese di distanza, con l’integratore dei Cheerios in mano e il libro di analisi nell’altra; la sua vita ormai era divisa tra studio e sport, sport e studio, intervallata ogni tanto da qualche intervento di Blaine o Mercedes; proprio quest’ultima, in quei giorni, continuava a portargli cibo sottratto dalla mensa, nella speranza che si riprendesse; eppure, ad ogni ora che avanzava lui sembrava sempre più spossato. All’alba della prima ora del terzultimo giorno delle profonde occhiaie violacee gli scavavano il viso pallido e il suo corpo allenato completamente sfinito si accasciò inerme contro il banco di informatica, felice di potersi coprire con lo schermo del pc e godersi qualche ora di sano riposo.
“Kurt – esordì l’amica – da quanto tempo è che non ti fai una dormita decente?”
Rialzò appena la testa, assumendo un’espressione pensierosa: “non lo so. Giorni. Mesi. Che importanza ha. Tanto tra tre giorni sarà tutto finito.”
“Tu di sicuro. Non hai un bell’aspetto, sai?”
“Non uso le mie creme da settantasei ore, sono quasi sicuro che si siano fossilizzate.”
Mercedes, dopo un sonoro sospiro, tentò di svegliare l’amico e convincerlo che sarebbe andato tutto bene, ma alla seconda frase si era già appisolato. Da brava amica, si limitò a coprirlo con la professoressa svolgendo l’esercizio anche dalla sua postazione, così da non destare sospetti; in cuor suo, quando lo vide sobbalzare svegliato dall’improvviso suono della campanella, rimase indecisa se scoppiare a ridere oppure preoccuparsi seriamente per la sua salute, soprattutto perché, nel primo pomeriggio, ci sarebbero stati gli allenamenti. Non c’erano niente di meglio di due ore intensive di Sue Sylvester, per distruggerlo completamente; continuava a saltare, ballare e cantare, con i muscoli che facevano una cosa ed il cervello che valutava se i materassini usati dagli stunt-men fossero abbastanza soffici da poterci dormire sopra. Per la prima volta in tutta la sua vita ringraziò di non essere il protagonista di quel numero e fu ben felice di lasciare le redini a Santana e Brittany, che sembravano più affiatate che mai mentre eseguivano un passo a due e qualche armonia di una nuova cover; la coach non lo importunò più del solito e perfino le altre cheerleader, sotto saggio consiglio di Mercedes, gli stettero alla larga, permettendogli così di arrivare alla fine della giornata completamente stanco e stravolto, ma non distrutto: con uno strano ronzio nella testa dovuto alla stanchezza si trascinò verso le docce, e una parte di sé desiderò rimanere sotto al getto dell’acqua calda per sempre, cullato dal vapore e dal profumo di menta del suo bagnoschiuma; ma poi, si ricordò che presto lo avrebbero raggiunto anche gli altri ragazzi del gruppo, oltre che a giocatori di hockey e football, e bastò soltanto quel pensiero a destarlo quasi del tutto e farlo vestire in fretta: indossò un paio di jeans ed una maglietta preparati la mattina stessa in previsione dell’allenamento, si asciugò i capelli meglio che poté e poi, finalmente, fu libero di dirigersi fuori dalla scuola, ignorando la pioggia scrosciante che gli bagnava i capelli ancora umidi e con la felicità di avere la sua adorata macchina monovolume pronta ad attenderlo.
Non era un amante dei motori come suo padre, ma doveva ammettere che la comodità e l’intimità provata dentro a quell’automobile erano delle sensazioni alquanto confortanti: era un posto sicuro, un posto in cui si sbizzarriva nelle più difficili esibizioni canore, anche quelle che non avrebbe mai potuto fare con i Cheerios - sia perché non erano nel loro repertorio, sia perché, probabilmente, la Sylvester lo avrebbe denunciato prima di riuscire nell’intento-. Perfino con la resistenza a pezzi, non appena appoggiatosi allo schienale di pelle, si sentì subito meglio e si soffermò ad osservare le goccioline che lambivano il parabrezza. In mezzo a tutta quella calma, cullato unicamente dalla pioggia, senza nemmeno rendersene conto scivolò lentamente sul sedile cadendo in un sonno piuttosto profondo, mentre il tempo, lentamente, scorreva, e i minuti del pomeriggio passavano.
Quando la pioggia era diventata soltanto un disturbo leggero e gli ultimi club avevano terminato le lezioni, Blaine rimase un po’ interdetto nel trovare l’auto di Kurt parcheggiata ancora lì, in mezzo ad una piazzola semi deserta, accanto a lui, soltanto qualche auto di professori ritardatari o studenti che si erano fermati in biblioteca. Incredibile come, tutto ad un tratto, si ritrovò a ringraziare quel computer rotto che lo aveva inchiodato alla sedia dell’aula di informatica per più di un’ora. Si avvicinò piano, individuando una figura appoggiata contro lo schienale con la testa leggermente inclinata da un lato, la bocca socchiusa, il petto che ondeggiava mosso da profondi respiri ed un’aria stanca dipinta sul volto. Blaine pensò che fosse bellissimo, perfino con occhiaie e spossatezza, e per un attimo non si stupì di trovarlo crollato dentro all’automobile, dal momento che facevano le due di notte da giorni, ormai, tra incontri, caffè dello studente, chiamate al telefono, ripetizioni e mms con esercizi svolti, in più, probabilmente, lui aveva continuato a studiare fino ad alba inoltrata; fu solo dopo aver passato una decina di minuti a memorizzare ogni dettaglio del suo viso, imprigionandolo nella sua mente, senza farne parola a nessuno, che si decise a fare qualcosa per svegliarlo: cominciò a digitare dei tasti sul suo cellulare, e qualche secondo dopo vide il ragazzo ridestarsi e la tasca della sua tracolla illuminarsi nella parte inferiore. Si sfregò gli occhi un paio di volte, poi controllò l’orologio, fece una faccia orripilata e si apprestò immediatamente a rispondere alla telefonata, ipotizzando che fosse Finn, Carole, o peggio, suo padre, che gli chiedeva dove diavolo fosse finito –anche se, probabilmente, non era ancora tornato a casa, ma quel pensiero non gli passò per la mente -. Non fece nemmeno in tempo a rispondere che cominciò a dire: “sì lo so mi dispiace sono le cinque e io sono ancora a scuola e sono pessimo non dovevo addormentarmi so che faccio sempre troppo e-“
“Kurt?”
E, a quel punto, si fermò, di colpo. Perché la buona notizia era che non si trattava di suo padre, cosa che, in effetti, era alquanto ovvia; la cattiva, invece, era comparsa dritta davanti ai suoi occhi non appena si era girato notando una testa piena di riccioli intenta a salutarlo sorridendogli con simpatia. A parte l’essere stato colto in flagrante e il suo aspetto pessimo – dopotutto, lo vedeva quotidianamente alle prese con la matematica, quindi, in condizioni decisamente peggiori – si sentì leggermente in imbarazzo perché era da qualche giorno, ormai, che non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di lui che si gettava tra le braccia di Blaine inondandolo di lacrime; al solo pensiero, una scossa elettrica lo attraversò interamente facendolo rabbrividire e Blaine, notando l’assenza di qualsiasi risposta, verso, o frase, assottigliò lo sguardo e chiese: “tutto bene? Scusa se ti ho svegliato, ma credo che-”
“Non stavo dormendo. Mi…mi stavo soltanto riposando gli occhi.”
“Ah – commentò lui – beh, dovresti, invece. Hai un’aria terribile.”
“Molto, molto gentile. Ti prego non farmi tutti questi complimenti o potrei arrossire.”
Scoppiò in una risata, e Kurt, in risposta, alzò il mento verso l’alto guardando da un’altra parte. Qualche secondo più tardi, Blaine picchiettò contro il vetro della portiera per attirare nuovamente la sua attenzione: “Allora, togli la sicura alla macchina oppure devo scassinare la portiera per entrare?”
Il Cheerio esitò soltanto un secondo prima di avvicinarsi al finestrino appannato e domandare il motivo di quel tentativo di atto vandalico; Blaine lo imitò, e adesso i loro visi erano ad una spanna di distanza l’uno dall’altro, entrambi che stringevano i rispettivi telefoni in mano, separati soltanto da quel vetro che Kurt, tutto ad un tratto, cominciò ad odiare profondamente. Alla fine, con tono dolce, scontato, semplicemente disarmante, si sentì sussurrare: “perché ti devo portare al Lima Bean, ricordi? Un caffè al giorno per una settimana. Dopo l’altra sera hai stra-vinto la scommessa.”
E, per quanto si sentisse orgoglioso di sé e un pochino, non riuscì ad evitare il rossore delle guance che inondarono il suo sorriso, così come lo scatto repentino della sua mano che afferrò le chiavi della macchina per togliere l’allarme.
 


Di nuovo, il Lima Bean. Era diventato una sorta di rituale: sedersi ad un tavolino appartato, ordinare i loro caffè e conversare di tutto quello che volevano senza timore alcuno; inoltre, da quando si erano confidati reciprocamente le loro verità, era come se la loro amicizia avesse fatto un altro, gigantesco, passo in avanti, perché adesso non conversavano soltanto, ma ridevano, scherzavano, si prendevano in giro e Blaine non si offendeva quando Kurt cominciava a commentare tutti i suoi giochi assurdi, così come quest’ultimo cercò inutilmente di proteggersi dal suo tentativo malsano di misurare con la goniometria l’ampiezza delle sue occhiaie; perché, in fin dei conti, non c’era proprio niente che non si erano detti. Perché Kurt osservò colui che poteva definire il suo migliore amico, e si sentì incredibilmente fortunato.
E poi, interrompendo il suo momento di gloria relativo ad un’impresa epica – a detta sua – fatta giocando a Metal Gear Solid 4, abbassò la tazza del suo caffè, e guardò Blaine dritto negli occhi.
"Sai, credo che ti porterò a fare shopping."
E no, non era una domanda, ma lui sperò comunque che lo fosse: deglutì rumorosamente evitando di sputare tutto il suo caffè macchiato, mentre il ricordo di Solid Snake si allontanava da lui puntando il dito e ridendogli contro. Non diceva sul serio.
“Dici sul serio?”
“Certo, –puntualizzò l’altro, con calma e fermezza - devi valorizzarti di più, Blaine.”
“Ma io sto benissimo così…”
“I cravattini sono adorabili, ma sai, esistono altri capi oltre che alle camicie e ai pantaloni lunghi fino alla caviglia.”
“Mi piacciono i cravattini!”
“Si può sapere qual è il tuo problema con lo shopping? Hai un’allergia agli sconti del cinquanta per cento oppure sei sulla lista nera di qualche buttafuori perché gli hai dato del golem?”
Deglutì più volte, sviando lo sguardo verso il tavolino divenuto molto interessante.
“…Per quanto apprezzi la citazione nerd… no, non è niente di tutto questo. E’ solo che non mi piace fare shopping.”
Blaine giurò di non aver mai visto degli occhi così azzurri spalancarsi così rapidamente.
“Stai scherzando.” Sibilò, con un sopracciglio inarcato e la mascella serrata.
“No, io-“
“Prendi le tue cose.”
“Dove andiamo?” Vide Kurt alzarsi in piedi ed indossare il trench con professionalità e cinismo, poi, rivolergli un’ultima occhiata gelida e si avvicinò, prendendogli il caffè dalle mani, e dichiarando: “andiamo da GAP.”
 
Il problema non era proprio lo shopping: Blaine aveva sempre apprezzato vestiti fatti bene, specialmente se addosso a bei ragazzi come tutti quei modelli delle riviste; eppure, non aveva mai pensato che fosse qualcosa che potesse riguardare lui. Semplicemente, lo considerava un mondo a sé, distaccato, dove potevi entrarci soltanto tramite raccomandata oppure un corso di preparazione; non sapeva granché di moda, e la metà delle marche le aveva conosciute per merito di Kurt. Fu proprio quest’ultimo a spingerlo dentro al negozio, conducendolo nella zona uomo, cominciando con velocità e meccanicità da operaio di una catena di montaggio a selezionare sciarpe, felpe, maglioni e magliette tutte da rifilare a Blaine. Era sempre stato curioso di vedere Kurt alle prese con gli abiti, gli Warblers si erano chiesti più volte dove ottenesse gran parte del suo guardaroba; ecco, adesso che aveva avuto occasione di saperlo, si domandò se sarebbe mai sopravvissuto per poterlo raccontare.
“Va bene – fece lui, qualche minuto dopo – tu provati questi, io intanto ti cerco gli altri.”
Tra un mucchio e l’altro che teneva in mano, riuscì a scorgere la fronte di Kurt, così si lasciò guidare per l’ennesima volta – sembrava un burattino rassegnato – e finì dentro ad uno dei camerini, con i commessi che fissavano la sua montagna di capi con un misto di pietà ed adorazione, e Kurt si sedette su un divanetto poco distante, a gambe incrociate, le mani congiunte sopra le ginocchia e l’espressione paziente e attenta. Perché per lui era impossibile: Blaine era gay, era intelligente, non era assolutamente concepibile che non amasse lo shopping. Forse, non aveva mai trovato la compagnia giusta con cui farlo: lo shopping andava fatto con gli amici proprio per criticare le taglie minuscole quando dei pantaloni stavano troppo stretti oppure riempire di complimenti se qualcosa risultava perfetto ed affascinante. Era una sorta di arte, con dei riti e delle certezze, e lui doveva soltanto prenderne atto, perché non gli mancava niente.
In effetti, non gli mancava nemmeno un fisico da schianto, visto che immobilizzò tutti non appena uscito dalla stanzina con i suoi pantaloni aderenti e la giacca in tessuto di cotone; lo scollo a v della maglietta esaltava la sua pelle olivastra e i pettorali appena accennati, mentre i suoi fianchi, fasciati in dei jeans scuri, rivelarono che, insomma, Blaine aveva un fondoschiena eccezionale. Kurt lo aveva sempre saputo – anche se, forse, mai con quella certezza -, ma fino ad allora si era sempre rifiutato di ammetterlo. Adesso, non si sentiva davvero in grado di negare l’evidenza. Non riuscì nemmeno a sentire l’inizio della sua frase, troppo concentrato a chiedersi chi fosse e sì, anche a fissarlo completamente incantato, tanto che fu costretto a chiedergli di ripetere.
“Non credi che sia troppo…?”
“Troppo?” Incalzò, dopo qualche colpo di tosse per via della gola secca. Perché lui aveva tantissime idee per quel troppo, e nessuna di quelle conteneva un’accezione puramente negativa.
“Non so – riprese lui, stringendosi nelle spalle – troppo e basta, credo. Mi sento come se dovessi andare al ballo della scuola.”
“Blaine, hai dei jeans ed una giacca di cotone, questo non è un outfit da ballo della scuola. E comunque, stai molto bene.”
“Davvero?”
“Sì.” Affermò, ma con sua grande sorpresa scoprì di essere stato imitato da qualcun altro: il commesso che lo aveva aiutato con la scelta e la disposizione dei vestiti si era fatto avanti, con un sorriso a trentadue denti, i suoi capelli biondi lunghi e fluenti e quelle mechès che a Kurt sembrarono più false di una pessima imitazione di Prada svenduta da qualche venditore abusivo.
Beh, non avevano bisogno del suo parere.
Blaine ringraziò sottovoce, arrossendo appena e rivolgendogli uno sguardo lusingato e intimidito, uno di quelli che Kurt adorava, perché erano semplici e sinceri, e che in quel momento si ritrovò ad odiare profondamente perché quel ragazzo impertinente pensò che fosse rivolti a lui.
“Non c’è problema.”
Sì che c’era un problema. Quella era la sua giornata shopping con Blaine. Che diavolo voleva quel tizio?! E poi, subito dopo, si stupì delle sue stesse affermazioni: perchè, insomma, sembrava che fosse geloso. Ma non era geloso. Dopotutto, non poteva esserlo. Era geloso?
“Avete bisogno di altro?” Aggiunse poco dopo, e fu allora che Kurt si alzò in piedi avvicinandosi istintivamente a Blaine, assumendo l’espressione più deliziosa del suo repertorio e ringraziandolo serafico prima di afferrare Blaine per un braccio e portarlo via da lui. L’amico, onestamente, non capì; ma si era abituato alle mosse imprevedibili alla Hummel, così rientrò nel camerino mezzo divertito e non disse niente.
Il capo dopo, se possibile, era ancora più mozzafiato; e Kurt cominciò seriamente a pensare che non erano gli abiti a essere stupefacenti, ma, forse, il ragazzo che li aveva addosso; pensò la stessa cosa anche quel commesso carino: si avvicinò a Blaine, rassettandogli la cravatta, sfoggiando un sorriso assolutamente ambiguo, e il ragazzo in risposta continuava a guardarsi chiedendosi se stesse bene. Cominciava a divertirgli, quella cosa dello shopping; non gli piaceva essere al centro dell’attenzione, ma gli piaceva ricevere quelle di Kurt. Di certo non dubitò di quelle del commesso, dal momento in cui stava soltanto facendo il suo lavoro, anche se con più perizia, anche se stava tralasciando decine di clienti soltanto per elencargli la differenza che assumevano i suoi fianchi con dei jeans a sigaretta rispetto a dei pantaloni a cinque tasche. E poi, tutto ad un tratto, Blaine cercò con lo sguardo Kurt, ma non lo vide da nessuna parte.
 
“Dov’eri finito?”
Kurt si ritrovò il proprio migliore amico a una decina di centimetri di distanza, con quattro o cinque cravatte allentate intorno al suo collo e cartellini che fuoriuscivano da tutte le parti; borbottò qualcosa di vago e poi riprese a scorrere la fila di foulard della nuova collezione primaverile, appoggiandone qualcuno sul braccio già pieno. Blaine, allora, spostò il peso da una scarpa nuova all’altra allargando leggermente le braccia con fare confuso: “Non dovevi illuminarmi sulla bellezza del fare shopping?”
“Non mi sembrava che avessi bisogno del mio aiuto.”
“Ma che stai dicendo?”
Di nuovo, non ottenne nessuna risposta chiara. Era arrabbiato; no, forse, era deluso. Blaine continuava a non capire e Kurt non faceva niente per rendergli tutto più chiaro. Lui voleva soltanto passare del tempo insieme, scherzare come facevano sempre, comprare un paio di cose e poi tornare a casa con il ricordo di quella bellissima giornata e la consapevolezza di un sorriso radioso stampato sulle labbra, pressoché indelebile.
Così, prendendolo delicatamente per un polso, lo guardò un’altra volta prima di dire: “ti ricordo che ho scambiato un cappellino per un volante. (*) Non è saggio lasciarmi da solo.”
E Kurt, lui, non riuscì a trattenersi dal ridere. Perché desiderava passare il resto della giornata con lui più di ogni altra cosa; così, con rinnovata convinzione ricominciarono a selezionare capi e a scartarne altri, e perfino Blaine si mise d’impegno esprimendo le proprie opinioni personali – opinioni che, prontamente, venivano affettuosamente declinate da Kurt, perché mai e poi mai avrebbe ascoltato i consigli di un ragazzo che non usava i calzini-.
 


“E’ il tuo fidanzato?”
Quel commesso odioso ma tanto carino gli aveva fatto esattamente quella domanda. Aveva scelto anche il momento migliore, dal momento che Blaine era alle prese con il suo outfit finale, e c’era un gruppo di abiti già provati appoggiati alla cassa e pronti per il pagamento; quindi, oltre ad essere melenso, era anche un affarista. E Kurt volle così tanto dirgli che sì, stavano insieme, e che lui poteva anche mettersi l’anima in pace, e che quei capelli non andavano di moda dagli anni ottanta, eppure, dopo secondi di pausa e tensione crescente, disse soltanto una parola: l’unica che fosse vera e, tuttavia, piuttosto amara.
“No.”
Non si stupì di vedere quel biondino sorridere, stavolta, con fare più minaccioso.
“Perfetto allora. Grazie dell’info.”
Non si sprecò a dirgli “prego”. Non evitò di guardarlo arrivare da Blaine e parlargli di chissà che cosa, mentre il volto del ragazzo, lentamente, passava da sereno ad imbarazzato. Perchè lui non stava con Blaine, non erano altro che ottimi amici. Perché Blaine era bellissimo, dolce ed intelligente, e non si stupiva del fatto che ricevesse attenzioni da parte di qualcuno. Perché lui aveva scelto i Cheerios, ed era giusto così: era giusto che sentisse quella fitta allo stomaco, amara e dolorosa.
 


Kurt non voleva farlo. Non aveva assolutamente nessun di ritto di farlo; il viaggio silenzioso e vago poteva renderlo chiaro a sufficienza, eppure, quando la macchina arrivò davanti casa di Blaine, e lui fece per allacciarsi la cintura ed uscire, le parole fuoriuscirono prima che potesse impedirlo, e il suo corpo lo cercò stringendo una sua mano.
“Ti ha chiesto di uscire, non è vero?”
Blaine rimase di nuovo in silenzio, intervallato soltanto dal picchiettio delle gocce di pioggia tutte intorno a loro.
“Il commesso – incalzò allora lui – quel ragazzo, ci ha provato con te, non è così?”
Dopo qualche secondo di attesa, finalmente, il suo sguardo si abbassò e con un cenno della testa disse di sì. Ed era ovvio, quel ragazzo era stato abbastanza esplicito e palese, perfino per lui. Tuttavia, il suo cuore aveva perso lo stesso qualche battito per la strada, perché adesso non erano più soltanto dei timori nella sua testa. No, non timori: dubbi. Supposizioni. Semplici pensieri. Niente di negativo: quel ragazzo era carino, sembrava disponibile. Le stesse cose le ripeté a Blaine, con voce un po’ più alta di quel sussurro presente nella sua testa. Blaine, sospirando, si mise di nuovo composto sul sedile della macchina. Kurt lo vedeva combattuto per qualcosa, ma ipotizzò che si trattasse soltanto di accettare il suo invito oppure no. Non poteva esserci qualche altro testo nascosto, loro erano solo amici.
“Secondo te devo uscirci?”
Non era giusto. Non poteva fargli quella domanda. Non poteva chiedere un parere a lui, tra tutte le persone esistenti sulla faccia della terra. Kurt si sentì mancare il fiato mentre i muscoli delle mani si irrigidivano contro il cambio ed il volante.
“Perché lo chiedi a me?” proferì, vago. Era sempre stato un ottimo attore. Ma Blaine lo conosceva, sapeva benissimo come evitare raggiri alla sua domanda, e infatti dopo nemmeno un secondo rispose: “dimmelo tu, Kurt. Ci esco oppure no?”
Infine, con le sue lunghe ciglia nere, si sporse di più verso di lui, lo fissò. I loro occhi non erano mai stati incatenati come allora. Era come quel mattino a scuola, quando si erano visti ai lati opposti del corridoio, con il resto del mondo che lentamente si fermava. Non c’erano spiegazioni a quelle parole, soltanto lunghi ed intensi sguardi dentro ai quali erano tutti lì, i loro ricordi; come dipinti in quel quadro di verde, blu, azzurro, dorato; come un libro scritto senza le parole, ma che sapevano recitare a memoria. Nessuno dei due aveva più la voglia di lasciare andare l’altro, tuttavia, non sapevano come fare ad impedirlo. Ed ecco che il sottilissimo equilibrio sul quale situavano i loro cuori si inclinò pericolosamente, un’altra volta: quello di Kurt, alla domanda di Blaine, urlava no. Ma la mente, la paura, la divisa appallottolata nella sua borsa, gli fecero dire di sì.
Non pensò nemmeno di aver parlato ad alta voce fino a quando non vide il viso di Blaine rabbuiarsi ed abbozzare una minuscola ed impassibile smorfia. Non era mai stato bravo a camuffare i sentimenti, non quanto lui.
“Va bene, allora.”
Ti prego, non lo dire.
“Uscirò con quel ragazzo.”
“…Ok.”

Non si concesse altro. Un semplice commento, un respiro spezzato a metà. Perché era giusto così; Kurt continuava a ripeterselo più e più volte. Perché non era forte, coraggioso, intelligente e unico come Blaine. Perché una minuscola parte del suo essere, in quel preciso istante, pensò di meritarsi quel dolore, che continuava a ricordargli la strada che aveva scelto.
Blaine cercò qualche traccia nel suo volto immacolato, ma aveva già indossato la sua maschera invisibile, e con quella, gli era impossibile incontrarlo, nonostante fisicamente fossero a meno di un metro di distanza.
Quindi, semplicemente, lo salutò, e si coprì con le buste di GAP, cercando di evitare la pioggia che lo accolse mentre si affrettava ad entrare in casa. E non era scrosciante o fitta, ma silenziosa e sottile: non era fastidiosa, ma dolce e melodiosa. E quando la portiera si richiuse con un tonfo leggero, il corpo di Kurt fu scosso da un tremito, e le lacrime finalmente cominciarono a perforare i suoi occhi grigi.
Sembrava pioggia, perché il suo viso era diventato pietra.
 
 
 ***

Angolo di Fra

(*) Capitolo 5, alla voce "cloche".

Allora, questo capitolo non è betato e so che è una grande svolta per la storia, spero che 11 capitoli di sguardi, amicizia e intesa servano a rendere coerente ciò che ho fatto in questo. Non vi preoccupate! Il commesso mechato andrà via molto, MOLTO presto (qualcuno ha detto Jeremiah)? Sappiamo tutti che Blaine è impulsivo e se innervosito dice cose che non pensa. O che non farà.
In caso contrario, siete liberissimi di dirmelo, anche perchè io sono la prima ad avere dei dubbi. Aggiungiamoci il fatto che non è betato e non stupitevi se domani non vi ritrovate più il capitolo pubblicato, sarei capace di cancellarlo stanotte presa da un atto di sconforto.
Ad ogni modo GRAZIE per essere stati in così tanti a recensire lo scorso capitolo. Avete battuto ogni record, e quando dico ogni, intendo, di qualsiasi storia da me mai pubblicata.

   
 
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