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Autore: My Pride    22/02/2012    4 recensioni
Forse lo scopo della nostra vita è il viaggio stesso, non la destinazione. Qualunque risposta mi attenda, oggi è l’inizio del mio viaggio.
La mia storia comincia qui.

Quell’occhiata avrebbe dovuto mettermi soggezione, probabilmente, ma in quel momento ero troppo preso dalla foga di quella che sperai sarebbe stata la mia prima avventura.
Di una cosa, però, ero sicuramente certo: non sapevo in che guaio mi ero cacciato.
[ Prima classificata al «Pirates Contest!» indetto da visbs88 ]
[ Vincitrice del Premio Coppia più originale al «Chi è normale non ha molta fantasia» indetto da Butterphil ]
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Curse of the sea'
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Oceani_8 ATTO VIII: ST. GEORGE’S, NEI PRESSI DEL PORTO › MAR DEI CARAIBI, 1768
GIVE NO QUARTER
[1]

    Stavo correndo a perdifiato quando un dolore acuto all’altezza del petto mi paralizzò, mozzandomi il respiro.
    Caddi in ginocchio con le mani convulsamente chiuse a pugno, portandomele al cuore mentre tentavo di riportare a fatica il fiato nei polmoni. Eravamo quasi nei pressi del porto, e si poteva benissimo udire lo scrosciare delle onde contro le chiglie delle navi lì ormeggiate; però quel dolore aveva arrestato la mia corsa, facendo sì che Patrick mi distanziasse. Provai ad aprire la bocca per richiamarlo, ma un’altra fitta mi rubò il respiro, e dovetti accasciarmi su me stesso nella vana speranza che tutto cessasse presto.
    Sollevai di poco il capo giusto in tempo per vedere il ragazzo fermarsi e voltarsi verso di me, essendosi forse accorto che non lo seguivo più; si affrettò a corrermi in contro e a chinarsi, cingendomi la schiena con un braccio. «Tutto bene, Capitano?» mi chiese apprensivo, aiutandomi ad alzarmi nonostante non avessi la forza per farlo. Avevo come il presentimento che fosse appena accaduto qualcosa di spiacevole, e la conferma mi giunse quando il dolore al petto dilagò come un fiume in piena, costringendomi a piegarmi a mezzo busto contro Patrick.
    «Cid», sussurrai d’un tratto, sgranando gli occhi. «È successo qualcosa a Cid».
    «Come può esserne sicuro?» mi domandò in risposta, ma non c’era tempo per le spiegazioni. Sapevo quel che dicevo, e il dolore che avevo cominciato a provare me ne dava la più assoluta conferma. La sorte di Cid era anche la mia e viceversa, e ciò significava che avremmo dovuto tornare sui nostri passi per aiutarlo prima che fosse troppo tardi.
    Ogni respiro mi provocava una fitta di acuta sofferenza, ma provai comunque a drizzare la schiena per incamminarmi velocemente a ritroso, scansando Patrick da me; lui, però, mi afferrò per un braccio, strattonandomi. «Dove crede di andare?» sbottò. «Cid ci ha raccomandato di andarcene, non può tornare lì solo per una sensazione!»
    Lo allontanai di malo modo, mantenendomi in piedi per chissà quale miracolo quando indietreggiai. «Che cosa ne puoi sapere, tu?» sibilai adirato, traendo un lungo sospiro che mi bruciò la gola come fuoco vivo. «Cosa diavolo ne puoi sapere? Non ne sai niente di noi!»
    «Sia ragionevole, Capitano!» esclamò di rimando, riattaccandosi al mio braccio. «Cosa spera di ottenere, tornando indietro? Niente! Non otterrà un accidente di niente!»
    Strinsi i pugni e imprecai a denti stretti, spingendolo violentemente a terra. Se non voleva capire con le buone, l’avrebbe fatto con le cattive. «Stammi a sentire, moccioso». Ogni parola che usciva dalle mie labbra era aspra e severa, accentuata soprattutto dal dolore che mi attanagliava il petto in una morsa. «Questa è una faccenda che non ti riguarda, quindi vedi di starne fuori». Indietreggiai senza perderlo d’occhio mentre lo vedevo rimettersi in piedi, già pronto a fermarmi ancora una volta. Ma non gliel’avrei mai permesso.
    Tirai fuori dalla fondina la pistola e, pur sapendo che non avevo più colpi, la puntai verso di lui, vedendolo sussultare dalla sorpresa. «Non azzardarti a seguirmi, Jim», gli soffiai contro, dandogli le spalle per correre nella direzione da cui eravamo venuti. Il petto mi doleva in modo pazzesco, e la vista aveva cominciato ad indebolirsi sempre di più. Mancava poco. Molto poco. Con i richiami furenti del ragazzo nelle orecchie e il sibilo lontano del vento, corsi con tutta la forza che mi era rimasta nelle gambe, sentendole cedere ad ogni passo; più correvo più i polmoni mi si incendiavano, ma dovevo continuare sulla mia strada ancora e ancora, senza fermarmi.
    Quando giunsi al luogo in cui avevo lasciato Cid, raggelai nel vedere la scena che mi si era parata dinanzi agli occhi. Il mio vice giaceva riverso di fianco in una pozza di sangue, la bocca spalancata in un grido senza voce e gli occhi socchiusi, persi in un punto indefinito; inginocchiato accanto a lui, intento a frugare nelle sue tasche, c’era il Commodoro Waine, la cui spada orribilmente macchiata di rosso pendeva inerme alla sua cintola.
    Boccheggiai incredulo e, prima ancora che il mio cervello mandasse segnali ai nervi, sguainai la mia arma e gli corsi incontro, furioso. «Che cosa gli hai fatto, bastardo!» strillai fuori di me, e fu solo a quel punto che il Commodoro, sgranando gli occhi, si accorse della mia presenza; con una velocità impressionante riuscì a scansare il fendente con cui avevo tentato di ferirlo, rotolando di lato prima di impugnare la propria spada ancora una volta.
    Il sorriso che gli si dipinse immediatamente in viso, però, non mi lasciò presagire niente di buono. Raddrizzò la schiena e, dopo aver scoccato una rapida occhiata al corpo inerme di Cid, indietreggiò di qualche passo per evitare il mio nuovo colpo, fermando la mia lama con la sua. «Adesso mi è tutto chiaro, pirata», esordì, fissandomi fra i fili delle nostre spade. «Oh, eccome se mi è tutto chiaro. L’ho capito incrociando la lama con quel tipo», soggiunse, accennando appena con il capo al mio vice prima di fare forza con il braccio e spingere la spada, così da costringermi ad indietreggiare a mia volta. «Tu e il tuo amichetto non dovreste essere qui. Tanto meno io».
    Feci leva sulla punta dei piedi per contrastarlo, sferzando un colpo per allontanarlo da me e distanziarlo a mia volta, adocchiando Cid. Non si muoveva, e al solo pensiero di essere arrivato tardi mi morsi con rabbia il labbro inferiore. «Se deve perdere tempo in chiacchiere parli chiaro, Commodoro, perché in combattimento lo sbaglio peggiore è distrarsi», replicai, partendo ancora una volta all’attacco senza nemmeno aspettare che mi spiegasse il significato delle sue parole. In quel momento me ne importava relativamente poco.
    Le lame si sfiorarono ancora una volta quando ci muovemmo in simultanea, provocando un lieve tintinnio metallico prima che ritornassimo entrambi in posizione d’attacco, con le armi inclinate da un lato e impugnate a due mani. Ci lanciammo nuovamente l’uno contro l’altro, scontrandoci violentemente fra sibili d’acciaio e sguardi. Un attacco fulmineo, un fendente; le nostre gambe si muovevano ritmicamente, quasi stessimo seguendo dei passi di danza che solo noi potevamo conoscere, i nostri corpi compivano movenze eguali creando archi invisibili al suono delle armi.
    Provando a colpirmi al petto, il Commodoro tentò un affondo laterale subito dopo, ma io riuscii a indietreggiare rapidamente, rinserrando la presa sulla mia spada. Guardai il mio avversario, traendo lunghi sospiri. «Tu sei come noi, vero, Commodoro?», dissi di punto in bianco, deglutendo prima di riprendere fiato. Non mi occorse una sua risposta, giacché l’espressione che si era dipinta sul suo viso parlò per lui. E sorrisi, aggiungendo, «Avrei dovuto immaginarlo. La tua presenza mi aveva fatto venire qualche dubbio, dato ciò che è accaduto a Roseau».
    Aggrottò la fronte, portandosi la lama contro il petto. «Taci, pirata», sibilò velenoso, lo sguardo ardente di furia omicida. Flettendo le gambe si gettò nuovamente all’attacco, compiendo una stoccata così veloce che faticai non poco a scansarmi; mi colpì al viso con la lama e sibilai dal dolore nell’avvertire l’intenso bruciore che si appropriò della mia guancia qualche istante dopo, tentando di restituirgli quell’affondo con il doppio della potenza. Riuscii solo a tagliargli una ciocca di capelli, complice il terreno fangoso e la mia debolezza che diveniva pian piano maggiore.
    Anche il Commodoro, però, sembrava far fatica a respirare. Il sangue gli sporcava in più punti la divisa, difficile dire se per i colpi che gli erano stati inferti o per l’essersi inginocchiato accanto a Cid alla sicura ricerca della mappa. Ma non persi tempo a soffermarmi su particolari del genere, approfittando di quel momento per cercare di colpirlo allo stomaco.
    «Capitano Gale!» venni richiamato in quello stesso istante, e fu con orrore che mi resi conto che Patrick, disubbidendomi, era tornato a sua volta indietro. A conti fatti, però, la cosa sarebbe anche potuta risultare utile.
    In un altro frangente mi sarei difatti arrabbiato, ma in quel momento l’arrivo di Patrick era stato davvero provvidenziale. «Prendi la pistola di Cid, ragazzo, presto!», gli urlai senza preoccuparmi di vedere dove fosse con l’esattezza, gettandomi a terra per evitare l’affondo del Commodoro. Con un salto all’indietro mi allontanai il più possibile da lui, vedendolo con la coda dell’occhio venirmi incontro per concludere il proprio lavoro. Imprecando a denti stretti lanciai finalmente un’occhiata a Patrick, vedendolo tirar fuori con incertezza la pistola di Cid dalla fondina, prima che alzasse lo sguardo per localizzarmi.
    «Capitano!» mi chiamò ancora, caricando il braccio per lanciarmela; dovetti correre in quella direzione per afferrarla al volo, affrettandomi ad impugnarla nel lato giusto prima di mirare verso il mio avversario, che sgranò gli occhi alla vista della bocca della pistola.
    Tentò di sottrarsi alla mia linea di tiro per mettersi al riparo, ma prima ancora che potesse farlo premetti immediatamente il grilletto, centrandolo in pieno petto. Boccheggiando, tossì più volte e sputò sangue, accasciandosi su se stesso e crollando in ginocchio, con una mano premuta convulsamente sul punto colpito. «B-bastar...do», biascicò a mezza voce, gli occhi ingigantiti dalla confusione erano puntati su di me, che mi trovavo esattamente a pochi passi da lui. Potei vedere riflesso in essi il mio volto, impassibile e distaccato, quasi non me ne importasse nulla di ciò che stava accadendo. E a dirla tutta era davvero così.
    Mi avvicinai maggiormente a lui e con un calcio gli feci mollare la presa della mano dall’elsa che ancora sorreggeva, fissandolo. «Ci si vedrà presto all’inferno, Commodoro», sembrai promettergli, puntando la canna della pistola prima di far fuoco. Cadde riverso a terra con un buco in fronte, la bocca socchiusa e gli occhi spalancati, fissi su un punto indefinito dinanzi a lui che non avrebbe mai più potuto vedere.
    Io me ne restai lì ad osservarlo, completamente estraniato dal mondo. Mi sembrava di essere uno spettatore ignaro che si era ritrovato ad assistere suo malgrado a quella scena, giacché non provavo assolutamente niente. Né gioia per la vittoria, né amarezza, né tanto meno tristezza per la fine che quel bastardo aveva fatto fare a Cid. Assolutamente niente. E avrei continuato a starmene fermo in quel punto se un richiamo, basso e ovattato come se provenisse da molto lontano, non mi si fosse insinuato insistente nelle orecchie, quasi cercasse di farmi tornare con i piedi per terra.
    Fu difatti con una certa fatica che mi voltai nella direzione da cui proveniva, vedendo Patrick intento a strapparsi la camicia per una ragione che, sul momento, non compresi; quando lo vidi premere i pezzi di stoffa sul petto ormai nudo di Cid, mi sembrò come se qualcuno avesse appena riafferrato la mia razionalità, facendo sì che mi aggrappassi a quella speranza. «Cid», sussurrai a mezza voce, barcollando nella loro direzione prima di accasciarmi a mia volta lì di fianco; il petto gli si abbassava e gli si alzava a ritmi lenti e irregolari, ma respirava. Respirava, dannazione!
    «Che diavolo sta facendo, Capitano?!» sbottò Patrick, strattonandomi un braccio. «Mi aiuti ad arrestare l’emorragia, presto!»
    Non me lo feci ripetere due volte, afferrando i lembi di stoffa che il ragazzo mi stava porgendo in fretta e furia per stringerli intorno al torace di Cid; per quanto ci fosse concesso avremmo almeno potuto impedire di farlo morire dissanguato, ma avevamo necessariamente bisogno di molto di più di qualche straccio.
    Senza riflettere, quindi, mi issai il mio vice sulle spalle, allontanandomi il più in fretta possibile. Non c’era un solo minuto da perdere. «Non morire, razza di idiota!» esclamai, aumentando il passo per quanto concessomi dal dolore lancinante che aveva ormai invaso il mio petto. «Abbiamo un compito da portare a termine, te lo sei scordato? L’hai detto tu che è troppo importante per fermarsi a metà strada!»
    Mi sentivo il petto in fiamme e, sebbene avvertissi dietro di me la presenza costante di Patrick, mi sembrava quasi di essere solo. Tutto il mio mondo si era momentaneamente ridotto al peso di Cid che mi portavo sulle spalle e ai suoi respiri lievi e spezzati, sentendo la sua sofferenza dilaniare anche le mie carni.
    «Non. Morire», continuai a ripetere all’infinito, accasciandomi su me stesso e avanzando solo grazie alla mia forza di volontà. Il peso di Cid divenne d’un tratto più leggero, e faticai non poco a rendermi conto che Patrick si era accostato a me per sorreggere a sua volta il corpo del mio vice.
    Lo guardai confuso, probabilmente troppo stravolto per capire con esattezza ciò che mi capitava intorno; Patrick, però, si limitò ad aiutarmi senza dire niente, quasi avesse finalmente compreso il mio stato d’animo. Grazie al suo aiuto riuscii a trasportare Cid senza grandi difficoltà, concentrato sul ritmo del suo respiro e sui battiti furenti del mio cuore; non avevo trovato pace neanche per un attimo, e forse era stata solo fortuna l’essere in seguito incappati in una locanda sgangherata dalla quale provenivano suoni confusi e schiamazzi.
    Io e Patrick ci facemmo forza e, issando meglio Cid in modo da poter camminare liberamente, aprimmo la porta per entrare all’interno, dove il caldo proveniente dal camino ci scaldava le ossa e l’odore di carne arrosto si disperdeva nell’aria, entrando nelle narici e facendo brontolare lo stomaco. «Occupati di Cid per qualche minuto, Patrick», gli sussurrai, lasciandogli quel fardello per dirigermi in fretta e furia verso il locandiere, gesticolando e indicando alla svelta la direzione in cui avevo lasciato entrambi i membri della mia ciurma.
    Per quanto il mio aspetto trasandato sembrasse portare ormai impressa la parola “guai”, non appena gli mostrai un sacchetto colmo di dobloni il locandiere sembrò farsi più interessato, gettando un’occhiata verso la ressa del locale prima di aggirare il bancone e farmi cenno di seguirlo. Superò Patrick senza degnarlo di uno sguardo, cominciando a salire le scale che portavano al piano di sopra. Raggiunto il ragazzo lo aiutai a trascinare Cid su per i gradini, e ci inoltrammo in compagnia di quel vecchio in un lungo corridoio illuminato da qualche lanterna, sorpassando le porte di varie camere prima di raggiungere quella a noi destinata.
    «Ciò che posso darvi sono soltanto delle bende e qualche medicinale, pirati, a patto che ve ne andiate poi in fretta», bofonchiò in tono burbero una volta aperta la camera. «La marina pattuglia la zona da giorni, e l’ultima cosa che voglio è che trovino dei bucanieri; non si fanno affari del tutto legali, qui dentro».
    Nonostante tutto mi ritrovai a sorridere in modo stentato. «Sarà come se non esistessimo», lo rassicurai, sapendo in cuor mio che in fin dei conti, quella, era l’assoluta verità. Non appena ci ebbe mostrato dove trovare tutto ciò che ci occorreva, si richiuse la porta alle spalle e ci lasciò soli, così che potessimo occuparci una volta per tutte di Cid. Con l’aiuto di Patrick disinfettai le sue ferite e, anche se con ben poca dimestichezza, gli fasciammo braccia e torace, distendendolo poi sul letto al centro della stanza.
    Afferrai la sedia posta contro il muro e mi sedetti al suo fianco, sia per controllare la regolarità del suo respiro, sia per placare le lievi fitte che sentivo ancora al petto. Il dolore si era placato, in verità, e ciò avrebbe dovuto essere un buon segno.
    D’un tratto sentii Patrick trarre un lungo sospiro, prima di guardarmi attentamente in viso. «Perché mi ha chiamato Jim, prima?», mi domandò, e io raggelai. L’avevo chiamato Jim? Quando, con l’esattezza? Faticai non poco a ricordare il momento esatto in cui l’avevo fatto, quasi fossi caduto in un bizzarro stato di semi-incoscienza che non riuscivo ad identificare.
    Imprecai a denti stretti non appena lo rammentai, ravvivandomi i capelli all’indietro prima di incassare la testa nelle spalle. «Forse è arrivato il momento di dirti tutto, ragazzo», cominciai, decidendo di guardare insistentemente il capezzale di Cid anziché lui. Non volevo ancora affrontare la realtà di quel discorso, forse perché io stesso avevo ancora qualche dubbio al riguardo. Ma fu traendo un lungo sospiro che cominciai a raccontargli con gran dovizia di particolari ciò che era accaduto anni addietro nel mio villaggio, cogliendo con la coda dell’occhio i cambiamenti del suo viso. Dapprima apparve confuso, quasi non avesse capito perché avessi deciso di parlargli di tutte quelle cose, sgranando pian piano gli occhi quando, una volta arrivato a narrargli dell’attacco che aveva sconvolto la quiete della nostra isola, parve rammentare qualcosa di quella situazione.
    La parte peggiore fu dirgli la verità sulle sue origini. Con lo sguardo ancora fisso su Cid, che aveva cominciato a respirare con maggiore regolarità, cercai di farmi forza e di spiegargli per filo e per segno come stessero le cose. Quando conclusi, però, il modo in cui Patrick mi guardò sembrò a dir poco sconvolto. «E tu», cominciò con voce fremente, quasi si stesse trattenendo dall’alzare il tono, «me l’hai tenuto nascosto per tutto questo tempo?»
    Trassi un lungo sospiro, annuendo. «Ho dovuto», soffiai, vedendolo portarsi una mano alla testa come se faticasse ancora a credere a ciò che avevo appena detto. E come dargli torto? Anch’io non riuscivo a farci i conti, per quanto sapessi che fosse la pura e semplice verità.
    «Mio fratello», mormorò poi a mezza voce, lasciandosi cadere seduto a gambe incrociate sul pavimento, osservando un punto indefinito dinanzi a sé. Lo lasciai fare, non ritenendo necessario richiamarlo. L’avevo sconvolto abbastanza, per quel giorno, e si meritava almeno un attimo di tregua.
    Per l’ultimo addio ci sarebbe stato tempo
.
 

 

[1] Espressione che in termini stretti significa “Non mostrare alcuna pietà”.
La scelta del titolo sarà chiara durante la lettura del capitolo, sebbene già dalle prime righe si possa evincerne il motivo.



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