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Autore: Nemensia_Darka    28/09/2006    0 recensioni
«Quando abbiamo intercettato la radio degli sbirri pensavo le avessero sparato un colpo, non un intero caricatore...»

Cordialmente, Nemensia.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Semplicemenete nelle tristi e malinconiche sere d'estate

Semplicemente nelle tristi e malinconiche sere d'estate

«Sai cosa mi disse la prima volta che ci incontrammo?» 
«No, e non riesco nemmeno a immaginare cosa...» Sorrise lei scostandosi delicatamente una ciocca di capelli bruni dietro l'orecchio.
«Mi ricordo come fosse stato ieri, se ci ripenso non so se piangerne o riderne. Un passo falso e non staremo qui... bhè, io non starei qui...»
Il ragazzo, trentenne, spostava il peso dalla gamba sinistra a quella destra, sembrava a disagio nel raccontare quei ricordi. Ancora, da quella destra alla sinistra. Eppure non aveva cominciato lui il discorso? La sua solita e immancabile lingua che non si ferma mai, quante volte avrebbe fatto meglio a tacere...
«Ero seduto su una panchina del parco...» Parlava lentamente e nella voce riecheggiavano ironia, divertimento. «E c'era la luna, non come questa sera, me lo ricordo bene quel disco distante e intoccabile, era enorme, immenso, quasi erroneamente terreno...»
«Mi piace come parli, sembra quasi di stare li con te...» Lo interruppe la donna, una donna chiamata Arial, nome fittizio naturalmente, nome senza identità. 
Svelare il vero, in situazioni tanto complicate, voleva significare guai, o peggio, morte.
«Oh, grazie» Ammiccò Renze passandosi una mano tra i capelli neri. Un breve brillio di compiacimento negli occhi scuri prima di abbassare il capo e poggiarsi sullo squallido muro di quel vicolo in periferia.
Puzzava quel posto, rifiuti ovunque. Era caldo. Umido e terribilmente caldo. Un'aria irrespirabile. I due stavano nel cono di luce dell'unico, stanco, lampione. A osservarsi, studiarsi. Sguardi fugaci, per non far trapelare niente se non ingenua curiosità. Scherzosi erano i toni dei due giocatori a quella parsa. Mentre aspettavano, e aspettavano. Mentre la tensione cresceva e nello stesso tempo s'acquietava, aspettavano la stessa cosa, dopotutto, ma poi? Cosa sarebbe successo, poi? Meglio farsi poche domande...
«Dove ero rimasto? Ah, si, la luna. Una scena da film, davvero, avrei fatto milioni. Tuttavia la cosa che ricordo di più era il mio sangue, non ne ho visto tanto in tutta la vita. Usciva, non sapevo da dove, vedevo solo rosso, premevo con la mano dove mi sembrava ne fosse di più. Eppure continuava a uscire, senza sosta.» Tutti e due avevano le dita della mano destra intrecciate sul grilletto della pistola, pronti a qualsiasi movimento.
«Avevi preso una di quelle pasticche, vero?» lo interruppe lei. 
«Si... oltre che utili, sono anche ottime, il dolore sparisce e rimani lucido fino alla morte.» Sorrise. «Non è da molto che lavori qui... non ti ho mai vista.»
«Sempre stata d'ufficio, mi hanno promossa.»
«Oh, promossa al massacro, devi essere contenta.»
«Contenta... dipende dai punti di vista. Sto incontrando molte persone interessanti.»
«Si, lo so. Me lo dicono in molte.> Sorrise fiero e teatralmente ripassò la mano sinistra tra i capelli.
Un sorrisetto venne strappato dalle labbra rosse della donna mentre abbassava il capo e i capelli castani le ricadevano dinanzi. 
«Continua dai, questa notte passerà più velocemen...> Il lampione ebbe un sussulto. Un lampo. A fatica ritrovò la luce e le pistole erano puntate l'uno contro l'altra. 
«Ottimi riflessi.» Si complimentò Renze. 
Le braccia erano tese, i muscoli del collo contratti. 
«Però adesso...» Continuò gentilmente «...adesso abbassala. Io non ammazzo mai senza motivo, solo per difesa, o per ordine. E disposizioni su di te, ancora non ne ho...»
«Se ti aspetti che ci creda... e poi perchè dovrei abbassarla prima io? Non sono stupida, sai?» 
«Non metto in dubbio la tua intelligenza, ma come converrai, una pistola con la sicura non spara. E prima che tu riesca a toglierla ti avrò gia fatto un buco in fronte»
Arial sospirò, di nuovo un errore. Non doveva commetterne più. Si sentiva stupida.
«Dai, può succedere.» La rassicurò l'uomo «Una volta un ragazzo mi tirò un coltello senza togliere il fodero, le risate non ti dico» Portò una mano sulla fronte mentre rideva al pensiero. Passò un minuto prima che si ricomponesse. Quando riemerse dalla risata guardò di nuovo la donna, l'espressione gioviale ma appena indurita «Non hai ancora messo dentro la pistola?» 
Rassegnata, Ariel, abbassò lentamente il braccio guardandolo in cagnesco.
«Così, da brava, e adesso dammela.»
«Cosa?»
«Dammi la pistola!» L'incitò Renze impugnando meglio la sua, si stava irritando, fece un passo avanti tanto che il ferro sfiorava la tempia della donna. I suoi ordini vanno eseguiti subito e senza discutere. «Di me mi fido poco, ma di te per niente. Quindi dammela.»
«Stiamo sempre parlando della... pistola, vero?» Sussurrò maliziosa, voleva perdere tempo. Senza quella, che le dava un briciolo di sicurezza, sarebbe stata alla sua mercede.
«Sei coraggiosa, si. Mi piaci...» Renze avanzò fino a premere il suo corpo contro quello della donna, appoggiata al muro opposto a dove lui stava prima. Abbassò la testa con un ghigno <...ma non si scherza con il fuoco» le sussurrò all'orecchio.
Spaventata Ariel serrò le palpebre aspettandosi il peggio. Ma lui si limitò a sfilarle dalla mano la pistola mentre teneva la sua dritta sulla tempia della ragazza. Lei lasciò che l'uomo la prendesse, non sapeva cosa fare. 
«Molto brava...» Disse mentre indietreggiava. «Così si fa...» Mise in tasca la sua pistola poi cominciò a osservare quella di Arial, rigirandola tra le dita affusolate.
«Perchè non mi fai fuori subito? Ti risparmieresti la fatica dopo...»
Renze alzò lo sguardo dall'arma «Stai cercando il sucidio forse...? Guarda che sei strana...» Sorrise riprendendo quel tono gentile che lo particolareggiava. «Devi capire che questo lavoro non ti da la licenza di uccidere... Non sei migliore degli altri perchè il tuo lavoro è uccidere e non devi trovarci niente di buono...»
«Siamo nemici, dovrai farlo comunque prima che lo faccia io.» 
«Nemici? Tu non sei mia nemica.> Le lanciò una sguardo obliquo «Non mi hai fatto assolutamente niente... »
«Sei strano... non pensavo che i killer fossero così...» 
«Io sono un caso a parte.» Le fece l'occhiolino. «Chissà, la prossima volta quando ci rincontreremo... In che situazione sarà.» Sorrise.
«Sarò più attenta di ora, te l'assicuro...»
«Attenta o no, non aspettare che ti tolga solo la pistola... Avrò degli ordini precisi su di te, adesso che la mia organizzazione sa che prendi il posto di Selene.»
Seguì un lungo silenzio. Nella notte nera non tirava un alito di vento. Immobile, le grida solitarie di un corvo risuonavano ovattate e distanti. Renze avrebbe preferito ci fossero le cicale. Dolce il ricordo disteso sul grano a contare le stelle. Quando non c'era niente oltre alla sua casa, alla sua famiglia. Quando era di se stesso e non di un'altro. Come c'era finito in quel giro, non lo sapeva nemmeno lui. Il ragazzino di campagna incuriosito dalla città e allevato dai gangster. Che storia assurda. Sorrise impercettibilmente mentre abbassava il capo per nasconderlo. Arial lo fissava con occhi ansiosi, a volte li abbassava per paura che accorgendosi si infastidisse. Non sapeva se l'avrebbe lasciata andare. Eppure non sembrava cattivo. I primi giorni di lavoro e subito un errore fatale, doveva sopravvivere a qualunque costo. Non sapeva cosa fosse veramente il lavoro che stava intraprendendo. Una vita a fare l'infiltrata ed ora questo, ora doveva uccidere, uccidere i nemici della sua organizzazione. Sorrise anch'ella, tristemente, abbassando il capo nel medesimo momento in cui lo fece Renze. Nessuno dei due si accorse di niente. Sorrisi di gente segnata e distante.
«Se... non... parlate...» La voce strozzata, ansante, venne dal giaccone di Renze che giaceva a terra a cavallo tra l'ombra del vicolo e il cono di luce. «Se...non parlate... ho...paura di essere... sola...» 
«Sei ancora tra noi, Sele? Sapevo che hai una pellaccia dura...» Disse l'uomo divertito. Con il piede scostò il cappotto rivelando il volto bianco di una donna. Il ventre della sagoma sopina si abbassava appena poi scattava in alto ancora e ancora, sempre più lentamente. Serpenti di sangue le rotolavano dalla testa, sulle guance. Gli occhi erano chiusi e le labbra violette si muovevano appena, contratte in un ghigno sarcastico. 
«State...aspettando...me?»
«Si, stiamo aspettando che te ne vada. Qui, vicino a me, c'è colei che prenderà il tuo posto.» Renze scandiva bene le parole per farle capire. Non era sicuro che avesse ancora tutte le facoltà intatte. Le si accucciò di fianco mentre Arial lo osservava. Come poteva essere così gentile, essere così calmo? Come poteva parlare della morte a quel modo? 
«Quando abbiamo intercettato la radio degli sbirri pensavo le avessero sparato un colpo, non un intero caricatore...» rivolto ad Arial.
«Avremmo potuto salvarla.»
«Vorresti portarla in ospedale, per poi farle passare la vita in galera? Oltretutto abbiamo ordini precisi, io di finirla e immagino che tu...»
«Si... Accertare che sia finita...»
«Quando non serviamo più non fanno niente per salvarci è così che deve andare. Ma scommetto che il tuo capo s'è morso la lingua per Sele, era davvero brava, uno dei migliori...»
«Hei, bastardo... non parlare di me...come se... fossi gia... morta...» Sibilò Selene aprendo appena le palpebre tremanti. Renze allungò la mano, le tolse una ciocca di capelli appiccicata alla fronte dal sangue e le chiuse gli occhi. «Non fare il moralista... voglio morire... questa merda di droga durerà ancora, finchè non smetterà di battermi... il cuore...» 
Renze si rialzò «Ciao piccola, ci vediamo...» le disse dolcemente poi fissò per qualche istante Arial visibilmente scossa. 
«Su, ci farai l'abitudine.» disse «Vedrai...» Le lanciò la pistola che la donna prendette per un pelo.
«Sparale, in testa mi raccomando, e va a casa. La polizia la sta ancora cercando, meglio non farsi trovare.» 
Selene inspirò profondamente, i polmoni oramai pieni di sangue. Tremava appena ma sorrideva.
«Co... cosa? Non posso spa... spararle così...»
Bang!
Il colpo di Renze, preciso, perfetto, risuonò nella periferia. Bang...bang...bang... l'eco si espandeva ovunque urtando contro i palazzi e infrangendosi sulle gocce di sudore che imperlavano il viso di Arial. Spaventata. Renze gli lanciò uno sguardo duro e severo «Zero esitazione, ed ora vattene.» Si voltò e sparì nell'oscurità.
Non c'era la luna quella sera, non c'erano stelle. Il corvo solitario prese il volo infastidito dallo sparo. Non c'era più niente. 
Arial si voltò e percorse gli stessi passi dell'uomo, senza quasi respirare. Anche lei sarebbe diventata così, senza pietà, sarebbe diventata un mostro.
Ma l'oscurità avvolgeva il vicolo come avvolgeva la città. E la notte cancella ogni cosa che rinasce nel giorno.
Le luci rosse delle volanti spezzarono poi il buio, da far sembrare tutto più atroce.
Niente parole. Arial che camminava, un passo dopo l'altro senza voglia di pensare. Dopotutto non doveva pensare, ora doveva solo... uccidere. 
Senza scelta, senza possibilità di fuggire. 
Semplicemente, così, senza troppi perchè.
Camminando, eseguendo gli ordini. 
Nelle tristi e malinconiche sere d'estate.

~

 

Note: Non so, non credo sia venuta un gran chè. Mi sa che è caotica e pesante da leggere... Però durante la realizzazione di questa one-shot mi sono emozionata molto. E' questo che mi piace, l'emozione di scrivere ;) Qualcosa del genere mi frullava in testa da un pò di tempo. Tante forme diverse dello stesso concetto: costretti ad uccidere, rassegnati ad uccidere, continuare a vivere normalmente dopo aver ucciso. Bhè, forse non ho dato per niente l'idea che volevo dare... Oppure si? Spero vi sia piaciuta e spero mi farete il piacere di leggere un vostro commento.

Gentilissimi come sempre nel seguirmi, cordialmente, Nemensia.

  
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