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Autore: MargotRoux    24/02/2012    1 recensioni
"Sapeva chese ne sarebbe dovuta andare. Per il bene suo e anche di lui. Ma non ci riusciva, qualcosa, qualcosa che non aveva mai provato prima si era insediato nel suo petto e non voleva uscire. Ma lei voleva farlo uscire? Era così caldo, rassicurante..."
Questa storia, cari lettori, parla del gruppo dei Guns completo e originale: Axl, Slash, Duff, Steven e Izzy. La protagonista, Erin, è completamente inventata e uscita dalla mia cara testolina, dunque non ci sono riferimenti alla vera ragazza del cantante. Ciò premesso, se volete ancora seguirmi in questo racconto spero non ve ne pentirete, perdonatemi le incongruenze di date etc. di concerti, creazioni di canzoni etc. e spero che noterete le citazioni. In quanto alla storia... è romantica, parla di un amore disilluso, crudo, spero reale.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci di nuovo, a voi la lettura e i commenti...

Anything goes...



Improvvisamente, raggiunsero uno spiazzo di cemento, dove la ragazza si fermò di colpo. Davanti a lei, c’era il magazzino dove abitava il cantante con la sua band. Axl sorrise. Erin si voltò lentamente, lasciando ancora che il rosso la guardasse, che non si stufasse del suo continuo sfuggirgli. Quando fu esattamente davanti a lui, i suoi occhi gli dissero più di mille parole, e nello stesso istante il cantante l’afferrò per un fianco, e lei lasciò che il braccio le cingesse la vita. Con la stessa foga, la trascinò nel magazzino, dove gli altri membri del gruppo erano già tornati.
“Ehi Axl, dove diavolo eri andato? Non ti abbiamo… oh cazzo!”
L’interruzione che Slash aveva fatto appena l’aveva vista fece sorridere ancora Erin.
“Scusate, ragazzi…”
Axl biascicò la frase, disinteressato a qualunque novità.
La trascinò via dallo stanzone dove gli altri ragazzi si ‘riposavano’ insieme ad alcune ragazze. Ah! Sarebbero andate a casa sua, allora!   Si benedisse mentalmente di aver lasciato il pacchetto di sigarette sul tavolo insieme alla chiave.

Axl intanto l’aveva portata nella sua stanza, una camera quadrata, con i muri scarlatti e la moquette bordeaux. E ad un tratto il mondo si fermò.
La musica era fuori dalla porta appena superata, i due ragazzi dentro. Ora erano solo ragazzi, ed Erin lo sapeva. Axl credeva ancora di essere un cantante. Erin sapeva che non era così. In quel momento erano solo due ragazzi. Due ragazzi strani, che non si erano incontrati per amore, ancora. Sul volto di Erin un’espressione di amara rassegnazione prese il sopravvento, mischiandosi tristemente con il sorriso malizioso che non aveva ancora abbandonato.
Lo sguardo del ragazzo la setacciava, denudandola. Lo sguardo di lei assaporava la camera, trovandola non così tanto diversa dalla sua. Le siringhe e la droga erano nascoste male, anzi, forse non voleva nemmeno nasconderle. Perché nascondere una parte così importante della sua vita? Il letto era ovviamente matrimoniale, e sfatto. Ovviamente.

Si girò piano e guardò di nuovo il rosso negli occhi, accorgendosi con sorpresa che non le stavano guardando il corpo, ma che erano incatenati ai propri, senza nessun accenno a scendere. Si avvicinarono l’uno all’altra insieme, contemporaneamente, incontrandosi a metà strada.
Axl la prese, ancora, ma con più dolcezza. Insieme si attaccarono l’uno alle labbra dell’altra, prendendo a baciarsi con passione crescente.
Presto si diressero verso il letto, ed Erin lo guardò mentre si concedeva ancora pochi istanti per assaporarla, prima che contribuisse a inquinarle il corpo.
Nei suoi occhi lei vedeva solo fame, fame di quel corpo, fame della sua carne, e con tristezza si disse Non è diverso.




La mattina dopo Erin guardava fuori dalla finestra. Era l’11 novembre, pioveva.
Ripensò allo stesso giorno piovoso di dieci anni prima, e con questo, inevitabilmente, alla morte di sua madre, uccisa dalla violenza del marito. Erin aveva dieci anni. Cinque anni più tardi sarebbe scappata di casa con la sua migliore amica, lasciando lo stato per andare Los Angeles.
Né lei né la sua amica sapevano cosa avrebbero fatto, a L.A., ma tanto valeva provare: qualcosa avrebbero trovato, nella città degli angeli. Avevano preso in affitto un appartamento, lo stesso in cui sarebbe tornata tra poche ore, se l’avesse voluto.

 Lui dormiva. Disteso, nudo, sul letto della sua camera. Erin non l’aveva ancora lasciata, forse per paura dei commenti degli altri ragazzi. Si domandò perché non fosse ancora fuggita. Di solito lo faceva. Lui si addormentava, e lei scappava via, tornando poi per soddisfare le voglie di quella che sarebbe diventata una dipendenza. Lei. Lei era la dipendenza. Di questo, però, non se ne vantava. Perché creare dipendenze di quel genere non è esattamente cosa di cui andare fieri.  La pioggia creava sottili sentieri d’acqua sulla finestra, e si divertì a seguire con lo sguardo i contorni dei rivoletti, assaporando la calma che ancora regnava sovrana di quel magazzino. Niente urla, niente passi, niente rumori di piatti che si schiantano a terra o altro. Silenzio. Così restava seduta vicino alla finestra, accoccolata accanto alla finestra, a guardare fuori.


Il tempo passava, ma lei restava immobile, quasi impaurita che potesse rovinare il silenzio e l’insolita, quasi sacra tranquillità. La fronte calda era appoggiata sul vetro freddo, e gli occhi erano chiusi, a guardare ricordi troppo lontani per essere positivi. Sembrava quasi addormentata, così ferma. Ed era bella, molto bella. A parte il corpo, il viso dolce era un capolavoro. Gli ondulati capelli neri le incorniciavano l’ovale del volto, su cui spiccavano gli occhi verde chiaro, ora chiusi, che nascondevano un velo di amarezze e bugie.
Il naso, piccolo e dritto, annusava l’odore acre del fumo mescolato con droga e sesso da tutta una vita, e la bocca a cuore era rossa come le sue gote, quando aveva fatto sesso per soldi la prima volta. Quelle stesse labbra, che nella loro pienezza apparivano incredibilmente sensuali, avevano assaggiato mille altre labbra, fameliche e disgustose. Le sopracciglia nere e sottili della ragazza erano aggrottate, nel rievocare pensieri abbandonati ormai da tanto tempo.

Sospirò, stanca, e si rimise a guardare fuori, pensando a quanto le mancavano le cose che non aveva mai avuto.
  
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