La forza dietro a quell’unica, crudele parola ferì Goku sia
psicologicamente che fisicamente. Psicologicamente perché il saiyan
era stato respinto un’altra volta. Fisicamente perché, dopo la
brutale risposta che gli aveva dato, Vegeta aveva avuto la grandiosa
idea di colpirlo con un cazzotto dritto sul naso, raccogliendo nelle
nocche tutta la forza che possedeva.
Sotto agli occhi sgranati di Goku, tutto avvenne a rallentatore. Il
dolore martellante che gli attanagliò il naso lo assalì pian piano,
come un battito lento. Nel susseguirsi delle azioni, riuscì persino
a vedere distintamente il volto di Vegeta mutare e contrarsi,
passando dall’impassibilità raggelante alla rabbia più funesta. E
poi ancora dolore, dolore e dolore. Al di sotto della vista
appannata scorse alcune chiazze di sangue – il
suo – schizzare verso
l’alto, verso il soffitto dal quale pareva d'allontanarsi sempre di
più, crollando a terra. Sbatté più volte le palpebre, stordito,
chiedendosi se fosse quella la sensazione che si prova quando il
proprio cuore viene ridotto in frantumi proprio dalla persona di cui
si è innamorati.
La cosa peggiore fu il fatto che Vegeta lo colpì con la propria mano
destra, quella sul cui anulare vi era ancora infilato l’anello che
gli aveva donato giusto solo pochi minuti prima. I piccoli diamanti
sull’aurea superficie stamparono non solo un solco sul suo setto
nasale, ma anche una terribile, traumatica memoria nella sua mente.
***
Goku non seppe esattamente come riuscì a tornare a casa. Era
probabile che la luce abbagliante accompagnata dal beduino “Big
Bang!” che ancora gli rimbombava nel cervello centrasse qualcosa,
comunque. Appollaiato ora al tavolo della cucina, ricurvo sulle
spalle e col mento poggiato contro la superficie di legno, il povero
saiyan giaceva inerte, totalmente privo di forze. Il volto
rattristato era avvolto da numerosi bendaggi, il maggiore dei quali
svettava ricoprendo l’intero setto nasale. Di tanto in tanto dalla
sua bocca usciva qualche sospiro sconsolato, mentre il suo povero
cuoricino ridotto in mille pezzi tentava disperatamente di ritornare
intatto, anche se con scarsi risultati. Non una singola lacrima
aveva solcato il suo viso, ma il namecciano e il piccolo saiyan
mezzosangue che sostavano impettiti dinanzi all’entrata della cucina
avevano comunque ben inteso che ci fosse qualche problemino in
corso.
“Papà”, pigolò Gohan, “Va tutto bene?”.
La risposta giunse sottoforma di tirata di naso, seguita da tremule
parole: “... sì. Ho solo avuto una brutta giornata, ieri”.
Il bambino si voltò verso il proprio mentore, titubante. Piccolo si
limitò a scrollare le spalle, non avendo nemmeno lui la benché
minima idea di cosa il saiyan avesse. Decise di chiedere il motivo
di quegli oscuri bendaggi sul viso, sperando ardentemente che non
avessero nulla a che fare con la suddetta giornataccia. “Allora...
Son”, tossicchiò, fingendo noncuranza, “Come ti sei fatto... ehm,
quelle ferite?”.
BAM!
Istantaneamente la faccia di Goku fece un violento frontale con la
superficie del tavolo, provocando un tonfo sordo. Piccolo e Gohan
rimasero scioccati nel vedere come il massiccio corpo del saiyan
iniziò a tremare in maniera a dir poco convulsa, crogiolandosi in
una lenta e dolorosa agonia. “Sono caduto...”, un’altra rumorosa
tirata di naso, “... da una montagna”.
Non era poi totalmente una bugia, visto che il giorno prima giù da
una montagna ci era caduto davvero. Aveva solo innocentemente omesso
un paio di particolari circa i fatti della notte precedente senza
l’effettivo consenso dei suoi interlocutori.
Piccolo esitò qualche istante, per poi deglutire e deviare lo
sguardo. “Oh. Uhm. Mi spiace”.
Gohan corrugò la fronte, affranto per quell’improvvisa tristezza del
padre. Gli si avvicinò, fermandosi al suo fianco. Gli portò
dolcemente una mano attorno alle spalle, stringendolo forte. Al
contatto, Goku ricacciò subito indietro le lacrime, trattenendo il
respiro. “Non ho idea di cosa sia successo ieri, papà, ma voglio che
tu sappia che per te io ci sarà sempre. È questo ciò che i figli
fanno! Stare vicino ai loro genitori nei momenti di difficoltà, a
prescindere da quale sia il problema!”.
Il prode eroe sollevò lo sguardo liquido su Gohan, gli occhi umidi
di lacrime non ancora versate. “D-davvero, Gohan-chan?”.
Il piccolo annuì dolcemente, col cipiglio saggio ed affettuoso di un
genitore. Istantaneamente Goku si voltò verso di lui e avvolse le
forti braccia attorno al suo corpicino, iniziando a piangere
istericamente: “Sei il figlio migliore del mondo! Sono così felice
di essere il tuo papà! Non so davvero cosa farei senza di te! Non
lasciami mai mai e poi mai!”.
Gohan gli diede qualche amorevole pacca sulla schiena, sorridendo, “Shh...
è tutto ok, papà. Non andrò da nessuna parte. Starò sempre al tuo
fianco”.
Mentre padre e figlio si perdevano nel loro discutibile momento,
Piccolo si limitò a fissarli con un’occhiata perplessa, sollevando
un sopracciglio. “Questa conversazione non dovrebbe svolgersi a
ruoli invertiti?”, si chiese, dubbioso.
Improvvisamente si udì un familiare suono stridulo di ruote. Il
namecciano non si curò minimamente di non interrompere l’amorevole
scenetta familiare. “Son, è arrivata la posta”.
Goku liberò Gohan dal suo stritolante abbraccio e velocemente si
asciugò le lacrime, balzando in piedi e stiracchiandosi per
scaricare la tensione. Si grattò distrattamente la nuca e fece per
dirigersi verso l’entrata.
“Vado io, papà”, si offrì Gohan, gentilmente.
Lui scosse il capo e sorrise, “È solo la posta. Nessun problema”. E
ciò dicendo, velocemente, uscì di casa.
Una volta che si fu congedato all’esterno, Piccolo prese da parte
Gohan e gli scoccò un’occhiata furtiva. “Ascoltami bene”, esordì,
austero, “Quando tuo padre è andato a meditare... beh, è andato a
meditare qualcosa circa la tua nuova... mammina”.
Il ragazzo annuì, curioso. Lui continuò: “Limitati a dargli un po’
di spazio e continua a stargli vicino. Ricordagli che sarai sempre
con lui, che gli vuoi bene e tutte quelle cretinate là che a voi
terrestri piace tanto sentire quando siete depressi”.
“Va bene, Piccolo-san! Farò del mio meglio per tirare papà su di
morale!”, esclamò Gohan, stringendo i pugni con sguardo determinato.
Fuori, nel frattempo, Goku aveva appena aperto la cassetta della
posta e raccolto i vari giornali e le altrettanto varie lettere.
Incamminandosi nuovamente verso casa, iniziò a scartabellarle
curiosamente. “Vediamo un po’”, disse, adocchiando ogni etichetta,
“Piccolo, Piccolo, pubblicità, Piccolo, Piccolo, Piccolo, Gohan,
Piccolo, pubblicità, Piccolo—”.
Nel momento in cui raggiunse l’ultima busta, si bloccò. Rilesse più
e più volte ciò che vi era scritto sopra, ed improvvisamente un
sorriso radioso comparve sul suo volto, accompagnato dal sorgere di
un’idea assolutamente geniale nella
testa. Aveva appena trovato soluzione al suo arduo problema con
Vegeta, e come avesse fatto a non pensarci prima era un mistero
amletico. Finalmente sarebbe riuscito a convincere quel principe
testardo come un mulo ad ammettere i suoi sentimenti.
Fece cadere incurantemente tutte le altre lettere e febbrilmente
aprì la busta interessata, facendo planare l’involucro insieme a
tutte le altre carte e afferrando allegramente il contenuto al suo
interno, stringendolo tra le mani come se fosse la cosa più preziosa
al mondo. Dopodiché, dopo aver raccolto rapidamente la varia
corrispondenza, si precipitò in casa a tutta velocità. Spalancò la
porta con un tonfo secco, venendo accolto da due alquanto stralunati
Piccolo e Gohan, basiti per il suo repentino sbalzo d’umore. Senza
curasi minimamente dello sconcerto interiore dei due, Goku scattò
verso il namecciano e gli scaricò tutte le lettere addosso: “Tieni,
Piccolo! Queste sono tue!”.
L’alieno le accettò con una piuttosto eloquente smorfia schifata.
“Sì, Son. Grazie per avermi dato le tue bollette... un’altra volta”.
Senza ribattere al commento del compagno Goku schizzò al piano di
sopra, schizzando entusiasmo da tutti i pori. Gohan e Piccolo si
scambiarono un’occhiata interdetta, per poi tornare a fissare le
scale, lì dove il saiyan si era totalmente volatilizzato. Una
manciata di minuti più tardi, velocemente così come era scomparso,
Goku tornò al piano terra, saltellando su un piede solo nel
disperato intento di infilarsi rapidamente una scarpa da ginnastica.
Mentore e allievo si ritrovarono sinceramente perplessi nel
ritrovarselo davanti con addosso degli abiti normalissimi, una
t-shirt (arancione) e un paio di pantaloni alla caviglia.
Incurante delle due paia d’occhi sconcertate addosso, Goku s’infilò
la soluzione di tutti i suoi problemi in una tasca e si posizionò
davanti allo specchio all’ingresso, tanto per accertarsi di essere
anche solo vagamente presentabile. Si passò una mano tra i capelli,
sperando fosse sufficiente per domare i corvini ciuffi ribelli che
schizzavano un po’ da tutte le parti, diede una rapida rassettata
agli abiti ed infine prese un lungo, profondo respiro. Si portò due
dita alla fronte e si voltò verso i suoi basiti spettatori, “Ci
vediamo dopo, ragazzi!”.
“A-aspetta!”, lo chiamò Gohan prima che svanisse nel nulla, “Dove
stai andando?”.
Goku si grattò imbarazzato la nuca, conscio del fatto che non era il
momento di spiegare la sua situazione con Vegeta al figlio. “Devo...
ehm, sistemare un paio di cosette”.
Piccolo inarcò un sopracciglio. “Che tipo di cosette?”.
Scrollò le spalle, ridacchiando nervosamente. “Oh niente di che,
cosette così... vabbé, ciao ciao!”. E ciò dicendo svanì nel nulla,
congedandosi con un rapido cenno di saluto con la mano.
Piccolo e Gohan rimasero attoniti per qualche istante, mantenendo lo
sguardo ferreamente accollato nel punto in cui la sua massiccia
figura era appena scomparsa. Poi tornarono a guardarsi nuovamente,
sospirando all’unisono. “Ha in mente qualcosa”.
***
La Gravity Room era pregna di una rossa luce pulsante. Ogni impulso
luminoso pareva avvenire in contemporanea con la caduta delle
piccole goccioline di sudore che colavano copiose dal volto di
Vegeta, schiantandosi a terra in un languido picchiettio. Il saiyan
fece una smorfia e con prestanza scagliò un altro vigoroso pugno
all’invisibile nemico dinanzi a lui.
Ciò che era accaduto la notte scorsa, per quanto gli riguardava, era
stato immensamente risollevante. Vedere il sangue di Kakaroth
schizzare verso l’alto e scaraventare l’idiota fuori dalla propria
stanza con un Big Bang Attack era stata una vera e propria goduria.
Anche se, a dirla tutta, non aveva messo in conto il fatto di
colpirlo davvero in quel momento. Sapeva perché l’aveva fatto,
comunque. Quella proposta indecente lo aveva sconvolto, mandato
totalmente fuori di testa. Il suo cuore aveva iniziato a battere in
maniera a dir poco furiosa, minacciando di schizzare via dal petto
da un momento all’altro; degli odiosi “thump, thump” avevano preso a
rimbombargli fin dentro la scatola cranica, sconquassandolo con
ferocia, con tanta veemenza da fargli a malapena udire ciò che il
rivale continuava a blaterare. In quell’infausto momento Vegeta si
era spezzato in due: ogni singola cellula del suo corpo lo incitava
ad accettare la proposta di Goku, ma l’orgoglio, annidato da qualche
parte all’interno del suo animo, continuava a ruggire ferocemente,
impedendogli di acconsentire. Il fatto che Kakaroth potesse intuire
con disarmante facilità i suoi sentimenti aveva fatto montare in lui
un improvviso, paranoico terrore, e tutto ciò che Vegeta era
riuscito a fare, stravolto da quella consapevolezza, era stato
attaccare.
Aveva attaccato, sperando di riuscire a placare il proprio cuore.
Sperando di riuscire a tornare alla normalità passata, a riesumare
dal suo petto gli strenui impulsi d’odio e rancore covati nei
confronti dell’idiota al principio, eliminando una volta per tutte
quegli ignobili, nuovi sentimenti che minacciavano costantemente
d’esplodere. Sperando che Kakaroth, una volta per tutte, lo
lasciasse in pace.
Rizzò la schiena, ringhiando. “Basta con queste cazzate”, imperò a
se stesso, “Il discorso è chiuso. Sono sicuro che Kakaroth abbia
recepito il messaggio”. Si avvicinò al computer centrale della
Gravity Room, intenzionato ad aumentare la pressione interna. Digitò
il valore scelto e fece planare la mano sull’interruttore d’avvio,
quando...
BOOOM!
Istantaneamente si voltò in direzione dell’esplosione, colto di
sorpresa. Constatò con estrema contrarietà che la porta d’ingresso
era appena saltata in aria, ma prima che potesse reagire in
qualsiasi modo una figura offuscata comparve lentamente tra la
fumera generata dalla deflagrazione, vacillando instabilmente. La
suddetta figura – che nient’altri era che Goku, ovviamente –
barcamenò sui piedi per qualche istante, prima di finire lunga
distesa per terra. Dopo una manciata di secondi, come se niente
fosse, il saiyan scattò in piedi e si diede una rapida rassettata.
Sollevò lo sguardo e lo posò su Vegeta, la cui espressione al
momento era frammista al più estremo orrore e il più profondo
sconvolgimento.
Tutto fuorché scoraggiato dal discutibile esordio, Goku tirò fuori
due carte dalla propria tasca e le sventolò in aria, sorridendo
giulivo. “C’è un nuovo parco divertimenti a North City e mi hanno
inviato due biglietti gratis per posta. Ti va di venirci con me?”.
“NO”.
Aveva immaginato una risposta simile, ma il broncio non tardò ad
arrivare comunque. “Perché no?”.
Vegeta strinse spasmodicamente i pugni, iniziando a tartagliare
furibondo: “P-p-perché no?! Perché ti detesto! Non voglio avere
nulla a che fare con te! Piantala di cercare di trasformarmi nel tuo
fidanzatino, o amante, o marito, o qualsiasi altro essere immondo tu
stia cercando di farmi diventare!”.
Goku piegò le labbra in un ghigno storto e incrociò compiaciuto le
braccia al petto. “Non credere di riuscire a nascondermelo, Vegeta.
Puoi negare quanto vuoi, ma io ti piaccio. Lo so perché hai ancora
addosso l’anello che ti ho dato la scorsa notte!”. E ciò dicendo
additò la guantata mano destra di Vegeta, sul cui anulare si poteva
effettivamente intravedere un piccolo rigonfiamento.
Vegeta storse il naso in una smorfia e lentamente si levò il guanto,
sollevando la mano e rivelando effettivamente il piccolo gioiello
che ancora aveva al dito. “Hai ragione, Kakaroth”, sospirò, “Sto
ancora indossando questo adorabile anello che mi hai dato. E vuoi
sapere perché?”.
Goku non credette al sorriso dolce come il miele dinanzi al quale si
ritrovò per nemmeno un secondo, prontissimo a difendersi da
qualsiasi attacco a tradimento. Ed effettivamente fece bene, perché
il suddetto sorriso dolce come il miele si tramutò in un secondo
nella consueta espressione feroce: “PERCHÉ QUESTO DANNATISSIMO
AFFARE È TROPPO STRETTO E NON RIESCO A LEVARLO DAL MIO DANNATISSIMO
DITO, PEZZO DI DANNATISSIMO IDIOTA!”.
Si strinse nelle spalle, imbarazzato, grattandosi la nuca. Non aveva
tenuto minimamente conto delle dimensioni, effettivamente.
“L’unica ragione per cui non ho ancora ridotto questa merda a pezzi
prendendola a morsi”, continuò il principe, fumando di rabbia, “è
perché voglio stampartela con un pugno esattamente sul cranio!”.
Questa volta il giovane saiyan incassò impotentemente le dure
parole, incapace di reagire. Gemette sconsolato, consapevole sin dal
principio che quella piccola, innocente richiesta di andare al pardo
divertimenti si sarebbe rivelata l’ennesima estenuante battaglia.
“Mi spiace, non avevo idea che fosse troppo stretto per il tuo
dito”, pigolò mortificato, per poi scoccargli un’occhiata
speranzosa. “Te lo farò riparare se accetti di uscire con me!”.
“NO!”, fu la tuonante risposta di Vegeta, il quale a passo di marcia
fece per dirigersi verso la demolita uscita della Gravity Room. “E
adesso sparisci dalla mia vista!”. Nel momento in cui superò Goku,
un rumore molesto giunse alle sue orecchie, facendolo raggelare.
Clink, clink.
Conosceva quel suono. Purtroppo. Masticò qualche imprecazione a
bassa voce, per poi portare lentamente lo sguardo al polso. Come
aveva immaginato, era ammanettato all’idiota di terza classe. Di
nuovo. Scoccò uno sguardo al suo rivale, il quale si limitò a
ghignare trionfante in risposta.
“Non me ne frega niente di quanto possa essere disonorante per un
vero guerriero”, sibilò il principe, assottigliando lo sguardo,
“Giuro che ti ammazzerò mentre dormi”.
Goku sollevò la mano ammanettata e fece un mezzo giretto su se
stesso, senza ovviamente che il proprio ghigno storto scemasse dal
volto, “Beh, io vado a dormire solo quando sono molto stanco,
Vegeta. E sai com’è, un’intera giornata fuori, magari in un parco
divertimenti, potrebbe stancarmi molto in fretta”.
Fece giusto in tempo a concludere la frase prima che un sinistro crack! esplodesse
dalla bocca del principe, facendolo sobbalzare. Goku non poté fare a
meno di sgranare gli occhi quando scorse un rivolo di sangue colare
lentamente dalla bocca dell’altro saiyan, sottile come una piccola
biscia. Vegeta, ancora una volta, aveva stretto la mascella così
forte da spaccarsi un dente.
“Ehm... Vegeta...”, balbettò Goku, spaventato, “Stai perdendo san—”.
Una truce occhiataccia gli smorzò brutalmente le parole in gola, ma
il sangue continuò ad allarmarlo. Solo dopo qualche minuto di
raggelante silenzio Vegeta decise di sputare il grumo di plasma che
gli si era ammassato in bocca con una smorfia disgustata, sollevando
poi l’indice della mano libera, interponendolo tra i loro volti. “Un
appuntamento. Uno solo. Non azzardarti a chiedermi nulla del genere
mai più. Mi hai capito bene?”.
Goku annuì spasmodicamente, il volto radioso ornato da un sorriso
genuino e da due occhi brillanti. Sbloccò le manette e afferrò
Vegeta per un polso: “Al parco divertimenti!”, trillò emozionato,
portandosi due dita alla fronte.
“Ahem”, tossicchiò il principe, interrompendolo.
Goku gli scoccò un’occhiata interrogativa. “Che c’è?”.
“Posso avere l’onore di andarmi a fare una doccia prima di andare in
quel dannato posto? O hai intenzione di ammanettarmi di nuovo?!”.
Imbarazzato, il giovane saiyan lasciò la presa. “Oh, scusami. Mi ero
scordato che ti stavi allentando”.
Vegeta si limitò a prodigargli l’ennesima occhiataccia irritata,
prima di superarlo ed uscire dalla Gravity Room a passo spedito.
Goku gli trottò dietro, felice come una pasqua per essere riuscito a
convincerlo, seppur con qualche piccola difficoltà. Quando
raggiunsero la facciata principale della Capsule Corporation,
anziché entrare dalla porta d’ingresso Vegeta scattò verso il cielo,
fino a fermarsi dinanzi ad una finestra aperta e a balzarci
agilmente all’interno. Dopo averlo seguito attentamente con gli
occhi, Goku fece altrettanto.
Atterrò sofficemente sul pavimento piastrellato della stanza del
burbero principe e, nello stesso istante in cui toccò terra, la
porta del bagno si chiuse con un botto. Era un implicito invito a non
osare disturbarlo,
insomma. Obbedientemente Goku si sedette a terra, di fianco alla
porta, ed attese. Nel momento in cui udì lo scrosciare dell’acqua
della doccia non poté far altro che sorridere, felicitandosi per la
sua fortuna. Forse non era riuscito a far ammettere a Vegeta i suoi
sentimenti la sera prima, ma quel giorno, ne era certo, ce l’avrebbe
fatta.
Dopo un quarto d’ora abbondante il principe uscì dal bagno,
strofinandosi energicamente i capelli con un asciugamano marrone
chiaro. Con addosso dei pantaloni al ginocchio con un rigido motivo
militare, una banale t-shirt nera decisamente troppo grande per lui,
i fidi guanti bianchi e gli stivali dalla punta dorata, voltò la
testa verso Kakaroth e lo fulminò con una truculenta occhiata
omicida, infastidito dal fatto che l’idiota lo stesse fissando come
l’idiota che effettivamente era.
“Che vuoi?”, ringhiò, levandosi l’asciugamano dalla testa.
Goku si limitò a sorridere dolcemente, mettendosi in piedi. “Non hai
finito di asciugarti i capelli. Ti prenderai un altro febbrone se
esci tutto bagnato”. E detto questo afferrò la stoffa di spugna ed
iniziò a strofinarla vigorosamente tra gli aguzzi ciuffi di Vegeta,
le cui gote vennero istantaneamente invase da un acceso colorito
rosso.
“Smettila di toccarmi!”, berciò il principe, strappandogli
l’asciugamano dalle mani, “Mi basta il dannatissimo succhiotto che
mi hai lasciato l’altro giorno!”, abbaiò, indicando il grosso
cerottone che svettava sul collo. “È già abbastanza squallido dover
andare a questo diavolo di appuntamento, o qualsiasi altra stupida
roba sia, con te!”, incrociò irritato le braccia al petto, “Ora
vediamo di darci una mossa!”.
Goku annuì seraficamente e si portò due dita alla fronte, senza
smettere di sorridere. Prima che potessero trasportarsi, però, un
nuovo ghigno gli increspò le labbra. “Aspetta! Ho un’idea
migliore!”. Trotterellò fino alla finestra, sporgendosi verso
l’esterno. “NIMBUS!”, trillò.
Sperando ardentemente che Kakaroth oltre che cretino non fosse
divenuto pure psicolabile, Vegeta osservò con una certa sorpresa
l’arrivo celere ed inaspettato di una soffice nuvola gialla. Goku
scavalcò il balcone e si tuffò su di essa, esaltato come un bambino.
Si accomodò a gambe incrociate e gli fece cenno di fare altrettanto.
“Vieni! Possiamo viaggiare su Nimbus anziché andare lì col
teletrasporto”.
“No”. fu l’immediata, secca risposta. Sospirando pesantemente,
Vegeta si massaggiò le tempie. “Ascoltami bene, mentecatto. Prima
arriviamo lì, prima finiamo. Quindi vedi di tornare immediatamente
qui e portarti quelle due dannatissime dita sulla fronte”.
Goku lo guardò con uno sguardo puerilmente supplichevole. “Per
favoooore?”.
“No”. Pareva irremovibile.
“Andiamo! Sarà divertente!”, continuò il giovane saiyan,
allegramente, “Scommetto che non hai mai viaggiato su una nuvola
come Nimbus, prima d’oggi!”.
“Kakaroth, non ho mai viaggiato su una nuvola a prescindere”.
“Beh, è tempo di provare nuove esperienze!”, Goku si mosse di lato,
facendogli spazio accanto a lui, “Dai, salta su!”.
Vegeta ringhiò, dolorosamente consapevole che non c’era proprio
alcun modo per fargli cambiare idea. Più rimanevano lì a litigare
più avrebbero perso tempo, e quella giornata non avrebbe avuto mai
fine.
“E va bene!”, sbottò, sollevando le braccia di scatto in un moto di
disperazione. Balzò sul balcone e poi ancora verso l’ammasso giallo.
Si aspettò di atterrare sulla morbida superficie della nuvola, ma
invece, con un sincero sconcerto, ci passò attraverso. Prima che si
sfracellasse al suolo Goku lo afferrò prontamente per un braccio,
lanciando un gridolino.
Alla sua implicita, strabuzzata richiesta di spiegazioni, quello
rispose con una risatina imbarazzata. “Ehm. Scusa, Vegeta”,
tossicchiò, “Mi sono dimenticato che Nimbus può trasportare solo
persone dal cuore puro”.
Il ringhio animale che rombò in risposta lo incitò calorosamente a
muoversi a tirare su il principino dalla sua scomoda posizione
penzolante nel vuoto. Continuò a tirare, consapevole che la reazione
violenta dell’altro non sarebbe tardata ad arrivare. Nel momento in
cui il capo del principe oltrepassò il corpo gonfio e soffice della
nube, difatti, Goku notò con un certo terrore che spaziosa, spaziosissima regal
fronte era costellata di una pericolosa miriade di venuzze pulsanti.
Magari far ammettere a Vegeta i propri sentimenti si sarebbe
rivelato un tantino più complicato del previsto.
Deglutì pesantemente, trattenendo il fiato. “Allora, ehm... perché
non ti aggrappi alla mia maglia?”.
Il ringhio animale tornò, possibilmente ancora più feroce di prima.
Goku titubò qualche istante prima di far accomodare Vegeta sulla
nube, sempre mantenendo ben salda la presa su di lui. Nell’arco di
un battito di ciglia la mano del rabbioso saiyan si allungò ad
afferrargli il collo, stringendo la presa: “Penso piuttosto che mi
aggrapperò al tuo collo”.
Prima che Vegeta potesse seriamente strozzarlo, e prima che Goku
potesse abbandonarsi alle più ignominiose suppliche per chiedere
pietà, Nimbus partì a tutta velocità con i suoi due passeggeri a
bordo. Colto alla sprovvista dallo scatto improvviso, Vegeta corse
il rischio di finire per terra una seconda volta. Pregando un paio
di divinità che quell’affare giallo, molliccio e volante avesse un
freno, e dopo aver lasciato con un certo malincuore la presa dal
collo di Kakaroth, rapidamente si aggrappò alla maglia arancione, a
mo’ di koala. Goku sorrise, voltandosi a guardare dinanzi a sé per
nascondere la propria espressione raggiante, mentre si disperdevano
nell’azzurro del cielo.
***
Gli occhi di Piccolo tornarono a fronteggiare l’abbacinante miriade
di numeretti inchiostrati, brillando di tacita disperazione. Il
namecciano si schiaffò una mano in fronte, per quella che
probabilmente era la millesima volta da quando aveva avuto la
geniale idea di occuparsi delle bollette di casa Son – per qualche
motivo a lui fondamentalmente oscuro, tra l’altro. Senza dubbio
Gohan con la matematica se la cavava decisamente meglio di lui. Un
ringhio gutturale tuonò tra le pareti della sua gola, ferino come
quello di un animale. Non c’era da stupirsi che Chichi fosse morta,
pensò, probabilmente le era esploso il cervello a forza di stare in
quella casa.
Gohan gli si avvicinò, porgendogli una tazza di the caldo. La prese
e tracannò il liquido bollente senza dire una parola, tornando poi
ad immergersi nelle scartoffie.
Il bambino sorrise, e gli si sedette accanto. Piccolo-san era stato
davvero gentile a dar loro una mano con le bollette, soprattutto
perché suo padre, fondamentalmente, non era assolutamente in grado
di cavarsela da solo. Come il suo mentore avesse imparato tutta
quella burocrazia terrestre era davvero un mistero, comunque.
“Piccolo-san, va tutto bene?”, pigolò, premuroso.
L’altro lo fissò con un’occhiata funerea. “Odio questo pianeta”.
Gohan annuì, stringendo le labbra. Pareva che tutti gli alieni che
arrivavano sulla Terra finivano con l’odiarla incommensurabilmente.
Tranne Goku ovviamente, ma d’altronde suo padre non odiava nulla.
“Vuoi un altro po’ di the, Piccolo-san?”, chiese cortesemente.
“Voglio la morte di tutta la gentaglia che scrive queste robe!”,
tuonò il namecciano, additando rabbiosamente le carte.
Gohan ridacchiò, iniziando a muovere impacciatamente il piede.
Piccolo colse il nervoso movimento e gli scoccò un’occhiata
interrogativa. “Che c’è?”.
“Stavo pensando che faresti bene a prenderti una pausa, Piccolo-san”,
sorrise, “Magari possiamo provare a scoprire cosa sta combinando
papà!”.
Piccolo sbattè un paio di volte le palpebre, domandandosi da dove
fosse spuntato tutto quell’improvviso andazzo da stalker. Comunque
la prospettiva di andarsene in giro piuttosto che annegare in mezzo
a quelle scartoffie gli risultava alquanto allettante, dunque non
poté fare a meno di alzarsi dalla sedia con un ghigno. “Non ho
obiezioni”.
“Evviva!”, trillò Gohan entusiasta, puntando un braccio al cielo.
Prima che posse schizzare fuori casa, però, Piccolo gli posò una
mano sulla spalla per bloccarlo. “Non abbiamo la benché minima idea
di dove tuo padre sia andato a cacciarsi, però”, disse.
“Oh, so esattamente dov’è andato”, replicò lui, con sguardo
ammiccante. Infilò una mano nella tasca e ne tirò fuori un
volantino, che porse al suo mentore.
Piccolo iniziò a leggerlo lentamente, “La nuovissima attrazione di
North City... le più grandi montagne russe e le migliori attrazioni
di sempre... Il meraviglioso M.T.B. Big-O Amusement Park…?”. Sbatté
un paio di volte le palpebre, perplesso, domandandosi per quale
oscuro motivo Goku fosse andato in un luna-park, e perlopiù senza
suo figlio.
“C’erano due biglietti assieme al volantino, e papà li ha presi
entrambi”, continuò Gohan, infilandosi nuovamente il volantino in
tasca, “Devo assolutamente scoprire con chi è andato!”.
Piccolo sbuffò dal naso, sarcasticamente, “Sicuramente Vegeta, no?”,
disse ironicamente, e Gohan scoppiò in una fragorosa risata,
accompagnato da quella decisamente più velata del proprio mentore.
“Comunque sia, seriamente parlando”, riprese il namecciano,
asciugandosi una lacrimuccia che tremolava all’angolo dell’occhio,
“Per quanto mi riguarda possiamo escludere fin da subito il ‘grande
principe di tutti i saiyan’. Dubito che Goku sia stato così
masochista da portarselo dietro”.