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Autore: Ilarya Kiki    26/02/2012    1 recensioni
La vita di Amy Wong fa schifo.
Lavora sottopagata in un call-center in una cantina, vive sola in un monolocale nel peggior sobborgo della sua città, Leadenville, con un dirimpettaio invadente e le bollette con cui fare i conti.
Ogni notte va ad ubriacarsi e vaga, solitaria, per le strade notturne come un fantasma…
Finché non si imbatte in una strana ragazza dai capelli rossi.
Quell’incontro stravolgerà la miserabile esistenza di Amy, e la farà intrecciare con i fili rossi dei destini di innumerevoli creature in un misterioso disegno più grande, l’ordine del mondo e l’equilibrio tra bene e male,
fino a risalire al suo oscuro e terribile passato.
Genere: Azione, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'erede

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Tarja, tenendo stretta a sé sua sorella Sharon, fronteggiava con uno sguardo di fuoco sua madre, immobile alla porta dell’antica villa.
“TU!” ripeté Madelin, con una smorfia di orrore atroce che le sfigurava il volto.
La ragazza dai lunghi capelli fulvi non emise parola, ma i suoi occhi si fecero ancora più rabbiosi, accendendosi quasi di una selvaggia bestialità.
Amy, dalla sua posizione arretrata, avrebbe giurato di vedere le labbra della ragazza snudarsi in un basso ringhio ferino: non si sarebbe mai aspettata di vederla così, ed una strana sensazione le pervadeva le membra, immobilizzandole, e le artigliava il cervello in una morsa di ghiaccio impedendole qualsiasi pensiero tranne questo: la fuga.
Da quel giorno Amy capì che cosa fosse davvero la paura.

Mostro! Non avrai mia figlia! Non te lo permetterò! DEMONIO!
Le strida di Madelin riempirono l’aria: erano urla di disperazione e terrore, perforarono dissonanti i timpani di Amy e lei atterrì ancora di più; la donna era scossa da un tremito potente, urlava annegando in un pianto di frustrante impotenza e allungava le unghie verso la sua bambina alla luce del sole, incapace di oltrepassare il varco della sua casa.
Non me la porterai via! Non me la porterai via!

Sharon, udendo sua madre strillare in quel modo, si spaventò.
Il sole la accecava, ma percepiva accanto a sé la rassicurante stretta di Jaja, e capì che accanto a lei non avrebbe più avuto nulla da temere.
Sarebbe stato bello.
La mamma avrebbe sofferto, ma il suo desiderio di vivere era troppo forte per potersene rammaricare.
Un sorriso tenue le scaldò il viso, ed alzò una mano in cenno di saluto alla sua mamma.

Madelin, notando l’addio della sua bambina, si sentì morire.
Tarja l’aveva corrotta, quel demonio l’aveva presa e l’aveva corrotta.
Con l’impeto di coraggio di una madre spaventata per la sua prole, la signora Madelin infilò la mano ossuta all’interno della sua veste, e ne estrasse una grande croce di legno di betulla, che portava appesa al collo sotto il pudico tessuto nero.
La elevò davanti a sé e con lente falcate uscì alla luce, imponente e solenne come un sacerdote.
La stava imponendo contro Tarja.
Vade retro Satan!

Il basso ringhio di Tarja si modulò in terribili parole.
Madre, sciocca!
Avanzò anch’essa, lasciando la mano della sorella, ed incedette verso sua madre, la quale traballò ed impallidì come morta, ma proseguì imperterrita il suo rito.
Vade retro Satan!
Tarja sollevò la sua mano, artiglio predatore di un rapace carnivoro, ed agguantò la croce.
Le unghie sprofondarono nel legno.
Maledetta!” gridò straziata la madre.
Per un momento, parve che il mondo si offuscasse all’improvviso, e che fiamme infernali avvolgessero il corpo di Tarja incoronandole il capo scarlatto di un’aureola di potere.
La croce si frantumò, disgregandosi in polvere.

Madelin urlò di nuovo, e si accasciò tra l’erba crollando in se stessa, in un pianto disperato.

Amy si rese conto di aver appena assistito ad un evento incredibile, anche se esattamente non riusciva a capire che cosa fosse accaduto.
Quando la signora aveva liberato il vano della porta, si era ricordata di possedere un paio di gambe per camminare e si sbrigò a strattonare Davey per uscire da quella casa, ma la cosa non fu semplice come si aspettava: era paralizzata.
Non si era mai sentita così.
Quando finalmente raggiunsero l’amica fuori, la signora era inginocchiata per terra e piangeva, e vedendoli arrivare li maledì con strane parole in latino, per poi rialzarsi e scappare in casa come un animale ferito, sbattendo la grande porta.
Amy ebbe la strana sensazione che non sarebbe uscita mai più.
“Emh…cosa è successo?”
Tarja si volse verso l’amica, sorridendo solare, come se non fosse accaduto nulla.
“Beh? Cos’è quella faccia pallida? Non ti senti bene forse?”
“Diamine, cos’è successo!? Dov’è la croce che aveva in mano Madelin? Io…mi sembra di aver visto…l’hai sbriciolata?”
“Ma che dici?” rispose la rossa, piegando un sopracciglio: “L’ha semplicemente riposta. Deve averti ingannato la distanza…”
Davey deglutì.
“A proposito…vi presento Cherì, la mia sorellina!”
Amy solo allora si ricordò della sorella di Tarja, anche perché questa durante tutta la conversazione si era nascosta dietro le spalle della sorella, come per paura di essere vista.
Erano identiche, realizzò la blu, due gemelle omozigote, ma anche profondamente diverse.
Innanzitutto, i capelli di Cherì erano corti, cortissimi: un caschetto con frangetta che lasciava intravedere la dolce curva della nuca, con la pretesa di essere severo, ma tuttavia tutto scompigliato a causa delle lievi onde della chioma, identiche a quelle di Tarja.
Inoltre era più magra, quasi denutrita, e teneva le spalle cadenti in avanti come un topo di biblioteca dando l’impressione di essere più bassa di quel che realmente era: la veste nera le fasciava i fianchi ossuti, ed il colletto di pizzo faceva intuire un collo lungo e sottile come quello di un cigno.
E poi, gli occhi. Neri come la notte come quelli di Tarja, ma circondati da ombre azzurrine di buio e tristezza, segnati profondamente da una vita passata al lume di candela: sembravano molto più grandi di quelli della sorella, e più profondi, come due opachi pozzi neri.
Tremava come una foglia, Cherì, da dietro la spalla di Tarja, e quando Amy le porse la sua mano, sussultò. “Ouh, ma come sei tenera!” pigolò la voce di Davey, che spostò di peso Tarja ed afferrò la mano di Cherì, presentandosi.
“Ciao Cherì! Io sono Davey Hawk! Molto piacere di conoscerti, tua sorella ci ha parlato molto di te.”
“I-i-i-io m-mi chiamo Sharon…”
“Wow, hai un nome da vamp. Cherì allora dev’essere un diminutivo, no? Lei invece, questa ubriacona coi capelli blu che ti fa così tanta paura, si chiama Amy Wong!”
“Ehi! Mi stai descrivendo come un mostro, scemo!”
Tarja scoppiò a ridere:
“Sono tutti e due bravissime persone, sono loro che ci hanno aiutato.”
Alle parole della sorella, il volto di Cherì sembrò illuminarsi, e per un attimo le due furono assolutamente indistinguibili.
“Andiamo a casa, ora.”
“Ehi, si starà sicuramente parlando della mia casa, vero…?” sospirò Amy, pensando allo scarso spazio vitale del suo monolocale mentre afferrava con due mani il manubrio del suo motorino, rimasto parcheggiato là per tutto il tempo.
Tarja e Davey scoppiarono a ridere, Cherì accennò un sorriso insicuro e Amy sbuffò, mentre uscivano tutti insieme dal cancello arrugginito.

Il rapace attraversò con il suo volo silenzioso l’alto salone, volteggiando come ombra assassina tra le colonne di marmo, per andare ad appollaiarsi con un fruscio di piume sulla spalla di Diodor, facendogli ondeggiare le lunghe ciocche bionde sparse sulla schiena.
“Quel pennuto insudicia il castello.” disse il Cerimoniere, storcendo la bocca sottile in una smorfia di disgusto. “Se lui se ne va, me ne vado anch’io. E comunque mi sembra molto più pulito e garbato di certe guardie che ho visto là fuori, vero, Kokoschka?”
Il grosso barbagianni garrì con soddisfazione socchiudendo gli enormi occhi gialli, mentre Diodor gli solleticava le piume sotto il becco, accompagnando il gesto con uno sguardo affettuoso.
Il Cerimoniere emise un verso schifato, guardando oltre e risistemandosi gli occhiali tondi dalla montatura d’oro sul naso, dall’alto del trono di pietra che occupava con tutta la sua pesante veste violacea.
“Dicevamo. Voi Arcidemoni vi siete ridotti così in basso da chiamare un sicario come me per compiere i vostri lavoretti sporchi, e…”
“Silenzio! Ci avvaliamo dei tuoi servigi perché è andata a nascondersi in mezzo agli umani, quella faina, e naturalmente non è possibile alcun intervento da parte della nostra Stirpe.”
Una schiera di denti d’avorio brillò sul viso di Diodor.
“Non è vero, e tu lo sai, Cerimoniere. Da quando è morto Lucifer questo posto va a catafascio.”
“Come osi, umano! Non ti ho incenerito solo perché il tuo intervento è maledettamente prezioso.”
Il sorriso si allargò.
“Questo lo so bene.”
Diodor aveva il predominio della situazione, e ne era piacevolmente consapevole: avrebbe spremuto ogni più piccola goccia di soddisfazione da quella faccenda, gongolando sull’impotenza mostrata dall’Arcidemone: non era certo un privilegio comune quello di avere il destino di una delle due Stirpi stretto tra le proprie mani.
Era una cosa che lo esaltava.
“D'altronde, se non avessi avuto la certezza assoluta che non potevate fare a meno di me, non vi avrei nemmeno degnato della mia presenza, considerando il trattamento che di solito riservate agli umani.”
“La tua sfacciataggine è intollerabile!” il Cerimoniere scattò tra vampe di fiamme viola in piedi, sputacchiando dall’ira “Cosa ti fa pensare che la Stirpe dipenda da un verme mortale come te!?”
“Beh, non mi hai ancora incenerito, no?”
“Potrei farlo ora!”
“Non potrei più riportarti a casa la tua pecorella smarrita.”
Il Cerimoniere, succube suo malgrado, riprese posto sul trono, sibilando.
“Ma no, non preoccuparti, lo farò, questo lavoretto per voi. Mi pagate troppo bene per poter rifiutare, ed inoltre dicono che questa Lady Lucifer sia davvero molto bella.”

Tutti a Chrysantemum Hill conoscevano la storia di Lady Tarja Lucifer, ma in pochi erano riusciti a vederla poiché Ogre, sovrano della Stirpe Demoniaca e suo padre, ne era molto geloso.
La vicenda risaliva a diciotto anni prima, quando l’Arcidemone era rimasto ammaliato dalle grazie della giovane iniziata Madelin e tra lo scandalo generale dei sussurrii di corte aveva deciso di venire a nozze con quella semplice mortale.
Per cinque anni il signore dei Demoni si era allontanato da Chrysantemum Hill, lasciando l’incombenza del comando al suo sovrintendente il Cerimoniere e facendo perdere completamente le sue tracce, come se si fosse dissolto nel nulla.
Al suo ritorno, dopo tutti quegli anni, aveva portato con sé una bambina dalla tenerissima età annunciando che era sua figlia e che l’avrebbe resa sua degna erede, nonostante nelle sue vene non scorresse puro il sangue della Stirpe, trasmettendole la sua sapienza e sviluppando il suo potere latente.
Di Madelin non si seppe più nulla, ma corsero voci che si fosse votata al Nemico e che, impazzita, avesse deciso di isolarsi dal mondo.
Infine, qualche giorno prima, la morte di Ogre.
Il potente sovrano era infine mancato, certamente in modo valoroso, ma era mancato, e il lutto aveva paralizzato tutta la Stirpe per il grande compianto.
E Lady Tarja era fuggita.
Nel momento più atroce del bisogno l’unica erede di Ogre Lucifer era scomparsa, lasciando nel caos il popolo demoniaco.
Il Cerimoniere non poteva tenere il trono per sempre,
e Lady Lucifer doveva essere ritrovata.

Quando Diodor uscì dalle grandi porte di tasso fregiate da antichi decori in ferro, respirò a pieni polmoni il vento notturno e lasciò con piacere che le folate gli si infiltrassero nella chioma d’oro, facendola ondeggiare.
Kokoschka sfrecciò come un proiettile fuori dal portale sfiorandolo su una guancia con piume veloci, puntando in alto alla luna pallida nel cielo.
Kokoschka era i suoi occhi, il suo volo la sua libertà.
Abbassò la falda del cilindro di cuoio con un gesto deciso e cominciò a scendere la scalinata della reggia a passo di marcia, sotto lo sguardo bieco delle guardie.
Aveva una missione da compiere.

La luce mattutina filtrava tra le fessure della tapparella scassata, quando Amy si alzò dal letto soffocando la sveglia al primo squillo e si infilò ai piedi le pantofole per fare minor rumore possibile.
Doveva riuscire a prepararsi per il lavoro in assoluto silenzio, la domenica con il suo carico di emozioni e seccature era solo un ricordo, e sul suo divano dormivano le sorelle dai capelli rossi.
Profondamente addormentate, Tarja e Cherì se ne stavano accoccolate una sull’altra, con indosso le t-shirt di gruppi metal taglia extra large che Amy aveva prestato loro e tutte avvoltolate nella coperta dell’inverno, tirata fuori dall’armadio per l’occasione.
Amy sospirò: di solito la domenica si riposava e quelle due avevano infranto la sua routine di relax solitario, però si accorse che in fondo non le dispiaceva così tanto.
Tarja sapeva riempire il suo tempo in modo decisamente bizzarro, ma sicuramente mai noioso, e Cherì la riempiva di curiosità.
Inoltre, a pensarci, erano già ben due notti che non beveva.
Lo sguardo le cadde sui viticci colorati sul suo muro, mimetizzò in uno sbadiglio il sorrisetto idiota che le era spuntato sulle guance, prese la borsa ed uscì.

Mentre scendeva le scale, un dubbio le assalì la mente: Tarja la sera prima le aveva spiegato che Madelin si era leggermente fissata con la religione “delle croci e degli esserini con le alucce piumate”-che gran rivelazione-, e che aveva provato a fermarle con una preghiera, ma che quando si era accorta che Cherì desiderava davvero andarsene da quella catapecchia allora si era arresa e le aveva lasciate andare.
Però, c’era qualcosa che non tornava.
La rossa aveva avvertito che sarebbero avvenute conseguenze gravissime nel caso che fossero stati scoperti, ma infine si era risolto tutto in modo piuttosto semplice, tanto che Amy si era perfino chiesta che bisogno ci fosse stato di architettare quel piano così complicato e losco.
Perché preoccuparsi così tanto, se poi Madelin avrebbe opposto così poca resistenza?
Forse Tarja aveva sopravvalutato sua madre, o forse no.
E poi, c’era quella sensazione: quel gelo terribile che scottava, sì, qualcosa di rovente e contemporaneamente ghiacciato, la cosa più spaventosa che si potesse immaginare.
Se l’era solo sognata? O, forse, era solo il suo cervello che cominciava a risentire di tutto l’alcool che si era scolata? O, forse…
Aveva uno stranissimo presentimento.
  
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