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Autore: Rota    27/02/2012    0 recensioni
Un ciuffo di capelli biondi le stava dando noia da almeno un quarto d'ora, arrivandole nel naso e sicuramente davanti alla mascherina con la quale si proteggeva gli occhi – questo spinse Barbara a lasciare per qualche secondo l'apparecchio che stava usando e a portare il seccatore giusto dietro l'orecchia, dove sperava fosse rimasto per tutto il tempo necessario.
Alla pausa per il pranzo mancava più di mezz'ora ma le quattro ore di lavoro le pesavano sia sulle dita che sulle spalle: non avrebbe mai creduto che cucire tutto quel tempo, appresso una macchina vecchio stampo, fosse tanto faticoso. Forse era anche a causa del fatto che doveva completare almeno venti cuscini ogni ora e mezza, sicuramente se avesse tenuto il ritmo gentile delle vecchiette che riparano strappi e buchi sugli abiti dei loro nipoti non sarebbe diventata così.
Per un attimo pensò a sua madre che rattoppava dei pantaloni di jeans e le venne da sorridere, davvero. Quella donna non poteva certo definirsi vecchia, non a quarantatré anni, nonna men che mai. Eppure, almeno una delle due cose ormai lo era.
Genere: Generale, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Autore: Rota
*Titolo: Sesto comandamento
*Fandom: Originale/Introspettivo
*Personaggi: //
*Prompt/Sfida COW-T: Preservativo/Quinta settimana
*Genere: Triste, Introspettivo
*Avvertimenti: One shot
*Rating: Giallo
*Parole: 1341
*Credits: Lyrics da “Il testamento di Tito”, Fabrizio De André
*Note autore: “Preservativo/Rating minore del rosso”, altra fanfic per il COW-T di questa settimana. Ci ho pensato diverso tempo, anche se in realtà non credo che sia nulla di che.
Non voglio mancare di rispetto a tutte quelle persone che purtroppo si sono ritrovate a vivere quanto io descrivo, sia mai. Era solo mia intenzione ricordare al mondo che alle volte capita ed è ingiusto volgere lo sguardo come se niente fosse successo. Tutto qui.



“Non commettere atti che non siano puri
Cioè non disperdere il seme
Feconda una donna ogni volta che l'ami
Così sarai uomo di fede”

Un ciuffo di capelli biondi le stava dando noia da almeno un quarto d'ora, arrivandole nel naso e sicuramente davanti alla mascherina con la quale si proteggeva gli occhi – questo spinse Barbara a lasciare per qualche secondo l'apparecchio che stava usando e a portare il seccatore giusto dietro l'orecchia, dove sperava fosse rimasto per tutto il tempo necessario.
Alla pausa per il pranzo mancava più di mezz'ora ma le quattro ore di lavoro le pesavano sia sulle dita che sulle spalle: non avrebbe mai creduto che cucire tutto quel tempo, appresso una macchina vecchio stampo, fosse tanto faticoso. Forse era anche a causa del fatto che doveva completare almeno venti cuscini ogni ora e mezza, sicuramente se avesse tenuto il ritmo gentile delle vecchiette che riparano strappi e buchi sugli abiti dei loro nipoti non sarebbe diventata così.
Per un attimo pensò a sua madre che rattoppava dei pantaloni di jeans e le venne da sorridere, davvero. Quella donna non poteva certo definirsi vecchia, non a quarantatré anni, nonna men che mai. Eppure, almeno una delle due cose ormai lo era.
Barbara sbuffò, un poco spazientita: il grosso filo di cuoio aveva di nuovo fatto un nodo e la macchina non andava più. Dovette spegnerla, alzarsi dalla sua piccola sediola e metterci le mani dentro per trovare l'inghippo. Sperò solo che non fosse troppo grosso o avrebbe perso tempo prezioso e sicuramente la cosa la infastidiva parecchio. Si accorse di far fatica a stendere le gambe e a raddrizzare la schiena – non era la prima volta ma certo ci rimaneva male comunque, neanche avesse passato tutta la sua vita presso quella fabbrica e nello specifico quell'arnese.
Si toccò la pancia, per sentire se almeno quella stava bene. Tutto a posto, Cristiano era ancora lì e non si muoveva di un centimetro. Il dottore le aveva detto che avrebbe sentito i suoi pugni e i suoi calci solo dopo il settimo mese, quando ormai completo l'unica cosa che doveva fare era crescere fino a diventare della grandezza giusta. Eppure non passava giorno in cui Barbara si desse almeno un paio di carezze al ventre, per constatare se il bimbo fosse ancora presente o se ne fosse andato via. Che la sua fosse disperazione o soltanto amore materno era ancora difficile dirlo, sia lei che per gli altri: aveva una faccia tanto inespressiva, quando lo faceva, che era difficile capire cosa le passasse per la testa.
Barbara trovò il nodo dopo aver estratto il filo quasi completamente. Attorno a lei il rumore delle macchine che andavano continuava, frastornando gli uditi più sensibili. C'erano anche voci di donne che comunicavano da una parte all'altra della grande sala, i capi reparto che ogni tanto davano qualche ordine, il fattorino simpatico che trasportava i cuscini dall'area di assemblaggio alla loro su dei grossi carri cingolati. Un odore di cuoio e di pelle ovunque, che copriva quello naturalmente umano. La giovane si era abituata a tutto quello con una certa fatica e solo dopo la seconda settimana, quando già la sua schiena aveva cominciato a piegarsi in avanti e le sue mani a presentare i primi duroni sulle falangi; Barbara si illudeva ancora che fosse una cosa passeggera, che una volta avuto Cristiano magari il tempo avrebbe alleviato quel dolore, facendola tornare bella come prima.
Perché prima di Cristiano Barbara era davvero bella: bionda, alta, con quel tanto di carne da risultare molto attraente, non volgare né nel portamento né con la bocca, un bel seno abbondante. Di certo anche con una bella testa sulle spalle, almeno per quanto potevano confermare i suoi ultimi successi scolastici, qualche mese addietro.
L'unica cosa che le mancava davvero era la fortuna.
Sciolse il nodo, finalmente, e poté riavvolgere il filo scuro attorno ai tubi entro la macchina, perché funzionasse di nuovo. Mise il coperchio sopra e si sedette sulla seggiola, di nuovo. Sospirò chiudendo gli occhi e tornò a lavorare. Seguendo l'orlo lungo, arrivò fino in cima e fece l'angolo – Claudia le aveva insegnato come si faceva, non era troppo complesso se si sapeva come muoversi. Nel giro di qualche minuto, anche quel cuscino era stato fatto. Allungò le braccia di lato e ne prese uno nuovo dal mucchio, assieme alla sua fodera bianca; iniziò subito, senza aspettare altro tempo.
Ogni volta che faceva un nuovo cuscino, lei contava nella mente: mi mancano solo duemilaseicentoventicinque cuscini e poi sono a posto. L'aiutava a tenere il conto, l'aiutava anche a non perdere mai una speranza di fondo alla quale si era aggrappata con tutte le sue forze nel momento del bisogno.
Suo padre non era stato per niente contento quando l'aveva saputo – lui aveva immaginato per lei altro futuro che non fare la vacca di qualcuno: così le aveva detto senza troppi giri di parole. Ma Barbara sapeva, ormai, quanto potesse essere dura la vita di un operaio che passava più tempo in fabbrica che in famiglia, quindi aveva già perdonato tutte le sue brutte parole. Peggio era stata sua madre, che aveva pianto dandosi la colpa di chissà quale cosa, cercando commiserazione e rassicurazione proprio da lei. Non le avrebbero più pagato gli studi, non le avrebbero permesso di andare in Università mentre ancora la sua pancia si andava gonfiando, e questo perché non erano tanto benestanti da poter mantenere anche il figlio di qualcun altro. La verità, come sospettava Barbara, era che il loro orgoglio ferito non poteva essere lenito con nessuna scusa e nessuna parola dolce.
E poi c'era stato Francesco – lui che era tanto caro, che diceva che si sarebbe preso cura del piccolo. Balle, tutte balle: la facoltà di Giurisprudenza che aveva sempre sognato quando era alle superiori si trovava in un'altra città e se non fosse stata per l'avventura di quella sfortunata notte forse non glielo avrebbe manco detto in faccia. Barbara non gliene faceva una colpa, ma non poteva non provare un poco d'invidia per lui nel proprio profondo e una rabbia che a stento tratteneva nelle parole.
Aveva finito altri due cuscini quando la sirena della mensa suonò, al di sopra di tutto il frastuono. Come d'incanto tutte le macchine cessarono la loro attività, ci volle qualche secondo di stiramenti vari e sospiri più o meno palesi perché le donne si alzassero dalle loro postazioni e sciamassero tutte nella medesima direzione. Barbara si tolse la mascherina che stava indossando e sentì contro il viso l'aria stantia che le colpiva la pelle. Il ciuffo biondo le scivolò di nuovo davanti ma lei non ci fece troppo caso.
Si alzò con garbo, tenendosi la schiena, e avanzò assieme alle altre.
Non era più andata in chiesa da quando si era saputo in giro che era rimasta incinta da un mezzo sconosciuto, a diciannove anni. Era andata una sola volta, per sfregio – ancora convinta di poter sopportare tutte le chiacchiere – ma si accorse ben presto che non le era più possibile e che non era più la benvenuta. Il prete non faceva altro che ripetere “sesto comandamento, sesto comandamento”, e lei sentì l'impulso di vomitare ancora prima che la predica fosse terminata.
Quand'era che l'uomo finiva per provare pietà? Barbara pensava, e non aveva trovato in sé altra risposta, che lo facesse solo nel momento in cui le persone ne svelavano la natura più abietta.
Non era stato neppure sufficiente dire a Francesco di mettere il preservativo, non era stato sufficiente affatto e ora l'unica persona che doveva sopportare il peso di Cristiano era lei.
Camminò trascinando i piedi per tutto il corridoio, cercando di sentire nell'aria i profumi che le avrebbero suggerito il menù di quel giorno. Indovinò pasta al burro e anche della carne di maiale, della maionese e tanti piselli – a lei piacevano da matti i piselli, davvero. Cercò di non pensare a niente mentre si riempiva quel che restava del piatto di pane e formaggio e avanzò in silenzio lungo la fila ai banconi.
Si toccò la pancia quando sentì un movimento sospetto entro l'utero, e guardò il vuoto sconsolata. Non erano rimasti altro che loro due, ormai, e quella era la più grande e triste verità che avrebbe dovuto accettare.
   
 
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