Premetto che “Profezie” è una fanfiction basata sui personaggi
di W.I.T.C.H., il ben noto fumetto della Disney.
L’utilizzo di questi personaggi, ambientazioni ed eventualmente di immagini non ha carattere commerciale, ed è inteso unicamente come un omaggio a questa bella saga. Questa storia è ben coerente con il fumetto fino al n. 63, l'ultimo pubblicato quando ho iniziato a scriverla. Questa è la riscrittura del primo capitolo, per portarlo allo stile degli ultimi pubblicati nel 2008; purtroppo, per motivi di tempo, non vi ho introdotto illustrazioni, come ho cominciato a fare dal n.12 in poi. Nota: chi ha letto la mia flashfiction 'La via per la Terra' forse la riconoscerà nella prima mezza pagina di questo capitolo. |
Profezie
cap.1
La via per Heatherfield
(versione riscritta dell’Agosto 2008)
L’ uccellino striato di grigio ricambia lo sguardo speranzoso della
ragazza che lo tiene in mano. Le trecce biondo cenere e la corona argentea
si riflettono, minuscoli, nei suoi occhietti neri e gialli.
Lei gli applica un sottilissimo collare di metallo lucente. “Ecco,
piccolo. Questo ti riporterà indietro. Ora vai. Rischierai la tua
vita per la Luce di Meridian”.
Allunga le mani verso l’alto per farlo alzare in volo. Sopra di loro
non c’è il cielo, ma le volte azzurre della sala del trono da cui
Elyon regna su tutto il metamondo.
L’uccello dispiega le ali, poi svanisce in un baluginio, come un riflesso
su uno stagno.
“E’ andato”, esala una donna dalla pelle di un delicato verdazzurro.
Quando sono in pubblico lei è il capitano Miriadel, ma in privato
Elyon continua a chiamarla mamma. “Tra poco sapremo se può
tornare”.
“Dovrebbe essere questione di secondi”, aggiunge l’ancella Nagadir,
una ragazza con la pelle oliva e i capelli scuri raccolti all’indietro.
“Andrà bene”, rassicura la giovane regina, cercando di mascherare
la sua emozione. “Ho seguito punto per punto i libri segreti”.
Immagina il volatile mentre, alla velocità del pensiero, il
piccolo corpo smaterializzato viene trasferito al portale invisibile nel
cielo, lo attraversa guidato dall’amuleto al suo collo e poi viene diretto
verso la città alla quale lei credeva di appartenere, fino al giorno
in cui il suo vero passato le è stato svelato nel modo più
crudele.
Con la fantasia, Elyon segue il viaggio vertiginoso, che avrà
termine quando il piccolo uccello grigio si sarà materializzato
in un cielo che lui non ha mai visto prima, tra odori e suoni estranei
e sagome di edifici di un altro mondo. Lo immagina mentre scende a terra,
incredulo, forse pensando di sognare. Sognano, gli uccelli? Sanno cos’è
un sogno?
Non importa. Questa vista non durerà a lungo: dopo pochi istanti,
l’amuleto al suo collo farà svanire quelle brevi immagini, ed in
un attimo il suo corpo minuto riattraverserà lo spazio in un modo
che neppure lei, la Luce di Meridian, comprende veramente.
“Dovrebbe tornare ora!”.
Mentre Elyon parla, un baluginio appare sopra di loro, e subito l’uccello
volteggia incredulo sotto il soffitto.
“Grande!”, esclama Nagadir con entusiasmo. “Altezza, avete avuto successo!”.
“La strada verso la Terra è di nuovo aperta!”, gioisce Elyon,
mentre il volatile si posa sulla sua mano alzata. Lo avvicina al viso,
per osservare il frammento di una piantina che tiene nel becco. “Erica.
Da quanto tempo…”. Gli sfiora la testa con un dito, chiudendo gli occhi.
“Sì. L’Oceano Atlantico! Heatherfield! Grazie, piccolo uccello,
grazie!”.
Sfilato il sottile collarino argenteo, Elyon si dirige verso la terrazza
che, dalla sala del trono, dà una vista completa dell’antica città
di Meridian.
Alza nuovamente il braccio. “Và”.
Lo guarda volare sull’ampio vallone in cui è incassata la capitale,
e poi deviare a destra per dirigersi verso i boschi sull’altopiano che
la sovrasta, sparendo in lontananza per tornare alla sua semplice vita
da uccellino.
Mentre sta guardando ancora il lontano puntino grigio, Miriadel le si
avvicina. “Devo dirti il vero, Elyon. Speravo che la prova fallisse”.
“Perché?”. La guarda sconcertata.
“Sarà comunque un viaggio rischioso. Hai provato quel teletrasporto
una sola volta. E se ti schiantassi contro le pareti del portale? E se
tu non ritrovassi più la strada del ritorno? Tu sei l’ultima della
tua stirpe”.
“Mamma…”, tenta di protestare, facendo un gesto di scongiuro dietro
la schiena.
“E poi, potresti essere interrogata dalla polizia. Siamo spariti da
Heatherfield più di due anni fa senza dare alcuna spiegazione. E
che scuse potrai trovare ora?”.
Elyon sbuffa. “Mamma, tra due ore sarò di nuovo qui”.
“E’ una promessa?”.
“Di più”, risponde caparbia. “E’ una profezia”.
Scuote il viso, turbata. “Elyon, non mi piace che tu scherzi su queste
cose”.
“Abbiate fiducia, capitano Miriadel”, la rassicura Nagadir. “Le regine
del passato sapevano fare questo viaggio, e nessuna si è perduta”.
Deve rassegnarsi. “Va bene, Elyon. Vai. Ah, e salutami le tue vecchie
amiche, soprattutto Cornelia”.
La Luce di Meridian ricambia con un sorrisone. “Così mi piaci,
sai mà? A proposito, ora ad Heatherfield è marzo, vero?”.
“Mi pare di sì”, risponde Miriadel guardando fuori dal terrazzo.
Quando si volta, vede che Elyon non indossa più l’impegnativo
abito regale, ma un completino grigioazzurro di una foggia che non vedeva
più dai tempi del loro esilio sulla Terra. “Ah, non farti vedere
così dalle guardie. Per gli standard di Meridian, quelle ginocchia
in vista sono indecenti”.
“Va bene, mà. Vado e torno”.
Elyon si concentra sulla sequenza di operazioni mentali che daranno
il via al teletrasporto, e le ripete sempre più velocemente, finché
sembrano fondersi in una sola. Mentre vede l’immagine della stanza
tremolare e svanire, sente ancora la voce di Miriadel: “Solo due ore di
orologio! Hai promesso!”.
Heatherfield, U.S.A.
E’ una splendida giornata di primavera ad Heatherfield. Dopo l’acquazzone
della mattinata, l’aria è fresca e limpida, e il sole sfavillante
crea un piacevole contrasto di caldo e freddo.
“Che splendida giornata per il mio grande ritorno!”, pensa Elyon mentre
si guarda attorno. Il colore del cielo, l’odore dell’aria, gli edifici,
ma soprattutto la gente, sono come li ricordava dalla sua infanzia, quando
credeva di appartenere a questo mondo da sempre e per sempre.
Quando un condominio signorile fa capolino da dietro gli alberi del
viale, la sua emozione si fa sempre più forte. Eccola, la casa di
Cornelia! Condominio Garden Plaza.
Costeggia la cancellata metallica, guardando il giardino curato e le
due torri cilindriche che incorniciano la facciata come un castello delle
favole.
Arrivata al cancello, scorre l’elenco dei nomi sui campanelli. Famiglia
Hale. Eccolo, è qui! Avrei potuto riconoscerlo a occhi chiusi!
La ragazza fa alla telecamera il suo sorriso più bello.
Heatherfield, casa Hale
“Mammaaaaaaa! Il campanelloooooo!”, grida la bambina dal soppalco sopra
il soggiorno.
“Lilian, puoi vedere tu?”, risponde la signora Elizabeth dalla cucina.
“No, mamma. Non posso lasciare Sbirulino solo nel bagnetto. Vuoi che
anneghi?”.
La donna esce dalla cucina, asciugandosi le mani. “Lilian, il bambolotto
non… vabbè”.
Ormai è arrivata al citofono, e guarda il viso che appare nel
piccolo schermo. “Mi dispiace, niente pubblicità…. Ma…” . Possibile?
“Signora Hale, sono Elyon. Posso salire?”.
La scruta, incredula. “Elyon? Elyon, proprio tu?”.
Nessuna risposta. Il viso è già scomparso dallo schermo.
Dopo due minuti, la ragazza esce a passo lungo dall’ascensore, con un
sorriso larghissimo. “Signora Hale!”.
“Elyon, ma sei tu?”. La guarda con attenzione. “Come sei cresciuta
in due anni. Quasi non ti riconoscevo”.
“Cresciuta? Non quanto vorrei”.
“Sembri un’altra. Sei più carina. A parte i capelli”.
“Grazie. Ehm… i capelli? Non vanno?”. La guarda un po’ sorpresa.
“Oh, certo che vanno. Volevo dire che hai tenuto le tue inconfondibili
treccine, come da bambina”.
“Si, sono una specie di firma”. Si guarda attorno. “Trovo Cornelia?”.
“Cornelia… oh no, è fuori, e non so neanche bene dove. E’ passato
Peter a prenderla, e sai…”.
“Peter? Peter chi…”. Ci pensa un attimo. “Ah, il fratellone di Taranee?”.
“Proprio lui. Un ragazzo d’oro”, asserisce la madre con convinzione.
“Sono contenta. Con Caleb non aveva futuro”.
“Caleb?”. La madre alza un sopracciglio, riconoscendo il nome dei deliri
di Cornelia di due anni prima.
“Caleb! Il fiore!” , grida una voce di bambina dal soppalco.
La signora alza il viso. “Lilian, hai visto chi c’è?”.
Sì, ha visto. Sta scendendo le scale a rotta di collo. “Elly!
Elly!”.
“Ehhiii!! “. Elyon la accoglie a braccia aperte, e crolla a sedere
sul divano sotto tanta spinta festosa. “Ciao Lilian, fatti vedere. Ehi,
occhioni azzurri, sei cresciuta alla grande! Aspetto di vederti più
alta di Cornelia, un bel giorno!”.
“Elly, mi racconti una storia, come una volta?”.
Elisabeth la richiama con un po’ di cipiglio. “Lilian, non interrompere
Elyon, ha tante cose da raccontarci. E non spiegazzarle la gonna!”.
Per tutta risposta, la bambina appoggia la testa sulla spalla dell’ospite.
Si vede già chi comanderà in famiglia.
La madre cerca di far passare inosservata la sua piccola sconfitta.
“Vuoi qualcosa da bere, Elyon?”.
“Grazie signora”, riesce a rispondere da sopra la testa bionda di Lilian.
“E i tuoi genitori?”, chiede mentre versa una bibita. “Siete scomparsi
tutti così improvvisamente…”.
“E’ vero”, assente imbarazzata. “Purtroppo non posso spiegare cosa
è successo”.
La signora aggrotta gli occhi. “E ora dove abitate?”.
“Ora… tornerò a frequentare la città occasionalmente.
Ho intenzione di riprendere i contatti. A proposito, ho un ricordino per
Cornelia”.
Elyon estrae dalla borsa un cilindretto che contiene un foglio arrotolato.
Quando viene svolto, questo rivela un acquerello di una città in
stile quasi medievale, sovrastata da un castello a cinque guglie.
La signora si aggiusta gli occhiali. “ Lo hai dipinto tu? E’ molto
bello, te lo dice una che in mezzo alle opere d’arte ci lavora tutti i
giorni!”.
“Grazie signora”, sorride raggiante. “Anch’io ci dedico del tempo”.
Lilian spalanca gli occhioni azzurri. “Elly, cos’è? Il castello
di una principessa?”.
“Sì Lilian, è il castello di una giovane regina”.
“Mi piace di più principessa!”.
“Il castello di una principessa, allora. Una principessa di un regno
lontano e felice, che possedeva dei favolosi poteri magici e voleva capirli
fino in fondo per utilizzarli per il bene”. Elyon entra nel ruolo della
vecchina che racconta favole accanto al focolare. “La principessa era circondata
da persone che le volevano bene e la consigliavano, ma i suoi poteri erano
così grandi che lei stessa ne restava stupita. I suoi amici ed i
suoi insegnanti non erano in grado di spiegarle tutto quello che succedeva,
così cercò di capire da sola, studiando e provando”.
“Era brava, allora”.
“Si, molto. Fece prodigi, accese nuove stelle nel cielo, cancellò
errori… sì, come si fa con la gomma quando si sbaglia a scrivere.
Ma ancora la principessa non era soddisfatta, perché non sapeva
fin dove poteva arrivare. Allora andò a parlare con delle fatine
per chiedere il loro consiglio, ed esse furono dapprima felici di ritrovarla.
Dopo un po’, però, le fatine cominciarono ad invidiare e temere
il potere della principessa...”.
Lilian si stava appassionando alla favola, ma l’ultima frase la turba.
“Elly, ma era cattiva la principessa, o lo erano le fatine?”.
Ora anche Elyon sembra turbata. Ha perso la sua aria compiaciuta e
gioca nervosamente con le trecce. “Oh Lilian… nessuna era cattiva,
solo… qualche volta, la gente non si capisce. Ma non temere, questa storia
andrà a finire bene”.
“Elyon, se posso, vai ancora a scuola?”, chiede la signora.
“Sto studiando privatamente. In tempi recenti ho divorato anche libri
di fisica, di biologia e di genetica, ma erano tutti vecchi, di più
di vent’anni fa”.
Lilian alza un sopracciglio. “Mamma, cosa sono le cose che dice Elly?”.
“Buona, tesoro. Elyon, come mai questi interessi così insoliti?”.
“Un anticipo sull’università”. Si stringe nelle spalle. “Sono
venuta a Heatherfield anche per cercare nuovi libri aggiornati, e per comprare
un computer portatile. Mi servirà per raccogliere gli appunti”.
Alza gli occhi verso l’orologio a muro. “Ora però devo andare. Signora,
ripasserò molto presto”.
“Ciao Elyon. Sarai la benvenuta”. Elizabeth si alza in piedi.
Lilian non si rassegna facilmente. “Elly… mi disegni una fatina?”.
Elyon le accarezza la testa. “Promesso, principessa. Ma non ora. Arrivederci”.
Heatherfield, centro città
Poco dopo, Elyon attraversa le vie del centro, piene di ricordi.
Il PC World è vicino. Eccolo là, dopo l’agenzia di viaggi.
Come una volta, sbircia ancora dalla vetrina per individuare il commesso.
Sì, è ancora lui. Coraggio, Luce di Meridian.
“Buongiorno”, cinguetta avvicinandosi al bancone.
“Buongiorno, signorina”, risponde il giovanotto che in giorni lontani
lei ha ammirato spesso dalla vetrina.
Lo guarda civettuola. “Vorrei vedere di un computer portatile”.
“Ecco, gliene prendo uno che abbiamo in offerta” . Il commesso si allontana
verso la vetrina.
Elyon, in uno sforzo di disinvoltura, nota un computer a torre appoggiato
sul banco vicino. Preme il bottone di accensione, e la macchina si avvia.
Vede il commesso ritornare con in mano un oggetto simile ad una valigetta.
“Mi sono permessa di accenderlo”, dice indicando lo schermo illuminato
che si sta animando di finestrelle.
“Può interessarle quello, signorina?”.
“No, vediamo il portatile”. Trattiene il fiato mentre il commesso lo
apre, mostrando lo schermo e la tastiera. “Che belloo, mi spiega un po’?”.
Dopo una mezz’ora di spiegazioni intervallate da “Ma noo”, “Bellissimoo”,
“Ma quante cose che sa lei”, Elyon si decide. “Mi ha convinto. Lo prendo”.
Il commesso lo spegne e ripiega lo schermo. “Glie ne do uno inscatolato…”.
Lei gli fa un largo sorriso. “Lei non ha obiezioni se prendo questo
già pronto all’uso, vero?”.
Al suo sguardo esitante, insiste. “La prego! Io non ho pratica di come
caricare un sistema operativo. Sia gentile…”. Lo guarda negli occhi, languida.
Lui si arrende. “Va bene, signorina. Lo prenda pure”. Inizia ad inserirlo
in una valigetta, assieme ai manuali ed agli accessori.
“Grazie”, sorride radiosa Elyon quando le mette in mano la valigetta
completa. “A proposito, accettate questo medaglione d’oro come pagamento?”.
Gli mette davanti agli occhi un gioiello scintillante.
Il commesso esita, osservando i riflessi sulla superficie ben cesellata.
“Ecco, signorina… veramente no. Possiamo accettare contanti, carte di credito,
assegni… ma questo no”.
“Ma io non ho valuta”, protesta costernata Elyon. “E poi, vale senz’altro
di più dei milleseicento dollari che mi chiede!”.
“Mi dispiace”. L’uomo la guarda severo. “Perché non torna accompagnata
dai suoi genitori, per un acquisto così importante?”.
“Perché sono nell’altro mondo”, risponde lei con naturalezza.
"Oh...". Resta confuso un attimo. “Mi dispiace. Comunque non posso”.
Elyon lo guarda fisso negli occhi. “Lei è stato gentilissimo,
fino ad adesso. Non vorrà deludermi, no?”.
“No….”, risponde lui, senza riuscire a staccare lo sguardo.
“Lei è gentile, disponibile. Lei sa di essere così. Lei
sa come fare uscire i clienti con il sorriso sulle labbra, vero?”.
“Vero…”. Il commesso è perso dentro gli occhi grigi della Luce
di Meridian.
“Lo sapevo. Lei è un signore. E, anche se non ho dollari, lei
non esiterà ad accettare questo medaglione d’oro come pagamento,
giusto?”.
“Giusto…”, risponde ancora, senza muovere gli occhi dai suoi neanche
per guardare l’oggetto lucente che Elyon gli depone davanti.
“Grazie. E’ un grande piacere trattare con lei. Lei sa rendere le cose
facili. Saprò sempre di poter contare sulla sua gentilezza”. Elyon
prende sottobraccio la borsa e la accarezza, come farebbe una bambina con
un regalo desiderato a lungo. “Grazie. E’ splendido!”.
“Splendido”, ripete l’uomo con un sorriso ebete. Non batte ciglio neanche
quando la borsa sotto l’ascella della ragazza svanisce nel nulla.
“La saluto. Grazie ancora”. Incamminandosi verso l’uscita , Elyon si
volta ancora per sorridergli. “Lei è molto gen…”.
BONK! La Luce di Meridian si schianta rovinosamente contro la porta
a vetri.
Il commesso riprende subito la sua attenzione. “Signorina! Si è
fatta male?”.
“ Ohiii… cioè, oh, non è niente”, minimizza con un sorriso
ed un gesto noncurante, che non fanno bene il paio con la mano sullo zigomo.
Ohchescemachescema…
Appena lei è uscita, il computer a torre che aveva acceso si
spegne da solo.
Incuriosito, lui si avvicina ed osserva, senza capire.
Come ha fatto ad accendersi, se non era collegato alla presa?
Heatherfield, davanti al Garden Plaza
Il sole sta calando quando una ragazza bionda e longilinea, accompagnata
da un ragazzo dalla pelle scura ed i capelli rasta, si ferma davanti al
cancello del condominio.
“Ci salutiamo qui, Peter?”, chiede Cornelia con uno sguardo che sembra
sottintendere un’altra risposta.
“Magari ti accompagno fin su a casa?”, chiede lui speranzoso, sfiorandole
gli splendidi capelli lunghi e lisci.
Improvvisamente dal citofono arriva la voce della madre. “Ciao ragazzi,
forse vi interessa sapere che a casa ci sono io con Lilian”.
“Oh, mamma”, sussulta Cornelia.
“Buonasera, signora Hale!”. Il ragazzo fa un largo sorriso di circostanza
alla telecamera.
“Saliamo subito, mamma. Due minuti. Mi accompagni fino di sopra, Peter?”.
“Certo”.
Percorrendo i viali interni del giardino, Cornelia gli fa presente:
“Dobbiamo ricordarci della telecamera. Non era il posto adatto per… sentirsi
soli”.
“Magari l’ascensore…”, suggerisce Peter , alzando gli occhi alla ricerca
di altre telecamere mentre varcano il portone dell’atrio.
“Magari…”, sussurra Cornelia tra i denti.
Una vicina poco simpatica sta già attendendo davanti alla porta,
premendo nervosamente il bottone di chiamata. “Oh, signorina Hale. Sa,
quando ero giovane, le ragazze per bene non andavano da sole in ascensore
con i giovanotti!”. Soprattutto se negri e con i capelli da selvaggio,
aggiunge la sua smorfia.
“Quando era giovane, signora Boringley, forse non esistevano gli ascensori”,
risponde piccata Cornelia. “Vieni, Peter, hai voglia di farti qualche rampa
di scale a piedi?”.
“Nessun problema. Andiamo”.
Lasciano la vicina a rugnare sull’ascensore. “Sempre occupato! Neanche
fosse un albergo…”.
Dopo due rampe, Peter si guarda intorno. Dove si può stare
un attimo tranquilli? Sul pianerottolo? No… non davanti alle porte.
Sulle scale?
Lei sorride, indovinando i suoi pensieri. “Peter, lascia perdere. Mia
madre starà cronometrando il tempo che impiego a salire”.
Arrivati al piano di casa, vedono una Lilian molto soddisfatta di sé
che sta tenendo occupato l’ascensore con un piede sulla sua porta.
“Ciao Corny. Ciao Peter. Come mai siete saliti a piedi?”. Finisce la
frase con un sorriso soave.
La sorellona ricambia il sorriso. “Brava, continua pure a tenere occupato
l’ascensore. Forse vedrai salire a piedi anche la signora Boringley”.
La madre si sporge sulla soglia con cipiglio. “Lilian, cos’è
che stai facendo?”.
La bambina, presa in castagna, toglie il piede dalla fotocellula. L’ascensore
si chiude e parte obbediente verso il piano terra.
“Ecco, Lilian, ora sono cavoli tuoi!”, sogghigna Cornelia alla sorellina
che rientra in casa, seguita dallo sguardo ilar-minaccioso della madre.
“Peter, vuoi entrare?”, chiede la signora.
“Grazie signora. Lo farei di cuore. Ma ho un impegno. A domani?”.
“A domani, Peter”. Cornelia saluta con un sorriso.
Appena rientrate, Lilian corre verso il tavolino del soggiorno, e torna
trionfante mettendo davanti agli occhi di Cornelia un trofeo.
Riguadagnata la distanza per mettere a fuoco, la ragazza trasale, riconoscendo
la sagoma del palazzo reale di Meridian. “Cosa vuol dire?”. Guarda interrogativa
la madre sorridente.
“Che abbiamo avuto una visita inattesa. Questo pomeriggio è
venuta Elyon a cercarti”.
“Elyon?!?”. Cornelia resta senza parole. Elyon dopo anni… e lei era
fuori! “Raccontami tutto, dall’inizio! Cosa aspetti?”.
Dopo il racconto della madre e le interruzioni di Lilian, Cornelia riflette,
seduta sul letto nell’intimità della sua camera.
Elyon è tornata.
Ellie, la migliore amica della sua prima adolescenza, la compagna di
classe e di giorni passati che ora sembrano ancora più felici. Di
Elyon si può dire tutto ed il contrario di tutto, ma non ha smesso
di pensarla come la sua amica più cara.
Apre il cassetto dove conserva i suoi album di fotografie, e ne sfoglia
uno a caso. È difficile trovare una pagina dove non appaiano insieme
almeno in una immagine sorridente. Ricorda con rimpianto i suoi sguardi
fiduciosi, le confidenze in un orecchio, la sicurezza che le dava e che
ne riceveva. Nessun’altra persona è riuscita a farla sentire più
importante.
Heatherfield, casa Vandom-Collins
Che stufa di questa matematica. A cosa servono gli studi di funzione,
se i prof non capiscono neanche quando siamo al limite?
Una Will annoiata sta sfogliando un testo scolastico, sperando che
alla conoscenza piaccia entrare nella testa attraverso gli occhi. Chissà
perché non funziona così…
Sente squillare il telefono. Si copre le orecchie. Ecco, prof, se
non sono riuscita a studiare è perché il telefono suonava
ogni momento.
La voce di un altro prof irrompe nella sua depressione serale. “Will,
c’è Cornelia per te!”.
“Grazie… Dean”. Non sempre le è facile chiamare per nome il
suo insegnante.
Non riesce neanche ad immaginare di chiamarlo papà, anche se
ha sposato sua madre Susan.
“Ciao Cornelia ... Sì? Elyon?... Davvero? Whow! Questa è
una grande notizia!... Correre da te? Lo farei subito. Però lo sai,
c’è aria di verifica per domani. Puoi convocare tutte a casa tua
per le tre?”.
Riabbassando il telefono, Will guarda persa oltre il libro, oltre la
mensola popolata dai pupazzi ranocchiformi che le sorridono con occhi fissamente
vivaci.
Elyon: sua compagna di classe per due brevi giorni di un autunno passato,
e aliena che viveva in esilio ignorando le sue stesse origini. Nemica mortale,
e amica ritrovata. Perfida ingannatrice, e vittima lei stessa di un inganno
crudele ordito dal fratello e dall’uomo che forse amava. Orfana dalla nascita,
ed ultima della sua stirpe. Ragazzina insicura, e Luce di un mondo in cui
realtà e magia si compenetrano.
Come avrà fatto a tornare? Dai tempi dei varchi sulla muraglia,
nessuno era mai passato dal metamondo a Heatherfield, se non attraverso
la fortezza di Kandrakar, al centro dell’infinito.
Ridicolo, pensa: era molto più facile passare direttamente tra
i due mondi quando c’era la muraglia, con le sue brecce aperte da una magia
ostile. Ciò che la ha sostituita assomiglia ad un immenso, invalicabile
vuoto.