La musica House mi rimbombava nelle orecchie. Il
cuore mi batteva freneticamente nel petto. Gli occhi mi bruciavano per
le luci stroboscopiche. La pista da ballo era gremita da ragazzi e
ragazze che ballavano franeticamente.
Appoggiai la testa sul bancone del bar e chiusi gli occhi. Avevo la
testa in fiamme forse per i troppi super-alcolici bevuti o per le notti
di insonne al capezzale di mia madre in ospedale. Non mi facevo un ora
continua di sonno da una settimana. Avevo la testa tra i
gomiti ,appoggiati sul bancone lurido del bar della discoteca
più popolare e
frequentata della città.
Avevo ancora gli occhi chiusi quando Drik ,il barista mi
fischiò in un orecchio. Mi svegliò.
“Azati non è nè un posto
salutare ,nè comodo .”
Alzai la testa con dispiacere, sbadigliai, mi strofinai gli
occhi.
“Pacchia finita. Preferivo rimanere ancora a vivere da mio padre!”
Dissi in modo ironico.
“Con tua madre ?? Ti avrebbe sbattuto fuori casa come ha
fatto per le troppe tipe che ti portavi a casa e ti facevi??? Che ne pensi??”
“Azzittisciti. Ringraziami del posto di lavoro
che ti ho trovato o se no continuavi a lavorare in nero per la mafia!”
“Tieni Christopher. Questo lo offre la casa."
Drick prese subito un bicchiere pulito, lindo senza
incrostature ai bordi.
Iniziò a scolare un mix di bevande alcoliche come al suo
solito. Finì subito e me lo avvicino con due dita.
“Tieni e riprenditi. Mangia qualcosa e vai a lavarti la
faccia. Sembra quasi che non dormi da due giorni. Scolai subito il bicchiere.
Il mix era il mio aperitivo-super alcolico preferito Sex on the beach.
Finito di bere posai il bicchiere e lo allontanai da me. Drik mi
avvicinò un piatto curvo di colore nero con una manciata
di salatini. Gli mangiai.
Mi allontanai dalla “Black Roses”. I pneumatici dei taxi
bianchi slittavano veloci sull’asfalto bagnato. Pioveva. Tirai su il cappuccio della felpa
nera dell’adidas. Era l’alba.
Sbadigliai. Tirai fuori l’ipod nero dalla tasca dalla felpa.
Misi le cuffiette nell’orecchie. Mi appoggiai al pannello trasparente della fermata
dell’autobus. I capelli bagnati sotto il cappuccio si erano attaccati al collo.
Rabbrividì. Aspettai per trenta minuti l’autobus. Non arrivò a destinazione.
Lentamente mi avviai verso una via secondaria. L’ipod si scaricò. Tolsi le
cuffie. Sentì un urlo disumano. Proveniva dalla via parallela alla mia. Corsi
per vedere l’accaduto. M;i fermai di colpo e
chiusi gli occhi. Sentivo il sapore aspro della bile sulle labbra: per
poco non vomitai. Il cuore batteva furiosamente. Volevo sparire. Mi accasciai a
terra. Nel viale si trovava il corpo senza vita di un uomo sulla quarantina.
Aveva i capelli biondi. Gli occhi azzurri erano spalancati. La testa era girata
verso la mia direzione. Mi alzai e mi avvicinai al cadavere. Subito supposi che
l’uomo doveva appartenere a un ceto medio - alto per via degli abiti di lusso.
Sul petto si trovava un enorme squarcio a forma triangolare. Spalancai gli
occhi.
“Impossibile” dissi a voce alta e ancora incredulo. La cosa che mi impressionò maggiormente non è
fu la vista del sangue sulla strada,o l’ampia
ferita, ma le grandi ali bianche. Le sfiorai. Erano morbide ma allo stesso
tempo affilate. Mi tagliai un polpastrello. Da lontano sentì lo stridio delle
sirene delle voltanti della polizia. Scappai velocemente. Caddi fratturandomi
un polso. Mi alzai mi nascosi dietro a un cassonetto della spazzatura. Strinsi
i denti e la mano al polso per alleviare il dolore. I raggi del sole
irradiarono la via. Un raggio colpì un oggetto metallico poco lontano da me. Chiusi un occhio, il bagliore era troppo forte
e accecante. Mi abituai alla luce. Presi l’oggetto con la mano ancora sana. Lo
nascosi nella tasca dei pantaloni. L’oggetto era di media lunghezza. Sembrava
una specie di rompi ghiaccio argentato. Aveva una forma triangolare.